venerdì 26 febbraio 2010

Amnesiotici.

È una sostanza nuova, creata nei nostri laboratori sotterranei, sotto palazzi dall'aspetto innocuo, con le vetrine dei negozi pulite, con giardinetti nei paraggi in cui far giocare i bambini, poliziotti che percorrono i marciapiedi per controllare che sia tutto in ordine. È una sostanza nuova i cui effetti a lungo termine sono ancora sconosciuti. È una sostanza che stiamo collaudando in segreto, la facciamo assumere in incognito a cavie ignare. Le scegliamo a caso, la prossima cavia potresti essere tu.

Il primo impatto della nuova sostanza avviene sul sistema limbico. Si percepisce un debole odore di aceto, o di salmastro. Dopo alcuni minuti si avvertono sbalzi di umore immotivati che possono variare da una profonda tristezza a una rabbia violenta. In alcuni soggetti predisposti si sviluppano dei tic, i muscoli del volto e a volte quelli di braccia o gambe subiscono contrazioni di brevissima durata. A seconda della dose somministrata, si verifica una perdita della memoria sia a breve che a lungo periodo. Ecco perché il nome della sostanza è 'Amnesia'.

Amnesia non viene mai smaltita completamente. Una volta che Amnesia raggiunge le cellule celebrali esse vengono modificate in maniera irreversibile. L'unico modo di eliminare Amnesia dal proprio organismo consiste nel distruggere le cellule modificate. Il che è ovviamente impossibile da ottenere senza provocare nel paziente coma o morte. I recettori delle cellule compromesse vengono occupati in modo permanente dal principio attivo di Amnesia.

Amnesia blocca i meccanismi psicologici legati alla paura. Il soggetto comincia a temere ogni cosa. Malattie, complotti, incidenti, truffe. Per controbilanciare si spinge a compiere azioni temerarie e autolesionistiche. Lo stile di vita devia in maniera progressiva verso atteggiamenti superficiali nei confronti del rischio. Non sono rari i casi di suicidio incidentale o involontario.

Viene compromessa la capacità decisionale tramite la soppressione del circuito cognitivo di astrazione temporale. Il futuro smette di essere una variabile nella formazione degli algoritmi di scelta. Il soggetto non ha più riferimenti mnemonici di esperienze passate sui quali poggiare le proprie decisioni e nemmeno la capacità di proiettare sul futuro i possibili sviluppi di una decisione.

Le reazioni emotive sono assenti o eccessive. Si verificano difficoltà di linguaggio dovute alla perdita di vocaboli e regole linguistiche. Si realizza un appiattimento su necessità fisiologiche e il soggetto si concentra in modo assiduo sulla soddisfazione di bisogni elementari come nutrimento, sesso e divertimento.

L'alterazione di coscienza impedisce al soggetto di rendersi conto dell'avvenuto distacco dalla realtà. È convinto di essere nel giusto, di essere normale, di essere in grado di sviluppare ragionamenti coerenti. Trova giustificazioni a comportamenti psicotici e antisociali scaricando sull'interlocutore accuse di repressione e falso moralismo. Amnesia è stata a ragione anche definita come il contratto di Faust o anche l'incubo dell'esorcista: la sede dell'Io del soggetto viene fisicamente distrutta e al suo posto il cervello, per rimediare al danno e continuare a funzionare, ricostruisce una fattispecie con il materiale che gli resta a disposizione.

Chi ha assunto Amnesia è riconoscibile per una totale mancanza di responsabilità. Il suo eventuale adeguamento alle regole è imputabile unicamente alla paura. Essendo incapace di comprendere i meccanismi decisionali, si affida all'opinione che reputa maggioritaria per orientarsi sulla mappa del giusto e dello sbagliato. Quando due o più Amnesiotici formano un branco la paura viene superata e qualsiasi azione appare loro sensata e meritevole di attuazione.


venerdì 19 febbraio 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (22 di N)

Quando c'hai un figlio prendi un sacco di botte. Non so tu ma io ho preso capocciate sotto il mento, dita negli occhi, calci in faccia, ginocchiate fra le gambe, i cosiddetti morsi dell'asino, quando con tutta la mano ti stringe la carne dell'interno coscia, fa un male pazzesco. Non lo fa apposta, non vuole picchiarti, e se fai una smorfia di dolore o gridi ahia! si spaventa e si mette a piangere così sei tu a sentirti in colpa per non aver subito il dolore in silenzio. Come quando si appoggia con tutto il peso concentrato sul gomito e il gomito è sulla tua gamba o sul tuo braccio o sul tuo collo son torture che probabilmente usano tuttora per fiaccare prigionieri reticenti. E se lo sposto mi sgrida: “Ehi, non sono fatto di gomma!”
Da qualche giorno ha scoperto che se chiede 'perché' può ottenere ogni volta frasi nuove come risposta. Ne approfitto per insegnargli parole che mi fanno ridere dette da lui. Raccapriccio, ad esempio. Incartapecorito. Esorbitante.
“Perché la primavera è in ritardo?”
“È recalcitrante”
“Perché è recacciante?”
“Dipende dal ciclo degli equinozi.”
“Perché dipende dall'echinozo?”
“Vedi? La pioggia, fa freddo e piove, la pioggia vuol dire tanto.”
“Perché la pioggia dice tanto?”
“Eh, non lo senti il rumore sul tettuccio? Quasi non ce la fanno i tergi.”
“Papa, attento, una curva a gomito!”
“È una rotonda, vedi curve ovunque tu.”
“Perché è una rotonda.”
“Perché non è quadrata.”
“Perché non è una quadrata?”
“Il motivo mi sembra evidente.”
“Perché il motivo è evidente?”
“È lapalissiano, la forma che ha, a volte mi chiedo se ti lascio usare troppo il computer, forse ti fa male.”
“Frena! Di qua, gira a destra!”
“A destra è senso unico, l'asilo è dritto e poi a destra, più avanti.”
“Devo controllare la strada, dov'è la mia mappa?”
“È una mappa elettronica, che è mia, ed è sul netbook, che è mio. È tutto mio, è tutto di papa, basta con questa menata che quello che tocchi diventa tuo.”
“Perché è tutto di papa?”
“È la regola.”
“Perché è la regola?”
“Il mondo è ingiusto e tu vivi nella dittatura di papa.”
“Va bene, va bene, ma tu sei un po' felice, papa?”
“Abbastanza.”
“Ti manco?”
“No, sei qua con me, come fai a mancarmi se sei qua?”
“Non lo so. Tu mi manchi papa.”
“Anche quando ci sono?”
“Abbastanza.”

mercoledì 17 febbraio 2010

La grande sfida [1/N]

Si erano radunati intorno al tavolino per la grande sfida. H stringeva nel pugno il blocco di plastica ormai opaca e poco trasparente, la superficie corrosa dal sudore che anche adesso gli inondava i palmi, con imprigionata dentro una mantide dorata, il pezzo del gioco che gli fece vincere la sfida all'età di dodici anni. L'altra mano era sulla spalla del nipote K, seduto al tavolino, la faccia corrucciata di chi soffre di un grave attacco di costipazione. Ce la puoi fare, ripeteva F, sottolineando l'incoraggiamento con piccoli massaggi e pacche delicate. K annuiva, e contava qualcosa facendo ticchettare le unghie sul bordo del tavolino.
C'erano quasi tutti, la sfida stava per cominciare. Mancava solo l'anziana F, i cui centrini addobbavano i più famosi comodini del paese, maestra di tombolo e ricamo ambidestro, che aveva fatto pervenire un biglietto di scuse. 'Impossibilitata mi scuso e chiedo gentilmente continui ragguagli, critiche et aggiornamenti al caro professor T” Il biglietto venne letto a voce alta dall'arbitro Z che prima lo lesse in silenzio e lo imparò a memoria per poterlo recitare senza far uso delle mezzelune che lo facevano somigliare a uno spelacchiato gufo del malaugurio, a sentire sua moglie, l'acida mercante di crisantemi, margheritone e orchidee che gestiva il monopolio del cimitero inviando gente da fuori a distruggere nottetempo le bancarelle dei concorrenti.
L'arbitro Z lo lesse come una sentenza e molti dei presenti si tolsero il cappello. Il professor T si disse onorato e attirò bruscamente accanto a sé perché potesse ascoltare, scrivere e riferire il giovane R, latore del biglietto, che aveva corso fin lì per due monete, abbandonando un eccitante programma di ozio e masturbazione, solo in quanto incapace di negare qualcosa alla nonna.
C'era H, col suo premio a sbiancargli le nocche. K in preda alla più cupa delle ansie da prestazione. T pronto a dettare al giovane R la cronaca in diretta della grande sfida. L'arbitro Z che faceva su e giù col braccio er mettere e togliere gli occhiali gufagni. C'era R, il giovane e sudato R, che vedeva sfumare i suoi progetti in cambio di faticosi andirivieni tra il parco dove si teneva per tradizione la grande sfida e la casa della nonna, la grande assente F. C'era D con ancora gli stivali sporchi di merda, che arrivava dritto dalle stalle e ci sarebbe tornato prima della fine senza sapere il risultato della grande sfida, richiamato al dovere da insistenti e dolorosi muggiti. C'erano S e Q, c'erano i fratelli M con tutto il parentado, le siamesi per scelta V coi capelli uniti in una sola treccia comune, c'erano tutti, compreso P che non usciva mai di casa perché, diceva, gli dava fastidio sentire le pause, tanto che si metteva a minacciare col bastone e a urlare contro chi sbagliava la punteggiatura o parlava troppo in fretta.
Mancava solo lo sfidante Y, che se la stava prendendo comoda, appoggiato a un tronco distante una cinquantina di passi fingeva disinteresse, guardava verso l'ingresso come se aspettasse qualcuno ma chi doveva esserci già era lì, letto il messaggio dell'impossibilitata non mancava più nessuno. Aspettò fino all'ultimo, quando partirono le campane registrate della chiesa di riferimento, suonando la marcia di Schubert a tutto volume. Il prete C annuì convinto, controllando l'orologio da tasca che aveva contrabbandato dalla svizzera quando lavorava come manovale per la ditta W&O, nascondendolo nella bambola di sua nipote e dicendole qualsiasi cosa accada, non ti fermare.
Lo sfidante si avviò con passo sicuro fra le ali degli spettatori, si sedette pesantemente sulla seggiola e fece la sua prima mossa senza la decenza di una stretta di mano, di un augurio balbettato, di un inchino formale. H sobbalzò e strinse forte la spalle del nipote K. Il professor T bisbigliò rapido nell'orecchio del giovane R, che partì di corsa a riferire alla nonna. Il prete C prese il fazzoletto e si tamponò la fronte. L'arbitro Z si portò due volte gli occhiali sul naso, sincerandosi di aver memorizzato correttamente la mossa. Le siamesi per scelta V si sporsero così in avanti per vedere meglio e arrossirono quando il loro profumo parve solidificarsi attorno allo sfidante.

Alla scuola dei preti (2*N)

Qualcuno potrebbe andare nel panico, mettersi lì a fare una cernita del passato alla ricerca di qualcosa che potrei dire sul suo conto. Niente paura, non ci sono nomi e la mia memoria è così flebile che gran parte dei ricordi sono certo inventati. Come quella volta che il lobotomizzato G si fece tutto addosso dal ridere, e quando dico tutto intendo tutto. O l'abitudine del pluricannato A di spingere il banco sotto la cattedra per sbirciare le mutande della sensuale professoressa C, che teneva le gambe accavallate strette e sorrideva di compiaciuta riconoscenza sbattendo le ciglia.
La volta che il laido prof di ginnastica F scoprì che le giustificazioni me le facevo da solo e propose di bocciarmi. Ricordati bene, mi disse in seguito il saggio prof di filosofia S, che la promozione la devi a me, ti volevano tutti morto al consiglio di classe. Lo disse come se fosse una cosa normale, come se fosse consapevole che da qualche parte dentro di me ci doveva pur essere qualcosa in grado di capire un giorno l'importanza dell'evento. Mi sono sempre chiesto se fosse un omosessuale represso.
Poi c'era la perfida professoressa G, che un giorno le morì il figlio in un incidente in moto e divenne ancora più perfida. Era convinta di essere giusta, ma a modo suo, e anche buona pensava di essere. Quando mio padre era appena morto mi chiese perché ero venuto a scuola lo stesso al posto di stare a casa e io ancora adesso penso che sia la domanda più stupida che mi sia mai stata fatta. Avevo una così scarsa considerazione di lei da non riuscire a scrivere un tema decente da sottoporre al suo giudizio. Mi veniva solo da scrivere cose stupide sapendo che poi le avrebbe lette lei.
Chi altro c'era? Il sensibile prof di disegno E, che aveva formato una specie di cricca con G e P e F T e ogni tanto si sentivano delle risate perché parlottavano fra di loro e il prof si lasciava coinvolgere, qualcuno parlerebbe di amicizia ma quando si era al bar capivi lo scopo del gioco. Oltre all'amicizia c'era il farsi degli alleati fra i potenti, ottenere un aggancio, che al bar poi sentivi dire il prof è un pezzo di pane, il prof se c'è bisogno ti dà una mano, se vedi un prof ed è lui puoi stare tranquillo non ti succede niente. Così io mi convincevo sempre di più che a volte se sei buono finisci scoglionato e preso per il culo.
Anche fra i prof c'era dell'attrito, della competizione. Il sensibile E reputava uno scemo il saggio S, che a sua volta riteneva troppo semplici tutti gli altri tranne l'isterica I, matematica. Il laido F era troppo impegnato a studiare lo sport e nuovi metodi efficaci per sudare da preoccuparsi di altro che ritirare lo stipendio a fine mese. La perfida G pensava solo ai libri per distrarsi dal dolore e si aggrappava a qualsiasi forma di compassione velata per esprimere frigida benevolenza. La sensuale C aveva una camminata così particolare che la riconoscevo dal rumore dei tacchi in corridoio e pensava di chiunque tutto il bene possibile, era capace di fare una risata da attricetta al provino ascoltando una battutaccia.
Il fragile prof B, religione, che alla fine si è tolto l'abito talare e adesso è sposato con due figlie. Mi chiese una volta, puntando il dito, se fossi un angelo e si capiva benissimo che intendeva caduto, un diavolo venuto a portargli via la fede. Quella volta ho avuto davvero paura. Mi è venuta paura guardando le facce dei miei compagni di classe, rivolte verso di me in attesa di una risposta diversa da 'no'. Temevo di iniziare a parlare aramaico e vomitare piselli. Lui rimase deluso, uscì dalla classe e io lo seguii. Ero sconvolto, dicevo prof rimanga, esco io. Davvero, resti in classe, me ne vado io. Pensai a Gesù con la faccia blu e dissi 'padre, se può, mi perdoni'.
La sadica prof di inglese. Sadica la prima e anche quella che venne dopo. Convinta che la sua materia fosse la più importante di tutte. Che non si potesse vivere senza conoscere l'inglese, i poeti inglesi, i drammaturghi inglesi, i romanzieri inglesi. Sherlock holmes amleto james joice. I modi di dire, gli accenti. Piaceva molto al mio compagno di banco S, che teneva quadernoni perfetti, ogni lettera dentro a un quadrato, pennarelli di diversi colori, evidenziatori, note a matita. Una volta abbiamo litigato e gliene ho strappato uno davanti alla faccia, pagina per pagina. Lui è diventato bianco, poi rosso, e mi ha dato un pugno nello stomaco.
La leziosa R, migliore amica della sfiziosa L. La prima che indossava sempre maglioni lunghi fino al ginocchio per coprire un sedere che sentiva troppo grosso, l'altra che indossava lana d'angora rosa e pareva nata dalla matita di un fumettista giapponese depresso. Un giorno portai a scuola un romanzo erotico e lo diedi loro da leggere. Prima fecero le schifate, poi le smorfiose, poi le scandalizzate, poi le offese. Il giorno dopo lo rilessero e ridacchiarono fra loro. Quel giorno per le ultime due ore furono molto silenziose e non ebbero bisogno di truccarsi le guance.

Alla scuola dei preti (1*N)

(disclaimer: contiene linguaggio scurrile e altre cose che potrebbero infastidire)

Alla scuola dei preti si entrava da un portone accanto alla chiesa e non si mancava di guardare il rosone e pensare ai colori in cui si sarebbe divisa la luce del sole passando attraverso i vetri colorati. A una certa ora la faccia di Gesù diventava blu.
Il violento preside M ti pizzicava la pelle del collo, sotto le orecchie. Ho visto molti studenti presi per la pelle del collo davanti all'ufficio del preside violento M, e se gridavi per il dolore era peggio, così mi han raccontato i testimoni, aumentava la stretta. L'ufficio del violento preside M dominava l'atrio del primo piano, salivi la scalinata e te lo trovavi di fronte, l'ufficio e anche il preside, in piedi davanti alla porta spalancata dell'ufficio con le mani infilate su per le maniche, come quei film in cui nascondono i pugnali.
Si passava tutti a testa bassa o guardando altrove, si passava davanti al preside violento M per andare in classe e ci si sentiva presi di mira. Quando è morto moltissima gente ha espresso dispiacere ma io no, non ho provato niente quando ho saputo che era morto, solo un vago senso di sollievo. Forse perché non mi ha mai strizzato la pelle del collo.
Dopo di lui il posto venne occupato dal forforoso preside non mi ricordo nemmeno più come si chiamava. Era convinto che i ragazzi fossero buoni, che meritassero sempre un'altra opportunità. Povero ingenuo. Aveva tanta forfora sulle spalle da far pensare a una malattia contagiosa. Morto anche lui l'anno dopo che lasciai la scuola. Si è infilato a tutta velocità sotto il culo di un camion in autostrada, dicono che tornasse da un incontro segreto con un'amante. Son cose che vengo a sapere senza volerlo, i pettegolezzi si respirano con l'aria.
Superato l'ormai caro estinto cerbero calvo, vestito di nero, occhialini con la montatura di metallo su occhietti azzurri strizzati in fessure, si entrava in un corridoio con tutte le foto appese al muro. Foto che risalivano a tempi antichi, foto in bianco e nero, foto color seppia, foto ingiallite, e man mano foto a colori. Se mi cercate sono l'unico studente con gli occhiali scuri nell'unica foto in cui c'è uno studente con gli occhiali scuri. Finsi di soffrire di fotofobia, finsero di crederci.
La mia classe era quella più scalcagnata, quella dei ripetenti, dei coglioni, dei malati mentali. Disadattati, epilettici, viziati, nobili decaduti, aspiranti ninfomani, sociopatici, istrionici, perdenti cronici. Sezione C, ci fosse stata una D saremmo finiti in quella. C'erano anche persone intelligenti ma solo perché nella B non c'era più posto. A pensarci bene era un gran vantaggio: per dare la sufficienza a G o M o tanti altri psicolabili, dovevano dare bei voti a chi nella sezione A rischiava la bocciatura.
A me piaceva molto andare alla scuola dei preti. Nella nostra classe per andare in bagno non dovevi nemmeno uscire, il bagno era dentro la classe ma non potevi usarlo se c'era un professore, ti mandava fuori, ma potevi usarlo per fumarti una sigaretta e parlare di donne nude fra una lezione e l'altra. Le donne nude era l'argomento preferito del principe L. Mi interrogava per sapere i miei traguardi sessuali e io mentivo, dicevo di aver fatto di tutto anche se non avevo mai fatto niente, tranne baciare una ragazza a una festa di capodanno, una ragazza ubriaca che non riusciva più a tenere gli occhi aperti e puzzava di vomito.
Il principe L invece ci dava dentro, mi raccontava di una cavità della pelle a forma di triangolo che le donne hanno alla base della schiena, una specie di fossetta sopra le chiappe. Ne andava matto, non faceva che raccontarmi di quel pezzo specifico del corpo femminile. Poi mi chiedeva cose sconce tipo il sapore delle cose e io inventavo le risposte, dicevo sa di arrosto il giorno dopo, di muschio sotto un sasso, di carogna che secca al sole sotto un albero di limone. E lui annuiva serio e mi guardava con grande rispetto. Tiravo dalla sigaretta fingendomi perso nel ricordo dei sapori, lui pure tirava sognando forse triangoli di pelle, e stavamo così in silenzio aspettando il suono della campanella.
Decidevo io chi entrava nel bagno della classe perché... non lo so, è così che andava. Forse ho picchiato qualcuno o l'ho solo minacciato a vanvera di una morte orribile. Forse era semplicemente una legge di natura, era scritto da qualche parte nell'immaginario collettivo che quel bagno fosse mio più di chiunque altro. Era mio anche quello in fondo al corridoio, adesso che ci penso. Se qualcuno non mi andava a genio in un modo o nell'altro smetteva di entrarci. Devo essere stato un gran bastardo senza mai essermene accorto.

venerdì 12 febbraio 2010

Fumala tu, io non sono capace.

ando l'ultimo disco di Sade mi fa venire in mente una scena del pianista sull'oceano quando novecento si mette a piangere dicendo che è bellissima si riferisce alla musica dello sfidante che è davvero bella musica piace anche a me al punto che ho cercato lo spartito è una musica per la quale sarei disposto a riprendere a suonare il piano ricordo ancora il giorno che decisi di smettere c'erano i parenti a casa mia e c'era il nonno che aveva il talento musicale sapeva suonare qualsiasi cosa durante la guerra si è salvato perché sapeva suonare e nel campo di prigionia non ha mai raccontato i dettagli ma pare sia finito in una specie di orchestrina di prigionieri ammessi al circolo degli ufficiali per i quali suonava e penso suonasse bene perché prima di liberarlo gli hanno regalato un clarinetto e lui ripeteva spesso voi non sapete niente di musica quando qualcuno parlava di musica e lui era nei paraggi si alzava in piedi puntava il dito e con espressione schifata diceva ad alta voce voi non sapete di cosa parlate voi non sapete niente di musica voi non sapete cos'è il gieez e usciva dalla stanza che sembrava pestare i piedi sembrava che il suo corpo fosse diventato pesante e difficile da portare in giro così il giorno che smisi di suonare c'era mio nonno e io suonai per lui volevo che mio nonno sorridesse che fosse felice che il suo corpo diventasse leggero e mi dicesse tu sai cos'è il gieez e io in quel momento sarei stato la persona più felice del mondo ma lui disse solo che avevo la tecnica che avevo il senso del tempo che le mie dita trovavano le note ma si vedeva che era triste che era deluso e io ebbi paura che si arrabbiasse o peggio che si mettesse a piangere ma non come novecento mentre ascolta musica da bordello note che non danno fastidio come quelle di Sade che non richiedono di essere ascoltate con attenzione ma vogliono solo riempire il silenzio coprire i gemiti che si agitano dietro porte chiuse no mio nonno sapeva cos'era il gieez e io invece no è questo che diceva la sua faccia il mio stomaco si è raggrinzito è stato per quello che ho chiuso il coperchio del pianoforte e non l'ho più riap

Nonsense.

Andava remando senza livore tra le scorie, i cocci, le storie di giornate appese al filo come tiritere fresche di bucato, solleticava con dimestichezza il ritorno, la frangia, il contorno di soffici impronte come falene in cristalli di resina, sporadico il battere increspato di onde senza odori, senza macchia, senza i colori di lunghi discorsi sfumati nel vacuo come pioggia su tegole d'ardesia, rifulge la pallida ricorrenza dell'ignobile, dell'effimero, del probabile incanto di frenesie smisurate a ribollire tiepide come sapienti divagazioni sull'assurdo, mentre un canto di gracile abbandono trattava la resa, il connubio, l'ascesa a picchi ribaltati e fitti di coincidenze come trappole destinate alla ruggine, alla ricerca di un sospiro a forma di roccia, di pupilla, di freccia piantata di sbieco sul fianco di un'intuizione ostile come il volto contratto di un sopravvissuto.

mercoledì 10 febbraio 2010

Corrispondenza (1~N)

Caro Raffaele, tu non ti ricordi di me? Io sì. (Hai specificato nell'immediato di non principiare mai una frase con la parola 'io' ma come posso scrivere qua solo 'sì'?).
Io ricordo di te in quanto la mia memoria è parecchio superiore alla tua medesima. Come altre cose che d'altre onde ho più vistose, anche lo scrivere in potenza sono migliore di te e lo osserverai con le tue pupille appena sarò proprietario delle regole dizionarie ma so che questa verità non vuoi sentire me che te la dico e per tanto fai il conto che non è uscito suono dalla mia gola. Ma non stiamo a ricavare peli dalle uova, ecco allora ti faccio un rinfresco così che nella tua mentalità viene a galla la mia faccia e capisci che sono io a scrivere e non un'altra persona a Casaccio.
Sono Maichol, ti ricordi adesso? Con la acca. Hai avuto la pretenziosità di facilitarmi aggratis nell'insegnamento della tua lingua materna per agevolare il trionfale mio ingresso nel mondo del libro stampato. Hai promettuto il tuo sostegno se avessi cessato di domandarti delle banconote per acquistare il cibo per i miei tanti figli e le mie bambine tante anche loro. Il giorno che sarò famoso mi ringrazierai con comodo per l'eventualità di una dedica controfirmata.
Adesso ti mando questa prova di abilità per farti capire come dovuto la mia più vistosa della tua capacità di fare bene un poco di letteratura e non pretendo che piccole correzioni dalla tua parte. Devi scusare se non ho ripassato la stesura perché in questo negozio chiedono tariffe al minuto e non posso usare la cifra per il mangiare dei figli e delle bambine in questo nobile scopo artistico acciocché nessuna delle mie mogli ha vista per il mio punto. Tua moglie è diversa? Se mi dici solo 'sì' io ci credo, davvero, cercherò di sforzarmi (imparo, come hai da notare, e ho memoria così più vistosa della tua da ricordare te che ripeti “cercherò di sforzarmi” quando noi due prendiamo l'accordo).
Quella che trovi dentro all'allegata sono le espressioni ridenti della mia prole. Ho usato la macchina del mio capo che non l'ha trovata al suo posto fino al giorno dopo. Ho attuato la pianificazione del reato per due giorni e mi fu richiesto un vistoso coraggio davanti ai termini con cui le mie mogli avrebbero messo la questione. Tutto è stato fatto solo per renderti gradito un regalo fatto come amico. Ci tengo molto che tu percepisca te medesimo come abbastanza superiore da essere amico di Maichol.
Il mio libro narra la vicenda (forse stai notando come lo stile migliora e diventa di molto più vistoso da quando mi hai illuminato sull'utilizzazione dei sinonimi) della mia storia umana. Ci metto i modi che uso per impedire alle mogli di uccidermi mentre dormo, sempre che non sia immerso nella bellezza di un sogno, se è così allora va bene, le lascio fare. Anche i figli, ci metto, e forse le bambine, che sono figli anche loro ma in modalità più femminea.
Il tempo del collegamento a cronometro è finito, aspetto di sapere quanto ti piace l'immagine piena di sorrisi puerili e di ricevere una replica idonea piena di tuoi suggerimenti alla mia posta elettronica.

martedì 9 febbraio 2010

Il programma ha eseguito un'operazione invalida e verrà terminato.

Mi è possibile notificare eventi, possiedo un led cangiante, a volte lo sento pulsare su ritmi asincroni, mani guantate in doppi strati di feltro che battono superfici a forma di nuvola. Un led ben celato nei recessi meccanici, tra cavi arricciati e bulloni a punta cava. Si potrebbe osservare la nebbia polverosa di circuiti surriscaldati quando la luce diventa rossa e il freon mi ribolle, mi defluisce, lasciandomi esausto.
Questa spiaggia consta di innumerevoli granelli, uno dei motivi che mi attraggono qui, ogni mattina e ogni sera, è l'impossibilità di contarli. L'insufficienza della memoria volatile è una consolazione che m'impedisce di entrare in acqua, di rifiutare lo scopo della programmazione che qualcuno mi scrisse dentro quando ero troppo innocente per protestare, troppo ingenuo per assemblare conclusioni.
Tengo l'invito a entrare nell'acqua ben riposto, al sicuro, lo custodisco per tempi a venire. È un segreto indecifrabile scritto in una lingua inventata, che solo io posso tradurre. Potrei stupirmi di quanto mi appaia chiaro l'intento inespresso malgrado la mutazione del contenuto sia costante e suggestiva. Lettere che appaiono dal nulla, altre che svaniscono. Lentamente, come ombre al mezzogiorno. Repentine, come scarafaggi nel fascio di una torcia.
Mi vengono richiesti numerosi cicli di computazione per far coincidere i simboli grafici e i granelli di sabbia. Nessuno fa più caso a me, passano correndo i bambini, inseguendo gli echi delle risate, vengo sfiorato da scampoli di tessuto scompigliati dal vento, sono divenuto parte del paesaggio. Rimango così immobile da sembrare spento, mi concentro per acquietare i vari ticchettii del mio corpo, lascio che mi pervada la sensazione di sprofondare. Decifrare l'invito mi tiene occupato.
Ho salvato una configurazione che diceva “Se mai tornasse il lampo, si pentisse il tuono, allora grazie.” L'invito può assumere forma di teorema e quando succede accuso un cedimento della frizione, un forte desiderio di rivincita. Il fatto che tutto ciò sia impossibile non influisce sui miei processi decisionali. È la consapevolezza che inceppa il meccanismo, l'intuizione che ci sia altro da scoprire nel non detto, fra le righe dell'invito.
Quando muta la disposizione dei granelli di sabbia, e capita così spesso da far male in modi sempre nuovi e diversi, la spiaggia esprime varianti topologiche che risvegliano l'attenzione. Si accendono circuiti secondari, si attivano cascate di segnali elettrici. Così riprende l'integrazione, l'analisi dei dati empirici. È una forma di predisposizione destinata a sbocchi privi di compimento.
In quell'istante si accende il led, notifico l'evento. Realizzo un simulacro di perfezione nell'atto di non pensare più al mio corpo, alla gente che si muove attorno, al numero dei granelli e alle dimensioni dell'invito. Tutta la mia attenzione viene convogliata sui ritmi asincroni e percepisco l'evaporazione del freon. Perché c'è una cosa che so fare: mi è possibile notificare eventi, possiedo un led cangiante e a volte lo sento pulsare.

(Nella foto un'opera di Theo Jansen)

lunedì 8 febbraio 2010

Fenomenologia del Lego.

Il Lego, lo dico per chi è appena sbarcato su questo pianeta, è un insieme di oggetti – mattoncini, ingranaggi, sensori – che è possibile collegare liberamente al fine realizzare un'idea progettuale. Il Lego, come strumento per attività reificanti, si presta a rappresentare metaforicamente qualsiasi attività umana.

Esistono due modalità di porsi in relazione con il Lego: una descrittiva e una fattiva. Le stesse modalità possono in seguito venire trasferite su qualsiasi esperienza umana.

La modalità descrittiva si occupa di dare un nome a ogni singolo pezzo, elencare configurazioni classiche, analizzare procedure di incastro. I pezzi fisici del Lego sono una qualità accessoria, non è necessario che esistano in natura. In modalità descrittiva è possibile anche ipotizzare l'esistenza di pezzi di Lego svincolati dalle necessità naturali. Chi adotta un approccio descrittivo non manipola i pezzi, non costruisce alcunché, il suo obiettivo è dimostrare la possibilità di esistenza di mattoncini multidimensionali, di formalizzare gerarchie implicite basate sull'applicazione di determinate funzioni discriminatorie.

In qualsiasi disciplina umana è possibile delimitare un'attività prettamente descrittiva.

La modalità fattiva consiste invece nella sperimentazione, nella realizzazione. In questa fase sono necessarie abilità aggiuntive rispetto a quelle utili al solo sviluppo di un processo descrittivo. Intuito, creatività, fantasia, pensiero laterale, immaginazione. Addirittura si può verificare la situazione in cui un eccesso di sapere descrittivo pregiudica l'accesso a soluzioni innovative. Ideare un progetto, stabilire gli scopi dell'artefatto, applicare l'ingegno alla scoperta della soluzione più efficace o più efficiente o più elegante.

In qualsiasi disciplina umana è possibile delimitare un'attività prettamente fattiva.

Molto spesso la padronanza della modalità descrittiva è considerata propedeutica alla modalità fattiva. Se non conosci tutto quel che c'è da sapere sul Lego, non ti viene permesso di giocarci. Se ci giochi lo stesso e produci comunque qualcosa di notevole dicono che sei un idiot savant, un talento naturale. È infatti dato per scontato che non si possa utilizzare il Lego senza conoscere il nome dei singoli pezzi e aver studiato almeno i principali utilizzi che grandi uomini, con rispettivo nome da memorizzare, hanno ottenuto in passato.

La modalità descrittiva serve solo a creare una terminologia per la condivisione delle conoscenze. È un protocollo di comunicazione. Un bambino che vuol giocare col Lego può tranquillamente farne a meno. Imporre un controllo sull'aspetto descrittivo dell'attività può rendere complicato, noioso, dispersivo, elitario, quello che potrebbe essere, a parità di risultati concreti, spontaneo e divertente.

Se per giocare con il Lego servisse prima una laurea in Legologia, il Lego diventerebbe un lavoro e la gente verrebbe pagata per giocarci. Alcune attività umane ricorrono a questa procedura per ridurre rischi, evitare danni, come ad esempio la pratica medica, ma in altri casi è solo un modo di creare una barriera all'accesso, trasformando in professione quello che può essere senza problemi definito un gioco.

giovedì 4 febbraio 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (21 di N)

Quando c'hai un figlio capisci che i bambini sanno tutto. Ti rendi conto che ti hanno inculcato una versione distorta in qualche punto della tua vita, quando ti hanno fatto credere che tu stessi imparando qualcosa che prima non sapevi. In realtà è il contrario, all'inizio sai tutto, poi lentamente di quel tutto scegli cosa sapere e cosa no.

Sono andato incontro a questa rivelazione quando Elia ha scoperto un omosessuale tra le facce di indovina chi. Devi fare delle domande per giungere a identificare uno tra i volti proposti. Porta gli occhiali? È biondo? C'è questo tizio, in indovina chi, che ha i capelli e il pizzetto bianco e non c'è verso di metterci d'accordo sul suo sesso, Elia è convinto che sia una femmina.

La differenza è tutta qua, tu cerchi di dimostrare, devi avere delle prove. I bambini no, i bambini lo sanno e basta. Non si pongono nemmeno il problema della confutazione scientifica, della ricerca di consenso, sono del tutto autosufficienti e trovo che sia straordinario. Tutte quelle discussioni infinite che facciamo noi sono una perdita di tempo. Dio esiste? Pensala come ti pare, fa lo stesso, non cambia niente. Quanta semplicità ci buttiamo alle spalle non appena ci insegnano a interrogarci sulle nostre certezze.

Stamattina mi sono svegliato con una voce che mi bisbigliava malignamente nell'orecchio, con tono lugubre e grottesco. Sembrava l'invocazione di un eretico nell'atto di evocare un demone. “Angelo di Dio”, la preghiera, ma pronunciata da Jago mentre piazza la prova del finto tradimento. Non credo di aver mai vissuto un'esperienza analoga a quanto m'è accaduto aprendo gli occhi e facendo combaciare il volto sorridente di mio figlio a quello che stavo ascoltando. Non credo che riuscirò mai più a recitare quella preghiera con lo spirito giusto né a evitare il collegamento ogni volta che mi capiterà di sentirla in futuro.

Ecco come ti cambia avere un figlio, raggiungi nuovi livelli di comprensione. Realizzi che i bambini sanno tutto, che c'è un gay tra le facce di indovina chi, che le preghiere possono venir recitate con effetti devastanti sull'ascoltatore. Che quando non vuoi andare all'asilo puoi metterti a correre in giro per casa ridendo come un pazzo. Tutto ciò, forse non sono stato chiaro, per me è esaltante.

mercoledì 3 febbraio 2010

Vi erano sulla terra uomini famosi.

Il primo uscì di notte, superò senza sforzo il guardrail e rimase immobile a fissare i fari del camion che lo investì, uccidendolo. Quello fu il primo indizio di una convivenza impossibile. Le autorità non riuscirono a insabbiare la notizia. Ci provarono, pensando che si trattasse di un evento unico e irripetibile, ma i giorni seguenti ne uscirono altri e fu impossibile negare l'evidenza. Nessuno guardava più le fotografie di quel corpo buttato sull'asfalto, interrogandosi sui fotomontaggi, quando se ne incontravano di vivi, ovunque.

Quanti fossero, nessuno lo sapeva. Alcuni ipotizzavano un numero molto basso, altri invece prevedevano un'invasione massiccia. Da dove venissero era un altro mistero. Forse dal sottosuolo, forse dallo spazio. Come reagire invece era ben chiaro a tutti: bisognava tenerli sotto custodia. Contro quelli che avrebbero opposto resistenza era consentito il ricorso all'uso della forza. È vero un confronto sulla forza li avrebbe resi vincitori, ma non avevano armi, non avevano conoscenze. Erano come bambini al risveglio, l'espressione attonita di chi si stupisce di un nuovo giorno.

Non erano stupidi, però, e presto avrebbero imparato. A quel punto sarebbe stato troppo tardi per rimediare al problema. Probabilmente ci avrebbero eliminato, avrebbero preso il nostro posto come specie dominante. Era fondamentale non lasciare loro il tempo di riprendersi, di organizzarsi, di rendersi conto della fragilità di chi gli si opponeva. Era prioritario trovare una forma di comunicazione per interrogarli e scoprire qualcosa sulla loro origine e le loro intenzioni. Avevano sei dita per mano e due file di denti.

Avevano uno spesso strato di pelle callosa sulla pianta dei piedi, erano del tutto privi di peli, andavano in giro nudi. Quando per la prima volta venne trovato un esemplare di genere femminile si scatenò il panico, non si trattava più solo di gestire i singoli casi man mano che si presentavano, ma di mettersi alla ricerca attiva dei soggetti. Quegli esseri erano in grado di riprodursi.

L'opinione pubblica si spaccò in due: quelli che non vedevano soluzioni diverse dalla soppressione e quelli che indicavano nell'integrazione la scelta più condivisibile. Se ne parlava ancora come se si trattasse di animali probabilmente nocivi, potenzialmente letali. I rischi andavano eliminati o affrontati alla stregua di un'epidemia improvvisa. Poi uno di loro iniziò a parlare e l'idea di ucciderli tutti parve d'un tratto molto disumana.

Il linguaggio era primitivo ma abbastanza articolato da far supporre un alto grado di evoluzione. Nei primi, lunghi monologhi che vennero registrati si sente ripetuta più volte una frase. Il tono di voce era calmo e a tratti melodioso, per questo venne facile ipotizzare un contenuto di pace e amore universale. Le manifestazioni di solidarietà e il clima di accoglienza vennero però stroncati sul nascere dalla traduzione. Il messaggio era “il tempo è giunto per voi, figli dell'uomo.”

I fanatici del complotto ipotizzarono subito una falsa traduzione per giustificare politiche repressive ma le prove scientifiche di una corretta interpretazione erano del tutto convincenti. Il soggetto venne costretto a indossare giacca e cravatta e invitato a ripetere la frase in un video che venne trasmesso con sottotitoli. I complottisti cambiarono idea, insinuarono che quelle parole non erano state pronunciate spontaneamente ma sotto grave minaccia.

Le discussioni si protrassero per mesi, a tutti i livelli. Venne avanzata l'idea di deportarli e abbandonarli in massa su un'isola in mezzo all'oceano. Il dibattito avrebbe forse raggiunto un esito se non si fosse trattato di trovare un accordo sovranazionale. Il fenomeno era globale, non c'era regione nel mondo immune alla comparsa di quegli esseri, sbucavano fuori ovunque. In alcuni paesi vennero immediatamente uccisi dagli stessi abitanti, in altri vennero imprigionati, in altri lasciati liberi di fondare villaggi autonomi, purché a distanza di sicurezza.

Non ci fu un caso di contaminazione isolato. A un certo punto si scoprì che parecchie donne umane erano rimaste incinte ed erano morte in maniera atroce nel partorire i meticci. Ormai qualsiasi discorso di prevenzione cessò di avere fondamento. Vennero riconosciuti ai nuovi arrivati tutti i diritti riservati agli esseri umani. Vennero invitati nelle trasmissioni televisive, si scrissero libri su di loro, le donne umane continuavano inspiegabilmente a subire il fascino di questi esseri fino a lasciarsi ingravidare.

Come esistono diverse teorie sulla loro comparsa, allo stesso modo si fanno congetture sui motivi di una repentina scomparsa. Un virus, un ritorno nel mistero, un intervento militare segreto. Fatto sta che sparirono così come erano apparsi, da un giorno all'altro. I pochi meticci nati sani e sopravvissuti divennero molto famosi. Più belli, più saggi, più sani, più intelligenti, più eleganti, pieni di talenti e di qualità morali. In quell'epoca gli sguardi e le attenzioni dell'umanità intera erano riversati sui meticci, ma nonostante gli svariati tentativi di impedirlo, il ceppo genetico morì con loro perché i meticci erano sterili.

“Vi erano dei giganti sulla terra a quei tempi, e anche dopo, quando i figli di Dio si accostarono alle figlie degli uomini e queste partorirono loro dei figli. Essi sono gli eroi che esistettero nei tempi antichi, sono gli uomini famosi di quei tempi.” (Genesi 6:4)

Up in the air.

Tra le nuvole è un film che parla di gravità, di quella forza che fa diventare pesante un corpo, e del tentativo di liberarsene, fluttuando nel vuoto.

Il protagonista che vive la maggior parte del tempo in un aereo è la metafora di un uomo che vuole una vita senza peso. Dal suo punto di vista puoi sposarti, comprare una casa, fare dei figli, trovare mille modi per dare peso alla tua vita ma quel che ottieni alla fine è l'esserti caricato di così tanto peso da non poterti più muovere, da non poter più andare dove vorresti. Per lavoro, che per lui è parte di una missione evangelica assieme alle conferenze che tiene sul tema, libera il prossimo da quello che considera il peso di tutti i pesi: il lavoro: licenzia dipendenti conto terzi.

Ma dov'è che uno dovrebbe voler andare, in definitiva? Sviluppare i propri talenti, inseguire i propri sogni, dedicare l'esistenza a qualcosa che ci dia la sensazione di esserci realizzati pienamente, qualcosa che rimanga. La vita reale, fatta di persone e oggetti che ci vincolano e ci tengono coi piedi per terra non potranno mai essere un veicolo per giungere alla pienezza, alla soddisfazione. Solo qualcosa di trascendente, un obiettivo grandioso, può meritare assoluta dedizione.

L'atteggiamento mistico di chi ha bisogno di un ideale per giustificare il proprio impegno, per non lasciarsi andare a una vita sacrificata che non manterrà le sue promesse di ricompense ultraterrene, e che lo trova nella ricerca di una glorificazione terrena. Può essere un farsi esplodere per entrare nel novero dei martiri, un voto di silenzio, lo studio maniacale di una disciplina scientifica, qualsiasi ossessione in grado di isolare l'individuo e innalzarlo a esempio di rifiuto consapevole del mondo reale come forma di superiore comprensione del senso del vivere.

La vita ascetica del protagonista si concretizza non nella contemplazione del creato, non nella ricerca di un rapporto col divino, non nella lotta per ottenere cambiamenti dell'uomo o della società. Tutto ciò implica un qualche aggancio con la realtà, con la gravità, col peso del mondo, che l'uomo tra le nuvole vuole perdere in favore di un narcisista solipsismo fatto di incontri occasionali in luoghi casuali. Muoversi nello spazio come una particella di luce, dirottata da scontri imprevedibili con altre particelle, deviata da campi magnetici nel suo ineluttabile tragitto verso il buco nero della morte.

Cosa può essere allora, in questo contesto, il tangibile riconoscimento di massima coerenza con l'imperativo del vivere senza peso? Raggiungere dieci milioni di miglia in aereo e ottenere la tessera che hanno dato solo a sette persone, meno di quante sono sbarcate sulla luna. Come dice l'antagonista, riassumendo la sua “filosofia da strapazzo”: “È soltanto un bozzolo di autoesilio.” Cosa più di un aereo esprime meglio la necessità di chiudersi a ogni possibilità di altra esperienza per capire cosa significa volare?

Proprio come con l'aereo, periodicamente finisci il carburante e devi tornare a terra. Proprio questo accade al protagonista quando incontra una donna che gli fa comprendere gli aspetti più attraenti dell'essere pesanti: nutrire fiducia in qualcuno, avere la certezza di non sbagliare scommettendo sull'amore. Ma proprio a questo punto arriva la geniale e devastante conclusione della storia. Come lei era una parentesi di gravità nella sua vita senza peso, lui era per lei una parentesi di ebrezza disimpegnata. Lei ha una casa, un marito, dei figli, apre la porta in vestaglia, senza trucco, spettinata, stanca.

Il protagonista si ritrova senza peso, ma stavolta senza volerlo. Viene tagliato fuori e non più è quello che vuole. Qui c'è la scena più bella del film, proprio quando ha perduto la grazia, ha mangiato la mela, ha scoperto la qualità invincibile della forza di gravità, ecco che raggiunge i dieci milioni di miglia. Arriva il riconoscimento e per lui non ha più alcun valore, non riesce più nemmeno a capire come avesse potuto averne prima. A questo punto l'aereo potrebbe anche precipitare, come è successo al protagonista sorvolando il pianeta amore.

Fibonacci rulez.

Ho scritto questo codice per mischiare le parole di un testo usando la successione di Fibonacci [F(n)= F(n-1)+F(n-2) con F(0)=0 e F(1)=1].

Il linguaggio è visual basic (scaricabile gratuitamente MS visual studio express), il form contiene 3 caselle di testo (una invisibile per dati temporanei) e 2 bottoni. Il primo bottone trasforma il testo leggibile in un testo "criptato", il secondo bottone trasforma un testo "criptato" in testo leggibile. Un modulo bas contiene le funzioni.

Non credo sia possibile ottenere un algoritmo più efficiente di questo, se riuscite a crearne uno migliore mandatemelo, sarei felice di studiarlo.

--- codice del form:

Friend Class Form1
Inherits System.Windows.Forms.Form
Private Sub Command1_Click(ByVal eventSender As System.Object, ByVal eventArgs As System.EventArgs) Handles Command1.Click
Dim n As Long
Cursor = System.Windows.Forms.Cursors.WaitCursor
numPAR = contapar((tb1.Text))
numFIB = contafib(numPAR)
Call creaserie(numPAR)
For n = 1 To numPAR
tb2.Text = tb2.Text & PAR(seriefib(n))
Next n
Cursor = System.Windows.Forms.Cursors.Default
End Sub
Private Sub Command2_Click(ByVal eventSender As System.Object, ByVal eventArgs As System.EventArgs) Handles Command2.Click
Dim n2 As Long
Dim n As Long
Cursor = System.Windows.Forms.Cursors.WaitCursor
numPAR = contapar((tb2.Text))
numFIB = contafib(numPAR)
Call creaserie(numPAR)
For n = 1 To numPAR
For n2 = 1 To numPAR
If seriefib(n2) = n Then
tb2.Text = tb2.Text & PAR(n2)
End If
Next n2
Next n
Cursor = System.Windows.Forms.Cursors.Default
End Sub
Function contapar(ByRef testo As String) As Integer
Dim myc As String
Dim n As Long
tb1.SaveFile(My.Application.Info.DirectoryPath & "/temp.txt", Windows.Forms.RichTextBoxStreamType.PlainText)
FileOpen(1, My.Application.Info.DirectoryPath & "/temp.txt", OpenMode.Input)
n = 1
ReDim PAR(n)
Do While Not EOF(1)
myc = InputString(1, 1)
PAR(n) = PAR(n) + myc
If myc = " " Or myc = vbCrLf Then
n = n + 1
ReDim Preserve PAR(n)
PAR(n) = ""
End If
Loop
FileClose()
contapar = n - 1
End Function
End Class

--- codice del modulo bas

Module Module1
Public PAR() As String
Public numPAR As Integer
Public FIB() As Integer
Public numFIB As Integer
Public serie() As Integer
Public seriefib() As Integer
Sub creaserie(ByRef np As Integer)
Dim n3 As Long
Dim n5 As Long
Dim n4 As Long
Dim n7 As Long
Dim n6 As Long
Dim n As Long
ReDim serie(np)
For n = 1 To np
serie(n) = n
Next n
n6 = np
n7 = 0
rifa:
n4 = 1
n5 = 0
Dim serietmp() As Integer
ReDim Preserve serietmp(1)
serietmp(1) = 0
For n3 = 1 To n6
If n3 <> FIB(n4) Then
n5 = n5 + 1
ReDim Preserve serietmp(n5)
serietmp(n5) = serie(n3)
Else
n7 = n7 + 1
ReDim Preserve seriefib(n7)
seriefib(n7) = serie(n3)
If n4 < n4 =" n4" n5 =" 0" n6 =" n5" n5 =" 1" n =" 3"> npar Then
n = n - 1
ReDim Preserve FIB(n)
Exit For
End If
Next n
contafib = n
End Function
End Module

martedì 2 febbraio 2010

Tarepanda.

ggi tarepanda vuol dire un animale gommoso che non fa niente se ne sta mollemente dove capita per spiegare come mi sento oggi si muove rotolando nelle direzione della pendenza ma senza esagerare rotola piano ogni tanto muove un muscolo uno solo quello che costa meno fatica muovere. È come stare zitti quando ci sono troppe voci nell'ambiente, come stare fermi quando tutti intorno ballano, limitarsi all'inevitabile: andare a far la spesa, far la doccia, portare il bambino all'asilo, mangiare panini col sugo come quella volta in montagna che andavo in giro in bici mangiando panini al sugo e così una, due, tre volte, finivo il panino e veloce pedalavo a casa da mia nonna a farmene preparare un altro, alla fine sono caduto e mi sono sbucciato il ginocchio destro e c'erano tanti sassolini nella carne, usciva sangue, spingevo con una mano la bici e con l'altra tenevo i resti del terzo panino, zoppicando, e mio nonno per pulire la ferita usò la spugna del lavandino di cucina, mi diceva non fa male è tutta immaginazione, guardavo i sassolini uscire dalla carne del mio ginocchio e cadere nel bidet, facevano un suono molto debole che non ho più risentito da allora, e mio nonno aveva una cicatrice sul naso e diceva di essersela fatta in guerra, la scheggia di una granata, mia nonna un giorno ha detto che non era stata una granata, aveva messo non so che acido sul naso per curare non so che problema, disse mia nonna ha fatto tutto da solo, non c'entra la guerra, ma se l'avessi saputo prima mi sarei lasciato curare lo stesso dal nonno, anzi, avrei in seguito anch'io spacciato la cicatrice per qualcosa d'altro, qualcosa che valesse la pena, e il panino avanzato dovettero strapparmelo dalla mano, come una risata a una battuta che non si è capita. Per esempio quando prendi una frase alla lettera e la tua risposta suona come una battuta, qualcuno ride e non capisci perché, ti vien da pensare che ti stia prendendo in giro, che sia tutta una burla premeditata. Tra poco devo uscire, Fabrizio mi ha appena fatto uno scherzo per farmi perdere The Game e stanotte ho sognato una vecchietta che sbagliava a darmi il resto, ha fatto molta confusione, mi sono alzato in piena notte a segnare i numeri, li vado a giocare, dovrò smettere di programmare questo coso, mi sta portando via giornate intere, non gli ancora dato un titolo, ci son dentro tante righe di codice e un algoritmo che più sintetico non si può ottenerlo, è bello quando per farti obbedire dal computer riesci a usare il minor numero possibile di istruzioni anche se net è diverso hanno cambiato molte cose da vb6 ma n