martedì 21 dicembre 2010

Anna

ssimo tunnel con i faretti che scorrono al di là del vetro e ti colpiscono le pupille diverse volte al secondo quando sei dentro al tunnel nel centro del tunnel perché vicino alle uscite i faretti si diradano non sono così fitti non mitragliano la luce ma la dispiegano e vedi la luce arancio che entra adagio e ti passa sopra come uno scanner come un volo d'uccello poi esplode la luce vera la luce fortissima del giorno che fa chiudere gli occhi che fa alzare la mano e quando ti abitui guardi fuori e ti aspetti grandi cose sei molto felice di essere uscito dal tunnel infatti io ero così eccitato per essere uscito dal tunnel da aver voglia di parlare con la ragazza seduta di fronte a me la ragazza che è stata per tutto il viaggio con la testa appoggiata al finestrino s'è formata della condensa dove il vapore della sua traspirazione si è incollato al vetro gelido ma non le dico niente perché sono convinto che dorma come non ha mai dormito altrimenti sentirebbe il freddo nel punto in cui la sua testa tocca il vetro gelido e cambierebbe posizione ma il motivo è anche la nebbia da questa parte del tunnel c'è la nebbia non si vede niente non c'è niente da essere felici l'uscita del tunnel si rivela una delusione e da questo momento non possiamo più nemmeno avere percezione della velocità non ci sono faretti solo il bianco quel bianco che ti lascia supporre gradazioni immaginarie mentre aspetti che appaia dal nulla un ostacolo meno male che ho ancora la voce da mandare a rimbalzare contro la nebbia e canto sono l'unico sul pullman che canta e nessuno mi dice di smetterla nessuno dà segni di percepire la mia voce la ragazza di fronte a me non stacca la testa dall'umida tana di condensa c'è chi legge chi dialoga c'è perfino chi sorride ai ricordi così finisco la canzone e la ricomincio fino a quando il pullman frena rallenta il pullman si ferma e le porte del pullman si aprono davanti a una ringhiera davanti al precipizio nebbioso che sta dietro la ringhiera e qualcuno si alza fruga nei bagagli si prepara a scendere qualcuno mi tocca facendomi spaventare è la ragazza della testa sul vetro la ragazza mi dice qui c'è il mare un mare che sale e che scende un mare che entra nelle grotte passa sotto le montagne e risale qui dentro al lago c'è un lago di mare un lago che è mare lo vedi si alza e si abbassa come un respiro di mare la ragazza mi dice queste cose e io non so cosa rispondere rimango zitto a fissarla a fissare la parte della sua testa che è rimasta appoggiata al vetro per tutto questo tempo finché lei annuisce e scende dal pullman e quando la ragazza scende dal pullman la nebbia sparisce cade tutta in una volta come pioggia leggera così leggera da non far rumore si appoggia come una coperta sul mondo e vedo il cielo il lago che è mare vedo il villaggio e i cartelloni pubblicitari le statue fatte di scarti metallici e i turisti le visiere dei berretti le camicie larghe le scarpe consumate sui talloni le macchine fotografiche gli occhiali l'aria perennemente affamata i glutei che ciondolano in un passo da pinguino soddisfatto vedo il sole sento odore di fritto e di salse di sughi di carne alla brace e allora scendo penso siamo arrivati penso finalmente e non so perché mi trovo a pensare finalmente dico a voce alta finalmente siamo arrivati poi corro inizio a correre voglio sentire l'aria che si oppone corro dentro al villaggio evitando gli ostacoli fino a quando non ho più fiato e proprio in quel momento sento la voce di Anna in realtà non conosco nessuna Anna non ho mai sentito prima quella voce ma so che è la voce di Anna e che Anna è una presenza incorporea la voce di Anna dice in questo negozio vendono le opere di non capisco Anna dice un nome straniero pieno di consonanti Anna dice in questo negozio costano dieci volte meno che altrove mi ha incuriosito entro e cerco queste opere lasciando che Anna mi guidi a un espositore di quelli che ruotano e in basso ci sono dei libretti illustrati ne prendo in mano uno si intitola volti nella nebbia la copertina mostra le sembianze di umanoidi spettrali intrappolati in volute di fumo che sembrano fiamme e il nome dell'autore non riesco a leggerlo perché le lettere sono scritte in modo da impedirmelo eppure quello che mi interessa è trovare il libretto mancante sono certo che ne manchi uno e so che è sempre così che quello specifico libretto manca sempre manca anche dove lo venderebbero a un prezzo decuplicato lo cerco con agitazione crescente e sento Anna che dice sono qui perché non mi senti sono qui è così che mi accorgo di non sentirla più quel che sento è solo vento il rumore del vento guardo fuori dalla finestra e vedo piccole nuvole bianche correre nel cielo sono nuvole piccole e molto veloci e subito dietro arrivano nuvole più grosse e pesanti arrivano nuvole scure che hanno le gambe nuvole che camminano e ogni passo che fanno è un tuono le gambe delle nuvole sono fatte di nebbia e il rumore dei passi si avvicina lo vedo dalla finestra vedo gente che scappa al riparo si infila nelle porte dei negozi delle case dei ristoranti tranne coloro che rimangono all'aperto e si chinano a cercare chissà cosa per terra forse gli occhiali una monetina dei documenti importanti forse qualcosa di più prezioso della vita c'è una vecchietta strappa qualcosa dalla terra dal fango dalle fessure tra i sassi non capisco cosa sia forse una rapa forse una cipolla un fungo e la vecchietta alza la testa verso di me che mi giro prima di incrociarne lo sguardo prima di confermare la sua sensazione di essere spiata mi guardo le mani e mi accorgo di chiamare Anna dico Anna Anna dove sei Anna ho trovato il libretto mancante Anna è qui nella mia mano è il libretto mancante lo si riconosce dal

lunedì 20 dicembre 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (33 di N)

Quando c'hai un figlio a un certo punto ti trovi a decidere quali consigli dare. Capisci che qualcuno all'asilo lo chiama ciccio per via che è in carne, non serve essere obesi, basta avere un po' di pancetta e c'è chi lo prende in giro, quando tuo figlio ti dice i miei capelli non sono lunghi, i miei capelli non sono da femmina e tu hai solo detto che è di nuovo ora di dare una spuntata, allora chiedi chi ti ha detto che hai capelli da femmina? I bambini sono così, non lo fanno con intenzione, per ferire, come fanno gli adulti. I bambini ti vedono che magari hai le orecchie a sventola e ti chiamano orecchione, ti chiamano Dumbo, sarebbe strano se facessero finta di niente, ti stringessero la mano, commentassero la prima pagina dei quotidiani. Se tuo figlio ha un difetto verrà preso in giro, punto, non c'è niente che tu possa farci. Soprattutto non c'è niente che tu debba farci se non sperare che sviluppi rapidamente la pellaccia di chi incassa e, quando pensa di aver incassato abbastanza, restituisce con gli interessi. Se incassa di tutto senza mai reagire verrà fatto santo o si farà esplodere in un centro commerciale.

Come reagire, questo gli devi insegnare. Ti ricordi quando eri bambino e sai che se lasci capire che qualcosa ti urta i nervi c'è la forte possibilità che quella cosa venga ripetuta fino a strapparti dal cuore ogni tipo di sentimento. Ignorare è una buona strategia ma passi per debole, è come suggerire di aumentare la dose, lanciare un invito anche a chi fino a poco aveva paura di te a tentare qualcosa di piccolo per poi passare a cose più serie. Le dinamiche sono identiche a quelle che regolano le interazioni fra gli adulti, solo che i bambini non ricorrono a ipocrisie, sotterfugi, menzogne. I bambini sono più simili a un branco di animali che accerchiano una preda fisicamente, senza ricorrere a espedienti più o meno sofisticati. Cosa consigliare a tuo figlio? Vuoi che diventi un compagnone, uno che sta al gioco, che regge gli scherzi, che ride di se stesso e accetta ruoli subalterni nel branco pur di evitare conflitti con i più aggressivi e dominatori? O vuoi che si faccia rispettare anche se questo significherà creare un branco suo o finire isolato? Cos'è meglio?

Così a mio figlio ho detto: se qualcuno ti prende in giro tu digli di smetterla. Se gli dici di smetterla tante volte e quello non smette tu digli uè macaco torna nella giungla. Se ancora non smette digli conto fino a tre se non smetti ti mando all'ospedale. Se ancora non smette riempilo di botte finché non ti prega di fermarti e giura di aver capito. Mi hanno detto tutti che ho sbagliato e allora gli ho detto se qualcuno ti prende in giro lascia che continui fino a quando riesce a convincerti di avere ragione, di avere il diritto di trattarti male. Mi hanno detto che ho sbagliato anche con questo consiglio. Per questo sostengo che quando c'hai un figlio a un certo punto tanto vale che decidi tu che consigli dare, o magari stai zitto o dai un consiglio a caso, tanto i consigli che dai a tuo figlio verranno sempre considerati sbagliati. I padri devono dare consigli di nascosto, bisbigliando, e in seguito negare di averli dati.

Quando c'hai un figlio a Natale c'è la recita. Quest'anno Elia ha fatto il re magio. I re magi erano tutti e tre bianchi e hanno cantato e ballato. Elia era in mezzo agli altri due re magi, entrambi più alti di lui, e le braccia di questi gli finivano davanti alla faccia per motivi di coreografia. Lui stava attento a non infastidire, limitava lo slancio delle braccia verso l'esterno, e gli altri no, con grande spontaneità invadevano il suo spazio senza che lui ne risultasse infastidito. Ecco, più che altro mi ha rattristato il vederlo accettare come normalità un atto di sopraffazione, di certo semplice e involontario, sicuramente privo di chissà quale significato. Solo che mi vedevo in lui, gli dicevo scusa se ti ho passato i miei geni, anch'io come te preferisco fare un passo indietro piuttosto che lottare per il diritto a sbracciarmi come tutti gli altri. Se fossi capaci di convincerti che sbracciarsi più degli altri è importante, dà senso alla vita, farei in modo di insegnartelo. Ma purtroppo penso che siano poche e molto diverse da questa le cose davvero importanti.

Elia schivava le braccia degli altri re magi, cantava con l'entusiasmo di chi sta facendo qualcosa esattamente come gli è stato richiesto, non come chi esegue il compito senza trovarci nessuna motivazione, alcun appagamento. Quando è finita ha pianto, molto sollevato, ha chiesto adesso andiamo a casa? Gli ho detto sei stato bravo, bravissimo. Lui ha detto tu da piccolo facevi le recite? Ho iniziato a ricordare e ho smesso subito, schifato, ho detto sì, le facevo. E tuo papà veniva a vederti? Sì, penso di sì, non mi ricordo ma son sicuro di sì. Ma il tuo papà dov'è? Quando c'hai un figlio devi decidere in ogni momento cosa dire e cosa no, che si tratti o meno di consigli. È morto, è al cimitero. È in cielo, con gli angeli? Sì, in cielo, come ti pare. Dorme con le x al posto degli occhi? Sì, ha anche le x. Ma tu sei il mio papà? Sì, e tu il mio bambino. Ma anche tu allora dormi e poi hai le x sugli occhi? No, io no, io sono un papà diverso dagli altri, io non muoio. Ah, bene, dice lui. Posso mentire a un bambino, penso, anche se è mio figlio, penso, non è così difficile. Quando c'hai un figlio se decidi di mentire non sarò certo io a fartene una colpa.

mercoledì 15 dicembre 2010

Tyrrel P34

Perché scappare? Perché spaccare tutto? Leo oggi evita il centro, per il resto la sua giornata si prospetta identica a qualsiasi altra, compresa la passeggiata dopo colazione. Dal punto in cui si trova scorge le colonne di fumo nero collegate in basso a quel che rimane di silos esplosi, sostanze chimiche che bruciano senza mai esaurirsi, oltre il ponte, sulla destra, col fiume in mezzo così sporco e pieno di detriti da sembrare fermo, e a sinistra la polvere di cemento dei pilastri che reggevano l'autostrada, una spolverata di zucchero a velo che rende piacevole e onirica la scena di devastazione. Leo ha deciso che non permetterà al mondo di rovinargli l'esistenza, sorride e saluta tutti quelli che incontra, lo fa sfiorandosi il cappello, con un cenno del mento, dicendo a voce alta buongiorno. Saluta la signora anziana che si appende a un lungo bastone di legno grezzo e trascina dietro di sé una gamba dal polpaccio gonfio, con le vene in rilievo, e i suoi piedi sono strizzati dentro a un paio di ciabatte luride. Saluta il trio di ragazzi che avanzano ingobbiti, la testa nascosta nel cappuccio della felpa, le mani in tasca e i gomiti in fuori. Saluta il bambino che non è scappato via come gli altri alla vista di un adulto, il bambino che si accarezza il bernoccolo violaceo sulla fronte, il bambino che lo segue stando attendo a mettere i piedi nell'ombra che Leo proietta all'indietro.

Leo non viene aggredito per via di Tyrrel P34, il molossoide brevettato che procede con l'eleganza di una morte istantanea al suo fianco, ottanta chilogrammi di persuasione per gli indecisi, dissuasione per i malintenzionati. La legge ha stabilito che non ci si può ritenere offesi dalle parole del modello Tyrrel, anche se pochi padroni hanno il coraggio di attivare la funzione libertà di parola. Quello che Tyrrel dice è quello che il padrone pensa, così diceva la bellissima ragazza della pubblicità, circondata da cani impegnati a farle i complimenti che i loro timidi padroni non riuscivano a esternare. La donna anziana si ferma immobile e aspetta che la bocca dentuta di Tyrrel sia abbastanza lontana, quindi sputa per terra e riprende la sua guerra fatta di passi brevi e strascicati. I ragazzi cambiano marciapiede. Il bambino niente, il bambino non fa niente di particolare, anche se si capisce che vorrebbe parlare con Tyrrel, si vede da come tiene gli occhi su di lui, da come ne studia i movimenti, coperto e protetto dall'ombra di Leo. Tyrrel che dice 'Spero che quella gamba guarisca', 'Se fossi in voi starei lontano dai guai', tutte cose che Leo pensa davvero, deciso com'è a non permettere che il mondo gli crolli sotto i piedi. 'Vedrai che si sistemerà tutto', dice Tyrrel, e il bambino rimane stupito del fatto che il cane parlante sembri felice, e il bambino decide che li seguirà per un po', di nascosto.

Leo ha preso con sé la sua rivista preferita, quella dove hanno usato una persona a caso per dare un volto al protagonista. Si è chiesto se fosse un caso isolato o se usassero sempre volti di sconosciuti per creare fenomeni mediatici a tavolino. Per un paio di settimane quante volte aveva dovuto ripetere 'No, è solo una forte somiglianza', quando invece era chiaro che gli avessero rubato l'immagine. Un articolo ben fatto, con la sua faccia ripresa in molte situazioni, fotografie ritoccate alla perfezione. Quella in cui indossa gli occhiali per esempio, tutti i riflessi sulle lenti argentate non sono un gioco da realizzare, quella in cui indossa l'ultimo modello di protesi totale per la virtualizzazione sensoriale è perfetta, anche se hanno fatto in modo di riprenderlo sempre di sbieco, così che la percentuale effettiva di faccia risulti sempre al di sotto degli standard richiesti dalla giurisprudenza. Gli ipotetici colleghi in quelle foto chi erano? Persone qualunque come lui, gente al di fuori del circolo elitario della medialità iperespressiva? Aveva assunto un investigatore per indagare sulla giornalista che aveva firmato il pezzo, sulla casa editrice della rivista. Ma ormai, a questo punto non ha più senso starci a pensare. Non esistono più riviste, non esiste più medialità. Forse un giorno si accenderanno i terminali e annunceranno il ritorno a una vita normale. Leo è certo sia questione di giorni, basta tenere duro, è proprio quello che sta facendo, tenere duro.

Tyrrel non ha bisogno di essere portato al parco ma Leo ne approfitta per raggiungere la stessa panchina sulla quale si siede da quando c'è stata la prima esplosione, dall'altra parte del pianeta, il giorno in cui vennero tutti esonerati dal lavoro e invitati a mantenere la calma. La panchina offre la possibilità di godere un panorama in continuo mutamento, mai uguale a se stesso, che continuerà a proiettare fino a quando non si guasterà il sistema di rifornimento autonomo. 'Taci, per favore', ringhia Tyrrel mentre il suo padrone finge di non vedere la mano tesa della donna in sedia a rotelle. 'Non prendo ordini da un cane', dice lei, 'Cosa mi porti oggi?' Leo non è superstizioso. Le bambole, le piume, gli amuleti, i teschi, le pergamene, le bottiglie che una volta erano campioncini di profumo, niente di tutto questo lo turba. 'Non sei una strega', dice Tyrrel, 'Lo sappiamo entrambi'. La donna accarezza la testa del cane, dimostrando il coraggio di un pazzo o di un santo, e dice 'Certo, certo', e ride forte mostrando i denti, sporchi, tutti e quattro, due sopra e due sotto, altri non ne ha. Leo non si ferma, anche se volesse darle qualcosa non ha nulla a parte la rivista e l'anello dati personale, prosegue come niente fosse anche se dietro di lui parte la solita cantilena di maledizioni che gli fa quasi piacere ascoltare. Le consuetudini sono indizi di normalità. Anche il dispositivo per accedere al perimetro del panorama è un indizio di normalità: anche oggi legge l'anello e accetta il pagamento di Leo. È la dimostrazione che non tutto è perduto, le cose si sistemeranno. Leo si siede composto sulla panchina, apre la sua rivista preferita e si dispone a lasciare che il panorama lo rilassi.

giovedì 9 dicembre 2010

Metabolizzare.

ro i circuiti sciolti e il metallo nei cavi si decompone il metallo viene corroso viene corrotto viene infettato dal morbo e diventa muco l'enorme naso di internet cola muco da miliardi di computer collegati al centro al nido al buco nero dell'informazione ammalata oltre ogni possibilità di recupero ecco la verità contagiata dal morbo questo è il metallo che si squaglia questo è il rame che diventa muco dorato con striature di sangue elettrico a colare negli interstizi a bagnare i radiatori a bloccare le ventole cosicché tutto diventi caldo e tutto divenga nebbioso del vapore del fumo bagnato che puzza di ozono dei condensatori tubolari che scoppiano adagio e sbocciano e si gonfiano e si apre la pelle d'alluminio si tira si tende e si offre e si squarcia emettendo pigri rumori di mortifera lussuria affinché ne venga fuori muco luminoso a sfolgorare tra le connessioni di grandi scintille azzurre e piccole scintille rosa più nascoste e fugaci e ricche di ridondanze digitali la testarda passione di un dispositivo meccanico che sviluppa l'iterazione e viaggia a migliaia di ripetizioni al secondo fabbricando precisi tentativi a vuoto in un ciclo virtualmente infinito che invece rallenta e si dipana in transistor liquefatti e involucri svuotati perché il metallo scivola via cade nel vuoto si va sciogliendo nelle schede madri sulle schede video dentro le schede di memoria il metallo nobile sulla superficie magnetica dei tanti dischi così rotondi e lucidi dove il metallo non cigola più non manda più riflessi non è più un metallo che sorride nell'amplesso di una piaga furiosa di scariche che si aggrappa a connessioni temporanee fra catodi e anodi in via di fusione affinché tacciano gli eccessivi e i referenti e vengano azzittiti i pretesti e le ipotetiche così avviene e così si realizza proprio mediante l'esposizione delle saldature e per mezzo della manifestazione di un circuito stampato che nessuno riconosce che non può essere capito perché sono tutti impegnati nell'analisi di effetti visivi e sonori sono tutti proiettati a inventare nuove modalità di percezione tattile con l'ausilio di sensori e vibrisse e speciali protesi mentali che forniranno tutta la conoscenza necessaria alla sopravvivenza della specie e intanto pozzanghere di metallo si addensano sotto le scrivanie e nei vani portaoggetti e nei diversi comparti stagni di intelligenze troppo compromesse dal pu

martedì 7 dicembre 2010

Sassi.

C'era una volta il più grande inventore di sassi che sia mai esistito e il suo nome era Ralph McArthur. Il primo sasso inventato da Ralph, quando aveva solo due anni, si trova dove lui stesso l'ha posizionato e si dice che regga tuttora le sorti di lontani pianeti. Da quel primo semplice sasso Ralph ha compiuto progressi enormi arrivando a farci conoscere e apprezzare i magnifici sassi multifunzione per cui è oggi noto a chiunque nel mondo si occupi seriamente di sassologia. Al tempo dei primi sassi inventati da Ralph non esisteva infatti niente di paragonabile nel campo dell'arte o della tecnologia. Ora siamo abituati a sassi prêt-à-porter, sassi d'equilibrio, sassi morali, sassi a rifrazione meccanica, ma allora esisteva solo un tipo di sasso e non era preso in considerazione, anzi, veniva colpevolmente ignorato da tutti. È dunque grazie a Ralph se a un certo punto ci siamo resi conto delle enormi potenzialità custodite nel sasso.

Il più grande inventore di sassi che sia mai esistito, Ralph McArthur, si guadagnò un anticipo di fama grazie a un articolo sul giornale scolastico all'età di cinque anni, quando espose la sua prima opera sassiforme al concorso interno di scienze applicate. L'articolista dimostrò la lungimiranza tipica dell'età giovanile che va perduta con la crescita e la sua spietata critica nei confronti del 'sasso non magico' ha permesso all'opera concettuale di Ralph di attirare l'attenzione di un collezionista e filantropo rimasto anonimo. Da quel giorno lo studio dei sassi ottenne finanziamenti e Ralph ebbe a disposizione un laboratorio completamente attrezzato dove sviluppare la nuova branca del sapere. È l'inizio del periodo di granito, che viene definito così per l'abbondanza di opere disseminate ovunque e da ogni parte richieste in forza dell'enorme curiosità attivata dal dirompente contenuto innovativo della teoria dei sassi.

È in quegli anni che vediamo la comparsa del sasso eretico, il sasso nostalgico, il sasso neo-empirista, ogni pezzo in serie numerata e corredato di trattato esplicativo. Ma il culmine viene raggiunto con il sasso pesante, da tutti ritenuto la summa del pensiero sassologico. Si tratta della composizione che viene riportata di solito sulle copertine dei manuali e delle dispense universitarie, la teca con i led che lampeggiano e i cartelli di pericolo che ondeggiano. I dottori dicono che fu proprio lo sforzo del sasso pesante a rovinare in modo irrecuperabile, a soli vent'anni di età, la salute fisica e mentale di Ralph McArthur. Dopo aver completato la collocazione del sasso e attivato i complicati meccanismi che governano l'esecuzione dell'azione esplicativa le testimonianze ricordano un Ralph sorridente e soddisfatto ma del tutto scollegato dalla realtà. Da quel momento si è ritirato a vita privata e non ha più inventato nuovi sassi, troncando di netto la conduzione delle numerose ricerche di cui era responsabile.

Si cela dunque nel sasso pesante la risposta definitiva di Ralph alle domande filosofiche che solleva il sasso in sé, al di fuori di contesti esemplificativi. Analizziamo da vicino anche noi, come le migliaia di studiosi che giungono qui da tutto il mondo, il funzionamento del sasso pesante. Vediamo nella teca muoversi come insetti gli automi in un ambiente frenetico dove solo il sasso pesante, posto al centro, rimane fermo a dominare la scena. Ci sono diverse teorie sulla natura del sasso pesante e non è ancora stato trovato un compromesso, per cui se da una parte c'è chi afferma la fissità del sasso, dall'altra c'è chi ne rivendica una sostanza relativa. Uno dei più grandi esperto viventi di sassologia, nel suo ultimo libro, ipotizza che il sasso pesante sia una zavorra mentale atta a impedire la deriva razionalista, una fattispecie di alienazione dove tutto è da ritenersi possibile se non illogico. Il sasso pesante rappresenta senza dubbio il buon senso, una variabile illogica finalizzata all'ottimizzazione delle risorse e alla composizione degli interessi in un campo statistico di possibilità verosimili.

In base a queste considerazioni la vita di Ralph McArthur viene sottoposta a un rigido controllo. I suoi movimenti vengono tenuti sotto costante osservazione e non può fare nulla senza un'autorizzazione preventiva. Con la scusa di provvedere alla sua protezione da ipotetici attacchi di folli e megalomani si teme in realtà che stia progettando la rimozione del sasso pesante, evento che scatenerebbe il panico e avrebbe conseguenze tragiche sui destini del mondo intero. Ralph da parte sua non fa che invitare in tutti i modi possibili a liberarsi del sasso pesante e per questo molti sospettano che abbia perduto il senno. Rimuovere il sasso pesante, anche solo spostarlo di qualche centimetro suona come un sacrilegio, un atto temerario dalle conseguenze imprevedibili. Chi troverebbe mai il coraggio di sfidare l'ignoto, di innescare processi sconosciuti? Solo qualcuno all'oscuro dei più basilari elementi di sassologia si assumerebbe un rischio simile.

venerdì 3 dicembre 2010

Arriva il Natale

(scritto per la simpatica iniziativa del Corriere e leggibile anche qui)

Capisco che arriva Natale senza che nessuno me lo dice perché sto attento alle cose che cambiano e non perché, come dice papà, il Natale è troppo grosso da evitare per un bambino. Gli ho risposto che prima di tutto non sono più un bambino, ho otto anni e mezzo, e scommetto che so capirlo prima di te caro papà quando arriva davvero Natale. Lui ha accettato la sfida e naturalmente ho vinto io. Adesso ti spiego come è andata.

Ho preso un quaderno e ho segnato le impronte che lascia il Natale mentre si avvicina di nascosto. Per esempio i cartelli scritti a mano fuori dalle vetrine con sopra cercasi aiuto. Ho anche indizi che tengo segreti, dei trucchi per vincere facile. Come l'uomo senza un piede che vive seduto per terra, quello con la stampella di legno e il cane che dorme sempre, quello che a volte alza lo sguardo e a volte no, sta lì a fissare i soldi dentro al bicchiere. Ecco, quando mette il cappello rosso vuol dire che Natale ha iniziato a muoversi.

Papà dice che Natale è tutto sbagliato, che Gesù è nato d'estate, che Babbo Natale l'ha inventato il marketing, all'inizio si arrabbia moltissimo per via che sente arrivare il Natale. Dopo si calma e si mette seduto sul divano come quando non ha più niente da dire, come quando non ha più voglia di litigare, e se lo lasci riposare gli passa, si rende conto di non poterci fare niente e allora sorride e gli viene perfino voglia di giocare.

Lista delle cose che annunciano il Natale: i fiocchi colorati, i riflessi su carta metallizzata, il volume della pubblicità, montagne di giocattoli al supermercato, le canzoni alla radio, le luci in centro, i campanellini. Soprattutto la tv. È la tv che agita la bacchetta come un direttore d'orchestra, è la tv che d'estate ti dice che sono tutti in vacanza a divertirsi tranne te, a Natale ti dice che tutti stanno ricevendo doni e affetto tranne te. Così il Natale capisci che arriva nel momento in cui inizi a sentirti triste.

Quando l'ho detto a papà lui si è stupito, ha detto che sbaglio, mi ha preso in braccio come quando vuole parlare sul serio, da uomo a uomo, ha detto ascoltami bene, ha detto ho capito cos'è il Natale una volta sola in vita mia, non c'era aria di festa e nessuno aveva la pretesa di essere felice, lo vuoi sapere cos'è per me il Natale? E va bene, dimmelo, ho risposto. È quando sei arrivato tu, m'ha detto, e ho capito che diceva la verità perché rideva e aveva gli occhi pieni di riflessi, come le palle di vetro dell'albero di Natale.

giovedì 2 dicembre 2010

Rondam [003]

Rondam, 25-02.8651
Li ricevi i miei messaggi? Perché sono ancora qui? Ho le gambe ancora inutilizzabili, riesco a malapena a trovare l'equilibrio per restare seduto ma il tremito alle mani va scemando e sono ottimista. Adesso riesco a scriverti e a inviarti le email di nuovo personalmente. Spero che la giustificazione per avermi lasciato qui sia un impedimento legale connesso alla patologia che mi ha colpito. Sono uscito dalla quarantena da giorni e mi aspettavo di trovare subito un avvocato a parlarmi di quanti soldi per danni potrei sfilare dalle tasche di qualcuno per tutto quello che mi sta succedendo. Ti assicuro che al mio rientro gli avvocati saranno più di uno, la copertura assicurativa per le spese sanitarie ha intenzione di pagare senza protestare o va in cerca di complicazioni? Voglio essere trasferito in un ospedale più moderno di questo ma non riesco a farmi ubbidire da nessuno, non capisco se non esiste un posto migliore di questo dove curare i malati o se il problema è un altro, magari di soldi. A volte sospetto che le mie carte di credito aziendali siano state bloccate ma non mi faresti mai uno scherzo del genere, vero? Mi sento come un verme infilato sull'amo, non è solo la sensazione di aver perso il controllo sul mio corpo fisico, ma anche e soprattutto sulla mia intera vita: non posso più agire in maniera autonoma, non posso più decidere per me stesso, sono in balia dei dottori e delle infermiere. Non so cos'è più insopportabile, se le porose mura screpolate dell'ex convento trasformato in ospedale, se la luce fioca delle lampade a carburante liquido, con quell'odore pungente e dolciastro in grado di monopolizzarti l'olfatto per il resto della vita, la sognerò nei miei incubi di vecchiaia questa puzza, se la costante musica d'organo in sottofondo, in grado di produrre l'equivalente di una perdita d'equilibrio mentale, o le infermiere. Le infermiere che girano di notte nel buio più assoluto e le noti solo per via di unghie e pupille sospese nel vuoto, come lucciole, come stelle perdute oltre i confini del cosmo, e si avvicinano per recitare filastrocche magiche e si levano di dosso i gechi per regalarteli, appoggiandoli in punti delicati del tuo corpo. Come sono finito così? Ricordo solo che stavo comprando uno di quei machete molto decorati che usano da queste parti quando non ho riconosciuto più il sopra dal sotto, non come la labirintite che ho fatto da giovane, no, è qualcosa di diverso. Organizza per favore il mio rientro a casa, l'affare per quanto mi riguarda è saltato, se vuoi darò anche le dimissioni, ti chiedo solo di mettermi sul primo volo di rientro.

mercoledì 1 dicembre 2010

All'università prestigiosa (2*N)

Quando vai all'università prestigiosa ti accorgi che tutti intorno a te sono orgogliosi di essere nell'università prestigiosa. Si vestono in modo consono per non avvilire il fascino delle grandi opportunità offerte con l'ingresso nell'università prestigiosa. Non si chiamano più amici di scuola, nemmeno compagni o camerati, si chiamano colleghi. Quando senti i professori che si riferiscono a persone che non conosci, che sono lì con te solo perché seguite lo stesso corso, che probabilmente ti aiuterebbero solo per mandarti a fondo meglio, che non vedono l'ora di emergere usando come scala i corpi ammucchiati di perdenti e sconfitti, i professori li definiscono tuoi colleghi e tu sai che è solo un appello alla civiltà, come dire non azzannatevi alla gola, se proprio dovete cercate di essere discreti e ricordatevi la distruzione delle prove. Se pensi che sia un ambiente infame che riguarda esclusivamente l'università prestigiosa e che il mondo del lavoro là fuori sia tutto un vogliamoci bene allora scusami tanto se non ti contraddico e ti lascio continuare il tuo comodo viaggio nel mondo dei sogni, forse verrò a trovarti nella casa d'accoglienza dove troverai riparo. Oppure confonderai la solidarietà e la collaborazione con l'affiliazione e l'associazione in branco e raggiungerai i vertici senza problemi, e ti basterà una telefonata per far finire qualcun altro sotto un ponte.

Questo è il primo insegnamento che viene impartito usando una semplice sostituzione di termini, da amico di scuola a collega d'università. Fino a quando non lo capisci sei ancora un liceale fresco di maturità che immagina futuri migliori, sentieri luminosi, destini gloriosi, e nelle pause del suo delirio shopenaur-hegeliano cerca di divertirsi e di sembrare normale quando incontra una ragazza carina. A un certo punto arriva il momento di aprire un libro e capire che usare colleghi non è poi niente di straordinario rispetto al linguaggio che viene usato nei libri dell'università prestigiosa, scritti da professori che hanno un quoziente intellettivo stellare, perlomeno nella parte che riguarda lo sviluppo di un linguaggio oscuro e in grado di massacrare anche l'attenzione e l'interesse di uno strafatto di coca. In quel momento esatto si aprono le nubi sul tuo capo e il raggio laser dell'astronave comprensione ti colpisce in mezzo agli occhi: non sai niente, non sei niente. Dovrai imparare non solo a estrapolare le informazioni rilevanti da questo gomitolo di sintassi spastica, traducendo dal matusaliano vocaboli che ti fanno invecchiare la lingua a pronunciarli, dovrai anche imparare a tua volta a scrivere in accademichese per non far la figura da Li'l Abner, e a parlarlo, possibilmente senza cadenze dialettali particolari, al massimo con accento inglese, ma rigorosamente british, non yankee, mi raccomando.

Alla fine arrivi alla tesi, che è la parte più bella se, com'è capitato a me, il correlatore precisino che ti sta facendo tribolare da mesi per le paturnie che lo assillano per via di contenuti che vorrebbe più compiacenti e metodi di analisi poco ortodossi viene bypassato dal boss, dal titolare di cattedra, che dice 'si stampi' quando lui aveva previsto altri mesi di tagli e rifacimenti. Avevo scelto quel professore come relatore perché lo stimavo davvero, credo ancora adesso che sia una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto, il motivo è che se stai scrivendo per uno stupido scrivi stupidate che tanto è sufficiente così, ma se stai scrivendo per un genio ti preoccupi molto di più di passare per stupido e magari fai un piccolo sforzo ulteriore. La prima scelta era stata in effetti un professore del quale non pensavo granché bene, per fare meno fatica, avere meno seccature, ma il correlatore assegnatomi era ancora più capra di lui, poteva essere diversamente?, s'è mai visto un professore che si circonda di gente più intelligente di lui?, mai sottovalutare la furbizia degli stupidi, se sopravvivono così bene e al posto di estinguersi aumentano un motivo ci sarà. Quando ha cominciato ad annullare gli appuntamenti lamentandosi di continuo dei problemi meccanici con la sua macchina di merda sono andato a cercare qualcun altro senza nemmeno voltarmi a salutare.

Per vendicarmi del sistema scolastico, anni e anni a lasciarmi succhiare tempo e vita dalla noia, dalla prigionia forzata in classi deprimenti, ho inserito qualche chicca nella bibliografia, curioso di scoprire se qualcuno avrebbe mai letto e protestato. Perché la tesi non serve a niente in realtà, non la legge nessuno se non è obbligato, non si viene bocciati alla discussione della tesi, al massimo non si aggiungono molti punti al voto finale calcolato sulla media degli esami sostenuti. Lo studente passa mesi facendo avanti e indietro dalla biblioteca e dall'ufficio del correlatore. Se non sa scrivere, non sa ragionare, non sa mettere insieme questa specie di libro sui generis, non impara a farlo dal nulla. Un conto è ripetere quello che leggi sui libri, un altro è scrivere tu qualcosa che abbia un minimo di senso e di profondità. Da noi, a differenza di altri paesi, non ci sono corsi di scrittura, di ragionamento, di dialettica. Poi scoprono che un sacco di gente se la compra già fatta e non tutti sono casi di somari colti sul fatto. C'è gente che non ha gli strumenti per farla da sé, magari è preparatissimo nella sua materia ma non sa scrivere una tesi di laurea. E i professori lo sanno, per questo chiudono un occhio. Ho visto gente che non saprebbe nemmeno scrivere il riassunto delle sue vacanze al mare discutere tesi scritte da professionisti del copia incolla in biblioteca.

Prima di andare a spendere soldi per truffare il sistema e rischiare processi e figure barbine è meglio provarci da soli. Mi son divertito a scrivere la tesi, devo essere sincero. Era la mia occasione per mandare tutti a quel paese e cavarmela con piena assoluzione, e infatti certi musi lunghi alla discussione quando dicevo questo nobel dell'economia secondo me sostiene cose che non stanno né in cielo né in terra e quell'altra affermazione non sta in piedi senza stampelle ideologiche. Ho abbracciato posizioni controcorrente sui principi cardine della giurisprudenza fiscale, inserito il codice per una simulazione al computer del rischio nei mercati finanziari, messo in discussione teorie ritenute molto solide. Perché comprare una tesi già fatta quando nella tua ti puoi sbizzarrire a tuo piacimento? Non rischi più niente, sei alla fine, di cosa hai paura, che ti guardino storto? Ero così rilassato quando sono arrivato alla discussione che ho iniziato parlando di quello che avevo visto in tv la sera prima, e nessuno trova strana la cosa se lo metti in relazione anche lontanissima con l'argomento della tesi. Quando sei stufo di veder montare quell'aria da puzzetta sotto il naso nei membri della commissione che si aspettano l'accademichese e si vanno convincendo che tu non lo sai usare, è il momento di innestare il modulo divento quasi incomprensibile e far calare il buio in cavità oculari finora illuminate da un divertimento mal riposto.

L'aspetto più gratificante rimane la bibliografia, dove ho inserito titoli come il feticismo degli Zuni, il manuale di perito meccanico che usò mio padre negli anni '50 e le opinioni religiose di Einstein per verificare se qualcuno ci avrebbe fatto caso. La risposta è no, la bibliografia non l'ha controllata nessuno, e se l'ha fatto non ha trovato niente di strano. Sospetto che i membri della commissione non abbiano letto neanche la tesi, limitandosi a sbrigare la faccenda della discussione come una delle tante noiose incombenze legate all'insegnamento universitario. La tesi di laurea è una cerimonia scontata per festeggiare con amici e parenti, non è un esame. Ero l'unico senza mucchi di parenti venuti da chissà dove col vestito della festa, quegli orribili gessati da esselunga, a fare complimenti e omaggiare di regali e mazzi di fiori. Gli addetti alla gestione del parentado, che si occupano di filtrare la folla, di separare laureandi e vecchie zie, di permettere l'accesso all'aula dove il futuro salvatore del mondo sta per dimostrare il suo eroismo a un numero di parenti compatibile con la disponibilità di posti a sedere, in tutto questo io ero da solo, senza parenti, senza amici, senza penne nuove ancora nella scatola, senza fiori puzzolenti, senza manifesti goliardici né feste di laurea colme di invitati. Ho discusso la laurea con due sconosciuti come pubblico e me ne sono andato.