martedì 18 gennaio 2011

Un diario.

Non lo vedo da un pezzo. Me lo ricordo alto, con addosso una di quelle camicie a zero fibre naturali che gli piacevano tanto, che gliele ha portate a casa un amico dalla taillandia o altro posto esotico del genere. La puzza che riescono a produrre quelle camicie, è una roba da farti venire voglia di scappare, da farti tremare le gambe e stringere i denti. Non lo vedo da mesi. Me lo ricordo con le macchie rosse sulla pelle delle guance quando inizia a far freddo, con i capelli che anno dopo anno gli lasciano scoperta la cima della testa. Me lo ricordo camminare con quelle sue gambe lunghe, tenute rigide, lo sguardo a terra, e quando ti arriva davanti si apre come un fiore, tira fuori il sorriso di chi sta accettando una mancia e lo sguardo di chi ti chiede scusa in anticipo. Non lo vedo da un sacco di tempo. Me lo ricordo che fuma nervoso, a boccate corte e frequenti, la sigaretta che forma una brace lunghissima e viene spenta che è ancora a metà.

La mattina prima di uscire si specchia, cerca l'espressione più adatta e se la fissa nella memoria. Non è facile ricordare i muscoli che si usano per una specifica espressione, non è facile tenerli tirati per tutto il tempo che serve. Non è facile spegnere la faccia per riposare e a comando andare a recuperare gli occhi e la bocca così com'erano nello specchio la mattina prima di uscire. Oggi ha indossato gli occhi intriganti e la bocca sorniona. Ha dato un nome alle espressioni più usate, ai classici dell'empatia, così li definisce. Ha scattato delle fotografie e con un pennarello ha evidenziato le caratteristiche rilevanti. Capisci che sta verificando l'espressione perché ha sviluppato un tic che gli muove l'orecchio destro e per qualche secondo lo sguardo gli si appanna come se andasse altrove, tornasse con la memoria a un'infanzia felice.

L'ultima volta che ci siamo incontrati eravamo entrambi sulle spine, sapevamo entrambi che me ne sarei andato da quel posto senza voltarmi indietro, che l'avrei lasciato lì, l'avrei abbandonato come si abbandona un amico o un cane, dicendo a se stessi che non si può fare altro, che in fondo se la caverà benissimo. E adesso quell'amico e quel cane sono lì a confermare che sì, se la sono cavata, che ognuno di noi adesso ha un nuovo amico e un nuovo cane. Mi stringe la mano e facciamo finta che era solo ieri, che nel frattempo non è cambiato tutto, e mi offre una sigaretta, io dico no grazie, dico ho le mie, lui annuisce e restiamo un po' in silenzio. Aspetto che termini di fumare poi dico bene adesso devo andare e lui dice aspetta devo farti vedere una cosa. Faccio un passo indietro, sto per rifiutare, ma lui è già di spalle, mi sta facendo strada, proprio come succedeva allora, e io lo seguo come si segue con la macchina uno spalaneve.

Ha costruito un repertorio di battute, di barzellette, per rompere il ghiaccio, per sdrammatizzare, per creare distensione, per rallegrare l'ambiente. Possiede un archivio di risate dal quale estrae quella più adatta all'interlocutore, c'è chi adora le risate roche, le sommesse, le aperte, chi predilige lo sghignazzo e chi invece il cachinno. Si stupisce di se stesso per quanto risulti naturale l'insieme di faccia e voce e atteggiamento. L'inventario degli atteggiamenti è la parte più cervellotica, occorre stabilire in anticipo l'atteggiamento, è questione di attimi, bisogna capire da lontano quale atteggiamento usare. Spavaldo, remissivo, sicuro, caloroso, la gamma è pressoché infinita. Sperimentare, improvvisare, non basta essere se stessi a chi non ha un se stesso e nemmeno crede nell'esistenza di un se stesso.

Punta l'intero braccio, lo tiene rigido, e dice l'hai dimenticata qui. È una sveglia, non la riconosco, ci sono delle lettere che scorrono sul quadrante digitale. Non è mia, dico. Lui afferra la sveglia e dice sono mesi che ci lavoro, c'è qualcosa di strano, le lettere, vedi?, non significa niente. Non l'ho mai vista prima, dico. Lui dice si deve trovare il modo di scaricare la memoria, di scoprire il progetto di assemblaggio, sono convinto che sia un diario. Mi guarda, si aspetta una mia confessione a riguardo. Non lo so, non è mia, non l'ho mai vista prima, dico. Lui annuisce e sorride come chi accetta di essere preso in giro, come chi ti sta dando il permesso di mentire. Poi dice è stato bello rivederti. Dico sì, dico ti telefono, indico la sveglia e dico fammi sapere se riesci a capirci qualcosa. Certo, dice, sono sicuro che si tratta di un diario.

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