martedì 25 ottobre 2011

può perfino essere bello

ntro qualche albergo entro nei tunnel che collegano le hall ai mille corridoi delle camere con le porte numerate sono numeri dorati sono passatoie di moquette a pelo raso come certi terrier hanno anche il colore sbiadito di chi ha sopportato un lungo calpestio anche stanotte ho sognato un albergo che c'ero già stato altre volte nella mia testa ci sono solo alberghi e fabbriche diroccate e grotte non c'è mai un salotto luminoso con la carta da parati a fiorellini non c'è mai l'accoglienza del sentirsi a casa no sono sempre in posti che si deve pagare il conto e lasciare libera la stanza entro le dieci entro mezzogiorno entro le due però è un extra e si mangia al ristorante se c'è altrimenti si esce a cercare qualsiasi cosa ti serva la chiedi alla reception ma il telefono non va il minibar c'è ancora qualcuno che apre le bottiglie mignon e le beve e le riempie d'acqua di rubinetto e le rimette a posto ci sono briciole nella poltrona ci sono macchie sul copriletto a volte gli alberghi nei miei sogni sono stamberghe a volte sono di primissima categoria a volte giri l'angolo e trovi la biblioteca la sauna la palestra la sala giochi il museo sono alberghi attrezzati ci trovi di tutto anche labirinti di scale e passaggi per la servitù dove segui il cameriere che svanisce nel muro segui il concierge e il congierge si mette a correre scappa diventa un'ombra e ti lascia solo con fantasmi che ridono e piangono allo stesso tempo sono alberghi come stanotte un albergo che conosco l'ho esplorato in tanti di quei sogni che stanotte me ne andavo con le mani in tasca in giro senza meta uscivo all'aperto giungevo camminando sotto il sole alle cascate con i sentieri erbosi alle chiuse con i ponti di mattoni e i meccanismi lubrificati alla perfezione al punto che quando si gira l'albero a camme la manopola non vibra ma ronza fra le mani nel deviare l'acqua per spingerla nei filtri negli imbuti nei sifoni trasparenti dove l'occhio degli addetti individua le impurità e immerge il retino nelle vasche il che è proprio quello che vedevo succedere aspirando il fumo della sigaretta anche se è quasi un anno che ho smesso nel sogno fumavo ero felice di fumare ero grato al fumo pensavo non fa niente se ho smesso da un anno stavo solo vendicandomi di qualcosa mi stavo facendo del male mi stavo privando del fumo e accantonando l'idea di essere così bravo a mentire da ingannare me stesso ho cambiato argomento mi son detto guarda hanno chiuso la piscina a volte succede è per via della merda secondo me ci finisce dentro della merda e quelli col cappello rosso dicono tutti fuori quelli col fischietto al collo fanno uscire tutti e puliscono disinfettano usano delle pertiche allungabili usano distributori di acidi perfezionati usano disintegratori specifici per la merda usano dei rivelatori e dei rilevatori seguono un protocollo e stilano un resoconto e intanto tiravo boccate mi sentivo tranquillo e bendisposto nei confronti dell'uomo in costume da bagno dell'uomo in attesa del via libera e della riapertura al pubblico nel sogno gli spiegavo che era per via della merda un fastidioso incidente causato dalla merda per via che la merda capita e l'uomo in costume a scuotere la testa a insistere che no a dire che quando succede è perché è andato perso un oggetto di valore qualcosa come un orecchino un braccialetto un occhio di vetro e non lo contraddico vado avanti a fumare e penso non dire cazzate poi penso forse è vero forse la vita dipende il mondo a seconda di come lo vedi può perfino essere bello sono arrivato a pensare che avrebbero pescato diamanti sul fondo dalla vasca era solo questione di tempo e avrebbero tirato fuori pesciolini di diamante ancora vivi ma poi ho finito la sigaretta ho pensato che gli inservienti avevano l'aria di persone che stanno eliminando la merda altrui e non quella di cacciatori di tesori per tutta una serie di evidenze una lista che non ho tempo di stilare perché mi scusi dico all'uomo in costume mi scusi se non rimango con lei ma sono atteso altrove lei capirà e lui si inchina dice ma certo si figuri e io mi inchino e gli dico buona fortuna gli dico spero proprio che 


venerdì 21 ottobre 2011

Drive

Drive è tratto da un romanzo, la trama è: stavamo andando in un posto bellissimo quando ci hanno dirottati. Un storia che è un trip, il viaggio alienante che hanno sperimentato tutti coloro che si sono trovati chiusi dentro un abitacolo per ore, a guardare fuori dal finestrino, a farsi compagnia con l'autoradio, a fare conti mentali sui tempi di percorrenza, a trovare motivo di buonumore in una sosta al distributore. Il protagonista è un pilota, non si capisce se è bravo a guidare la macchina perché guida bene se stesso o se è bravo a guidare se stesso perché guida bene la macchina. I due piani narrativi sono sovrapposti e questo è un po' il segreto del film (il libro no so, non l'ho letto). A questo aggiungete la reazione di uno spettatore che ha sperimentato anche l'alienazione della realtà virtuale, anch'essa frutto di un'esposizione prolungata alla velocità, l'effetto di un mondo che accelera, immagini che perdono definizione, occhi che si stancano, attenzione che declina, tutti effetti che fanno da moltiplicatore per l'immedesimazione con un attore che interpreta la parte con magnifica naturalezza. Il tentativo sempre commovente di chi cerca di prendere in mano le sorti della propria vita, di non avere più fiducia in niente, che siano le persone, il domani, la provvidenza, smettere di limitarsi a chiedere e sperare ma andare alla ricerca di qualcosa di concreto in grado di soddisfare un bisogno di ascolto, comprensione, amore. Scelta che porta alla contaminazione con chi ha fatto della pretesa una professione, l'esercizio di ottenere con la forza una prassi.

Ma partiamo dall'ambientazione, dal reticolo di strade di una metropoli distesa su un brullo territorio come una muffa, come una rete elettronica fatta di nodi tenuti insieme da una corrente dove al posto degli elettroni circolano gli esseri umani, sfiorandosi senza toccarsi, mantenendo il senso di circolazione dentro alla corsia di marcia. Il protagonista si muove sul confine di molti territori, nelle sottili parti comuni di mondi distanti, si muove sulle strade come surfando il web, affidandosi all'istinto, a ciò che lo rende in grado di mantenere il controllo sul mezzo e su se stesso, confidando in una mappa intuitiva, nel futuro, come chiunque trovi il coraggio di guidare pur avendo visto rottami in fiamme e corpi massacrati, gli incidenti esistono ma occorre pregare che capitino sempre agli altri, per contare su se stessi occorre potenziare le proprie abilità, diventare più che autisti, versare il prezzo per diventare piloti, fatto di percezioni, di riflessi, di condizionamenti imprevisti, dove a furia di guidare dimentichi da dove sei partito, non fai più caso al nome dei posti che attraversi, fai scendere te stesso e ti abbandoni ripartendo in derapata, e via via che scorre sotto di te l'asfalto, il tempo rallenta, giunge l'assuefazione all'effetto rilassante di una droga chiamata velocità, dimentichi come si comunica, ti spegni lentamente.

Il trucco sta nel diventare tutt'uno con al macchina, devi essere le ruote, devi essere il motore, non ci deve essere differenza tra la tua mano e il volante, sono sensazioni ben note agli appassionati della guida. E diventi tutt'uno con il computer nella realtà virtuale, lo sa bene chi muove l'avatar nei giochi online. Il protagonista è impegnato a tenere in strada la macchina della propria vita e a tenere se stesso collegato alle altre persone, le poche persone con le quali entrano in contatto quelli che passano troppo tempo alla guida o davanti al computer. Quando spegni il motore, o il monitor, scendi dalla macchina, esci dal cyberspazio, hai un bisogno indescrivile di qualcuno in carne e ossa che ti rassicuri della tua concretezza e della tua capacità di essere normale, di sentirti umano. La colonna sonora si presta a sostenere il senso di estraniazione che contagia lo spettatore tanto quanto la capacità dell'attore di esprimere lo stupore smarrito d fronte alla lentezza del mondo, col tempo di saggiare colori e sapori, di gestire con calma le proprie reazioni, come chi si risvegli un mattino con la fronte fresca dopo una lunga febbre. Estranianti sono del resto tutti i personaggi, dagli antagonisti ridanciani e perfettamente integrati nel mondo analogico del potere, necessariamente criminale in un ambiente vincolato alla lentezza, così come le ragazze, tutte prostitute tranne una, quella che sarà per il protagonista la macchia d'olio sulla pista, il brecciolino in curva, il dado che si sfila dal bullone.

Il viaggio dell’eroe è del tipo vendetta, le cose ti vanno bene e la sfortuna ha scelto te, come in quel gioco, si chiamava Pharaon mi pare, usciva un messaggio con scritto la sfortuna ha scelto te, le acque dei tuoi pozzi sono inquinate, oppure arriva la carestia, nel film il mondo non è retto dagli dei egizi ma da pezzi neanche grossi della criminalità organizzata, fantocci che ricalcano gli stereotipi delle mafie da cinematografo, bastardi che sono sopravvissuti abbastanza da ereditare gli affari dei morti o degli imprigionati, dove il carcere è peggio che morire, è solo un girone ancora più basso nella città degli angeli, un nome che più che un augurio suona come uno zerbino di benvenuto sarcastico sulla soglia di una casa diroccata. Il protagonista si trova a impugnare il volante di una macchina della vita col motore truccato, inaffidabile sul bagnato, con difetti nell’impianto frenante e uno sterzo duro e poco sensibile, deve sforzarsi al massimo per mantenere la calma esemplare di un professionista che non si lascia spaventare dalle perdite improvvise di aderenza, dalle scorrettezze degli avversari, da uno pneumatico che esplode, deve affrontare un viaggio di sola andata premendo a fondo l'acceleratore con la certezza che equivalga a gettarsi da un aereo, dove cadi e cadi e cadi e hai tutto il tempo di ripercorrere le tappe della vita. Che è poi quello che succede a tutti, dal momento in cui veniamo concepiti, anche se decidiamo di mollare il volante o di non guardare giù.

martedì 18 ottobre 2011

Il mio peggior nemico

Il mio peggior nemico non so se lo posso dire, la mamma non vuole, mi sgrida quando parlo con lui, dice che non esiste, che ho troppa immaginazione, che se continuo così da grande finirò in camicia di forza. La camicia di forza dev'essere come un campo di forza, penso, o un costume da supereroe, quando la mamma fa così mi sembra un po' matta e la cosa giusta da fare è non chiederle niente, aspettare che le passa, infatti io la maggior parte del tempo con la mamma mi consiste nel non fare domande e aspettare, mi dice stai fermo, mi dice stai zitto, e quando va ai grandi magazzini, come li chiama nonna, quando va connonna ai grandi magazzini non mi ci portano, nonna dice che è vietato ai bambini, che i bambini non ci possono entrare, ai grandi magazzini, ma io guardo fuori dal finestrino, quando passiamo vicino ai grandi magazzini, e mi vedo che ci sono i carrelli e una volta ho visto anche dei bambini in carne e ossa andare dentro. Non sto dicendo che la mamma e la nonna mi sono i miei peggiori nemici. E va bene, se proprio insisti, è Rapid Franz, è lui il mio acerrimo nemico, è solo un frutto della tua fantasia e se proprio ti viene voglia di parlare da solo, almeno fallo a bassa voce.

Cara maestra, se mi prometti che non diciamo niente alla mamma adesso mi ti spiego di Franz che è cattivo, molto cattivo, non mi vuole bene a nessuno, neanche a lui sé medesimo stesso. Di solito arriva a un certo punto del giorno, mi si alza tardi dal letto, te l'ho detto che non è bravo per niente, e quando mi arriva la prima cosa che mi fa è spaventare Cary Grant, sì, che è il mio migliore amico, e fino a che c'era solo Cary Grant la mamma non si arrabbiava così tanto con me, diceva non è niente, quando cresce gli passa, non come adesso che mi salta fuori con la camicia della forza e tutta quella roba del devi smetterla, non sta bene, come se fosse colpa mia, che faccio peccato o infrango la legge. Che ai grandi magazzini perché i carrelli mi hanno il seggiolino per i bambini se è vero che i bambini non possono entrare, come te lo spieghi? Cary dice che è inutile starci a pensare, facile che i grandi magazzini sono tutte vaccate, io non dico parolacce, nonna ha detto che vaccate è parolaccia, Cary mi dice che i grandi magazzini non starci a pensare è sicuro non c'è niente da ridere ai grandi magazzini, non è divertente. Parla un po' male, Cary, e mi dice le parolacce, ma è il mio migliore amico sai perché? Prende solo le cose che mi piacciono delle persone che conosco, il resto mi dice che sono vaccate.

Il mio peggior nemico, Rapid Franz, arriva e mi comincia subito a farmi arrabbiare. Se mi prendono in giro lui arriva e si unisce alle risate, se mi fanno cadere lui mi dice ti sta bene, così la prossima volta impari. Cary Grant in quei momenti non c'è, va via, si gira di là e sono contento così, non voglio che il mio migliore amico Cary mi vede triste o arrabbiato, se mi vede Franz invece non mi interessa perché tanto non mi vuole bene lo stesso neanche se sono felice e contento. Quando sono felice Franz mi dice cos'hai da ridere, zuccone, nonna dice che anche zuccone è una parola da evitare, Franz mi dice sei una mezza cartuccia, sei un buono a nulla, vai a nascondere la tua brutta faccia. Non è come Cary che se incontro una persona con un modo nuovo di essermi gentile che non avevo mai visto prima lui, Cary Grant, la impara e la aggiunge a tutti i modi che mi conosce già di essere gentile. No. Franz impara solo nuovi modi di essere cattivo e antipatico, e dice che non sarò mai alla sua altezza, che non riuscirò mai a guadagnarmi il suo rispetto. A volte mi diventa così cattivo che mi viene da piangere, per esempio quando mi dice che Cary Grant è una vaccata e che come amico non vale niente e che mi farà diventare anche a me una vaccata come allui.

Lo so che i veri amici sono persone vere, che i veri nemici invece no, sono cose grosse come la guerra, il diavolo, il governo e la fame nel mondo. Lo so che non dobbiamo farci dei nemici, ho visto un film che un criminale diceva è morto perché si è fatto troppi nemici. Ho visto tante cose alla tv sugli amici e sui nemici e lo so che Cary Grant e Rapid Franz mi sei tu quando fai finta di essere un'altra persona. Però io di migliori amici come Cary non ne ho, e nemmeno peggiori nemici come Franz, sono tutti un miscuglio dei due, le persone vere, forse anche la mamma, e la nonna di sicuro. Alla tv i nemici si riconoscono perché mi indossano una maschera, sono molto arrabbiati, ti gridano addosso e cercano di farti male. Alla tv lo sanno tutti chi è amico e chi nemico, i cattivi mi hanno delle cicatrici sulla faccia, mi hanno sempre gli occhi pieni di cose scure che nuotano adagio dentro alla testa e quando ridono è per cose che non mi fanno ridere per niente. E allora io di peggior nemico mi viene da puntare il dito contro Franz, voglio dire, a parte l'inquinamento e le epidemie, ma Franz è così cattivo che non lo distingui al volo, da lontano mi ha la stessa faccia di Cary e tutti e due mi pare che mi somigliano un po' a me, addirittura. Capisci chi è amico e chi nemico solo quando nonna ti dice che i grandi magazzini sono vietati ai bambini, e Cary dice è una vaccata ma chissenefrega andiamo a giocare in cameretta e Franz invece mi dice sei un perdente vigliacco ma te ne pentirai un giorno te la farò pagare.

(Immagine di Almacan presa qui)

mercoledì 12 ottobre 2011

Elenco n.3

(intermezzo)

Oggetto: i buchi delle marmitte, gli orifizi di scarico, i buchi piccoli e tremanti delle utilitarie scassate, gobbi al volante, i capelli pettinati alla bambola del secolo scorso, le vernici opacizzate da miliradi di granelli di polvere scagliati dal vento sulla carrozzeria, come se l'aria fosse acqua fangosa che ti smeriglia la pelle, ti grattugia la pelle e poi la carne e poi le ossa e poi la volontà e poi la coscienza, cosa ci sto a fare qui dentro attaccato al volante, dove e perché mi sto muovendo, una volta avevo denti bianchi, duri, avevo dita che non ricordavano frutti secchi, rami cresciuti per scherzo; i buchi grossi dei fuoristrada, i buchi multipli che emettono fumo incolore, distillati di gas, buchi che stanno impalati e non fanno rumore, espirano con l'efficienza di un fucile ben oliato, uomini in giacca che scendono tenendo il sacchettino dell'umido fra due dita, un sacchetto molto piccolo e molto pulito, con dentro cosa, una scorza biologica nutrita con sangue di vergine, semi resi sterili da troppi incroci parentali, ossa di piccoli uccelli serviti in piatti caldi e decorati con spruzzi colorati, coriandoli finissimi di verdurine speziate, uova che contengono una progenie mai venuta alla luce; buchi di scarico per auto familiari, di quelli che perdono liquidi come bave colanti sui menti degli svampiti, le macchie di vomito sui sedili, le impronte di scarpe dei bambini azzainati sulla schiena da libri verbosi e pleonastici, attrezzatura per l'ortografia, l'arte di tirare righe dritte, di stare i fila, di dire maperfavore e grazietante, facciamo l'inchino, baciamo la mano; buchi di grandi mezzi di trasporto a uso promiscuo, cose e persone, senza distinguo per colore e opinione e religione, gli autobus dalla grandi fumate nere, la guida attenta degli autisti occhialati scuri che dondolano nei sedili molleggiati e rispettano le strisce zebrate, i giubbetti catarifrangenti degli operatori ecologici, a tirare leve e rovesciare cassonetti, guanti e mascherina, gli occhi di chi si aspetta che lo accusi anche se non sta facendo niente di male; i buchi dei motorini, le lunghe sfiatate asmatiche d'accelerazione quando scatta il verde, i frettolosi cambi di marcia a produrre fughe d'organo a pernacchia. Oggetto: rumore di traffico e puzza di traffico alle otto del mattino, pedalare venendo sfiorati da massicci proiettili di lamiera, chiedendo il permesso di attraversare, ringraziando il volto truce o seccato di chi pensa ma proprio a me ma proprio io mi tocca frenate perdere tempo farti passare ma rompicoglioni stattene a casa, poi abbassa lo specchietto di cortesia e si controlla qualcosa sulla faccia, forse nelle pupille cerca e ritrova la calma, il soprassedere, il lasciar correre il pensiero a ricordi piacevoli, a ritornelli che mettono di buon umore, non c'è da preoccuparsi se peggiora ho qui il balsamo per i nervi, e quando ho liberato la strada dalla mia ingombrante presenza riparte a sfrizionata dolente, l'impazienza, la scocciatura, ego te rimprovero per culpa di existere, saluto altri ciclisti, l'ex maestra di asilo del bambino che sto portando sul seggiolino posteriore, saluto pedoni sporgendomi dallo zaino dei trasformers che occupa il cestino frontale, la signora del piano di sotto che accompagna a piedi la figlia, ogni giorno le stesse persone, più o meno alla stessa ora, nella stessa via. Oggetto: la consistenza del fondo stradale, gli autobloccanti, l'asfalto nuovo, l'asfalto sabbiato, le crepe insidiose dell'asfalto aperto e richiuso, aperto a richiuso, aperto e richiuso, il cemento, i blocchetti di porfido messi a casaccio, a fontana, a geometria variabile, i tombini rotondi, ovali, quadrati, larghi un metro, un piattino, con lettere incise a stampo in fonderia che non rimangono impresse nella memoria, l'idea che tutti i tombini siano connessi e che dentro ci passino le informazioni, le voci dei bambini sperduti o rapiti, le voci dei morti per poco o niente, i marciapiedi, i passi carrai, i cancelli, le portinerie, distese sconfinate di vetrine pulite, lastre di pietra, acciottolati, sterrati, terre battute. Oggetto: i discorsi di chi ripete le arringhe che ha letto a colazione, i punti di vista da far propri, le risposte suggerite dai professionisti del dibattito e della parlata al pubblico, gli esperti di marketing elettorale, i guru della protesta facile direttamente a casa tua in comode rate quotidiane di incazzatura, sdegno e, su richiesta, senso di superiorità morale, le cose da sapere per far fronte a ogni possibile interrogatorio sui temi di attualità, e questi signori sono ben pettinati, sbarbati, profumati, indossano abiti puliti e stirati, si conoscono fra di loro e li vedi abbattuti quando non ci sono scandali, attentati, reati impensabili, gesti raccapriccianti, sono costretti a parlare a bassa voce, esaurire gli argomenti in un paio di giri di bianchino, tornare a casa prima del solito a scervellarsi su come tirar sera, andare in bagno a maledire allo specchio il pensionamento, se fossi giovane sarei in piazza con i miei amici, farei la rivoluzione dal vivo, in diretta, il mondo saprebbe ancora che esisto, stupidi ragazzini, alla vostra età io sì che, noi si che eravamo, voi invece cosa, ma che ne sapete, la guerra, la fame, la lotta, e alla fine cosa, la pensione, eccomi qua, sono fiero di me, sono orgoglioso di me, ho ancora molta vita davanti, altro che. Oggetto: le mamme che fanno le pendolari, i padri che fanno i turnisti, i bambini che sbirciano e controllano gli adulti mentre giocano al calcetto, la scuola, la scalinata di marmo della scuola, i distributori automatici, le bacheche di sughero piene di avvisaglie facoltative, vuduizzate con puntine a testa colorata da mi piego ma non mi infilzo, lunghi corridoi piastrellati con i riflessi delle molte finestre a tapparellamento ridotto e similguasto, con la protezioni a impedire la defenestrazione accidentale o volontaria, le serrature, le recinzioni, le porte che devono restare chiuse per sempre, i grandi orologi nelle stanze comuni, gli altoparlanti che portano ovunque la voce della segreteria, le campanelle mimetizzate negli angoli, il chiacchiericcio ricreativo di chi non è abbastanza grande da trattenere le emozioni, le lacrime e i capricci di chi non ha alcuna voglia di accettare la situazione, di rassegnarsi, di obbedire, di imparare, o mette in scena l'ennesima replica del trauma da abbandono, gli atteggiamenti coraggiosi di chi saluta con un cenno, arrivando perfino a sorridere, io non sto piangendo, io non piangerò, ormai sono un bambino grande e non ho niente di cui aver paura.

Foto dagli archivi di LIFE.

martedì 11 ottobre 2011

L'alba del pianeta delle scimmie

L'alba del pianeta delle scimmie è un cosiddetto prequel, a un certo punto hanno deciso che al pubblico interessa sapere non solo cosa è successo dopo, ma anche prima. Dato che Superman a un certo punto stufa, fa sempre le stesse cose, o lo fai finire all'ospizio, o lo uccidi, o ci porti a vedere com'è nato, chi erano i suoi genitori, la sua infanzia, la sua adolescenza. Anche da dove salta fuori Terminator, in modo da creare un bel paradosso temporale che ci sta sempre bene, è stato creato da un pezzo di se stesso proveniente dal futuro, come scoprire di essere il nonno di se stessi. Si prende un prodotto di successo e lo si spreme fino all'ultima goccia, nell'attesa di nuovi consumatori disposti a sganciare bigliettoni per nuovi prodotti. Il pianeta delle scimmie è un libro francese del 1963, ne hanno tratto una saga in cinque film e due serie televisive negli anni '60 e '70, un remake nel 2001 e un prequel quest'anno. Il pianeta delle scimmie è un prodotto dickiano per molti versi, dall'estremizzazione di piccole distorsioni che modellano universi paralleli alla creazione di realtà illusorie nelle quali si dibatte il cercatore, il visionario, l'illuminato, il risvegliato, l'eroe postmoderno.

Il pianeta delle scimmie sfrutta il tema del ribaltamento, se tu fossi nei panni di, il contratto sociale che sta alla base della convivenza pacifica, che sia inteso come prezzo pagato per la polizza di assicurazione per evitare conflitti e garantire la pace, o che sia inteso come espressione di giustizia e uguaglianza, ad ogni modo chiunque non vorrebbe essere uomo in un pianeta di scimmie. Il rischio è che si cominci a pensare che la superiorità dell'uomo sugli animali, e in particolare sulle scimmie, sia in discussione, che tutto sia relativo e dipenda dal punto di vista, che si debbano riconoscere qui e ora i diritti delle scimmie in modo che nel futuro o sul pianeta delle scimmie ci prendano ad esempio e riconoscano i diritti degli umani. Il pianeta delle scimmie è un prodotto culturale emblematico dell'occidente industrializzato e progressista anche quando insegna alle scimmie, sul pianeta delle scimmie, a fare la rivoluzione e ribellarsi al governo dittatoriale e totalitario delle scimmie che odiano gli uomini. Se ci fosse dell'ironia deliberata ti verrebbe da pensare che l'autore ha scritto un libro scimmiesco per appagare l'intelletto di uomini-scimmia e che davvero la specie umana non è così lontana dalla scimmia che fu quando iniziò a evolversi.

Per capire cos'era il dibattito pubblico nella società occidentale degli anni '60 si guardi il film originale. Per capire come si sono ridimensionate le tematiche, passando da epocali a stagionali, da collante per masse rivoluzionarie in cammino verso il futuro a sogno allucinogeno di ingenui benestanti, si guardi il remake girato 40 anni dopo. Per capire il ritorno alla realtà, lento e detestato, che si è avviato con la crisi economica e la paziente ma inesorabile nuova interpretazione del mondo portata avanti da economisti, ecologisti, ingegneri, filosofi, intere generazioni, quelle dei '70, degli '80, dei '90, bollate in toto come sfaticate cassandre, rovinati dalla tv commerciale, vittime del mercato e delle multinazionali, fregate dalla globalizzazione. Mentre da noi i sessantottardi sono ancora qui e comandano, dirigono, scrivono sui giornali, anno a parlare in tv, il pianeta dei vecchi rimbambiti e dei loro figli e nipoti sciocchi e inebetiti, in altre zone del mondo è in atto una lotta sottotono, anti-rivoluzionaria, nostalgica e allo stesso tempo impegnata a salvare il salvabile, a riprogettare cercando una nuova via al benessere che non si basi su risorse che sono scarse e non rinnovabili. Questa nuova generazione è anch'essa ignorata, ostacolata, silenziata per motivi di realpolititk, come nei tre giorni del condor, quando alla fine spiega che la gente abituata ad avere tutto non vuole sentire grandi ragionamenti sul come quando perché, vuole un governo che provveda a risolvere il problema, e quando il problema è irrisolvibile si tratta solo di posticipare fin che si riesce, poi ognuno per sé, si salvi chi può.

L'alba del pianeta delle scimmie è un altro dei film che dimostrano la fine del dominio secolare della cultura che ha avuto il suo apice negli anni '60. Finalmente, la gente che abita nel mondo occidentale, anche la gente scimmiesca che ragiona con l'ipotalamo, sente come una puzza terribile e non riesce a capire da dove viene né perché, sente l'odore di malattia e morte di una corrente culturale agli sgoccioli, sente il periodo di caos che sta per arrivare come sempre arriva quando una cultura si decide a schiattare e venire seppellita da una nuova cultura finalmente pronta e abbastanza forte da scavare la fossa e celebrare il funerale del capodanno, dove muore il vecchio perché è nato il nuovo. In psicologia si chiama uccidere i propri genitori, nel senso di uscire dall'ombra di chi ci precede. E per farlo ci tocca usare un prequel. Cosa c'è di più adatto che il prequel del pianeta delle scimmie per dire a padri e nonni avete sbagliato, pensavate di aver capito tutto e invece non avevate capito niente. L'alba del pianeta delle scimmie racconta una storia diversa da quella che vogliamo sentirci dire, dalla versione classica. L'alba del pianeta delle scimmie è un NO, un basta a lettere cubitali gridato in faccia ai testimoni del passato, con le loro patetiche visioni del mondo che le vegliarde élite si intestardiscono a convalidare, finanziando e combattendo e parteggiando nella speranza di una rinascita della fenice, una ripetizione della storia, un remake dopo l'altro, a colpi di sequel. Il pianeta delle scimmie non poteva rendere angosciante la storiella educativa e propagandistica quanto ha fatto il prequel, 50 anni dopo, nel 2010, epoca dove l'ex futuro luminoso s'è fatto parecchio scuro, dove l'uomo è in grado di realizzare gli antichi sogni più azzardati, e con essi i relativi incubi. L'alba del pianeta delle scimmie parla di una presa di coscienza che va al di là delle tematiche animaliste e della critica al potere costituito, ci dice che per vedere un mondo nuovo servono occhi nuovi e che se non li hai non c'è scienza o medicina in grado di fornirteli.

Poi c'è la morte del padre, la storia d'amore, il carceriere stupido e quello cattivo e quello avido, c'è tutto il repertorio holliwood/disney che copre e disturba il messaggio, proprio come nella realtà il rumore dei media copre e disinnesca quello che infastidisce il pubblico, non lo rassicura, non lo fa ridere, non gli provoca emozioni e sentimenti utili al mantenimento dello status quo. C'è la vendetta, c'è l'incomprensione, c'è la menzogna, il ricatto, la minaccia, la paura, la violenza, la scena col cavallo che corre fori dalla nebbia, il sacrificio del gorilla, la gratitudine, la lotta per guadagnarsi il rispetto, il contagio che diverrà pandemia nell'eventuale prossimo episodio. Insomma il solito film che ti promette i tuoi soldi son spesi bene non te ne pentirai, prendi una confezione maxi di coca cola e pop corn perché questo film è adrenalina per lui e commozione per lei, spettacolo assicurato, porta anche i tuoi bambini, i bambini adorano gli animali. Tanto che in molti si sono lamentati che non c'è abbastanza fantascienza, dove sono i robot, dove sono gli alieni, perché le scimmie non fanno mai del ridicolissimo o scandalosissimo sesso, dove sono gli arti che volano e le teste che esplodono? E me lo chiamate fantascienza?

mercoledì 5 ottobre 2011

Corrispondenza (6~N)

Caro Raffaele, prima di ogni cosa voglio che sai io non sono arabiato con la tua persona. Sono andato via per non venire ucciso delle mie mogli, ucciso di fatica, ucciso di sopportazione, ucciso soffocato mentre dormo o col veleno, ho guardato nella rete elettronica ho trovato mirabolanti veleni che le mogli possono usare e fare alla franca. Se loro dicono che sono scappato non è vero, sono in condizione di emigrato, è diverso che scappato. Scappato è uno che non resiste più e dice a se stesso sei libero le tue mogli nascono dalla tua pazzia sono il frutto mirabolante di capillari esplosi nottetempo eccetera il dottore ha detto nottetempo è una parola bella che ho scritto nel blocchetto delle note, come mi hai insegnato di fare tanto tempo fa, è così importante per me che nottetempo occupa una pagina intera. Non ho tempo di spiegare adesso, stanno per arrivare, pagano soldi veri per vedermi e toccarmi, pensano che la mia pelle è bruciata e che sono maledetto dagli spiriti dei gatti, i loro occhi stanno a sospettare tutto il tempo che non guardano, controllano, i loro occhi mi dicono sappiamo cosa hai fatto ti aspettiamo nel varco, le loro parole dicono ang ing ung non indovinerai mai dove sono arrivato, ogni volta che mi fermavo sentivo le voci delle mie mogli dietro le montagne dire Maichol devi fare questo e quello, le mie mogli sotto ai ponti a dire moriremo se non ci nutri, le mie mogli dall'altra parte dei muri a dire ti mangeremo il corpo e l'anima, ogni volta migravo un po' più in là e a un certo punto ho migrato così lontano che finalmente non ho più sentito il pericolo e la paura delle mie mogli, qui sono tutti piccoli e non hanno mai visto uomini neri, mi chiamano uomo nero, almeno credo, il mio manager dice così, qui sono abbastanza famoso, non capirai mai dove sono se non te lo dico. Scusa se non ti ho scritto prima ma c'è stato un periodo che volevo essere morto, migrare via da tutto, mi dispiace solo per i miei figli e le mie figlie, ho detto al più grande che se hanno bisogno di qualcosa possono contare su di te, che sei il mio amico fraterno e il loro padre di scorta. Se vengono da te dimmelo che passo a prenderli e li migro via con me che qui si sta bene, guadagno tanta moneta locale, spero che non si venga a sapere o presto si riempirebbe di neri e non sarei più il solo, troppa concorrenza tornerei povero a fingere che sono già morto. Ti scrivo anche per presentarti il mio manager, dice che ha più di mille figli e quando gli ho parlato di te, degli amici quanto siamo, ha deciso che tu gli vai bene uguale e diventerai parte della grande famiglia Chen, Chen con l'acca, come Maichol. Scusa se ho smesso a metà di scrivere il mio libro ma ti prometto che lo finisco un giorno vedrai che trovo un finale mirabolante e lo leggeranno anche nel futuro, ci faranno un film di grandi incassi strato e sferici, come Holden, con l'acca, è dappertutto, perfino qui dove sono arrivato a migrare, alla fine del mondo così come lo conosci. Spero che ci vedremo ancora, non so, penso di no, ho la certezza che non ci vedremo mai più, ma spero di sì, immagino già la scena, specialmente quando penso ai miei figli e alle mie figlie e mi sento triste e non so a chi dirlo. Non mi serve niente, sto bene, se vedi i miei figli o le mie figlie digli che papà li saluta, se vedi le mie mogli scappa, nasconditi, se ti prendono non dire niente, fai finta che hai saputo che sono morto. Ciao dal tuo amico Maichol.

Signol Lafele, con la elle, scrivi le elle anche se la mia voce non le dice, capito? Stupido traduttole, figliolo spaccagli un dito. Bene, comincia da capo, con le erre. Signor Rafele, il buon Maicol le avrà detto chi sono, voglio essere chiaro e arrivare subito al punto, i documenti per l'adozione sono pronti, manca solo la sua firma, li allego alla presente e aggiungo busta preaffrancata a stretto giro di posta. Sto pagando traduttore molto stupido e costoso, tariffa a parola, scusa se sarò breve. Accetti e diventa mio figlio adottivo, entla nella glande famiglia Chen, con tutto quel che ne deliva. Non ho figli in Italia e voglio essere sepolto vicino a Pompeo o Carlossero o Torte di Pista, monumento famoso a tua scelta, figliolo. Quando diventi memblo della famiglia Chen accetti il regolamento, è tutto regale, è tutto in regola, se infrangi contratto arriva la punizione, se fai bravo figlio ecco carriera sordi grossi affari dipende da quanto sei blavo, diventi capo Chen di Italia. Se rifiuti adozione tu insulti capo di famiglia Chen e subisci conseguenze. Tutto molto semplice, tutto a posto, clausole accettabili dai tribunali, abbiamo gli avvocati migliori sul melcato, e se non bastano gli avvocati abbiamo professionisti addestrati a convincere. Filma e spedisci e fatto, benvenuto. Io sono stato così saggio da togliere e buttare via gli occhiali quando se avevi gli occhiali ti facevano dire scusate io sono un nemico della rivoluzione e poi ti bastonavano a molte, se mi chiedevano ti piace io rispondevo è quello che ho semple desidelato, se mi chiedevano ci credi io rispondevo non c'è bisogno la velità è così evidente, ho cantato canzoni in coro marciando nelle stlade della capitale, ho lecitato a memoria le poesie del nostro immenso leader, io ho combattuto quando il mondo si rifiutava di farsi stlavolgere e ho scavato la terra con le mani quando era così dura da spaccare le zappe, tu dici che io sono pazzo o che sono saggio? Tutti quelli che dicevano bisogna essele pazzi sono stati uccisi o sono molti di fame, chi è il pazzo adesso? Tu sarai così saggio da capile se è meglio per te offendere Chen o diventare mio figlio adottivo? Auguri di foltuna e vigore e lunga vita.

lunedì 3 ottobre 2011

Elenco n.2

Oggetto: voci raccolte passando in volata, è bravissima ha scelto in meno di un'ora le piastrelle del bagno, non ho ancora capito cosa ci riguarda a noi se la leggi bene è una cosa che non so nemmeno dirti. Oggetto: densi residui aromatici di boccate non aspirate, macchie di urina che si allargano fra le gambe del bagnante. Oggetto: donne in tailleur che innaffiano i muri per eliminare segni lasciati dai cani, facendo attenzione a non bagnarsi le scarpe, impugnando il manico della scopa come se fosse la prima volta. Oggetto: immaginare di lasciare impronte di mani sui cuscini, infilare le mani negli strati di asciugamani scompigliati nel cesto delle offerte, scacciare con le mani i discorsi mai conclusi per mancanza delle parole adatte. Oggetto: il colore delle ombre, l'inclinazione delle ombre, la tendenza delle ombre a conformazioni geometriche insolite, la capacità delle ombre di sembrare confortevoli. Oggetto: tracce di vomito risalenti al sabato sera, galassie spruzzoidali costellate di cibo semidigerito, i colori brillanti a carico di acidi solidificanti, i colori opachi dovuti a dissolvenza incrociata. Oggetto: un cane addormentato in mezzo alla soglia muove la zampa e si lamenta con piccoli sbuffi annoiati. Oggetto: risposte evasive e scocciate; risposte finto gentili per evidente sopportazione; risposte sgarbate a ipotizzare l'ovvietà del banale; risposte prevedibili e recitate a memoria.

Passanti con le cuffie che ti guardano, cuffie in vendita a diciannove e novanta, manichini con le cuffie al collo che ti guardano, la musica proviene da una finestra al terzo piano, è musica che non ho mai sentito, è musica che rimbalza contro soffitto e viene giù in modi sconvenienti, a gambe aperte, in posizioni impedite da qualsiasi cuffia che si rispetti, musica che si distorce e si frammenta e si imbastardisce di suoni malprodotti, rovinati da condotte riverberanti su vetri e piramidi arzigogolanti di armoniche cafone, musica che si struscia che si dimena e che implora ascolto, musica priva di ritegno, scarsamente amplificata dentro a concavità naturali inadatte alla purezza del suono, la pulizia del tracciato hertzatico e stereofonico, la logica politonale del significante melodico, musica che mi aiuta a evitare le infinite merde di cane, alcune marrone scuro, molto sode, beigeoline, allungate o raccolte in eleganti chignon fecali, merde di cane di stazza media che si nutre di costose palline ad alto contenuto di fibre, è una bella merda che puzza poco e secca rapidamente, merde di cane filamentose di muffa perlacea risalgono nel tempo e ci ricordano perdute giovinezze tanto nostalgiche quanto immaginate per autoconsolazione, merde su merde stratificate come le torte nuziali, merde siamesi a due tempi separate alla nascita, merde a metri di distanza che si chiamano con la voce spenta del disilluso.

Oggetto: orologi che segnano la stessa ora nella stessa vetrina e ore diverse in vetrine diverse; orologi che lampeggiano tre volte nelle verdi croci farmacia e lasciano posto a temperature esagerate; orologi tenuti larghi di cinturino in modo che la cassa vada a proteggere la sensibile pelle sotto al polso. Oggetto: piccione morto si degrada giorno dopo giorno nel suo piccolo recinto virtuale di obbrobrio, insetti stesi sulla schiena aggrappano al niente gli spinosi arti chitinosi a segmenti multipli, cercasi adorabile gattina nella foto di nome di anni di razza scomparsa nei paraggi offresi adeguata ricompensa. Oggetto: uccelli che si radunano sulla punta degli alberi, sui cavi, sui tetti, sintonizzati sul canale della migrazione autunnale, si spostano come fantasmi nel cielo e schiamazzano come arrabbiati o sbigottiti o impauriti o sovreccitati. Oggetto: statue con bastone nella sinistra e indice destro puntato verso l'alto, santi della libertà verderame, scagazzati di guano e acide polveri sottili, statue in cima ai campanili, infilate nei muri, esposte su colonne marmoree, vedono qualcosa, in lontananza. Oggetto: fantasmi condannati a leggere le tag dei graffitari sui muri dei palazzi, i cazzi da megarobot col glande esagerato e minuscoli coglioni stilizzati; spettri esperti in vernici e solventi che ripetono senza tregua la w del viva la figa e le minacce e gli insulti e i moniti pro e contro; ectoplasmi implacabili che giudicano il tono di auspici e condanne, la forma dei punti esclamativi.

La quantità dei vestiti lilla e neri appesi in alto, come tendaggi metropolitani, dentro al sole, dentro al mercato, dentro alle offerte imbattibili maxisconto e imperdibili solo per oggi scritte a penna un euro l'uno cinque pezzi a tre euro e cinquanta, il profumo di pollo e spiedini del camion rosticceria, la pancetta arrotolata, l'arrosto con uova e spinaci, le patatine fritte col sorriso che piacciono tanto ai bambini, gli involtini di coniglio e prosciutto, i bocconcini, le ali, le cosce, i petti, la accumulate di frutta con ciclo di rifornimento continuo, la voce roca e modulata del banditore che non ha bisogno di gridare per farsi sentire e dice le mele abbiamo le mele bellissime a uno e venti al chilo abbiamo le pere italiane dolcissime a uno e settanta al chilo, la ragazza con l'orecchino nella pelle dell'ombelico e gli occhi truccati di nero per risaltare l'azzurro, così magra di tenere i pantaloni appesi alle ossa delle anche, fa rumore con gli zoccoli alti mezza spanna quando si muove per riempire sacchetti e pesare e contare le monetine, tutto di lei dice vorrei essere altrove ma so che ogni altrove sarà peggio, api ubriache di succhi stagionali caracollano su mezzi frutti da esposizione, ho visto api cadere a terra e morire per via di un peccato di gola, ho notato api neglette accontentarsi sui banchi dei fiori, tra escrescenze violacee colanti grassi profumi e timide aperture impallidire al sole dopo aver gettato polline come sangue in polvere da una ferita riaperta ogni mattina, di proposito.