Anche in questo preciso momento miliardi di persone stanno facendo qualcosa. Anche stando seduto qua di fronte al monitor sento auto che passano, lavori stradali, vedo siti che si aggiornano. Mi sforzo di immaginare persone lontane e quello che stanno facendo. Una parte del pianeta è al buio, molti dormono, ma stanno comunque facendo qualcosa, si muovono nel sonno, sognano forse.
Quanti saremo a fare qualcosa in questo momento sul pianeta? Dieci miliardi di persone? Alcune stanno nascendo proprio ora, possiamo far finta di sentire i vagiti che coprono l'ultimo fiato di chi invece se ne va. Miliardi di cervelli impegnati ad analizzare l'attimo, il presente, cose come muovere la mano in un certo modo, ascoltare, guardare, progettare le azioni dei prossimi secondi, dei prossimi minuti. Gesti semplici, niente che comporti il futuro della specie. D'altronde sarebbe assurdo pretenderlo, non esiste una coscienza collettiva, solo miliardi di individui che pensano a lavarsi, a mangiare qualcosa, in definitiva a sopravvivere un altro giorno.
Noi fortunati che apriamo il frigorifero, il rubinetto, la portiera dalla macchina, la scatola dei medicinali, pensiamo che in fondo sia facile, quasi noioso, arrivare a domani. Altrove magari al domani neanche ci pensano, non ha significato il futuro, non ha senso la vecchiaia, quando tutto intorno si muore così, da un momento all'altro, bambini adulti vecchi non fa differenza, tutti sono soggetti a una morte improvvisa per le cause più strane e insondabili. Malattie senza nome a cui si dà l'aspetto di spiriti malvagi, incidenti che possono capitare e non hanno nulla di scandaloso, non provocano sdegno né rabbia, solo una serena, stanca, apatica rassegnazione.
Noi parliamo di futuro della specie, di futuro del pianeta. Ci sentiamo i padroni, i responsabili, i chiamati dal destino, gli eletti da dio, per risolvere problemi creati da pochi, gestiti da pochi, voluti da pochi. Subiti da tutti. E mi accorgo di essermi sentito in colpa, di aver creduto a quelli che mi dicono è anche colpa tua se il futuro è in bilico. Ho creduto fino a pochi secondi fa che i popoli civilizzati fossero colpevoli di tutto e i selvaggi di niente. Noi popoli grassi, dalla vita sedentaria, programmati a svolgere attività giornaliere del tutto estranee alla natura dell'uomo, gesti alienati in ambienti alienanti, giorni ripetitivi in ragnatele sociali, vincolati da gerarchie basate su regole subdole e illogiche.
Ma in realtà noi non abbiamo fatto niente. Noi siamo, in quanto più invischiati, ancora più vittime dei selvaggi abitanti di terre senza elettricità, senza asfalto, senza onde radio, soggetti ai capricci del caso che camminano abbracciati alla morte, senza tenerla nascosta nel ripostiglio come facciamo noi, terrorizzati ormai non solo dall'idea che la vita finisca, ma addirittura che col tempo il corpo si consumi, invecchi.
Noi non abbiamo fatto niente, semplicemente ci alziamo e cerchiamo di procurarci di che sopravvivere fino a domani, non siamo diversi dai selvaggi che non inquinano. Se per sopravvivere ci dicono di metterci la cravatta e andare in macchina a chiuderci in una stanza e parlare gentilmente con altre persone noi lo facciamo. Se fa freddo noi cerchiamo un modo per scaldarci, che sia legna che sia gas. Se ci danno dei pezzi di carta e un posto nel quale scambiarli con cibo noi prendiamo i biglietti e li usiamo per comprare da mangiare. Se stiamo male cerchiamo qualcuno che sappia che sostanze farci assumere per tornare in salute.
Chiunque al nostro posto farebbe la stessa cosa. Diciamo ai brasiliani non togliate la foreste. Diciamo agli africani non uccidete gli animali (nel Zimbabwe non esistono più molte specie di animali, sapete perché? La gente aveva fame e se le sono mangiate). Diciamo ai cinesi non diventate come noi. Ai sudamericani. Diciamo a mezzo mondo noi stiamo uccidendo il pianeta, non fate come noi.
Ma se non siamo stati capaci di impedire a noi stessi di agire con un orizzonte temporale più lungo dell'immediato, come potremo mai impedire agli altri di fare lo stesso? Di seguire le nostre orme. Siamo forse disposti noi a rinunciare, a tornare indietro? Potremmo accettare la morte di bambini piccoli per mancanza di medicinali? Potremmo accettare una vita media di quarant'anni costellata di malattie. Una volta potevamo, non molto tempo fa, diciamo un paio di secoli fa. Potevamo accettare di fare dieci figli e vederne morire otto. Potevamo accettare di sputare sangue per la tubercolosi liquidando il problema con un'alzata di spalle. Era normale.
Adesso che cos'è normale? 65 anni di giornate tutte uguali, incasellati nell'organigramma della società civile, come tanti piccoli robot al servizio di una formica regina che ci promette sorridendo l'annientamento del pianeta. Ci fornisce benessere materiale in cambio di una vita frenetica, piena di paure, le menti coordinate, omologate, assuefatte dai programmi televisivi. Mutui da pagare, stile di vita da mantenere, mode da seguire, tutti oboli da pagare per l'accettazione sociale, per emergere, per stare a galla, per non finire al livello dei selvaggi, sottopagati, malati, ignoranti, incivili.
E invece sai cosa? Non c'è differenza. Solo miliardi di persone che seguono il programma della sopravvivenza come meglio possono, guardando non a quello che deve fare l'umanità per arrivare al prossimo secolo ma quello che deve fare il singolo nei prossimi dieci minuti. Non è vero che noi viviamo meglio di loro, anzi, direi il contrario dal momento che i suicidi aumentano con il benessere materiale. Non è vero che noi siamo più istruiti dato che abbiamo scordato le regole elementari della vita sul pianeta e non sapremmo rimanere in vita in un ambiente naturale e non artificiale. Non è vero che a noi la morte non ci tocca fino alla vecchiaia dato che moriamo in macchina per le strade, ci vengono i tumori per lo smog, ci vengono gli infarti per lo stress.
In realtà noi abbiamo fatto un baratto. Abbiamo ceduto una vita intensa, profonda, significativa, umana nella più umile e vera delle accezioni in cambio... in cambio di che? Di un programma da eseguire come robottini per tutta la vita, giorno dopo giorno, come schiavi delle antiche galere, a spingere sui remi sotto la frusta di una formica regina senza nome. E nel farlo ci dobbiamo anche sentire in colpa perché questo scambio sta producendo come effetto la morte del pianeta.
venerdì 5 giugno 2009
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