martedì 25 maggio 2010

Cella 211

L'unica differenza fra le persone, come gruppo sociale, che vivono nel carcere e le persone che vivono libere è che i primi hanno commesso un reato. In questo film si descrive come un uomo innocente passa dal sentirsi parte del gruppo degli uomini liberi a quello degli uomini colpevoli di reato sia di fatto, perché a un certo punto commette un omicidio, sia col cuore, in quanto scopre che non c'è differenza tranne quella del senso di appartenenza e di uno scopo in comune.

Infatti sia nel gruppo dei carcerati che i quello degli uomini liberi si riscontrano gli stessi pregi e gli stessi difetti. I cattivi non stanno tutti da una parte. Gli stupidi sono ovunque, sia dentro che fuori, lo stesso per i malvagi, per i traditori, per i vigliacchi, per gli egoisti, gli ignoranti e gli stupidi. E ovunque ci sono anche persone leali, compassionevoli, comprensive, altruiste e intelligenti. Addirittura gli uomini liberi che lavorano come guardie sono in una terra di confine e, paradossalmente, scontano tutti una condanna all'ergastolo dal momento che passeranno l'intera loro vita lavorativa all'interno della struttura penitenziaria.

In questa cornice si evidenzia come l'atteggiamento della società civile sia di sostanziale indifferenza nei confronti della situazione in cui si trovano i carcerati. Le loro condizioni di vita non suscitano interesse perché vengono considerati diversi, particolari, marchiati a fuoco da un evento che ha fatto emergere la loro natura disumana e pertanto indegni di considerazione.

Questa è proprio la convinzione che vene scardinata nel film. Non sono diversi, non sono difettosi. Hanno commesso un atto punibile con la detenzione ma non per questo hanno attraversato un confine illusorio fra ciò che rende le persone degne di vivere libere oppure no. Esistono infatti in libertà centinaia, miglia, milioni di persone identiche a quelle incarcerate, con gli stessi difetti, brutture, cancri nell'anima, che sono libere solo per non aver compiuto un illecito o per non essere state scoperte o giudicate colpevoli.

Il teorema è dunque che nessuno al mondo merita di venire rinchiuso in istituzioni studiate per annichilire l'umanità, per quanto squallida e rovinata, di chi non smette di essere come tutti gli altri per aver compiuto un reato. Il film si limita a puntare il dito contro gli eccessi punitivi del sistema: isolamento, nessuna speranza di rilascio, soprusi delle guardie, orari di visita. In realtà il dibattito in alcuni paesi evoluti dove il carcere non si può definire squallido e degradante al punto da meritarsi una sceneggiatura incentrata sulla rivolta, il dibattito si è già spinto oltre e si stanno sperimentando isole abitate da detenuti (selezionati) che vivono in libertà. Abitano in case vere e proprie, hanno un lavoro, vivono come gli uomini liberi tranne che per l'obbligo di rimanere confinati all'interno di un territorio piuttosto che in un carcere.

In fondo lo scopo della giustizia moderna, che non vede ragione nella semplice punizione vendicativa, è fare in modo che chi ha compiuto un gesto esecrabile venga espulso dal tessuto civile, almeno per un po', in modo che le vittime si sentano in qualche modo risarcite al pensiero che il colpevole non esista più, sia stato mandato via, non sia possibile incontrarlo per strada, sia come morto o almeno ferito. Che poi subisca violenza fisica in carcere o meno non aggiunge soddisfazione alle vittime, o almeno non dovrebbe in teoria aggiungerne qualora le vittime non siano assetate di estrema vendetta.

Che fare allora di questi individui che la società vuole eliminare? Farli vivere come animali a spese del contribuente e poi rimetterli fuori conciati peggio di quando sono entrati o isolarli garantendogli una vita pressoché normale in cambio di lavoro e comportamento ineccepibile? È difficile dare una risposta perché se l'effetto di un reato viene percepito come un miglioramento della propria vita ci potrebbe essere chi sceglie di delinquere per ottenere il biglietto d'ingresso nell'isola dei carcerati felici.

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