Da qui posso vedere lontano. È una delle tante cose che ci divide, il bisogno di salire in alto per guardare lontano. È il fattore più importante, la causa di tutta l'incomprensione, la fonte di quello che mi piace chiamare destino, una serie di scelte obbligate. Impossibile per me ignorare, schivare l'impulso, sarebbe come rinunciare a bere fingendo che la sete sia solo frutto di immaginazione. Non riesco a ingannare me stesso, non posso, non sono come voi, non mi è data la capacità di rifiutare per calcolo, anche se questo significa agire contro il mio interesse, andare incontro alla fine.
Voi avete paura di me, io di voi neanche un po'. I vostri proiettili, le vostre punte, i vostri aggeggi meccanici che si tengono a distanza, nell'attesa che sgorghi il panico nel mio sguardo per trovare il coraggio di attaccare. O la ferocia di un ringhio di sfida per pensare che me lo merito, che sono troppo feroce, pericoloso, incontrollabile. Volete che mi batta i pugni sul petto e io vi accontento. Sono solo stanco, di una stanchezza che affonda le radici in luoghi dell'anima che non potete raggiungere. Non provate il bisogno di guardare lontano, di stare semplicemente seduti a guardare, senza fare niente.
È così che stavo col branco il giorno in cui notammo dei puntini nel mare e quei puntini eravate voi. Nessuno poteva supporre in quel momento che esseri così piccoli stavano arrivando a distruggere, uccidere. Senza motivo se non la paura, la necessità di eliminare tutto ciò che potrebbe rappresentare potenzialmente un problema. Eventuali problemi futuri, ecco come ragionate, è l'unico modo che avete di guardare lontano. Ecco perché sono salito quassù, non perché sono spaventato, non perché cerco di fuggire. Sono qui perché so quando giunge il momento giusto per chiudere, quando continuare sarebbe solo sopravvivere, vendere se stessi in cambio di un'esistenza vuota e miserabile.
Non vi limitate a vendere la vostra vita, vendete anche tutto il resto, il mondo intero. Volete angoli dove trovate curve, spianate ogni sporgenza, riempite tutte le buche. Vi spaventano le spirali, le ramificazioni. Ogni cosa dev'essere pulita, liscia, resa misurabile dai grezzi strumenti che adoperate per far entrare l'universo nell'angusto spazio del vostro raziocinio. Dite che sono io quello a cui manca qualcosa, l'umanità, quando siete voi i mutilati, che avete strappato dalla vostra mente, dal nucleo delle vostre essenze, stelle e pianeti di consapevolezza fondamentali. La chiamate umanità e la vedete come un traguardo, per me è strapparsi un occhio e vantarsi di aver perso la percezione visiva della profondità.
Siete arrivati e subito avete iniziato a tagliare, modellare, accumulare. Il puzzo dei vostri fuochi sempre accesi era qualcosa a cui non eravamo abituati e mai ci saremmo abituati. Anche qui, adesso, la puzza di fumo è insopportabile. Ho raggiunto il punto più alto della vostra città e ancora non basta. Volerei via, se potessi. Vorrei impadronirmi delle vostre conoscenze solo per un istante, il tempo che mi serve per usare uno dei vostri aerei e fuggire lontano. Non è paura la mia, è totale rifiuto, è orrore. Forza, azionate le vostre armi e facciamola finita, vi sto aspettando, non posso suicidarmi buttandomi di sotto, è un'altra conseguenza del non essere come voi, del non voler accettare i compromessi dell'umanità. Non diventerò mai umano, quello che vi sembra di vedere in me, nell'espressione, nell'umidità dei miei occhi, non è un briciolo di umanità immatura. Siete voi che avete una frazione di ciò che sono io in totale e lo chiamate umanità scambiandolo per un intero.
Quanto ci avete messo a distruggere il branco? Un mese, forse due. Uscivate in fila dalla vostra fortezza e la caccia aveva inizio, giorno dopo giorno. Molti di noi sono stati uccisi nel sonno. Avvelenati, catturati e massacrati lentamente. Voi ci mangiavate. Usavate parti del nostro corpo come ornamento. Sono nauseato dall'odore del sangue e mi avete costretto a immergerci le mani, a sentirne il sapore. Lo ammetto, vi odio. Devo ringraziare questo sentimento se sono ancora vivo. Tutti gli altri non hanno mai imparato a odiarvi, pensavano che a guidarvi fosse una legge naturale, che non foste malvagi. Ecco cosa siete riusciti a insegnarmi: l'odio. Ecco dove mi ha portato imparare qualcosa da voi, in cima a un grattacielo per abbracciare con sollievo la sconfitta. Perché alla fine dovete sempre vincere voi, ci ho messo tutta la vita a capirlo. Avrei dovuto lasciarmi uccidere insieme al resto del branco, almeno le mie ossa riposerebbero con le loro. Mi mangerete come avete fatto con gli altri? Dove butterete le mie ossa dopo avermi mangiato?
Anch'io volevo insegnarvi qualcosa. I vostri sacrifici per placare la mia rabbia mi avevano indotto a credere che avevate capito, che avreste smesso, che sareste cambiati. Trovare uno di voi legato fuori dal villaggio ogni plenilunio era un conforto per me. Fino a quando avessi trovato la vittima designata sarei stato al sicuro, non dovevo più temervi. Pensavo avessimo patteggiato una tregua perenne, un armistizio senza fine. Non riesco a spiegarmi cosa mi abbia sempre trattenuto dall'irrompere nel villaggio per eliminarvi tutti, fino all'ultimo. Anzi, lo so. Sarei rimasto solo, circondato dalle ossa di quello che era il mio branco. Non avrei più avuto modo di scaricare il dolore nel tentativo di restituirvelo. Non avrei mai più avuto voglia di salire in alto e guardare lontano.
La ragazza ha di nuovo perso i sensi. Non fa che gridare quando è sveglia. È terrorizzata più da me, che non le ho fatto alcun male, che dai vostri proiettili. Avete di nuovo iniziato a sparare, vorrei che fosse più veloce, voglio che finisca prima di sentirmi spinto a scendere da qui e farvi a pezzi, voi e le vostre cose. Fate presto, almeno questo favore concedetemelo. La ragazza non ha idea di quello che provo per lei. L'ho riempita di significato, la guardo e mi convinco che lei è il branco che mi faceva sentire parte di qualcosa, che lei è ciò che provo guardando lontano in compagnia di qualcuno identico a me. So che è illusione, ma voglio morire accanto a qualcosa che mi fa sentire bene, faccio finta che non sia solo umana ma qualcosa di più. Preferisco quando è svenuta, sentirla gridare mi impedisce la concentrazione, mi innervosisce.
Sono pronto. Avanti, metteteci più impegno. Cosa devo fare per convincervi? Prendere al volo uno dei vostri giocattoli e scagliarlo lontano? Così va meglio? Vi sentite più motivati adesso? La ragazza l'ho messa giù, non rischiate di colpirla. Non sento più dolore, non sento più niente. Ho solo voglia di ritrovarmi seduto col mio branco, al tramonto, con la certezza che non mi accadrà mai la disgrazia di incontrarvi. La mia colpa non è quella di non essere diventato umano, ma di esserlo diventato troppo. Contagiato dal vostro esempio ho portato all'estremo la vostra natura per mostrarvi un paesaggio lontano. La mia colpa è di non essere riuscito a contagiarvi a mia volta, di aver continuato a credere in qualcosa che avete perduto in modo totale e definitivo. La mia colpa è la speranza di aiutarvi a ritrovare voi stessi quando in realtà cerco solo di non perdere me stesso.
Ora l'ho capito, non ho più voglia di combattere, non ho più scopo. Mi aggrappo per morire qui dove sono, in alto, dove posso guardare lontano. Non sopporto l'idea di cadere ancora vivo, di morire in terra, laggiù, dove voi siete a vostro agio tra spigoli e fumo. La mia paura è che la caduta mi dia l'opportunità di darvi ragione, di scoprire d'aver lasciato in cima al grattacielo tutto ciò che non mi rende umano. Sento di essere arrivato a un passo dal dimenticare il significato delle cose. Mi avete tolto le forze poco a poco, facendomi restare solo, strappandomi dalla mia terra, tenendomi soggiogato mediante il per me sempre traumatico e incomprensibile sacrificio dei vostri simili. Mi avete cambiato e questa è l'ultima opportunità che mi rimane per abbracciare la verità della mia vita. Continuate a sparare, per favore, non fermatevi adesso.
mercoledì 9 giugno 2010
Kong è il nome che mi avete dato.
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