Quando c'hai un figlio servono tanti soldi. Non credere a chi ti dice che non è vero, mente. Se fai tanti figli e poi non hai abbastanza soldi non c'è una legge che i soldi che ti servono li stampano apposta per i tuoi figli. In altri tempi o altri luoghi forse è diverso, fai i figli e poi quello che sarà sarà, ma qui e ora se fai un figlio e non hai i soldi potrebbero sorgere grossi problemi. In teoria una persona responsabile e intelligente non dovrebbe avere figli se è povera, ma questo significa offendere mezzo mondo perché il paradosso è che i ricchi hanno pochi figli e i poveri tanti. Non è nemmeno vero che i ricchi sono tali perché intelligenti e responsabili. Forse i poveri hanno più tempo libero o sono più sentimentali, chi lo sa. Non c'è una logica, è futile cercarla. Le prove che è inutile credere a un mondo razionale sono infinite, ma niente e nessuno vieta di sperare nel futuro, per cui evitiamo di indossare un buffo cappello e uscire a ballare per le strade arrendendoci alla follia imperante.
Ad ogni modo il primo impatto col concetto di iterazione infinita per un bambino è traumatico. Specialmente quando è legato alla necessità di soldi. Ieri stavo andando in centro con mio figlio Elia, 5 anni a Luglio, e ho detto che dovevo prelevare dei soldi. Lui ha inchiodato i freni della bici, è sceso, si è tolto il casco e ha iniziato a frugarsi nelle tasche.
“Papa, hai detto che prendi dei soldi?”
“Prelevo, dal bancomat, sono in bolletta.”
“Ti servono dei soldi?”
“Come ci andiamo in piscina oggi senza soldi, paghi tu?”
“Sì! Io ho i soldi!”
Dalle tasche esce solo un fazzoletto di carta e un pupazzetto di Iron Man.
“Dove sono i tuoi soldi, non li vedo.”
“Forse mi sono dimenticato di comprarli.”
“Ah sì? E con cosa li compri i soldi?”
Silenzio. Occhi sbarrati. Garda il fazzoletto, guarda me, guarda il pupazzetto, guarda me.
“Con questi?”
“Fammi capire, vuoi comprare dei soldi pagandoli con un fazzolettino, usato per giunta?”
“Va beh, per stavolta allora usiamo i tuoi.”
“Anche perché tu di soldi non ne hai.”
Ci avviamo a piedi, la bici a spinta.
“Papa, dove li prendo i soldi?”
“Eh, non si prendono, si guadagnano.”
“Gadagna no?”
“Fai una cosa per prendere soldi. Si chiama lavoro, anche se in teoria la definizione a mio parere non è corretta o esaustiva né completa.”
“Eh? Cosa dici! Non capisco.”
“Lavoro, devi lavorare.”
“Bene, io voglio lavorare.”
“Non puoi, sei troppo piccolo.”
“Non sono troppo piccolo! Voglio lavorare!”
Sta gridando, alcune persone hanno sentito e mi stanno lanciando occhiatacce. Sfruttamento minorile, dicono le loro facce, biasimo e rimprovero e condanna per me. Sospiro.
“Va bene, vedrò cosa posso fare ma è un momentaccio, c'è la crisi.”
“Siamo d'accordo allora, io lavoro e tu mi dai i soldi.”
“No, al massimo posso insegnarti i fondamenti del trading. Ti apro un fido di dieci euro virtuali e vediamo quanto riesci a farli fruttare in un programma di simulazione.”
“Quindi posso avere adesso i miei soldi?”
“Quanto vuoi di anticipo per chiudere l'argomento e stare zitto per un po', ti bastano queste monete?”
“Mi danno il giornale dei power rangers con questi soldi?”
“Sì.”
“Mi piace lavorare. Quanto tempo manca alla piscina?”
giovedì 3 giugno 2010
Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (27 di N)
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