- Voglio la pizza, papa. -
Ha la febbre, gli occhi cerchiati, arrossati, tossisce.
- Adesso telefono e la ordino, che ore sono? -, chiedo a nessuno in particolare.
- Sono le ventinove. -
Sorrido, per mio figlio sono sempre le ventinove.
La solita pizzeria oggi è chiusa, ne cerco un'altra sull'elenco.
E' una cascina ristrutturata, all'interno ci sono tanti tavoli apparecchiati ma solo uno è occupato. Il personale sta cenando, è ancora presto.
Ci sono delle stampe alle pareti. Due di queste si intitolano vieille noces. Nella prima c'è un vecchio curvo sul bastone che viene aiutato ad alzarsi dalla sedia. Ha una smorfia di dolore o fastidio sul volto. Intorno a lui persone che spillano vino dalle botti, cani festosi, gente che ride, un suonatore di trombone, brindisi, ceste di pane, dolci. E il corteo della giovane sposa con bambini che gettano petali, fiocchi, coriandoli. E una folla di sguardi luminosi, sospettosi, ironici, tristi, gioiosi.
Il personale parla di macchine. L'assicurazione non ti rimborsa il danno se supera il valore del veicolo. Guido io perché lui schiaccia mentre io vado a velocità di crociera, come la gente normale. E' una ragazza robusta che parla, ha i capelli rossi fissati dietro la testa con un fermaglio a molla, la pelle sulle guancie è segnata, un occhio leggermente strabico. Si muove rapida quando tutti insieme si alzano e iniziano il turno di lavoro. Ha l'aspetto di una persona serena, dice l'avevo avvisato ma lui ha voluto cambiarla ma chissene, se la paga lui, io la mia mi va benissimo.
Nell'altra il vecchio è in piedi, anche lui ha un bastone ma ha l'aria di godersela. Occhialini rotondi di metallo, ben pasciuto, nella posa a schiena arcuata all'indietro di una nave rompighiaccio. Guarda la sposa e sembra deglutire, l'acquolina in bocca. Una sposa timida, dimessa, da rossore e mani inquiete. Tutt'intorno festoni, allegria, un animale, un maiale o un vitello non si capisce, scuoiato nell'aia col macellaio sporco di sangue che guarda la sposa a denti scoperti.
- Arriva Battista -, dice il cameriere che nel frattempo ha indossato una giacca di cotone cremisi gualcita e forse stazzonata ma può darsi sia solo il volto lucido e l'ombra di barba a farmelo pensare, - Sette meno cinque, è il nostro orologio vivente. -
No, penso, sono le ventinove. Battista entra, commenta una primavera troppo calda, si avvia a quello che intuisco essere il suo solito tavolo.
Le mie pizze sono pronte. A casa scoprirò che la crosta non è croccante e che sulla mia hanno dimenticato di mettere i funghi.
Intanto il cameriere porta a Battista l'acqua, -Gasata ma non fredda -, dice con tono affettuoso. Battista annuisce lentamente e per un attimo lo sovrappongo al vecchio sulle stampe, anche se non so decidere quale delle due.
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