Quando c'hai un figlio sembra ieri che l'hai portato a casa e invece l'anno prossimo va alle elementari, ieri sera ha detto quando faccio così, e addenta per un momento il panino imbottito, mi fa male un dente, qui, sotto, questo. Gli tocchi l'incisivo inferiore sinistro e ti accorgi che balla, che dondola, tuo figlio ha iniziato a cambiare i denti, ogni volta è un piccolo strappo nel cuore toccare con mano le prove del fatto che diventa grande. Sembra ieri che l'hai visto per la prima volta, nella culla di alluminio dell'ospedale, le calzine troppo grandi fissate ai polpacci col nastro adesivo che usano per tenere a posto i tubi delle flebo e dell'ossigeno. Perché c'erano quelle calzine troppo grandi, da dove arrivavano non te lo ricordi, forse un regalo. Le manine chiuse, gli occhi chiusi, il cordone ombelicale che è un'escrescenza violacea un po' ripugnante da disinfettare tutti i giorni fino a che si stacca. Gli tocchi la pelle morbida, nuova, si sente anche al tatto che è pelle nuova, pelle che brulica di vita al punto che ti sembra di vedere la rapida e violenta moltiplicazione delle cellule, tocchi la manina con la punta dell'indice e dici benvenuto, e non riesci a immaginare che possa dondolargli un dente o imparare a leggere. Un dente che dondola, sembra impossibile, forse c'è qualcosa di strano, non è troppo presto? Quando c'hai un figlio non ti senti mai pronto, non ti danno mai il tempo di prepararti a incassare i cambiamenti.
Quando c'hai un figlio pensi che quando diventa grande e indipendente si chiuderà la parentesi che ti ha reso padre, immagini di fare come Charlie Chaplin che messo incinte delle donne anche quando era un matusalemme. Ti dici che c'è dentro di te il ragazzo che eri prima e che si può sempre ripartire nella vita. Il ragionamento che va così di moda nei tratti patetici, vagamente mongoloidi, di chi corre dal chirurgo a farsi tirare o gonfiare la faccia. Il riscatto morale di chi firma nuovi contratti di matrimonio come chi trova il coraggio di andare a comprarsi un nuovo cane, magari un orfanello al canile, dopo che il vecchio fedele ha tirato le cuoia. Ti dicono che non è mai troppo tardi, che la vita comincia a 40 anni, 50, 60, che la vecchiaia non esiste più. A volte mi immagino che sia possibile evitare di crescere, di maturare, di accumulare esperienza, di fare progressi nella scalata alla saggezza. Poi vedo le arzille cariatidi che invadono con artificiosa baldanza il territorio dei giovani veri e mi scappa da ridere. No grazie, preferisco la vecchia scuola, per la quale non rimani giovane ma diventi un uomo di mezza età e poi un anziano che ha fatto quello che ha potuto ed è contento così, non sente il bisogno di rifarsi una vita, non gioca a piangersi addosso, sentirsi un perdente, sconfitto, messo fuori gioco da quella truffa chiamata scorrere del tempo. C'è gente che comincia fin da subito a sentirsi male, a mettersi in attesa del remake, perché si vive una volta sola, perché gli anni non ritornano, perché quello che conta è spremere il massimo. E invece no, qualcuno dovrebbe dirlo a reti unificate, riempire le città di manifesti che dicono 'e invece no', vivi come se la tua vita fosse una sola, la inizi e la porti avanti e la finisci, non esiste il bottone del rewind, non puoi fare taglia incolla, non si photoshoppa l'anima.
Quando c'hai un figlio vai alle riunioni, come ho fatto io ieri sera. Abituato a crollare nel sonno alle nove, afflitto da mal di gola e febbriciattola, sono andato a informarmi perché l'anno prossimo va alle elementari e bisognerà iscriverlo. Ci sono state molte domande, nessuna proveniente da me. Non so perché non mi vengono mai in mente domande da fare. Un padre molto domandoso ha invece chiesto se tenevano i bambini fino a sera tardi, se li tenevano anche d'estate, se avrebbero dato compiti a casa obbligandolo al lavoro supplementare di aiutare il figlio la sera, tornato dal lavoro. Uno di quei padri che sanno come farsi voler bene, e magari si lamenterà per la scarsa frequenza delle visite del figlio quando verrà scaricato all'ospizio. Già me lo vedo a far venire i sensi di colpa elencando tutti i sacrifici che ha fatto per i figli, tutto il lavoro per dar loro benessere e opportunità. E mi sento in colpa per averlo giudicato, mi vien da pensare che forse è meglio di me per un mucchio di motivi che non conosco. Una delle maestre risponde no, pochi compiti ma se suo figlio impara a leggere secondo me è anche bello la sera, ogni tanto, ascoltarlo mentre legge. Lui ha fatto silenzio qualche secondo poi ha detto se uno li vuole iscrivere agli sport o a musica, a danza, deve far venire la baby sitter per i trasferimenti o ci pensate voi? Al che mi è venuto da sbadigliare forte e da tornarmene a casa. Ho guardato la maestra e ho fatto il gesto con la mano che significa 'annamo? svicolo tutta a mancina? levo le tolle? E lei ha annuito, mi ha dato il permesso di andarmene, ma quando mi son girato ho visto la sorella, la madre, la suora seduta di fianco alla porta e ho cambiato idea, sono rimasto fino alla fine.
Quando c'hai un figlio torni a casa dalla riunione e scopri che è rimasto sveglio, che ha aspettato il tuo ritorno, e vorresti dirgli grazie, non c'era bisogno di dimostrarmi niente ma grazie, e invece dici “Come mai non sei a letto a dormire? È tardi.” Succede sempre così, le cose che si dicono nella realtà difficilmente sono quelle che si vorrebbe aver detto, non c'è un regista che grida stop, uno sceneggiatore che riscrive le tue battute, un montatore che mette insieme solo i pezzi migliori.
giovedì 25 novembre 2010
Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (32 di N)
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