gno tranquillo di quelli con le virgole, le piccole pause, continue, che sai di essere in un sogno e non ti interessa niente, non hai altro posto dove stare, sei rassegnato a vivere il sogno come quando ti siedi a tavola in quei pranzi che durano ore e sai che, dal momento in cui ti siedi, il pranzo diventa reale, acquista nuove dimensioni da cercare sugli orli dei bicchieri, nelle bollicine dei vini bianchi e delle acque minerali, nei sorrisi sulle facce dei presenti che rischiano di spegnersi, fiammelle di buonumore che vanno protette dal vento, dal vanto, dalle facili battute e dagli antichi risentimenti, e nel sogno mi trovo a mangiare verdura perché sono vegetariani, perché sono vegani, è così che mangio per non offendere nessuno, con movimenti lenti e la sensazione di non aver altro posto dove andare che non sia buio e freddo, perché l'inferno dicono che è caldo ma non è così, l'inferno è buio e freddo e quando si parla non viene emesso alcun suono, qui almeno c'è del cibo, ci sono delle persone che si sforzano di socializzare, di fraternizzare, sono poche, lo so, nel sogno le persone sono poche perché questo posto ha aperto da poco, la sua vocazione turistica sboccia voluttuosa nei depliant, nelle brochure, nella gentilezza delle hostess incaricate di ritirare i questionari sul gradimento, sì, ho gradito molto, grazie signora hostess, adesso mi dica che il sogno è finito per favore, mi dispiace molto, dice lei, mi dispiace dover essere io informarla gentile cliente, cortese ospite, dice lei, il pranzo di benvenuto è appena cominciato, dice la hostess spalancando gli occhi, e inizia a muovere le braccia flessuosa e scivola via con la rapidità di chi sta soffocando una risata, la osservo rimpicciolire nel corridoio e mi accorgo che la prospettiva è sbilenca, le proporzioni esagerate, la musica d'ambiente monotona e ripetitiva, poca gente uguale poca immondizia, dice una voce accanto a me e io annuisco di riflesso, in automatico, mi accorgo che avrei annuito a qualsiasi affermazione e penso sia colpa del cibo, di questi composti vegetali dai colori brillanti, senza aromi artificiali, senza profumi accattivanti, e la voce continua mi chiede lei dove pensa che scarichino i cessi del villaggio, io sto zitto e penso all'inferno, scaricano nel buio e nel freddo, dove non puoi più sentire neppure l'odore della tua stessa merda, sto zitto, annuisco come se fosse una cosa risaputa, e lui dice nel mare e subito dopo dice scommetto che anche lei sta mangiando per non offendere nessuno, è adesso che lo guardo, come fai a saperlo, chi sei tu per saperlo, io ti conosco, io devo sapere chi sei, io ti devo riconoscere, infatti è paolino, non lo vedo da trent'anni, da quando mi ha rapato, dico mi sembra di conoscerla, lei per caso nella vita fa il barbiere, sono indeciso, non so se ridere o piangere, trent'anni fa ero un ragazzino di undici anni, trapiantato e obeso, sbeffeggiato e rissoso, come ho fatto a non morire da piccolo, mi chiedo, dev'essere stata la paura dell'inferno a mantenermi vivo, tutto lì, all'inferno la speranza non viene mai meno, è la parte peggiore, lo so, ci sono stato in vacanza, da piccolo, ogni tanto ci torno per controllare se è ancora lì, non ha mai finestre rotte, erbacce in giardino, ruggine sui cancelli, è perfetto come nelle foto dei cataloghi, lo guardo da fuori e mi impedisco di entrare, intanto paolino mi parla di tagli, di pettini, di forbici e rasoi, mi spiega la struttura del bulbo e il suo ruolo nel processo di invecchiamento del capello, paolino che mi fece la pettinatura con la riga, la scriminatura dice paolino entrando nei miei pensieri, portandosi alla bocca una forchettata di gemme che spurgano resina dorata, la scriminatura da riporto, dove la vogliono i calvi, gli anziani, gli uomini kafkiani da ombrello e valigetta, paltò e bombetta, che quando mi vide in lacrime, perché mi misi a piangere, in silenzio, come quando all'ospedale mi dissero adesso devi fare l'ometto coraggioso, sentirai pungere ma devi stare fermo, e io fui coraggioso e lasciai che l'ago ricurvo mi entrasse in bocca, che l'amo d'acciaio mi cucisse le labbra, solo lacrime senza emettere un lamento, senza fare smorfie, come succede all'inferno, che aspetti la fine per dire grazie e arrivederci, per alzarti e andartene, e invece ecco nuove portate, nuove posate, nuovi bicchieri, che paolino per rimediare impugnò la tosatrice elettrica e disse non c'è problema, un bel taglio a spazzola risolve tutto, e dopo qualche minuto ero rapato, la mia testa sembrava un pianeta morto, sembravo un pidocchioso obeso depresso e sentivo nel fiato di paolino l'odore dell'alcol, vedevo negli occhi di paolino la stessa lucidità che vedo ora, trent'anni dopo, le palpebre arrossate, la soddisfazione di chi riesce a sentirsi a proprio agio anche sapendo che non dovrebbe, gli dico non si preoccupi, non ce l'ho con lei, e lui sospira, appoggia le posate sul tavolo, si appoggia allo schienale e guarda il soffitto, poi dice si sognano persone, non cose, è la dimostrazione che un dio esiste, poi chiude gli occhi e mi sembra che stia pregando, aspetto che succeda qualcosa ma non succede niente, tranne che l'
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