Quando c'hai un figlio gli chiedi “Ma noi ridiamo tutto il giorno?” e lui ti dice sì, ti dice saremo amici per sempre, e hai l'impressione che per la prima volta abbia capito il senso di una domanda retorica. Allora provi con l'ironia, a cena indichi la coscia di pollo gli dici “Perché non ti mangi anche le ossa tanto che ci sei?”, e lui ti risponde che le ossa non si mangiano. L'ironia magari più avanti, c'è da aspettare ancora un po' per l'ironia, almeno per quella iperbolica, a quanto pare. L'istinto gregario invece è in piena fioritura. Mi accusa di essermi dimenticato questo e quello, di non fare le cose come si deve, mi elenca col tono della maestrina – senza offesa per le maestre, è solo un abusato modo di dire – le varie fasi che devo eseguire per non sbagliare nulla. Il tutto per il mio bene, perché vuole che io sia perfettamente integrato, irreprensibile, inserito, inappuntabile. Proprio ieri mi ha detto “Papà, io voglio essere come tutti gli altri.”
Ora dice papà, non papa, soprattutto quando sta fertilizzando l'albero del conformismo, dell'accettazione sociale. C'è un armadietto dove si lasciano le giacche dei bambini e l'altro giorno i bambini sono usciti in cortile e mio figlio era l'unico senza giacca. Adesso tutte le mattine mi ricorda di lasciare la giacca nell'armadietto, accompagna il suo vecchio e inadeguato padre (che sono io) per sincerarsi che tutto ciò avvenga e lui non debba più sentirsi espulso dal branco per evidenti carenze di vestiario. Vuole essere come tutti gli altri, come biasimarlo? Chi non lo vorrebbe? Il conforto – il comfort – del gregge, del circolo, della mandria, del club. Ah, gli amici e le amiche, i sorrisi, le battute, le telefonate, le pacche sulle spalle. Dall'altra parte ci sono le prese in giro, gli sputi, gli scherzi di pessimo gusto, le maldicenze, le occhiate a volte pietose a volte maligne di chi sta invitando tutti alla festa tranne te. Voglio essere come tutti gli altri, mi dice, e io annuisco, sì, fai così, figliolo, se ci riesci, perché no?
Poi c'è chi non ci sta perché non vuole e chi non ci sta perché non ce la fa, gli costa troppa fatica rincorrere le mille necessità della mente collettiva che giudica, accetta e respinge, esalta e sminuisce, e parla per bocca dei santi e dei profeti della moda, dell'opinione buonista, dei comportamenti ritenuti più adeguati. Che tu voglia essere come tutti gli altri è un bene, significa che sei sano di mente, sei orientato al bene comune, nessuno sospetterà di te l'introversione e l'asocialità, o peggio l'egoismo e l'insensibilità. Meglio umano, troppo umano, che troppo poco. Sono contento se diventi come tutti gli altri e sei contento di esserlo, la vita diventa molto più semplice, più ricca di occasioni. Ah, l'integrazione, la fusione nel corpo sociale, la comunione con gli altri fedeli della stessa religione, una fede scritta nei geni delle specie animali che intendono sopravvivere e lasciare che si estinguano gli esemplari solitari e gli infelici, i privi di grazia e di empatia.
Anch'io ho sempre voluto essere come tutti gli altri, vorresti dire a tuo figlio tacendo sul rischio che finisca dalla parte delle vittime, a sentirsi dare del grasso se sarà grasso, del brutto se sarà brutto, dello stupido se sarà stupido. Come padre vorresti potergli dire che basta volerlo, che è una decisione personale alla quale il mondo non può far altro che adeguarsi: se vuoi essere come tutti gli altri non esistono altri che possano impedirtelo facendoti sentire diverso. E metti il caso che un giorno scopri di esserlo, diverso, che non sarai uguale a tutti gli altri nemmeno in mille anni di tentativi sprecati in continui adeguamenti, limature, rinunce, autocensure. L'albero potato, l'albero legato come quei bonsai che devono figurare aggrappati a una roccia, tutti piegati da un vento artificiale che esiste solo nelle intenzioni del giardiniere. E questo bambino che è tuo figlio è quell'albero, e chiede di venire aiutato a perdere rami, ad assumere posture che gli sono innaturali.
Alla fine stai zitto, non gli dici niente, gli lasci credere che essere come gli altri sia un'opzione alla portata di mano di chiunque, non è ancora il momento di tirare fuori i vecchi detti delle nonne, il pozzo del se tutti si buttano allora anche tu? Del vai con Lucignolo e diventi un somaro. Del meglio solo che male accompagnato. Essere come tutti, dissolvere il proprio io, tornare nel grembo dove non esisteva un io diviso dal tu, chi non vorrebbe continuare a delegare agli altri la responsabilità di se stessi? C'è chi lo fa, chi ci riesce, si annienta negli idoli di musica, sport, politica, si lascia condurre fidandosi ciecamente dell'autorità, si accontenta di poter accendere gli strumenti che lo identificano come parte del gruppo di riferimento. I gesti, i modi di dire e di fare, le convinzioni, le divise, le passioni. La paura ancestrale di ritrovarsi soli. Come non citare Pascal? “Tutta l'infelicità dell'uomo viene dal non saper stare da solo in una stanza.” e speri che abbia sempre tanti amici, che sia sempre felice, anche se questo significasse diventare uno come tutti gli altri, indistinguibile, cellula di un organo, rotella di un meccanismo, mano nella mano con amici per sempre – saremo amici per sempre, ti dice - , in un girotondo lungo tutta la vita.
venerdì 1 aprile 2011
Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (38 di N)
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