La domenica mattina non comincia niente di spettacolare e nemmeno si conclude in maniera commovente la storia di una lunga settimana. Ci si immagina che la domenica mattina l'agonia del moribondo si sia conclusa durante la notte e adesso si possa piangere e buttarsi tutto alle spalle. Andare avanti, così si dice. Avanti. Andare. Gli uccellini cantano più forte, il sole è più luminoso, l'aria ha dei profumi tutti da esplorare, e la gioia che deriva dal permettersi una birra a un'ora qualsiasi, senza preoccuparsi di niente che non sia il raggiungimento di un minimo di benessere, un permesso di libera uscita dal campo di concentramento dei doveri quotidiani. C'è un momento, tra quando ci si sveglia e quando ci si rende conto di che giorno sia, in cui si ricorda che c'è stata, molto tempo fa, la possibilità reale di vivere tutta la propria vita in un singolo giorno e di poterlo scegliere fra tanti, quel singolo giorno. Avanti. Andare. Quand'è stata l'ultima volta che ci ho creduto, ci si chiede, poi ci si butta tutto alle spalle, ci si alza e si va avanti.
La domenica mattina ci si aspetta di svegliarsi riposati, rinnovati. Si rimane delusi se qualcosa o qualcuno ci rovina la festa. Ci si sente sollevati a trovare qualcosa o qualcuno a cui dare la responsabilità di una festa rovinata. Non sono stato io, l'importante è quello, io non c'entro nulla, io stavo dalla vostra parte. Sarebbe potuta essere meravigliosa, un'avventura di estasi sublime, la felicità così come non l'avete mai sperimentata, signori e signori ecco a voi la giornata festiva, finalmente potete gioire, sentirvi nel posto giusto al momento giusto, confidare che tutto si sistemi, che tutto vada alla grande. Si fatica tutta la settimana per godersi il frutto del sudore della fronte, le ore passate chiusi dentro la macchina ad aspettare il semaforo, le riunioni durante le quali ci si trova a pensare ai capelli bianchi, a come è possibile che siano apparsi i capelli bianchi, dove sono stato tutto questo tempo, cosa ho fatto in tutti questi anni. Non sono stato io a rovinare la mia festa, si pensa, e si va in bagno a lavarsi le mani, a togliersi quella sporcizia della mente.
La domenica mattina ieri mi sembrava di essere nel deserto. Sono uscito la mattina presto e la città stava nascosta in silenzio come un animale che si accorge di aver mangiato un boccone avvelenato. In attesa dell'inevitabile. Sentivo una sveglia lanciare un trillo digitale, incessante, nessuno in casa a premere il bottone. Sentivo il profumo di camelie e glicini, a perdere petali che finivano in terra, andavano a formare mucchietti negli angoli, alcuni restavano appiccicati alle merde di cane, intere costellazioni di merde marroni chiare, marroni scure, più o meno formose, più o meno solide. E ancora sirene d'allarme che strillano di solitudine in case abbandonate per il week end in un posto più festoso, più eccitante. Qui ci sono muri crepati e muri scrostati, palazzi da legge fanfani con i muri piastrellati da decenni, balconi che somigliano a buchi squadrati per far uscire il buio che c'è dentro. Le campane rintoccano l'ora, l'inevitabile si avvicina. Una chiazza di vomito decorata a spaghetti emana ancora odore di vino. Le poche persone che incontro mi sembrano cespugli di salsola in fuga da se stesse.
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