Brazil è un film del 1985 ma chi allora pensava si trattasse di una storia di fantascienza contaminata, uno spettacolo di puro svago immaginifico, una pellicola candidata a diventare rapidamente obsoleta, lo riguardi oggi per scoprire che era invece un avvertimento profetico, capolavoro di avanguardia in quel decennio felice e ottimista.
Una sceneggiatura ricchissima di rimandi e suggerimenti, degna della qualifica di opera letteraria, dove si sprecano i virtuosismi, peraltro interpretati da attori di stupefacente caratterizzazione, efficacissime capacità interpretative, dove la tensione artistica si rivela anche nel finale anticonvenzionale. I costumi, gli effetti speciali (siamo nel 1985, teniamolo a mente), i set dall'aspetto teatrale che rendono la situazione narrativa mediante una qualità espressiva che è andata svanendo con la recitazione da telone verde, la richiesta di una complicità nella sospensione dell'incredulità sempre meno necessaria con l'avvento della manipolazione digitale delle immagini. Ma questo è un discorso nostalgico da vecchi, sempre pronti a rievocare con fastidio i bei tempi andati solo perché non riescono più a godersi i tempi presenti.
Brazil mi ha ricordato un po' 'Fuori orario', anche lì abbiamo un protagonista soddisfatto e integrato, un membro stimato della società che conduce un'esistenza serena, fino al giorno in cui succede qualcosa e quel qualcosa lo obbliga a (ri)scoprire parti nascoste di sé, a mettersi alla prova in un ambiente diventato ostile senza preavviso, adeguarsi a un mondo che c'è sempre stato ma che lui non è mai stato capace di notare. Da quel momento il protagonista cerca di tornare alla normalità, di riparare la realtà, di ritrovare l'umanità in coloro che adesso gli sembrano manichini, come lui stesso era prima del trauma. Si aggrappa alla razionalità, senza trovarla, ai sentimenti, che lo tradiscono, fino a cedere, arrendersi, rigettare la logica e abbracciare la forza dei sogni. Mentre in 'Fuori orario' la resa del protagonista comporta la fine della tortura, il ritorno alla luce del sole, alla normalità, alla prevedibilità, alla vita precedente ingiustamente disprezzata e data per scontata, in Brazil la sconfitta è invece totale, la rottura definitiva, l'esito della scelta di realizzare il sogno è la perdita di tutto il resto: della famiglia, del lavoro, dell'amore, della speranza, del senno. Chi sceglie il sogno passa al di là dello specchio e vi rimane imprigionato.
In Brazil l'umanità ha ereditato un mondo spinto verso l'eccellenza e la perfezione che fallisce e imbocca una parabola di decadenza durante la quale la società applica la rimozione psicologica del problema e finge che tutto stia andando per il meglio. Non vi formicola qualcosa sulla nuca, non vi sembra che il film abbia descritto nel 1985 la realtà di oggi? Ci sono i terroristi, in Brazil, che compiono attentati ai danni della popolazione civile. Ci sono macchine e computer, tecnologia invasiva che domina tutti gli aspetti della vita e sembra essere diventata consapevole del suo potere al punto da boicottare volontariamente ogni nostro motivo di benessere e tranquillità. E la moda, la chirurgia estetica, il pensiero dominante che si esprime nell'elitismo pseudoculturale dell'egemonia mediatica. Insomma, sembra davvero un film girato nel futuro e spedito indietro nel 1985.
Il mondo come una bella casa, costruita da nonni ingegneri e architetti, ereditata da ragazzini abituati a essere circondati dalla servitù e che scoprono una mattina che la servitù in casa non c'è più, e nessuno sa cosa fare, o quando, come, dove. Al posto di farsi prendere dal panico continua come se niente fosse e lascia che si accumuli la polvere, non ripara ciò che si rompe, spera solo che non gli crolli addosso tutto prima del tempo. Questo è Brazil: una strada scavata in un tunnel di cartelli pubblicitari, bare rosa confetto con fiocco di seta, cittadini che diventano terroristi per una burocrazia che commette errori inconfessabili, inammissibili, come uno scambio di lettera in un cognome provocato da un battito d'ali. Allora scattano le procedure, si applicano le regole, gli errori non vengono rivelati né riconosciuti, la responsabilità viene scaricata e tocca al presunto colpevole dimostrare la propria innocenza, impiegando anni di vita, ingenti capitali che, se già non li possiede, potrà chiedere sotto forma di prestito alle banche o, se privo di adeguate garanzie, allo società che si occupa della fornitura energetica nella sua unità abitativa, o agli strozzini.
Brazil aiuta a togliersi l'imbarazzo di ipotizzare un mondo ben governato solo perché gli hanno dato un ufficio, una famiglia, una routine tranquilla. Il placebo di una conquista illusoria, un tranquillante a dosi massicce, come guardare una televisione che trasmette una visione molto più realistica di qualsiasi effetto tridimensionale.
venerdì 4 febbraio 2011
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