martedì 22 febbraio 2011

Stranu storiu.

Stanotte ho sognato che le parole finivano tutte per U, e le stanze di casa erano vuote. Era vuoto il bagno, avevano portato via anche i rubinetti e i bottoni della luce. Era vuota la cucina, non c'era più lo stipetto dove ci tengo le mie brioscine preferite, al suo posto un segno sul muro, come quando togli la maglietta e si vede il segno dell'abbronzatura sul collo e sulle braccia. La mia casa era senza maglietta e sentivo freddo al posto suo. Correvo in giro cercando di fermare le persone che mi stavano svuotando la casa ma era troppo tardi, non ho trovato nessuno. Ho pensato che non è possibile far uscire tanti mobili così in fretta, che forse era un trucco da mago, una illusione, ma avevo paura di allungare la mano e scoprire che era vero, che non c'era più niente da toccare. È stato lì che mi sono accorto che c'era il re cattivo dei cartoni animati, non mi ricordo mai come si chiama, solo che non era più cattivo, aveva la faccia di chi ha paura a dirti perfino una cosa gentile perché ci sono delle volte che qualsiasi cosa dici lo fai piangere e allora è meglio stare zitti e fermi, guardare da un'altra parte, aspettare che passi da solo.

A volte lo so che è un sogno ma sono troppo stanco per svegliarmi. Preferisco accettare la tortura di un sogno come questo piuttosto che fare lo sforzo di aprire gli occhi, di alzarmi dal letto che magari fuori c'è ancora buio, è tutta fatica sprecata. È come quando sono scivolato sulla pietra, eravamo in due quella volta, due bambini obesi, lui più obeso di me, a prendere la rincorsa. Era uno scoglio piatto, molto lungo, con sopra delle alghe che divennero una poltiglia verde marrone dopo qualche scivolata. Vediamo chi arriva più lontano, era la sfida, e si rideva. A un certo punto, nel mezzo della scivolata, ho perso l'equilibrio e ho picchiato la testa, dietro, dove c'è la nuca. Mi sono rialzato e ho detto non è niente, vergognandomi, ho fatto finta che non vedevo ombre che non dovevano esserci, che non mi sentivo frastornato. Non bisogna mai pensare al peggio, certe cose succedono solo se ci credi, si nutrono della tua paura, lo sanno tutti. Mi sono concentrato sullo schivare la paura ma per quanto mi gettassi di lato riusciva sempre a scartare e a toccarmi, non sono mai stato bravo a giocare a ce l'hai.

Il re cattivo dei cartoni animati indossava la sua maschera da combattimento e quando ha capito che poteva parlarmi senza farmi scoppiare a piangere per niente, il pianto senza motivo che ogni tanto non riesco a trattenermi e mi sembra di essere tornato piccolo piccolo, il re cattivo ho scoperto che era buono nel sogno e mi ha detto “Hannu portatu viu puru lu tivvù”. Ho pensato che fosse uno scherzo per farmi ridere, come le esse allungate dei serpenti che a me fanno sssssempre ridere tantissssssimo. Invece sapevo che c'era una malattia nel sogno, parlavano tutti così, finendo le parole con la U, e la malattia era così pericolosa che la gente non si accorgeva di parlare strano, si sentiva normale, o forse non voleva produrre nutrimento, non voleva servire porzioni abbondanti di paura alla malattia. “Non sonu malatu”, ha detto il re non più cattivo, per difendersi, ma la sua faccia è diventata molto grigia e i suoi denti molto sporchi. Adesso era lui quello che era meglio non parlarci assieme, mi sembrava un re piccolo piccolo adesso che lo guardavo bene da vicino, nel mondo vero, se così posso dire di un sogno.

Il mio amico più obeso di me ha chiesto se stavo bene, se doveva andare a chiamare un adulto, ricordo bene che disse adulto e non grandi, non disse chiamare i grandi. Ha chiesto “Ti esce il sangue?” Ho controllato con la mano, faceva molto male e si stava gonfiando ma non c'era sangue. Se non c'è sangue è una bella cosa, vuol dire che non è grave, solo un bambino fa tante storie per una ferita che non esce neanche il sangue. Ho detto no, e lui mi ha guardato negli occhi e ha detto “Sei sicuro?” Ho detto sì, adesso torniamo indietro, ho sete. Non volevo svenire, che per il resto della vita il mio amico molto più obeso di me sarebbe andato in giro a dire che io quella volta ero svenuto, lui che pisciava ancora a letto e io però lo mantenevo il suo segreto. Non avevo sete, volevo solo sdraiarmi, chiudere gli occhi un pochino. Lui è sembrato felice per la mia idea, non vedeva l'ora di cavarsela, ho capito da come camminava veloce e in silenzio, guardando per terra, che si sentiva responsabile, che stava già inventando scuse per quando gli avrebbero dato la colpa. Perché io nelle sue fantasie sarei morto e lui sarebbe finito in prigione.

“Tu stu passandu”, ha detto il re non più cattivo. Si indicava con dito il dietro della testa e non capivo, pensavo volesse farmi invidia per la corona, come dire guarda qua io ho una cosa che tu no. Poi ho ricordato la scivolata, la botta, il bernoccolo pulsante, la gran voglia di dormire che ti viene quando non ne puoi più di stare sveglio. Ricordavo uno stregone con una collana di teschi che forse era una cravatta, con un forcone per infilzarmi la lingua che forse era solo un cucchiaio, ricordavo di aver pensato lasciatemi stare, voglio solo dormire ancora un po'. Ricordavo delle piume, vortici di piume. “Hu setu”, ho detto al re non più cattivo che non mi ricordo mai come si chiama, e non mi sono accorto, nel sogno, di aver preso anch'io, come tutti gli altri, la malattia delle U finali. “Per beru tu devu svegliaru”, ha detto il re con la voce che usa per comandare gli eserciti in battaglia nell'ultimo episodio, quello della battaglia finale. Quando apro gli occhi è mattina e sono tutti contenti di vedermi, dicono finalmente, dicono meno male, e scopro di aver dormito due giorni e due notti di fila.


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