Quando c'hai un figlio ringrazi Dio ogni volta che lo guardi e ti rendi conto che è sano, che non ha problemi di corpo o di mente. Ti sembra un miracolo che possa esistere qualcosa al mondo come un figlio che sta bene. Poi leggi di figli altrui che stanno in ospedale per giorni, settimane, mesi. Nei libri, nei film, nella cronaca ci sono raccontate vicende in cui i figli stanno male, corrono rischi e pericoli, agiscono compiendo errori madornali che ricadono sulla testa dei genitori. Se guardi tuo figlio e non vedi niente di sbagliato ti senti in colpa per la felicità che provi ben sapendo che altri genitori non possono, e allora ti viene da chiedere scusa anche se non hai fatto niente di male a nessuno, ti viene da ringraziare anche se nessuno ti ha fatto un favore.
Elia ha rotto un bicchiere e si è messo in posizione difensiva, le mani unite sul petto, le sopracciglia inarcate, come se si aspettasse rimproveri, punizioni. Mi è dispiaciuto vederlo così, gli ho detto è stato un incidente, la prossima volta starai più attento. Era così sollevato nel vedermi reagire con calma, così riconoscente per la mia comprensione. Mi chiedo chi gli abbia fatto capire che non sono tutti come me, chi gli abbia fatto venire il dubbio che anch'io potrei sgridarlo, farlo sentire sporco e sbagliato per non aver impedito a se stesso di commettere errori. Gli ho detto non è colpa tua, sono cose che succedono. Lui ha detto non ho fatto apposta, la voce di uno che è ancora un po' preoccupato, che non ci crede fino in fondo che non ci saranno conseguenze.
In situazioni come queste non puoi nemmeno mostrare le tue emozioni genuine, come padre le tue emozioni vengono sempre interpretate come una comunicazione diretta a ottenere risposte dal bambino. Se mostri dolore lui pensa che ti sta provocando dolore, anche se il tuo dolore viene dal suo atteggiamento timoroso di possibili conseguenze, quello che un tempo si chiamava il sacro timor di Dio, che è in effetti un rispetto per l'autorità sostenuto dalla disciplina e dal rispetto di un rigoroso codice morale, i comandamenti e così via. Per cui non devi mostrare emozioni che non abbiano finalità educative. In quel momento le uniche emozioni legittime erano positive, dall'accettazione alla calma, dalla spiegazione al perdono gratuito.
L'autocontrollo a cui ti spingi quando c'hai un figlio è di un tipo che non sperimenti in altri ruoli. Gli ho detto stai indietro che ci sono i vetri. Lui ha detto ti aiuto e io ho detto no, ci sono i vetri, faccio da solo. Lui è rimasto male, ho aggiunto se vuoi darmi una mano vai a prendere la paletta. Ho raccolto i frammenti e ho detto ecco fatto. Visto? Tutto risolto. Lui ha annuito e mi guardava come se fossi strano, come se n fondo avrebbe preferito la reazione che aveva previsto. Gli ho chiesto mi sono mai arrabbiato con te per un incidente? Lui ha detto no. Ho mai gridato con te? Lui dice no. Mi sarei dovuto arrabbiare per questo incidente? Lui ha spalancato gli occhi, come se avesse capito qualcosa, e mi ha sorriso.
Non gli ho chiesto chi si arrabbia con lui, chi lo sgrida, chi lo mette in punizione. Ci sarà sempre qualcuno pronto a farlo. C'è pieno di gente che è sempre pronta, non aspetta che un'occasione, per attaccare chi sbaglia, chi gli capita un incidente, per deridere, prendere adeguati e severi provvedimenti. Non sarebbe giusto fargli credere che dovrebbe andare diversamente, è meglio che si renda conto che il mondo là fuori è ingiusto, crudele, stupido. L'importante però è che vi sia un'eccezione, che possa sempre contare su qualcuno e chi meglio di un padre può diventare quel qualcuno? Figli continuamente rimproverati e privati dell'affetto, ecco come si costruisce una personalità disturbata, cito a memoria un telefilm di ieri sera. Anche se a volte non so dire se un cattivo genitore non si riveli un vantaggio, per alcuni almeno, quel che non ti uccide ti fortifica? Non c'è una ricetta, un manuale d'istruzioni.
martedì 22 marzo 2011
Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (37 di N)
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1 commento:
E' vero: è fondamentale per un figlio sapere di poter contare sul padre. Ma questa mia è soltanto una semplice, stupida frase. Per un figlio invece no: mettiti dalla sua parte, entra nella sua pelle, diventa lui. Un padre che lo capisce è una zattera con cui salvarsi mentre fra naufragio. L'unica che potrebbe mai trovare, in mezzo all'oceano
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