Sono cose che non dovrebbero succedere. Nella mia testa non è successo, mi rifiuto di crederlo. Quasi ogni notte mi sveglio di colpo e salto giù dal letto, sicuro che stia cedendo il pavimento, che mi stia risucchiando un vortice dentro al buco di scarico. La probabilità che succeda è infima, è più facile cadere con l'aereo, schiantarsi con la macchina, cadere dalle scale. Adesso che non credo più nemmeno alle statistiche, non credo più ai miei occhi, non mi rimane più nulla in cui credere, vorrei che qualcuno mi dicesse che è stato uno scherzo, che la nave adagiata su un fianco è stato un effetto speciale, non è morto nessuno e io sono ancora quello di prima. Perché ero una persona felice, ero il vincitore, il capobranco, ero il re del mio regno galleggiante, un regno di sudditi ricchi e felici, un regno dotato di tutti i comfort, dove i poveri rimangono a terra e chi è in difficoltà viene sbarcato. Grazie e tanti saluti. Non capisco come sia potuto succedere, ci sono strumentazioni molto avanzate per impedire che accada l'irreparabile, ci sono meccanismo di risposta studiati da scienziati in grado di prevedere l'intero arco dell'eventuale. Indossavo abiti sgargianti, mi radevo due volte al giorno, i miei modi erano sempre all'altezza della situazione, gli ospiti al mio tavolo sempre accuratamente selezionati. Quando ho sentito il rumore gracchiante del metallo in sofferenza mi sono detto non c'è niente di cui preoccuparsi, di qualsiasi cosa si tratti non potrà mai essere niente di grave perché questo è il mio regno e il mio regno è sicuro, è garantito, è assicurato, è simbolico, è la Tour Eiffel all'ingresso dell'esposizione universale della navigazione marittima, è lo schiaffo dell'uomo scientifico sul brutto muso di Nettuno.
Non posso accettarlo, avrebbero dovuto esserci delle paratie, delle clausole nel mio contratto, delle procedure per tornare indietro nel tempo a prima dell'inclinazione oltre il punto di massima tolleranza strutturale. Dico che ci deve essere un responsabile occulto per il quale sto pagando io, il comandante, che ho recuperato la mia dimensione in rapporto alla nave ritrovandola nella scatola di pronto soccorso, dentro alla scialuppa, in mezzo a garze sterili e razzi di segnalazione, era lì, la mia forma umana, il corpo in scala uno a uno. Come si pretende che un uomo da solo, perché io sono solo, dentro di me ho sempre saputo di essere solo, in sala di comando come sul ponte di coperta, chiedete ai membri dell'equipaggio se non stavo tutto il tempo chiuso in cabina, concentrato sul mio ruolo, a sopportare il peso dell'incarico. Uno come me avrebbe potuto dedicarsi alle rotte commerciali, le petroliere, le portacontainer, e invece eccomi qui sulla rotte turistiche a pianificare gli sbarchi e organizzare i turni e sovrintendere agli approvvigionamenti. Un bell'uomo come me, riccioluto, avvenente, ben piazzato, che avvizzisce e ingrassa dentro a questo mostro di metallo, ebbene sì, è ora di confessare, tanto ormai la mia carriera è finita. La odiavo, le sue vibrazioni, la sua deriva a scartamento ridotto, filava più come un treno che come una nave, e la musica i giochi il menu tutto a ripetizione settimanale, come vivere dentro a una replica infinita. I miei anni migliori sono volati senza che mi venisse richiesto il minimo intervento, un parere, niente, solo battute spiritose, le solite, qualche diversivo imbarcato clandestinamente, per il resto ero il nonno che si siede a tavola e ascolta in silenzio cosa succede nella giornata di chi ha una vita.
I miei passeggeri erano solo questo, gente che pagava per dimostrarmi che esistono persone con una vita al di fuori di una dettagliata pianificazione fintomilitare, con tanto di esercitazioni programmate dove gli ospiti si filmano mentre ridono perché trovano buffo incontrarsi al piano bar o al casinò con indosso il giubbetto salvagente. I bambini soffiano nei fischietti, lo sanno tutti che è solo una consuetudine, una formalità obbligatoria per legge, che non succederà mai niente di grave, perché non è un film, questa è una nave vera, è solida, è sicura, è troppo grande per affondare, il mare gli fa il solletico. I passeggeri non mi amavano davvero, ero solo quello vestito strano per farci insieme una foto ricordo, la nave avrebbe navigato anche senza di me, leggevo nei loro occhi il disprezzo latente per un accessorio, una macchietta simpatica compresa nel pacchetto vacanze. Perché mai dovrei sentirmi in debito verso di loro, cosa hanno in comune con me i passeggeri? Sono solo ospiti paganti su una nave che non è nemmeno mia, io sono pagato solo per girare in tondo nei porti turistici dove faccio scendere portafogli con le gambe in cerca di souvenir. Non ho disegnato io le mappe, non ho costruito io la nave, non ero nemmeno al timone quando è successo. E avrei dovuto stare lì a farmi insultare da centinaia di persone che non obbediscono agli ordini, a gestire un naufragio e un ammutinamento, a dare spiegazioni al telefono di un evento impossibile che mi rifiuto di ammettere anche con me stesso? Non sono scappato, ho preso atto della mia inutilità, sono crollato, sono stato detronizzato per un evento da nulla, uno scoglio, un'imprudenza per futili motivi, sono stato contagiato e spinto a un comportamento immaturo su un palcoscenico dove si sale per poter fare gli immaturi a un prezzo accessibile a tutti.
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