Quando c'hai un figlio a un certo punto gli devi spiegare perché certe cose muoiono.
“Papa, il mio pesciolino è coperto di zucchero.”
“Non mi sembra zucchero, sono bollicine, puntini bianchi forse.”
“Puntini bianchi?”
“Temo che si sia ammalato.”
“Perché non muove più la bocca?”
“Occazzo.”
“Non si dice quella parola!”
“Hai ragione, m'è scappata, scusa.”
Fisso il pesce, è proprio morto. Sono stato tratto in inganno dall'idea che i pesci morti finissero a galla, a pancia all'aria. Questo pesce rosso, invece è morto in piedi, si direbbe che è di plastica se non fosse per i puntini bianchi come zucchero a velo e le pupille opache e torbide, tipiche degli animali morti.
“Papa?”
“Dimmi”
“Il mio pesciolino si è ammalato?”
“Credo sia morto.”
“Lo portiamo dal dottore?”
“No, è morto.”
Picchia con le dita contro la plastica della boccia piena d'acqua. Il pesce non si muove.
“Non è morto, vedi?”
“Ti ricordi i fiori che sono diventati secchi?”
“I fiori?”
“Sì, sono seccati, sono morti e li abbiamo buttati via, ti ricordi?”
“Ma non è un fiore, è il mio pesciolino!”
“Ti ricordi le formiche, le schiacciavi col dito e morivano, non si muovevano più, si rompevano, finivano le pile.”
Picchia con le dita sulla boccia.
“Ma i pesci non hanno le pile, Papa, cosa dici, sei impazzito?”
Mi siedo e cerco di riflettere. Lui picchia le dita sulla boccia e parla col pesce morto, dice forza pesciolino, dài che ce la fai, muovi le pinne.
“Se non lo buttiamo inizierà a puzzare.”
“Ma io gli ho dato da mangiare, vero?”
“Sì, non è colpa tua, non è colpa di nessuno.”
“E l'acqua, abbiamo cambiato l'acqua, eh? Eh?!? L'hai cambiata?”
“Sì, l'ho cambiata. Si è ammalato, capita.”
“Perché si è ammalato?”
“Non lo so, un difetto genetico, un principio di autocoscienza.”
“Un principo di atocorrenza?”
“Sì, esatto. Prin-ci-pio di auto-co-scien-za.”
Mi guarda come guarda qualcuno che cerca di fargli digerire idiozie.
“Era vecchio, stanco e molto malato.”
“Povero pesciolino. Scusa pesciolino se sei morto. Adesso Papa ti dà la medicina e vedrai che ti passa.”
Mi gratto la testa, guardo fuori dalla finestra, mi succhio le guance.
“Dai, Papa, ti aiuto, cosa facciamo?”
“Lo buttiamo nel water.”
“Nel water? Ma nel water si fa la pipì e la cacca!”
“Sì, ma i pesci morti se li butti nel water tornano nel mare.”
Mi guarda poco convinto.
“C'è un tubo per i pesci che girano a destra e raggiungono tutti i loro amici pesciolini nel mare.”
“Davvero?”
“No, era una specie di metafora, finirà dritto nelle fogne. È morto, non c'è altro da fare.”
Lo portiamo in bagno e rovesciamo l'acqua e il pesce nel water. Così come non è venuto a galla nella boccia, se ne va giù per lo scarico direttamente, senza bisogno di tirare l'acqua. Quando si sporge e vede che non c'è più anche se nessuno ha tirato l'acqua si mette a piangere. Forte.
Ci sono tantissimi tipo di pianto e quando c'hai un figlio impari a riconoscere decine di variazioni di pianto, da quello di sofferenza che esige la più grande attenzione a quello che è solo stanchezza e necessita il conforto di un abbraccio. Il pianto del cordoglio è un pianto a sé stante, il peggiore forse.
“Ma io, Papa, mi manca il mio pesciolino!”
“Lo so, ma è la natura.”
“La natura?”
“Sì, dopo un po' i pesci muoiono, è normale.”
“Ma perché è morto?”
“Era molto malato. C'è come un orologio e quando finisce il tempo i pesci muoiono.”
Dico spesso i pesci, sto cercando di limitare il fenomeno della morte ai pesci, ho il terrore che mi chieda se morirò anch'io, se morirà anche lui, che da questo momento in poi si sentirà in dovere di controllare ogni minuto che tutti siano ancora vivi.
“Mi manca il mio pesciolino.”
“Ne compriamo un altro, eh? C'è pieno di pesci, li vendono al chilo.”
“Ma io...”
“Che ideona ha avuto Papa, andiamo a prenderne un altro.”
Faccio quello che è eccitato e felice all'idea, ma non mi riesce molto bene.
La discussione su pesciolino e morte è proseguita per ore. Ho coinvolto il negoziante, gli ho detto spieghi al bambino perfavore perché il suo pesciolino è morto. Lo stress, dice il negoziante. Geniale. Lo stress, ripeto io, capito? Lo stress, ecco cos'è stato. Il bimbo fa spallucce, annuisce e sceglie un nuovo pesce rosso, più bianco che rosso, magari pensa che essendo già bianco e vivo, i puntini bianchi non potranno mai ammazzarlo. O forse sono io che lo penso al posto suo. Portiamo a casa il nuovo pesce e ogni tot controlla che sia vivo e mi fa rapporto.
“È ancora vivo, Papa.”
“Grandioso.”
“Non è morto, si muove.”
Intanto io sono lì che valuto il modo in cui ho affrontato la situazione. Non mi sembra turbato, non mi sembra traumatizzato. Forse tutto sommato è andata bene, ha interiorizzato senza ripercussioni psicologiche l'esistenza della morte. Invece io mi sento ancora male e non riesco a capire perché.
lunedì 15 marzo 2010
Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (23 di N)
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