martedì 28 settembre 2010

Com'è andata. (001)

Qualcuno potrebbe affermare che l'ho ucciso io, ma sarebbe impossibile stabilire che ciò sia la verità, figuriamoci poi dimostrarlo. Tanto per cominciare bisognerebbe mettersi d'accordo su cosa è vivo e cosa no. Inoltre tutti siamo colpevoli di ciò che provoca la nostra semplice esistenza ma non per questo si può sempre parlare di causa effetto. Ho sempre rimandato la stesura di questa testimonianza, un po' per distrazione, un po' per avversione, ma sento di dover dare una spiegazione prima di andarmene. Ero convinto che, lasciando passare abbastanza tempo, avrei potuto addurre come scusa per la mia incapacità la semplice dimenticanza, l'accanimento di una malattia degenerativa del cervello, ma ora che torno col pensiero a quei giorni mi stupisco di come sia rimasto tutto intatto e integro nella memoria. Invece è come sedermi al cinema con una grossa scatola di popcorn e stupirmi dei dettagli proiettati dietro le palpebre chiuse. L'unico timore nel riportare alla luce quegli eventi è richiamare con essi alcuni incubi che preferirei evitare.

Riesco a bloccare il proiettore, a entrare nel film e guardarmi intorno. Per esempio in questa scena in cui arrivano le forze dell'ordine a sirene spiegate, si lanciano fuori dalla macchina prima che sia del tutto ferma, spingono la gente a distanza di sicurezza, si preoccupano che i pompieri abbiano spazio per manovrare le autopompe. Nei ricordi posso fermare tutto e guardarmi intorno. La signora Facchetti, non avrei mai detto che fosse presente qualora interrogato a freddo, invece eccola lì con il foulard legato sotto il mento che osserva le fiamme, lottando per non perdere i sensi, la mano sinistra saldamente aggrappata al palo di un segnale di divieto. Accanto a lei c'è il piccolo Giulio con la gioia negli occhi, saltella da un piede all'altro, il dito puntato a una finestra del secondo piano dove gli è sembrato di veder passare l'ombra di una persona. L'appuntato Travelli che suda freddo, la faccia grigia, lo sguardo allucinato, mentre cerca di darsi un contegno e impedire a se stesso di rendersi ridicolo scappando via.

Da quando mi sono trasferito alla discarica, la chiamo così quando non mi sente nessuno, ho molto tempo libero. C'è chi prepara da mangiare al posto mio, c'è chi si preoccupa di tenere tutto pulito e in ordine. Non è brutto come mi immaginavo. Sono costretto a dividere la camera con Gabriele, sa essere una tortura quando vuole, e anche quando non vuole, ma la singola ha un prezzo esorbitante nei parametri delle mie finanze. Per capire come funziona Gabriele: quando ha notato che mi sono messo a scrivere ha preso a suonare l'armonica e non credo di aver sentito niente di così pretenzioso e allo stesso tempo sconsolante. Se smetto di battere i tasti lui smette di suonare, come se volesse dare il contributo della colonna sonora. Esistono forme di divertimento che sono del tutto fuori dalla mia portata. Se provo a fargli notare la sua vocazione al disturbo finge di cadere dalle nuvole e mi sfida a qualche gioco di cui si è inventato le regole. La noia provoca la solitudine o viceversa?

L'aspetto di cui più mi rammarico di tutta la faccenda è la scomparsa della mia borsa degli attrezzi. Non sono più riuscito a rimetterne assieme una non dico equivalente, almeno simile per completezza e varietà. Certi strumenti non li producono più o li fanno imprecisi, di qualità dozzinale, progettati per una breve durata. Se guardo attentamente il fermo immagine la vedo, in terra, sul marciapiede, nel cono di luce del lampione di fronte al civico 8. Dove l'ho smarrita allora se non quella sera? L'ho appoggiata in un punto preciso per ritrovarla in seguito, se mai ci sarebbe stato un seguito dato che sarei entrato nell'edificio in fiamme. Il suo valore di mercato non sarebbe stato sufficiente a comprare una dose tagliata male, ammesso di trovare qualcuno interessato a pagare per averla. Di tutte le cose di cui mi pento, e sono tante, averla perduta è in cima alla lista. Gabriele dice che lui sa dov'è, che me lo dirà il giorno in cui riuscirò a batterlo, ovvero mai.

Qui alla discarica ogni mattina gli inservienti paiono stupiti di scoprire che durante la notte non è mancato nessuno. A volte rimango a letto solo per sbirciare l'espressione della Paola che si avvicina con circospezione e allunga un dito fino a toccarmi sulla guancia. Allora spalanco gli occhi tenendoli fissi al soffitto e lei si arrabbia così tanto da trattarmi a male parole per tutto il giorno. Con gli altri non funziona, ti scrollano senza tanti complimenti e ti dicono che ti resta mezz'ora se non vuoi saltare la colazione. Non ho mai fatto colazione in vita mia prima di entrare alla discarica. Trovo sempre strano sedermi a tavola al mattino, con davanti qualcosa di diverso da una solitaria tazza di caffè. I tavoli della mensa non vengono apparecchiati la mattina, sono circondato da vecchi che si danno da fare davanti a un vassoio e vengo colto dalla sensazione di essere capitato nell'unica prigione al mondo dove ogni notte viene asportato chirurgicamente ogni desiderio di evasione. C'è solo un posto dove potrebbe andare chi evade dalla discarica, lo si vede dalle finestre a ovest nelle giornate serene e ognuno di noi sa di avere un posto prenotato là, sotto un mazzo di fuori di plastica.

Il giorno dell'incendio è la conclusione della storia, la parte più difficile è stabilire l'inizio. La telefonata di Gregorio può essere l'inizio. La costruzione della casa, secoli prima, con tutte le conseguenze che ha generato la decisione di Leonardo, potrebbe essere l'inizio. Il ritrovamento della scarpa da ginnastica con dentro il piede in decomposizione. Oppure il mistero del diplomatico sgozzato. O quando Gianna confessò all'amica Franca di aver visto, durante una crociera col marito per le nozze d'argento, Jim Morrison vivo e vegeto passeggiare fra le bancarelle di un mercato egiziano. Nel giro di un paio di giorni in tutto il quartiere si discuteva della pazzia di Gianna e sul giornale ci furono articoli su Lazzaro e l'elisir di lunga vita del dottor Fu Manchu. Sì, direi che potremmo iniziare da Gianna e dal viaggio in cui tornò da sola. Molti insinuarono che era un comportamento normale per una donna che ha perso il marito in Egitto come si può perdere un mazzo di chiavi, una fotografia, una borsa degli attrezzi.


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