martedì 12 ottobre 2010

Gwen

Hanno fatto una bambola che ti somiglia. La vendono per qualche globo di ectoplasma nei distretti affollati di Kamadan. Ho incontrato tua madre negli inferi, ti stava cercando, ti stava chiamando, ho provato a dirle che stai bene ma non ci sono riuscito. La tua bambola è personalizzabile, la tua bambola si può esporre al monumento dell'amicizia, la tua bambola se la posi in terra si accende e cammina e ti segue dappertutto. Vorrei comprare la bambola che ti somiglia ma non ho abbastanza soldi. Se avessi la bambola che ti somiglia la metterei nello zaino e la tirerei fuori in quei punti che so io, dove si possono ammirare i panorami, luoghi che si raggiungono correndo per ore, evitando i nemici quando possibile, posti lontani da villaggi e sentieri battuti. Tirerei fuori la tua bambola e le direi apri gli occhi, guarda.

Intanto alla tv ci sono delle facce che muovono la bocca. Persone vecchie che raccontano la politica, che fanno il confronto coi bei vecchi tempi, quando c'erano tanti soldi e la gente si ingellava i capelli per sentirsi migliore. Alla tv ci sono donne con grosse labbra e sostanze pastose sulla pelle che opacizzano e coprono trascurabili difetti inaccettabili dalle telecamere. C'è un uomo in ginocchio con una camera a spalla che si muove come un granchio, alla ricerca di nuove angolazioni, un dettaglio inconsueto capace di catturare l'attenzione e impedire che il dito prema un bottone sul telecomando. Ci sono mani alla tv che sottolineano le parole, i concetti, alcune si muovono adagio, descrivono complicati arabeschi al rallentatore, altre si muovono a scatti in direzioni all'apparenza casuali e ogni tanto viene puntato un dito, viene chiuso un pugno.

La bambola che ti somiglia ha la testa grossa, sproporzionata. C'è una definizione in Giappone per questo tipo di bambola, ideogrammi che non so pronunciare, accenti che evocano spari nell'ovatta. Ti ho vista piangere accanto alla fontana, distrutta dall'odio per i Charr e dall'amore per quel giovane tenente premuroso. La fenice arcobaleno strepitava e si teneva a distanza, turbata dai tuoi singhiozzi, incapace di sfuggire ai tuoi stati d'animo contraddittori. La rosa che stringevi nella mano perdeva un petalo ogni volta che le chiedevi di rimuovere il sortilegio, la fattura d'amore e il maleficio d'odio. Hai visto cadere Ascalon, le sue mura sbriciolate, profughi errabondi in grado solo di esprimere gemiti e nenie lamentose, fertili campi ridotti a sabbia cristallizzata. Ti hanno raccontato di tuo padre, di come non si arrendeva, spezzava le aste delle frecce e si rotolava per terra avvolto dalle fiamme.

Alla tv hanno mandato la pubblicità. Nella pubblicità i giovani sembrano davvero giovani, i vecchi sembrano giovani truccati da vecchi. Vedo bambini che giocano, poi appare un prodotto commestibile. Vedo ragazzi con la follia nello sguardo, poi appare un prodotto che vuole essere strumento di trasgressione. Vedo un vecchio che sorride, adesso ci sente, adesso la sua dentiera è incolata bene, adesso non deve più temere la puzza di piscio. Se alzassi il volume sentirei anche la musica, anche quei suoni specifici fatti in modo tale che quando li senti per caso devono farti apparire nel buio del tuo cervello, in quel luogo dove brucia la fiammella della tua coscienza e si sporge per vedere cosa succede fuori, lì dove vivi anche mentre dormi quel suono deve evocare il logo, il marchio, e con esso le piacevoli emozioni che ti fa provare la pubblicità. Siamo felici quando vediamo dei soldi passare di mano.

Ti conosco da tanto tempo, da quando eri bambina. Ti ho vista puntare un'arma contro un prigioniero, decisa a giustiziarlo, a sangue freddo, avevi i denti scoperti e le guance bagnate, e l'avresti ucciso davvero se non ti avessi fermata. Ti ho vista intervenire al consiglio per ottenere il permesso di scatenare la guerra, una guerra nuova, dicevi, gonfiavi il petto e dicevi il mio esercito è pronto, il mio esercito è organizzato. Alzavi il pugno in aria e dicevi la mia rete di informatori è vasta, la mia pianificazione è dettagliata, il momento della vendetta è finalmente arrivato. I maghi ti ammiravano, gli strateghi correvano a inginocchiarsi davanti a te, i guerrieri mettevano le loro armi al tuo servizio pronunciando solenni giuramenti. Alle tue spalle mi chiedevo fino a quando sarei rimasto a proteggerti dalla tua foga, dalla tua sete di rivalsa, a impedirti di trascinare il mondo nella prossima catastrofe con la fretta di chi non ha più nulla da perdere. Eppure avevi molto da perdere, perché non te ne rendevi conto, non riuscivo a capirlo.

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