Si voltarono tutti quando entrò la donna, tranne Enrico, sempre alle prese coi riavvii, con la fissazione di trovare i virus, rabbioso contro chiunque, a suo parere, cercasse di violare il suo sistema. Si voltarono tutte le teste ma non all'unisono, essendo la mia postazione la più arretrata, ho potuto osservare l'onda d'urto della percezione di una presenza estranea colpire uno per uno i miei colleghi, spingendoli a smettere di digitare, a troncare a metà la frase che stavano pronunciando al telefono, a sentire un formicolio sulla nuca. Quando entrò la donna la temperatura nell'ufficio cambiò, la durezza della luce si divise e alcune lunghezze d'onda vennero attirate dalla forza gravitazionale della donna, con quei capelli, con quelle dita, con quelle caviglie, con quello specifico arco che il compasso delle sue gambe descriveva usando i passi come sentenze inappellabili.
Enrico si mise una mano sulla guancia e disse “Kappa erre vodka 51, sei un ricombinante”, e nessuno badò a lui. Non tanto perché la comparsa inattesa della donna aveva imprigionato la volontà di tutti gli impiegati, anche per quello, certo, ma in ogni caso tutti avevamo smesso da tempo di prestare ascolto alle paranoie digitali di Enrico. Fra di noi ci domandavamo sottovoce quando se ne sarebbero accorti, quanto sarebbe andato avanti prima che qualcuno decidesse di spedirlo nelle fauci di un professionista del cervello, nell'ipotesi migliore, l'unica che escludesse il licenziamento. Roberto invece sorrideva e dava l'impressione di essere pronto a stringere la mano della donna, a inginocchiarsi davanti a lei, a giurare e spergiurare qualsiasi testimonianza pur di evitare conflitti. Roberto è il migliore di noi, è quello che alza la media delle vendite dell'intero reparto, in pratica ci tiene in vita e ci protegge, dato che senza di lui saremmo in mezzo a una strada.
La donna entrò spalancando le porte e si fermo sulla soglia a fissarci uno per uno, come se cercasse un volto particolare e non trovasse altro che malfatte riproduzioni nel ricomporre in una forma gestibile l'orrore provocatole dai nostri lineamenti. Gianni recuperò da dietro l'orecchio destro la sigaretta spenta e se la rigirò fra le dita come faceva sempre nei momenti di perplessità, guardando il cilindretto da varie angolazioni come se contenesse la soluzione di ogni rompicapo immaginabile. Muoveva lo sguardo dalla sigaretta alla donna, dalla donna alla sigaretta, chiedendosi per l'ennesima volta perché avesse un giorno deciso di smettere di fumare. Lo chiedeva alla prima persona gli capitasse vicino in quei momenti di debolezza, e otteneva le risposte più svariate. Io stesso una volta gli risposi che si smette per lo stesso motivo per cui si comincia, anche se non ho la più pallida idea di quale possa essere dal momento che io fumo, non bevo, non faccio niente a parte il mio lavoro che consiste nel premere i tasti giusti al momento giusto senza avere certezze, postume o pregresse, né sul tasto né sul momento.
Enrico gli risponde vodka, tutte le volte. Quando non trova le parole dice vodka, è il suo mantra, il suo esorcismo. Gli piace il suono che fa, mi ha confidato, è convinto che abbia il potere di resettare i pensieri e le emozioni. Non l'ha mai assaggiata perché c'è il rischio che si spezzi l'incantesimo, non vuole neanche sentirne l'odore. Non puoi aver fede in qualcosa se non riesci a resistere alla tentazione di ricevere conferme, dice. Ho il sospetto che si comporti così solo in ufficio, non riesco a concepire la sua vita al di fuori delle mura protettive del suo impiego, solo qui gli è consentito essere se stesso, là fuori verrebbe distrutto e annientato da un semplice contrattempo. La donna è proprio verso di lui che si diresse, e io capii che stava per succedere l'irreparabile. Massimo ebbe il coraggio che avrei voluto avere io e come me scommetto anche Luca e Antonio e perfino Roberto se fosse una persona lucida. Massimo si alzò e disse “Mi scusi, posso chiederle...?” Non fece in tempo a terminare la frase.
lunedì 4 ottobre 2010
Lavoro sedentario.
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micro esperimenti narrativi
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