mercoledì 28 settembre 2011

ogni volta è il mio primo vagito

Sentirsi persi e perduti. Persi nello spazio, come chi si sveglia e non riconosce il soffitto, l'odore della federa, la consistenza dell'aria dentro ai polmoni, la densità della luce, si stupisce delle proprie mani. Perduti nel tempo, come chi si sente sotto l'attacco del domani, derubato dell'infanzia, con tasche in cui vanno perduti i giorni, oltre il ciglio del burrone. Allora devi procedere per gradi, devi imporre a te stesso la calma, aggrapparti alla fede nel qui e ora, non è illusione, non è inganno, non è l'effetto di una droga molto potente, ma è concreto, è irrimediabile, è perentorio e indiscutibile. Quello che sei ha un senso, quello che vivi ha un significato, l'esistenza è monolitica, infrangibile, metterla in discussione provoca solo vertigini e confusione, l'ebbrezza dell'incoscienza, l'esaltazione di un fatuo divenire teso al nulla, che si consuma, che si riduce a niente, del quale occorre approfittare, trarne tutti i vantaggi possibili prima che finisca in cenere. Oppure morire fin dal principio che se non inizi subito a vincere allora non vale più la pena di sbattersi per sopravvivere. Devo scegliere, ogni giorno, ogni istante della mia vita sono chiamato a scegliere la via, la verità e la vita al bivio del mio primo vagito che riecheggia all'infinito nella mia percezione del mondo e di me stesso. È un grido di frustrazione, di rabbia, di risposta all'unica domanda fondamentale: sei vivo? Vagisco. Lo so e non lo so. La mia paura è di non trovare più la forza di fare la scelta giusta, di trovarmi di fronte al bivio e arrendermi, cedere, non rinnovare il patto, rovesciare il tavolo, buttare a monte la partita perché il banco vince sempre e io sono stanco di perdere e sperare nella vincita futura che premia i pazienti, gli onesti, i perseveranti, gli obbedienti, i capri espiatori e gli agnelli sacrificali e i beati questi e quelli. Per non sentirmi perso arrivo dallo spazio profondo e ignoro le probabilità dei lampi di raggi gamma in grado di provocare estinzioni di massa, vedo il sistema solare e ignoro i misteri della fisica che resteranno per sempre tali, vedo la terra e ignoro i problemi del pianeta causati dall'uomo, vedo la porzione di terra in cui mi trovo e ignoro il racconto collettivo inventato dagli storici e dai politici per creare i popoli, vedo la mia casa e ignoro i soldi e il lavoro che ci sono dentro, vedo il mio corpo e ignoro le malattie visibili e invisibili della carne e dello spirito, e non vedo più niente, il buio dell'essere che brancola alla ricerca di uno specchio che lo rifletta a sua immagine e somiglianza. Non sentirsi persi. Ritrovarsi. Per non sentirmi perduto inizio da lontano, dal punto in cui la retta del tempo va da orizzonte a orizzonte, mi avvicino al segmento che va dalla nascita del nostro sole alla sua morte e vedo che è un tempo breve, mi avvicino al segmento che va dalla nascita della vita sul nostro pianeta alla sua scomparsa e vedo che è un tempo breve, mi avvicino al tempo brevissimo della Storia tramandata che va dalle pitture rupestri ai testi scolastici, e poi all'ultimo millennio, secolo, decennio, anno, mese, giorno, ora, minuto, secondo, fino all'istante infinitamente piccolo che sta passando adesso, mettendoci un'eternità. Non sentirsi più perduti. Ritrovarsi. È la chiamata a cui si risponde con un vagito o non si risponde affatto, decidendo di restare persi e perduti a se stessi e al mondo. E io ogni giorno rispondo, con fatica, controvoglia ma sempre al dunque rispondo, sapendo che è la scelta razionalmente giudicata più scomoda, logicamente più irrazionale, la stupidità di un sentimento che non mira alla ricompensa del godimento materiale del corpo o dell'ego. Un vagito che serve solo a emozionare chi dà per scontato il miracolo del venire al mondo da un posto lontano in cui ci si sentiva persi e perduti, con la certezza di non essere i benvenuti, di essere accolti per un'ospitalità causata dal senso del dovere, elargita nonostante la colpa originale di avere bisogni, sogni, e la libertà di fare la scelta sbagliata. Che soddisfazione dire basta, adesso mi prendo ciò che desidero, basta, adesso metto a posto le cose, basta, adesso si fa come dico io, ti sembra di avere finalmente uno scopo, un posto preciso nel dove e nel quando, ti sembra di essere quello destinato alla tv, ai libri, alle statue nelle piazze, oppure quello che nacque con dieci e morì con cento, strappando alla vita tutta la carne che aveva sulle ossa, alla sua vita e a quella degli altri. E chi fa riecheggiare il suo vagito ti sembra debole, ti sembra incapace di ribellione, privo di ambizione, incapace di cogliere la bellezza del canto superbo, il dolce sapore del libero arbitrio. A volte invece rimango in bilico, mi fermo davanti al bivio, metto le mani alle orecchie e dico lalalalala per isolarmi, fuggo nei miei ragionamenti, mi distraggo inventando storie, mi metto a riposo e mi pongo al riparo, cerco qualcuno con cui parlare per ore di quanto fa caldo o freddo, ipotizzo che le storie dell'orrore siano le notizie di cronaca quotidiana di un mondo alieno, che tutto questo non mi riguardi. Se mi chiedi cos'è la fede io rispondo fiducia in se stessi e nel mondo, nello spazio e nel tempo, è non sentirsi persi e perduti, è ritrovarsi, è la scelta più difficile, è avere fame e sete anche dopo che si è mangiato e bevuto, è ripetere ogni volta il primo vagito. Non è qualcosa che o ce l'hai oppure no, non è un dono o una maledizione, non è un biglietto vincente della lotteria o una droga per evitare di affrontare le cose. È solo una scelta, prendere o lasciare, premere il grilletto o buttare la pistola, ma soprattutto è un vagito che lancia un'assurda richiesta di amore, anche se ogni tanto è così bello chiudere gli occhi e gridare lalalalala è inutile che insisti non ti vedo e non ti sento.


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