Mi è arrivato un messaggio su facebook di Mario dove mi ha chiesto di commentare una foto (gratis, tirchio della malora). Prima mi ha mandato una figura umanoide, in posa plastica o comunque in atteggiamento intimista da violazione della privacy, presa in controluce su sfondo azzurro, incorniciata dall'arco di un portico a voler simboleggiare, immagino, un buco di serratura che diventa galleria e trasforma il pudore in esibizionismo, denunciando il trionfo dell'ipocrisia benpensante. La tipica modella da pittore, che nei film finisce a letto col pittore perché colpo di fulmine or povera succube or facili costumi. La gambetta messa lì a mostrare la coscia forse è solo una storta alla caviglia, sei tu che pensi male, dovresti chiamare un dottore al posto di startene lì a malignare ridens come un moralista bacchettone. La testa vagamente idrocefalica modello boccia da bowling, i pantaloni a zampa di elefante, il pavimento cosa c'è sul pavimento, foglie secche o escrementi di piccione? Finalmente l'indizio della mano rivela almeno la posizione del simil-cartonato, l'essere umanoide sta guardando lontano, nel vuoto, sta elevando il proprio spirito o cercando di vedere dove è andato a finire il pallone, nonostante le vertigini e la mancanza di una ringhiera. L'indecisione, l'atterritimento o atterrizione del restare impietriti per un nonnulla, l'epifania entrata di soppiatto. Oppure l'avere tempo da perdere, essere in anticipo sull'appuntamento. Sembra un esercizio ritaglia la figura e incollala per i bambini creativi o i mentalmente afflitti.
Poi mi ha scritto che quella foto era stata giudicata banale dagli altri commentatori, non ho idea di chi siano, per cui adesso la foto da commentare è questa.
Ci sono due uomini seduti, circondati da borse e sacchetti, come i bambini con le figurine, il valore degli oggetti posseduti è soggettivo. Il mio tesssoro, l'innocenza, il trono, la dignità, la vittoria, cose di cui ci circondiamo per necessità materiali e spirituali, l'orsacchiotto, l'arco e le frecce, un testo sacro, il corpo di un altro essere umano, prodotti con o senza marchio di fabbrica, il cui valore si percepisce nella mancanza, quando si perdono. Hanno il mare, hanno la spiaggia, hanno lo spazio vuoto di cui è fatto in prevalenza l'universo, e noi ci teniamo vicino le risorse, le vettovaglie, i mezzi di sussistenza, anche se sono fatti di gomma, di plastica, ce ne stiamo a contare e ricontare, a staccare piccoli morsi, a fare paragoni, a invidiare i colori vivaci altrui, quando morirai diventerà tutto mio, ucciderò i tuoi figli nella culla se necessario, perché non c'è niente qui, solo sabbia e acqua salata, e io devo pur campare, ma nel frattempo amico mio vieni qui fatti abbracciare non lasciarti sfuggire di mano l'affare vediamo di concludere scambi vantaggiosi per entrambi io posso avere quello che ti serve, quello che desideri, quello che non hai mai osato chiedere. Facciamo finta di non essere interessati, di essere indipendenti, seduti uno di fronte all'altro, il primo che parla rimane svantaggiato, in posizione di debolezza. Fratello, mi sento spiato. Spiato dall'osservatore, da me che guardo nascosto dalla rete, dal filo spinato, dalla barriera che separa dalla realtà il contenuto di una fotografia, io come animale in gabbia, la consapevolezza personificata, il dito indice del giudice che trema e adesso punta verso di te adesso verso di me, indeciso, forse malato, forse meccanico e guasto, fratello, ho paura, facciamoci coraggio. Tu conta i tuoi sacchetti che io conto i miei, ce la caveremo, uno dei due ce la farà e sarò io, mi dispiace, devi fartene una ragione, Abele, fratello adorato, mamma e papà hanno sempre voluto più bene a te che a me e Dio cosa ha mai fatto per me Dio, a parte la sabbia in bocca, la sabbia negli occhi, una sete che a bere quest'acqua non si placa, e niente da mangiare, niente per sfamare i nostri figli, altro che suoi, sono nostri e chissà quanti, come me, non sono mai stati neanche voluti. Un giorno ti ammazzerò, Abele, e il tuo Dio non ti salverà, non scenderà dai cieli a fermare la mia mano.
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