Il passante mi ha parlato, mi ha guardato come fa sempre, prendendo la mira da una distanza siderale, spuntando la mia esistenza e camminando via senza rallentare il passo o cambiare l'andatura. Per la prima volta in cinque anni mi è passato accanto e mi ha parlato, forse perché ero solo, nessun testimone in grado di incastrarlo davanti a un giudice. Di solito ci ignoriamo con l'intenzione di non ferire, di non infierire, come due naufraghi evitano di guardarsi per non ricordarsi a vicenda le implicazioni di una situazione disperata, come due coniugi che si tengono in disparte per non far capire al nemico il bisogno di aiuto, privi di rifornimenti e in attesa di rinforzi che non arriveranno mai. Ma lui si è spinto più avanti, non saprei dire se nel modo giusto o come la signora che vedevo camminare sul bordo della strada, con una marmitta di pasta fra le mani, ogni giorno, alla stessa ora, diretta in città, con la vestaglia e il grembiule e le pantofole, a volte felice a volte corrucciata a volte indifferente. Il marito la andava a recuperare con la motoretta o col trattore, senza mai lamentarsi, sorridendole, dicendole me l'hai fatta di nuovo, sei una birichina, mi fai gli scherzi. Lui un uomo al di là dell'obeso, un budda in canottiera estate e inverno, col berretto da graduato tenuto appoggiato sulla cucuzza come un centrotavola la sera di Natale, perché natalizio era il perenne sorriso sul faccione, una tempesta di serenità su un pianeta di indulgenza. Perché cammina quella signora, chiedevo ai grandi. E loro niente, non la guardare. È matta, chiedevo con la voce di chi non osa guardare sotto il letto. E loro no, mi dicevano i grandi, mi dicevano nessuno è matto, non esistono i matti, è malata, non sta bene. È matta, chiedevo ancora, è tutta spettinata, è malata nel senso di matta? No, ha avuto un problema, è stata male. Gira in pantofole, è diventata matta? No, ha avuto un problema quando ha partorito, non so di preciso, mi dicevano. Smettila di fissarla, mi dicevano. Che tipo di problema? Non è niente di cui ti debba preoccupare, pensa a studiare e a comportarti come si deve, e guarda da un'altra parte. Un giorno poi la signora cedette e il marito non lo si vedeva più in cima al suo trattore, quel suo culone strabordante dal seggiolino, la seguì subito dopo, si tolse il sorriso e il cappello, rassegnò le dimissioni morendo nel sonno.
Il passante è tutt'altra pasta, indossa un cappello di grado superiore. Non capisco se è di grado così alto da non poter comunicare con gli inferiori o se è l'onorificenza data per atto eroico, taciturno per shock post traumatico, così lo chiamano di questi tempi, quando hai dato tutto, anche la presenza di spirito necessaria a pretendere il congedo e la faccia tosta di chiedere l'onore di morire nel sonno. Sono cinque anni che lo incrocio per strada e lo colgo nel momento in cui distoglie lo sguardo. D'estate si ingobbisce e tira dritto, d'inverno mette una giacca sopra la solita maglia a maniche lunghe e sta su dritto, la mano libera al collo, per tenere accostati i lembi a coprirsi la gola. Nell'altra mano c'è il sacchetto, sempre quello. Tre anni fa mi ha seguito dentro a un negozio e ha guardato la merce esposta, lanciandomi occhiate come un fottuto agente segreto, in attesa di un segnale da parte mia per effettuare una consegna, passare l'informazione microfilmata. Se n'è andato senza dire niente a nessuno, senza comprare niente e, perplessità mia, senza venire degnato di attenzione dai commessi, come se conoscesse tutti o riuscisse a controllare le loro piccole menti o rendersi invisibile ai loro deboli occhi. Un passante di altissimo grado, probabilmente a riposo, o peggio congedato con disonore, decaduto dalla carica licenziato fallito traditore della patria fatto oggetto di pesanti ri Il cappello è di lana sottile, color amaranto, se lo cala fin sopra le sopracciglia, anche se ci sono quaranta gradi all'ombra, e i bambini si attaccano alla mano dei genitori quando lo vedono, le vecchiette stringono la borsa al petto, gli uomini soli fanno la faccia da duro quando ce l'hanno davanti e preoccupata quando se lo lasciano alle spalle, le donne sole alzano il mento e taccheggiano sull'altro marciapiede e si voltano indietro a controllare come per caso, per riavviare i capelli o rispondere a una voce familiare che invoca la mamma.
Il passante potrebbe essersi spinto troppo lontano, aver visto quel che non doveva vedere, aver scoperto teoremi che non hanno parole per venire spiegati, oppure potrebbe essere come il ragazzo sul triciclo, andato perso poco dopo la nascita per via di una febbre, il proiettile del cecchino spietato che si diverte a scommettere su come andrà a finire, dimostrare che se gli togli il cappello ma lo lasci in vita quello si dimenticherà la strada per tornare a casa, rendendo vana l'utilità di una qualunque mappatura. Il ragazzo che si è lasciato crescere i capelli per dar loro la forma di un copricapo, che pedala sul triciclo per adulti e menomati, diretto in città, salutando le macchine che gli sembra di riconoscere, sorridendo a uomini e animali, suonando la tromba che il padre gli ha avvitato al manubrio mentre con l'altra mano si allarga in gesti di benvenuto e di incontenibile apprezzamento per le innumerevoli novità del quotidiano. Grida saluti e sentenzia auspici benauguranti, il ragazzo con troppi capelli, incapace di chiedersi cosa ne sarà di lui il giorno che restasse solo, l'abbandono di se stessi è una delle faccende che non possono essere sparate via nemmeno dal cecchino dei cecchini. Lo si vede portare a termine commissioni e ripetere il percorso che riempie le sue giornate. Lo si vede arrancare d'estate, la maglietta fradicia di sudore e la faccia di chi non si rende conto di avere molta sete. Lo si vede arrancare d'inverno, quando risponde con gesti di via libera e pollici alzati di gran divertimento a chi si appoggia il clacson vedendolo sbucare dalla nebbia. Il passante è diverso, osserva le persone scusandosi di avere occhi, ascolta discorsi volanti scusandosi di avere orecchie, cammina appoggiando i piedi come se la terra fosse composta di piccole creature indifese e lui ne stesse massacrando a manciate per il vano piacere di una lunga passeggiata. Una passeggiata che va avanti da anni, il passante cammina da quando si sveglia a quando crolla addormentato.
Il passante stamattina mi ha parlato. Non ha resistito. Di solito entriamo nel radar reciproco a grande distanza, ci avanza tempo per preparare la non interferenza, valutare velocità e direzione, calcolare deviazioni, occupazioni, distrazioni, in modo da superare le rispettive orbite senza il rischio di influenze e collisioni. Stamattina non c'è stato modo di mantenere le distanze, dopo cinque anni siamo giunti a portata di orecchio e il passante ha deciso di reputarmi degno di considerazione e ha detto una frase di cui ho colto solo una parola: freddo. Lo ammetto, mi ha colto di sorpresa, ha parlato senza guardarmi, senza fermarsi, solo aumentando il volume della voce per poi diminuirlo, in modo che fosse al massimo nel punto di minor distanza fra i nostri corpi. L'effetto estraniante di accelerazione e decelerazione mi ha spaesato ma non al punto da sopraffare la reazione automatica inculcata dall'addestramento, ho detto freddo anch'io, solo freddo, una singola parola a volume molto alto e diretto al passato e nel punto esatto in cui si trovava il passante quando era al massimo della sua parabola sonora. È stato come l'eco di uno sparo, mi immagino il suo sorrisino, tale e quale al mio, e la malinconia di un evento unico, che non si ripeterà, ma ora so che il passante non è stato abbattuto, non è neppure crollato, è rimasto isolato, dentro uno dei tanti vortici che costellano il fiume del tempo, una parentesi di cui non si sente la necessità, perché esistono sentieri che devono restare agibili, occorre che una sentinella li calpesti senza mai stancarsi, senza conoscere il motivo di tanta sollecitudine, e più è difficile il tracciato e più alto è il grado del passante, più è difficile il messaggio in codice e più esperto dev'essere l'agente, più è complicato il percorso e più è resistente la volontà dell'incaricato. Il freddo è ciò che li accomuna, la costante battaglia per impedirsi di rabbrividire di fronte all'egemonia del freddo.
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