lunedì 11 gennaio 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (19 di N)

Senti un dolore, ti prescrivono degli esami, ti viene il sospetto che potresti essere quasi al capolinea. Capita a un sacco di gente, tutti i giorni leggi notizie dove al capolinea ci giungono gli altri ma non pensi mai che potresti essere uno di loro. A volte magari ci pensi, ma mai seriamente, è più una forma di scaramanzia, la tua speranza di vita, stando alle statistiche, è come minimo altri vent'anni, che sciocchezza fare pensieri del genere, immaginare esiti letali a breve termine. Cerchi di non pensarci ma una parte di te ci sta facendo i conti. Se poi si avvicina un compleanno a cifre tonde, tipo i 40, che si potrebbe fare un bilancio e scoprire cosa si è fatto e cosa no, cosa si può ancora fare nel tempo che rimane.

Anche se avessi raggiunto chissà quali risultati, grandi realizzazioni in ambito professionale, che beneficio psicologico ne trarrei? Ha scritto un libro che è diventato un classico della letteratura, ha reinventato l'arte, ha scoperto un vaccino, è andato sulla luna. Son cose che renderebbero più facile questo processo di assorbimento della realtà? C'è davvero qualcosa che uno può fare per rendere meno traumatica la presa di coscienza di avere più tempo alle spalle che davanti?

Un figlio poi, un figlio piccolo, che lo guardi e pensi che ti fa più male pensare a quello che proverebbe lui, che in fondo per te non sarebbe così male, sarebbe solo un andare avanti a vedere cosa succede dopo, potresti finanche sorridere, dire arrivederci. Una moglie, lei è adulta, pensi, non è la stessa cosa, anzi, per una forma di egoismo: meglio io che lei, altrimenti che amore sarebbe?

Alla fine magari salta fuori che non avevi niente, è già capitato che ti spaventassi per niente. Una volta a 16 anni ti eri sdraiato ad aspettare la morte per una colica renale, ti ricordi? Pensavi a James Dean e in fondo uscire di scena all'inizio comportava non dover dimostrare più niente a nessuno, c'era qualcosa di confortante, una specie di sollievo, nell'andarsene prima di avere troppi motivi per voler restare qua. Poi è passata e quei pensieri sono diventate convinzioni stupide, pensieri dettati da una visione ingrata della vita, roba di cui vergognarsi. E allora avanti, rimbocchiamoci le maniche, anche se in sottofondo una vocina ripeteva non ha senso lasciare impronte, è solo un appuntamento rimandato. Hai letto troppo, hai studiato troppo: c'è il sole, esci, ama, esprimiti.

È così che ti ritrovi a 40. Ieri eri sdraiato con le mani premute sulla schiena, oggi sei ancora quello, non è cambiato niente. Credevi che crescere avrebbe significato cambiare, diventare altro, guardare indietro e chiederti chi eri, non riconoscerti nelle fotografie ingiallite, evolvere a tal punto da scordare te stesso, come se allungando le mani un bel giorno ti riuscisse di sentire la consistenza della crisalide e uscire, spiegare le ali, finalmente afferrare l'essenza della tua vera natura.

E invece no, sei sempre lo stesso. Hai solo accumulato roba nella mente con cui baloccarti nel tentativo di cambiare: libri, film, esperienze. Così quando mi ritroverò sdraiato in attesa i miei pensieri saranno diversi. E invece no. Sono gli stessi, solo più complicati. Ora hai avuto tempo per incidere da qualche parte nella corteccia del mondo “I was here”, hai perfino messo al mondo un figlio nel tentativo.

Ecco perché ho iniziato qualche giorno fa a scrivere delle lettere a mio figlio. Giusto nel caso, ma anche perché mi sarebbe piaciuto che mio padre avesse fatto lo stesso. Ho aperto un account email a suo nome, l'idea è di raccontargli delle cose, per fargli capire, se è possibile farlo a parole, che l'unica cosa che uno può fare per modificare il proprio atteggiamento nei confronti del vivere e morire, avere la sensazione di poter toccare la crisalide, è avere un figlio. Tutto il resto è solo un passatempo.


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