Boris, il protagonista, si reputa un uomo dalle larghe vedute e si compiace di regalare al mondo briciole di saggezza. Anziano, zoppo, un matrimonio e un suicidio falliti alle spalle, un premio Nobel per la fisica mai ottenuto, ipocondriaco, narcisista, schizoide, ansioso, cinico, depresso e chi più ne ha più ne metta.
Woody Allen ambienta la storia, anche stavolta, a New York. La città diventa metafora dell'Eden in negativo: una metropoli che rende libero chi vi entra grazie alla particolarità che qua, a differenza delle piccole realtà sociali di provincia, nessuno fa caso alle devianze, alle diversità, all'anticonformismo. Anzi, vengono apprezzate, riconosciute del diritto ad esistere, incoraggiate.
Viene ribaltato il classico richiamo ai valori forti del film americano di genere. In questo film niente ha importanza; famiglia, educazione, credenze, non c'è tabù in grado di sopravvivere come tale nella grande mela di Boris. Se arrivi da qualche altra città sei bigotto, fascista, ignorante, razzista, antiabortista, fanatico delle armi, baciapile, “zombie” coatto o “vermetto” stupido dalla mentalità ristretta.
Arriva proprio da un paesino del Mississippi la co-protagonista, una ragazza che incarna alla perfezione lo stereotipo del provinciale buzzurro. E con lei arrivano, in seguito, sua madre e suo padre.
Ci vengono in mente tanti film ambientati nella provincia americana e non sappiamo più a chi credere: è davvero New York un'isola circondata da mentecatti o è il punto di vista di un newyorkese nostalgico della (mancata?) rivoluzione culturale degli anni sessanta a cui piace crederlo? Probabilmente né una né l'altra, piuttosto una via di mezzo che viene estremizzata per dare più spessore al desiderio della sceneggiatura di distinguersi da quello che può ben dirsi un canone narrativo, e di creare almeno quel minimo di scandalo che spesso un artista richiede a se stesso.
A parte questa considerazione estemporanea, il film analizza l'impatto di Boris su questa famiglia del profondo sud. La ragazza lo sposa per poter dire di aver sposato un genio e lo lascia per un attorucolo che sostiene la validità dell'amore eterno al primo sguardo. La madre della ragazza si trasforma in una artista della fotografia e dà sfogo a tendenze ninfomani. Il padre può finalmente abbracciare la sua troppo a lungo repressa carriera di omosessuale.
Boris ottiene tutto questo senza sforzo, gli basta insultare senza riguardo, focalizzarsi sulle proprie esigenze, esprimere disprezzo, elaborare teorie sul perché l'universo sia violento, assurdo e permeato di indifferenza, dimostrare che qualsiasi persona, presa per il verso giusto, rivela la sua vera natura di animale inerme e annichilito dal terrore.
La sua filosofia si riassume nella frase “Basta che funzioni”, ovvero non c'è modo di far andare bene le cose, è già tanto che funzionino. Almeno per un po', dato che in ogni caso smetteranno di funzionare ben presto. Il motto della rassegnazione, di un senso di fallimento per tutto ciò che non va secondo i nostri desideri, di un prendersi la responsabilità del mancato realizzarsi dei nostri sogni, che si esprimono in un secondo tentativo di suicidio del protagonista.
Un film che, in un modo o nell'altro, riesce a far riflettere. Da una parte abbiamo la critica verso tutti i valori tradizionali, dipinti più come una moda provinciale che uno stile di vita, una forzatura al conformismo che impedisce l'innocua espressione della devianze. Dall'altra parte abbiamo un uomo che non vuole avere più niente da perdere e suo malgrado si ritrova ad avere ancora e sempre qualcosa di nuovo da perdere, in un circolo vizioso che rende superfluo dare importanza ai sentimenti, ai progetti, alla vita stessa.
Nel film si rompe tutto e si riaggiusta in modi fin troppo originali, al limite dell'assurdo, come a dire che a furia di cercare aggiustamenti a ciò che non sembra funzionare si approda in una collocazione sempre più marginale, eccentrica, “vermetti” che solo nella Big Apple possono trovare accettazione.
Basta che funzioni? Ma chi può veramente dire con certezza se funziona oppure no? A volte funziona anche quando sembra rotto, a volte siamo noi a non funzionare a dovere, a volte non ha nemmeno senso interrogarsi a riguardo. Forse quello che Boris intende dire è che non si deve insistere sempre perché funzioni meglio di così. La vita è tropo breve, non c'è abbastanza tempo per ottenere perfezioni di sorta. Mi sembra un buon consiglio.
domenica 11 ottobre 2009
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