Ho paura dei testimoni di Geova. Sono gentili, sono amichevoli, sono inoffensivi. Mi fanno paura perché hanno una sensibilità forgiata in lega di cromo vanadio, i proiettili delle tue opinioni rimbalzano sulla corazza di convinzioni indistruttibili.
Nessuno li può fermare, nessuno li fermerà mai, vanno via ma torneranno e torneranno e torneranno. Si sente già dal modo in cui ti salutano, suona come una minaccia vellutata. Ti senti accarezzato dal boia, preso di mira dall'orco. Tutta quella sicurezza, quella calma, quel senso di amore gratuito che dilaga, copre, seppellisce. I testimoni di Geova mi rubano l'aria, mi tolgono i denti dalla bocca, mi svuotano lo sguardo, mi mettono seduto a sbavare davanti alla finestra in attesa di restare solo.
I testimoni di Geova non mi fanno solo paura, mi terrorizzano. Quelli che vengono da me hanno anche una bella voce. Quando suona il citofono a volte spero che siano i testimoni di Geova e provo un brivido di aspettativa, come davanti al poliziotto che ti viene a dire che qualcuno a cui tieni ha avuto un incidente. Le facce non posso dire niente sulle facce perché il videocitofono produce immagini sfocate, in bianco e nero, e inquadra solo pezzi di testa a caso. A volte un profilo della fronte, con un ciuffo di lunghi capelli lisci che copre la tempia.
Ho visto la bocca, anzi le bocche, da me vengono in coppia. C'è questa bocca principale che parla vicino al microfono ed è molto grande, molto dettagliata, ogni movimento delle labbra corrisponde ai suoni che emette e questo lo trovo confortante. Mi concentro sulla bocca e a volte immagino che i movimenti non corrispondano, che mentre ascolto il testimone di Geova scopro la persona imprigionata dentro che mi chiede aiuto, che muove le labbra in appelli senza suono. Ma non succede mai.
L'altra bocca si vede di rado, più spesso si vede un braccio che regge libretti, riviste, volantini. L'altra bocca rimane chiusa e il corpo dell'altra bocca rimane fermo anch'esso. In attesa. Come un predatore stanco che risparmia le forze scrutando l'orizzonte, calcolando le distanze. Mi chiedo di che colore siano i vestiti che indossa. Tinte pastello? Smorti blu e verdi? Nel videocitofono sono grigi, come la mani, come la fronte, come le labbra dell'enorme bocca in primo piano. Gli occhi non si vedono mai ed è una fortuna, non so se potrei sopportarli.
Mi piace ascoltare i testimoni di Geova che parlano nel citofono. Più mi fanno paura e più mi piace ascoltarli. Vorrei che mi telefonassero ogni tanto, sono così calmi, sembrano sereni. Felici direi, felici di quella felicità tranquilla che ti prende sui titoli di coda di un film a lieto fine. Non cercano di venderti niente, non ti chiedono di dedicare loro più tempo di quanto sei disposto a sprecare, spesso iniziano scusandosi per il disturbo.
E poi ti dicono subito il loro nome di battesimo. Questa è una cosa che mi fa molto paura. È come se uno sconosciuto al posto di tendere la mano ti saltasse addosso abbracciandoti forte. È come se ti dicessero so che sei circondato da persone che in realtà non ti vogliono bene, anch'io ero come te prima di imparare a sparare addosso al prossimo il mio nome di battesimo. I testimoni di Geova vanno in giro nudi, penso, e subito dopo mi dico di no, non esattamente, sono vestiti di certezze. Le conosco quelle certezze perché leggo avidamente le loro pubblicazioni.
Non mi chiedono mai di entrare, se lo facessero probabilmente caccerei un grido angosciato. Mi chiedono se ho letto quello che m'hanno lasciato la volta scorsa. Io dico sì, spaventato all'idea che non riuscirei a mentire ai testimoni di Geova nemmeno se lo volessi. Se mentissi quella bocca grigia e enorme non andrebbe più in sincrono coi suoni che emette, comincerei a fare degli incubi in cui la voce mi chiede se li ho letti mentre le labbra invece mimano accuse con smorfie rabbiose.
Li leggo soprattutto perché ho paura dei testimoni di Geova. Non so cosa accadrebbe se a quella domanda rispondessi no, li ho buttati ridendo nell'immondizia. Forse vedrei una lacrima scorrere sulla guancia nel videocitofono e mi verrebbe un infarto. Così io leggo i loro libretti, li leggo tutti, per intero, anche le righe in piccolo con i dati della tipografia che li ha stampati.
Le riviste dei testimoni di Geova sono molto interessanti. Insegnano come piegare la ragione al sostegno di tesi assurde. Insegnano come mischiare dimostrazioni pseudo logiche di tesi assurde a articoli di buon senso su problemi comuni. Metodi di gestione della rabbia e subito dopo affermazioni sulle verità del creazionismo. Consigli sull'approccio corretto a problemi adolescenziali e subito dopo spiegazioni sui motivi per cui l'antico testamento contiene precetti ancora attuali. Spesso cerco frasi emblematiche come potrebbe essere “Cosa farebbe Gesù?” ma non ne trovo. Ci sono anche i quiz, i giochi per bambini, le storie vere che diventano parabole di grande impatto morale.
Mentre leggo provo l'eccitazione di chi maneggia materiale radioattivo, di chi mette sotto il microscopio il vetrino che potrebbe dare una svolta alla scienza del comportamento umano, il domatore che mette la testa nella fauci della belva. La Bibbia contiene tutte le risposte. Non c'è bisogno di nient'altro per vivere, Dio ci ha fornito il manuale delle istruzioni.
I testimoni di Geova mi chiedono cosa ne penso, io sto sul vago. Faccio quello che non ha opinioni sue, che è affetto da una grave forma di lobotomia volontaria. Non voglio che se vadano, non voglio che smettano di tornare. Mi piace che una voce gentile venga periodicamente a dirmi il suo nome, come se gli importasse di me. Pensa se un giorno chiedesse il tuo di nome, mi dico, quella bocca enorme e grigia, quella voce così calda, e tremo, mi chiudo nelle spalle. Pensa se ti aspettasse fuori dal portone, sotto casa, e ti rincorresse mentre corri a perdifiato nel traffico, in preda al panico. Io ho paura dei testimoni di Geova.
martedì 27 ottobre 2009
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