Quando c'hai un figlio devi mettere in conto di fare cose che non facevi da una vita. Una di queste è il circo. Ricordo di esserci andato una sola volta al circo, da piccolo, e di aver pianto di paura quando il clown si è avvicinato troppo e mi ha guardato negli occhi. Dicono che bisogna affrontare le proprie paure: ieri ho preso per mano mio figlio e, confortato dalla sua presenza, ho preso il coraggio a due mani e ci sono tornato.
Al circo vai sotto un tendone e guardi cosa succede senza uno straccio di vetro che ti protegga da quello che vedi. Sei in balia degli eventi. È la televisione del futuro, dove non solo vedi lo spettacolo ma ti sembra proprio di essere lì fisicamente.
L'esperimento consisteva nello stabilire quanto di genetico c'è nelle nostre fobie. Per questo continuavo a osservare le reazioni di mio figlio. Per non influenzare il risultato ho dissimulato con tutte le mie forze la mia pulsione a fuggire urlando dal quel luogo infestato dallo spettro di un divertimento morto e sepolto da decenni.
Lui si divertiva, rideva, rispondeva agli inviti a cantare, urlare, applaudire. Intanto io scansavo gli attacchi di empatia, cercando di non immedesimarmi, di non indossare i panni dell'equilibrista in bicicletta sul filo, del trasformista messicano, del domatore di cani, della giocoliera che fa ruotare tappetini sulla punta degli alluci. Ma andiamo per gradi.
All'ingresso ci sono animali di plastica scolorita. Alla tigre manca un occhio. Il ghepardo ha l'espressione di chi sta pisciando fuori un calcolo. Il gorilla sembra aspettare il verde al semaforo. L'elefante, oh, l'elefante, “il rullo compressore della giungla!” definirà in seguito il domatore facendo entrare in pista quello vero, di elefante, che andrà a sedersi su uno sgabello per ricevere una zolletta premio, l'elefante, non l'ho visto bene, ero concentrato sui bulloni e le cinghie che tenevano fissate al carrello le zampe scheggiate, le unghie enormi dipinte di rosa.
“Compriamo gli animali finti papa!”, esclama, “Io prendo il leopardo.”
“Sì, buona idea, magari più tardi.”
“Adoro il leopardo.”
“Il ghepardo, è un ghepardo.”
“No papa, è un leopardo”, dice no anche con il dito indice, “Il leopardo è bello, mangia l'erbetta.”
“È vegetariano.”
“Vegetano, sì papa, come preferisci, tu prendi l'elefante invece, eh? Ti va bene?”
I biglietti che costano meno, 25 euro, si chiamano poltrona e sono una seggiolina di plastica che era blu e col tempo è diventata celeste. Poi c'è la poltronissima ed è una seggiolina gialla che però è al centro dell'emicerchio, di fronte alla pista. Infine c'è il palco reale, seggiole di plastica a ridosso della pista, come unica protezione un foglio di compensato. Non fanno firmare una liberatoria che li solleva da ogni responsabilità, mi chiedo se non serva perché è sicuro o se non serva perché il loro legale fa il clown di secondo lavoro. Forse sono clausole scritte in piccolo, che stupido a non averci pensato, ma quando guardo meglio sul biglietto non c'è scritto niente, non c'è scritto neanche circo, c'è scritto “motor show” e ho la sensazione che questo spieghi tutto.
Se non ci fosse un figlio in questo posto tu non ci metteresti piede neanche se ti puntassero un fucile alla schiena. Se, se, se, scordati i se, quando c'hai un figlio indagare i se è autolesionismo. Elia è felice, un po' spaesato all'inizio, un po' preoccupato anche, ma poi arriva il clown e quanto ride, quanto si diverte. Il clown inciampa, il clown capisce tutto al contrario, il clown possiede una capacità inesauribile di ripetere gli stessi errori ancora e ancora, fino a quando non vieni sopraffatto dalle risate, devi tenerti la pancia e ti schizzano lacrime dagli occhi. Anch'io rido, non riesco a immaginare niente di più terribile che fare il clown davanti a qualcuno che non ride, e quindi mi sforzo di ridere quando mi sembra che stia guardando dalla mia parte.
Elia canta, ride, applaude, si stupisce, si entusiasma. Non con tutto però, evidentemente anche per i bambini c'è un limite. Alcune performance meriterebbero un libro intero e ancora non si potrebbe descriverle a fondo. Le finte majorettes col cilindro in testa che non sanno roteare il bastone, servono solo a riempire un paio di minuti di tempo morto. Gli acrobati che fingono di litigare fra di loro. A un certo punto entra uno struzzo col farfallino al collo e mi sento così straniato da temere un'esperienza extracorporea.
Approfitto della pausa tra il primo e il secondo tempo per uscire. “Da questa parte potete rinfrescarvi al bar con bibite e pop corn, alla mia sinistra invece, due euro per tutti, potete visitare il più grande zoo itinerante del mondo, con la rarissima tigre bianca!”
“Sei contento? Ti è piaciuto il circo?”
“Siiiiiiiiiiiiiiì!”
“Cosa ti è piaciuto di più?”
“Gli animali finti.”
“Non erano finti, hai visto lo struzzo?”
“L'ostruzzo? Sì, anche il cammello”, si ferma, mi guarda, “Il cammello ha due gobbe, il dromedario una sola, lo sapevi papa?”
“Se non lo sapevo ora grazie a te lo so.”
“Va bene, prego, non c'è di che. È finito il circo?”
“Non ancora, ma direi che potremmo andarcene adesso.”
“D'accordo, ma prima compriamo gli animali finti. Tu prendi l'elefante e io il leopardo.”
Non sono stati soldi buttati, penso, il circo, penso, ne valeva la pena, penso, mentre Elia mi trascina verso l'uscita, impaziente di lasciarsi tutto alle spalle.
lunedì 12 ottobre 2009
Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (15 di N)
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