C'era una volta un papà ragno che si chiamava Mygalomorphae Ctenizidae ma siccome nessuno riusciva a pronunciare il suo nome tutti lo chiamavano Aracno.
Aracno aveva mille e duecento e trentotto figli e lavorava tantissimo per realizzare il suo sogno, costruire un robot.
“Papà”, gli chiedeva spesso qualcuno dei suoi figli, “A che ti serve un robot?”
Aracno sorrideva e rispondeva soltanto: “Lo vedrai!”
La moglie di Aracno, una bellissima fenicottera dalle piume rosa lucide e profumate, era molto preoccupata per la sua salute. “Caro”, gli diceva, “Hai la tua bella tana con la tua bella porta blindata dalla quale puoi entrare e uscire tutte le volte che vuoi, perché ti ostini a costruire un robot?”
Aracno sorrideva e rispondeva soltanto: “Lo vedrai!”
I giorni passavano e Aracno era sempre chiuso nella sua tana, tutto il giorno, a lavorare al suo robot. Nessuno aveva il permesso di entrare e da dietro la porta blindata si sentivano rumori di martelli, esplosioni, tuoni e fulmini. A volte Aracno tornava a casa la sera per cena tutto scarmigliato, con le sopracciglia bruciacchiate, la camicia piena di macchie d'olio. Però era contento, anche se si addormentava dimenticandosi di dare la buonanotte a qualcuno dei suoi mille e duecento e trentotto figli.
Un bel giorno Patrizia, la seicento e quattresima figlia di Aracno, stava aggiungendo bava di lumaca alla sua bella criniera di zebra quando vide arrivare suo padre.
“Buon-giorno, si-gno-rina.”
“Papà che ti succede, parli strano.”
Da dietro l'angolo spuntò il vero Aracno, tutto felice, e gridò: “Sorpresa! Ti presento il mio robot!”
Aracno andò a sedersi nella sua poltrona preferita, aprì il giornale e a chiunque andasse a cercarlo diceva “Andate a chiederlo al mio robot”. E così pian piano nessuno andò più a disturbarlo. Il robot faceva tutto e non sbagliava mai niente, non aveva nemmeno bisogno di dormire. All'inizio qualcuno dei suoi mille e duecento e trentotto figli era un po' spaventato ma col tempo tutti si abituarono e, anzi, scoprirono di essere molto contenti di avere un robot come padre.
Aracno finì di leggere il giornale, schiacciò un pisolino, fece una passeggiata e quando si sentì finalmente riposato andò a cercare sua moglie ma lei stava parlando col robot ricordandogli di prendere anche qualche bullone di riserva mentre andava a fare la spesa. Allora Aracno andò a cercare qualcuno dei suoi figli ma quando faceva qualche domanda i suoi bambini gli rispondevano di chiedere al robot, che sapeva rispondere a qualunque cosa.
“Che bello il tuo robot, papà”, dicevano tutti, “Sei stato molto bravo a costruirlo, è capace perfino di dire il tuo nome vero, quello complicato, ora siamo davvero felici.”
Per qualche giorno Aracno si godette la pace, la tranquillità. Ogni tanto chiamava il robot e gli chiedeva di pronunciare il suo nome complicato e quello lo faceva, senza sbagliare neanche una volta. Aracno era molto soddisfatto.
Ma la terza sera, Francesca, la sua figlia più piccola, si presentò col suo grillo pupazzo alla poltrona del padre e gli disse “Papà. Il tuo robot è molto bravo, ma scusa te lo devo proprio dire, c'è una cosa che non sa fare.”
Aracno si accigliò, “Impossibile! L'ho progettato alla perfezione!”
Francesca fece no con la testa, “C'è una cosa che proprio non sa fare, papà”
Aracno si arrabbiò. “Ah sì? E cosa sarebbe questa cosa? Avanti, sentiamo.”
Francesca si impaurì e disse “Niente, papà, hai ragione, è perfetto.”
Proprio in quel momento entrò il robot mulinando le braccia, molto agitato “È così tar-di, biso-gna anda-re a dor-mire.”
“Va bene”, rispose Francesca, “Ma adesso posso avere un abbraccio?”
Il robot girò su se stesso, gli lampeggiarono della lampadine, emise dei cigolii mentre saltellava sul posto. “Abbrac-cio, ab-braccio, cer-to, è molto tar-di, anda-re, dormi-re.”
Francesca guardò il suo vero papà con uno sguardo furbetto come a dirgli “Ecco! Visto?”
Aracno si alzò e diede un grande abbraccio affettuoso a Francesca, quindi premette il bottone che spegneva il robot e lo spinse nello sgabuzzino.
Quella notte Aracno non riuscì a dormire bene, continuava a pensare al robot. Domani quando vedranno che l'ho spento mi chiederanno di riaccenderlo. È molto più bravo di me, nessuno vorrà riavere il vecchio Aracno.
Così quando si alzò e andò in cucina per fare colazione era già pronto a obbedire nel caso gli avessero chiesto di riaccendere il robot. Ma quando mise zampa in cucina vide palloncini colorati, una grande torta sul tavolo e tutta la sua famiglia gridò: “Bentornato!”
Passò più di un'ora prima che tagliassero la torta perché Aracno dovette dare mille e duecento e trentotto abbracci prima di colazione.
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