C'era una volta un bambino che non aveva un nome.
I suoi genitori non erano troppo poveri per potergliene comprare uno, anzi, volendo avrebbero potuto comprarne uno molto lungo, come ad esempio Asdrubale De Gianpatrizio o magari anche uno esotico come Michael-kevin-joshua.
Mamma e papà non erano nemmeno troppo pigri per sceglierlo, anzi, facevano sempre qualcosa di molto importante, dal momento in cui si svegliavano a quando andavano a dormire. Tante cose di impegnativo lavoro, discussioni infinite su complicati argomenti. Erano così indaffarati da non aver mai tempo sufficiente per fare tutto quello che volevano. “Com'è tardi”, dicevano spesso. Oppure: “Adesso proprio non posso, devo prima finire qua.”
Il fatto che non avesse un nome non era neanche una punizione per qualcosa che aveva o non aveva fatto. Il bambino senza nome era un bravo bambino, obbediente, gentile, non faceva i capricci, si comportava come si deve. E allora perché non aveva un nome, ti starai chiedendo. Io se non avessi un nome vorrei sapere il perché, tu no? Ma devi sapere che il bambino senza nome si era abituato a non avere un nome.
All'inizio era stato difficile capire se qualcuno lo stava chiamando perché senza un nome devi girarti ogni volta che senti dire “Ehi tu”, o magari solo “Bimbo!” o a belle parole come 'caro?', 'amore?', 'tesorino?'. Col tempo imparò a riconoscere le voci delle persone che conosceva e riusciva a evitare di girarsi quando a parlare era uno sconosciuto.
In fondo, pensava il bambino senza nome, non è così importante. Teneva un quaderno nel quale scriveva tutti i nomi che gli piacevano così che un giorno avrebbe potuto sceglierne uno per conto suo. E se si fosse stufato di quello avrebbe anche potuto cambiarlo. Ma come faceva, mi chiederai, quando qualcuno gli chiedeva come ti chiami? Non puoi certo rispondere che non hai un nome o che a te non l'hanno dato, giusto?
Il bambino senza nome aveva riflettuto molto su questo problema e aveva trovato una soluzione. Quando qualcuno glielo chiedeva lui rispondeva “A te come piacerebbe chiamarmi?” e scriveva su un altro quaderno il nome di chi glielo aveva chiesto di fianco al nome che quella persona aveva scelto. Così ora sapeva che la maestra preferiva chiamarlo Leonardo, la nonna Giuliano, il suo migliore amico Claudio invece aveva scelto X18. Anch'io ho scelto un nome per lui, lo chiamo Ulisse, ma tu sentiti pure libero di chiamarlo come vuoi.
Un giorno, era domenica, il bambino senza nome, per me Ulisse, era andato in gita con mamma e papà al museo naturale. La domenica era l'unico giorno della settimana in cui i suoi genitori avevano tempo per fare qualcosa e lo portavano con loro al cinema, al parco, in piscina, allo zoo. Gli chiedevano tante cose, hai fame, hai sete, hai caldo, hai freddo, ti diverti, non si poteva proprio dire che lo ignorassero. Si sedevano da qualche parte a parlare fra di loro e gli lanciavano dei sorrisi, “Vai a giocare, caro”, dicevano e stavano lì ad aspettarlo anche per ore.
Quella volta il museo era pieno di gente perché era arrivato un nuovo dinosauro che tutti volevano vedere. Mentre attraversavano la sala del paleozoico l'attenzione di Ulisse venne attirata da una bacheca piena di trilobiti. Era una vasca piena d'acqua con luci azzurre e bolle e ologrammi di trilobiti dalla lucida corazza che nuotavano muovendo le lunghe antenne, agitando le tante zampette, con i loro occhi di cristallo che lampeggiavano di rosso. Rimase affascinato a guardarli per diverso tempo e quando si ritenne soddisfatto si voltò e scoprì che mamma e papà non c'erano più.
C'era una foresta di gambe di adulti, un gran rumore di chiacchiere da adulti, tanto che dovette spingere un po' e ripetere “permesso”, “mi scusi”, “posso passare?” prima di raggiungere un uomo in divisa. Se ti perdi la prima cosa che devi fare è cercare una persona in divisa, gli aveva detto la maestra, e Ulisse tirò la giacca della guardia del museo.
“Non ti preoccupare”, gli disse la guardia, “Adesso diciamo il tuo nome nell'altoparlante e i tuoi genitori verranno subito a prenderti. Come ti chiami?”
Ulisse si rese conto che non aveva mai chiesto a mamma e papà. Non sapeva cosa dire. Tutti gli altri nomi non avrebbero significato niente per mamma e papà. Tirò fuori il quaderno e controllò la lista per sicurezza. No, c'erano decine di nomi ma non quello che serviva a farsi trovare da mamma e papà.
“Allora?”, disse la guardia, “Che succede, non te lo ricordi più per caso?”
Ricordare. Forse aveva ragione la guardia. Forse in passato c'era stato un momento in cui quel nome era stato usato. Ulisse chiuse gli occhi, si concentrò, andò all'indietro con la memoria, sfogliando i ricordi. Ecco, il giorno in cui siamo andati allo spettacolo delle marionette. No, lì il nome non c'era. Il primo giorno di scuola. Niente nome nemmeno lì. Ulisse diventò sempre più piccolo nella sua mente, e finalmente eccolo! Era un bambino molto piccolo, stava giocando con dei cubi colorati, mamma e papà erano seduti accanto e lui e lo chiamavano per nome!
“Aldo!” strillò, felice, “Mi chiamo Aldo!” Ulisse cominciò a saltare di gioia, si rivolgeva a chiunque lì intorno gridando “Aldo! Il mio nome è Aldo!”
Non è vero che non aveva un nome, si era solo dimenticato di averlo! Non lo sentiva dire da così tanto tempo che se l'era scordato!
Quando arrivarono mamma e papà furono così contenti di averlo ritrovato. Lo stavano cercando dappertutto, erano stati così preoccupati. Che sollievo vederlo lì sano e salvo. Lo abbracciarono forte.
“Aldo, ti voglio bene”, disse la mamma.
“Aldo, ti voglio bene”, disse il papà.
“Anch'io vi voglio bene”, rispose Aldo, “Però ho un favore da chiedervi.”
“Tutte queste cose che facciamo sono molto belle e interessanti”, disse Aldo, “So che il tempo è sempre poco ma possiamo ogni tanto semplicemente sederci insieme a giocare?”
“Ma è importante per un bambino fare esperienze nuove”, dissero in coro i suoi genitori, “Non possiamo tenerti sotto una campana di vetro.”
“Ah, va bene”, disse Aldo, “Allora è meglio che mi segni sul quaderno come mi chiamate, altrimenti la prossima volta potrebbe non venirmi in mente.”
Mamma e papà si guardarono per un po', con ara confusa, e finalmente capirono. Quello che era importante per loro non coincideva con quello che era importante per Aldo. Da quel giorno mamma e papà sacrificarono un po' di cose che erano importanti per gli adulti e trovarono il tempo di dedicarsi a cose da bambini.
Aldo gettò nella spazzatura i quaderni e non dimenticò mai più il suo nome.
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