martedì 17 novembre 2009
Mi hanno sequestrato il Nobel
Un capolavoro, non posso fare a meno di rileggerlo. A volte interrompo quello che sto facendo, che sia cucinare o riparare la moto, e corro a rileggermi certi passaggi che non son più certo di sapere a memoria. Ne tengo una copia anche in bagno, e ne ho una fatta a pezzi, le pagine incollate sui muri con parole evidenziate, parole come “ghermito” o “scarponi” o “contromano”. Prima di rispondere a qualsiasi domanda faccio mente locale per capire se c'è l'opportunità di fare una citazione, c'è sempre anche se io spesso non me ne rendo conto, non ho studiato abbastanza bene il testo di questo libro dei libri, il libro che annichilisce qualsiasi altro libro. Se l'avete letto sapete di che parlo. Quando ad esempio il vecchio demente scende in cucina – e già la cucina sepolta è un'immagine che esalta -, la cartolina nella mano tremante, e vede la tigre sdraiata sui fornelli, paciosa, rilassata, lo sguardo perso in giungle immaginarie. Come usa le parole, un che di musicale in ogni singola strofa, che mi vien voglia di cantarlo, il libro, mi vien voglia di sentirlo suonato al pianoforte, o su un organo di chiesa. La parte dei bambini, mi sconvolgo tutte le volte solo a pensarci, la manine strette sull'impugnatura delle pistole, i berretti calcati sulla fronte, nel vicolo dirimpetto la fermata del pullman, il pullman truccato, con il pelo sul tettuccio e gli occhi spruzzati di vernice dietro i tergicristalli sollevati. Che poesia, che profonda conoscenza della natura umana. Voglio regalarlo a tutti quelli che conosco, e lo regalerei anche a chi non conosco purché venga letto da chiunque, ne ho seppellita una copia in giardino, dentro una latta di caffè usata, perché in futuro venga riesumata e riscoperta, che una guerra o altra disgrazia non possa impedire la sopravvivenza di un'opera immensa, totale, qual è il libro più bello che sia mai stato scritto. Basterebbe la descrizione dell'auto in fuga sul ponte, di notte, la paura del pilota che evita le pozzanghere senza emettere un fiato, in una bolla di silenzio concentrato, mentre fuori le sirene, i lampeggianti, le foche sdraiate sulle panchine del porto che cercano di trasmettere il conforto di una madre assente. Anche se il mio personaggio preferito rimane il boss, il donnone col grembiule che lotta con gli ombrellini di carta, non riesco ancora a credere che vada incontro al sacrificio col sorriso e rileggo quelle pagine ancora e ancora, come se fosse possibile un miracolo, l'intervento di un dio vendicativo disposto a scendere a compromessi, ma le parole non cambiano, rileggo un destino segnato con inchiostro indelebile, e piango, oppure rido, dipende, dipende da cose futili, dipende da come cade la luce, da come si muove una mano, a volte basta un fruscio.
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Che fine ha fatto Wilson?
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