Abbiamo agito d'impulso, è stato come alzarsi dalla sedia a rotelle nello stesso momento. Fino a poco prima stringevamo i copertoni della carrozzella, i guanti con inserti di gomma per migliorare la presa, gli avambracci tesi, le spalle muscolose. Ci siamo guardati e abbiamo letto l'uno negli occhi dell'altro lo stupore, Che ci fa tu, proprio tu, su quella sedia?, Perchè?, ci siamo alzati e abbiamo camminato fino alla macchina. Mi sono messo al posto di guida e siamo tornati indietro negli anni al tempo in cui ero sempre io quello al volante, quando lui se ne stava col broncio fino a destinazione e io me la prendevo con le altre macchine, coi motocliclisti, con le biciclette i pedoni i semafori, il sole e la pioggia, tutto strada con lui a leggere - Come si fa a leggere in macchina? Ti chiedevo. Ricordi? E tu non mi rispondevi mai. - e io a sbraitare, lui con gli auricolari a chiuderlo dentro al suo mondo asfittico e io a gesticolare per non restare chiuso in nessun tipo di mondo.
Non ci siamo messi d'accordo prima. Come avremmo potuto, del resto? Non era nemmeno previsto che ci incontrassimo, ne sono sicuro. Qualche falla nei protocolli, una piccola distrazione, un inconveniente. Eccoci lì, tutti e due, a guardarci in faccia. Lui ha puntato un dito verso la macchina, io ho annuito. Era proprio simile a quella che avevamo quando puntuali ogni mattina passavamo giù da Canal Street e mandavamo un segnale col clacson su attraverso i vetri della finestra al secondo piano, per salutarla - Ti ricordi? Alzavi la testa quando la mia mano stava ancora ipotizzando il gesto. Come ci riuscivi? Cosa ti faceva smettere di leggere? Un suono, una luce, una sensazione, un insieme di percezioni limitrofe? Perché non dicevi niente? Non avevi proprio niente da dire? - nel punto in cui la salita termina e si vede giù fino alla baia quando va male, fino al profilo dell'isola dei conigli se va bene.
Mi sono avvicinato e gli ho chiesto le chiavi e lui me le ha date. Deve aver visto anche lui le sedie a rotelle che, abbandonate, cigolavano ancora nelle nostre teste. Deve aver visto che ci eravamo alzati, contro ogni probabilità, sfidando le leggi naturali. Ci eravamo alzati e quell'uomo ci ha dato le chiavi per ringraziarci di quello a cui stava assistendo. Perché noi saremmo saliti a bordo e avremmo fatto ciò che anche lui aveva sempre desiderato. Saremmo partiti adagio, senza sgommare, senza pestare sull'acceleratore. Avrebbe chiamato le forze dell'ordine, ma non prima di sorriderci, di incoraggiarci, Fatelo anche per me, ragazzi. Puoi contarci, amico, ti dedichiamo la polvere che nuvoleggia nello specchietto retrovisore, quando tagliamo per il cantiere abbandonato per evitare lo svincolo con la 119. Non ho mai sopportato quello svincolo - Ti dovevi attaccare alla maniglia di sicurezza per la violenza della svolta, ti ricordi? Prendevo il cordolo del marciapiede e saltavamo sui sedili, il cancello che più di una volta grattava la carrozzeria con verso da uccello rapace. Ti sentivo ridere, non potevi farne a meno. Strizzavo gli occhi incattivito e ti ringhiavo Cosa ridi? E più forte ripetevo Cosa ridi, cosa riiiidiiii? - con tutti quei nodi le precedenze gli innesti laterali, uno svincolo tentacolare.
Abbiamo puntato verso il sole, solo per il gusto di abbassare i deflettori, di mandare fastidiosi lampi dal parabrezza contro quelli che ci venivano incontro. Non ero più io, non era più lui. C'era solo il vento dai finestrini abbassati, la radio a tutto volume, il sole proprio lì davanti con le sue esplosioni nucleari troppo distanti per poterci impressionare. Tutto era troppo lontano, tutto, tranne lui per me e io per lui, tornati a correre dopo un periodo di contenzione forzata. Facevo avanti e indietro col busto e lui batteva sul cruscotto con le mani aperte, per segnare il ritmo - L'hai fatto anche quella volta, quell'unica volta, ti ricordi? Cantavamo addirittura, quella volta. La tua voce da bambino e la mia resa grottesca da tabacco scadente. Cos'è successo poi? Perché abbiamo smesso, tu lo sai? Era per sempre o niente lo è? - e siamo passati davanti alla clinica, al macello, alla chiesa sconsacrata nella zona dei magazzini distrutti dall'incendio.
Non ci ha fermato nessuno, eravamo come invisibili. Quando siamo usciti dalla città continuavamo a guardarci intorno, a riempirci di verde e di blu. Mi sono fermato a una deserta piazzola attrezzata, i tavoli da picnic sbiancati di salsedine, i giochi per bambini inutilizzati e afflitti. Cercavo qualcosa da dire, mi veniva in mente solo sangue e muco sputato in un bicchiere di plastica, da svuotare nel lavandino trattenendo i conati. Persone che improvvisamente perdono l'equilibrio e cadono, occhiali scuri che si rompono, il tonfo che fa la corrente elettrica quando salta. Wooomp! L'ho guardato e alla fine ho detto qualcosa - Lo sai come mi capita, vero? Dicevo una cosa che non c'entrava niente fra grandi parentesi di silenzio. Quando succedeva tu scuotevi la testa e mi davi una risposta adeguata, mi tiravi fuori dal pozzo come se fosse una cosa semplicissima, che chiunque al tuo posto avrebbe saputo fare – è stata l'unica volta che ha risposto a bassa voce, Forse hai ragione, non si è nemmeno voltato a guardarmi, concentrato su qualcosa laggiù nel mare, qualcosa di piccolo e appuntito.
lunedì 26 aprile 2010
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