lunedì 16 febbraio 2009
Immortalità
Mi alzai una mattina e non esisteva più. Non fu qualcosa di cui rendersi conto. Il fatto che fosse esistita non aveva importanza alcuna. Come l’infanzia, come la bambina che ora ha due figli grandi e sembra ieri che tutti aspettavano la sua prima parola temendo fosse muta. Non posso dire di aver aperto gli occhi ed averne sentita la mancanza. Non c’era più e la vita continuava con i suoi ritmi e il profumo del caffè e l’acqua fredda sulle guance rasate. Chi può dire se servirebbe ancora la sua presenza, quanto potrebbe aiutare saperla accanto al letto, indecisa sul tenerti per mano. Mi piace pensare che se ne sia andata di propria iniziativa, sparita per togliere l’incomodo, ruga d’espressione stanca d’essere osservata nello specchio. Qualcuno avrebbe voluto prendersene il merito ma non fu possibile dimostrare niente. Semplicemente da quel mattino smise di essere nei nostri pensieri. Seppellita in terra sconsacrata, in una tomba senza nome. Non so perché ora vado testimoniandone l’assenza. Non riesco a credere che mi manchi l’odore a volte ferroso ed altre salmastro che riempiva gli ambienti ancor prima che ci si accorgesse del suo arrivo. Probabilmente le nuove generazioni non immaginano nemmeno che aspetto possa avere quando fuori c’è la nebbia e sui vetri sbocciano fiori di ghiaccio. Non possono sapere cosa si prova ad accoglierla quando non si ha nemmeno la forza di alzarsi per guardare le nuvole al tramonto. Molti dei miei coetanei sono partiti, destinazioni lontane, nel tentativo di ritrovarla, di saltarle in braccio come fosse la mamma e svanire anch’essi nel nulla. Spesso vorrei provarci anch’io ma c’è sempre qualcosa che mi ferma: una parola di troppo, un aspettativa sul futuro, l’abitudine a rimanere a galla. Però mi ricordo com’era prima di quel mattino. Esisteva più di chiunque altro. Una presenza soffocante negli animi più sensibili. Una tortura per amanti e poeti. Una liberazione per i meno pazienti. Non sapevi mai cosa aspettarti da lei. Poteva sorprenderti o darti appuntamenti lunghi un secolo. Ma comunque arrivasse, per come ci si preparasse ad accoglierla, per quanto si desiderasse incontrarla, riusciva sempre ad arrivare in anticipo. Molti la incontravano nel mezzo di un sogno, altri invece la vedevano da svegli e qualcuno doveva provvedere a chiudere loro le palpebre vuote e spalancate. Ora che non esiste più mi chiedo in momenti come questo se con lei non sia svanita una fetta del mio vivere, il senso del mio restare. Ma poi mi sveglio e c’è il calore del sole e il profumo del caffè e lo schiaffo dell’acqua fredda. E ricomincio così di nuovo a vivere e a vivere e a vivere la mia giornata.
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micro esperimenti narrativi
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