lunedì 16 febbraio 2009

Nitrito

Oltre la ringhiera della galleria v’era un pergoletto con l’uva americana e la mattina presto si poteva cogliere un grappolo senza temere punture di vespa. Indossavo una calzamaglia rossa coi bottoni dietro. Quel giorno ero il primo ad essermi svegliato e perciò mi sembrava di poter compiere qualsiasi proibito senza che nessuno potesse fermarmi. Mi aggrappai alla ringhiera e guardai lontano, un cielo dalle guance pittate che si vergognava dell’alba. Tutta quest’improvvisa libertà e non sapevo cosa farmene. Restavo accigliato a guardarmi intorno, sempre più conscio del fatto che ero solo, con l’agitazione che lasciava spazio a un senso di vuoto. Sarei potuto andare ovunque, là fuori. Si sarebbero svegliati ed io sarei già sparito per sempre, di corsa nei prati e lungo strade tortuose, con la calzamaglia rossa a riempirsi di polvere, ramingo e famelico. Ma restavo lì, alla ringhiera, incapace di far altro che gustare l’effimero gusto d’una trasgressione immaginata. Colsi un grappolo e iniziai a spremermi gli acini in bocca, recuperando i semi con la lingua per poi sputarli lontano, dabbasso, in sghembe parabole, cercando di non fare rumore. Desideravo che durasse a lungo e così desiderando mi perdevo la possibilità di goderlo appieno. Ogni tanto mi voltavo a guardare la porta, sperando che continuasse a non uscirne persona. Dunque sorridevo, staccavo un altro acino, tornavo a pensarmi in fuga, senza obblighi né attenzioni. Finché passò un cavallo e mi vide e nitrì adagio come ad avermi letto nella mente un pensiero ridicolo. L’uomo che lo teneva alla cavezza lo blandì, una carezza sul collo, e l’animale gli spinse il muso sul fianco, facendolo barcollare. Pensai che il cavallo avesse tentato di dire all’uomo di guardare là, in galleria, quel ragazzino in calzamaglia rossa, con la furia nello sguardo, le labbra macchiate dall’uva, che al passare dei cavalli nasconde la testa nelle spalle e scappa in disparte per timore di venire calpestato. E il cavallo aveva riso di me. Ed io gettai via il grappolo e tornai in casa, spaventato, ché avevo sputato giù con un seme il coraggio della finzione.

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