martedì 23 giugno 2009

Come sconfiggere la macchina della verità.

C'è un solo modo sicuro per sconfiggere la macchina della verità: diventare inconsapevoli della differenza fra vero e falso. In definitiva, ce lo insegnano i filosofi, nulla è vero fino in fondo. La realtà è frutto di percezione elaborata, è soggettiva in un mondo forzatamente solipsistico. E che dire del falso? Falso rispetto a cosa, a chi, a quando? Qualsiasi cosa può essere vera in un universo parallelo.

Il punto di partenza per sconfiggere la macchina della verità e liberarsi del dogma che si possano dividere le cose in vere e false. C'è solo una probabilità che siano una delle due, e nessuno può dire quale sia. Può affermare che sia vera e nel farlo trovare persone disposte a sostenere il suo punto di vista, ma non può dimostrarlo in modo assolutamente certo. Vero o falso sono frutto dell'opinione dominante.

Non potete sconfiggere la macchina della verità da un giorno all'altro. Le convinzioni su vero e falso sono così radicate da anni di utilizzo da rendere vano qualsiasi tentativo di improvvisazione. Come qualsiasi abilità non innata serve inclinazione e addestramento. Il discernimento è necessario alla sopravvivenza e non è facile superarlo con un semplice atto di volontà.

L'attitudine all'indifferenza nei confronti della dicotomia vero-falso può avere origine nell'esperienza dell'inconoscibilità. Ci sono persone che credono esista una condizione di vero o falso a prescindere dalla possibilità di arrivare a una conclusione certa. E ci sono persone che invece considerano il vero e falso solo una condizione accessoria della reale natura di un evento di per sé inconoscibile. Abbiamo un esempio nella fisica, dove una particella assume uno stato solo nel momento in cui un osservatore la cerca.

Questa attitudine si rivela in molti aspetta della vita fin dall'età infantile, età in cui si è sommersi da verità effimere e falsità erronee. Ci sono bambini che ci tengono a sapere se esiste davvero babbo natale. Ci sono bambini invece che riescono a credere contemporaneamente che babbo natale esiste e non esiste, a volte esiste e a volte no. L'importanza che viene data dal soggetto alla conoscenza della verità varia moltissimo ed è in relazione con l'uso dell'immaginazione. Soggetti che ricercano in maniera a volte ossessiva la verità temono l'immaginazione come fonte di confusione. Viceversa l'immaginazione diventa fonte di spiegazione per il sostegno dell'improbabilità.

Supponiamo che una persona abbia un buco di memoria, non si ricordi qualcosa. Non essendoci alcuna certezza, ed è quanto generalmente succede, è possibile valutare la più vera delle ipotesi e convincersi che non può essere che quella la verità. Oppure è possibile lasciare il buco e accettare il fatto che qualsiasi evento è egualmente probabile, riconoscendo il fatto che lo si sta riempiendo con l'immaginazione. Cosa fareste voi in quel caso? Accettereste la parola di qualcuno che dichiara di saperlo? Potrebbe essere una bugia, magari detta a scopo benefico. O accettereste che nella vostra vita è entrato qualcosa che non può essere semplicemente vero o falso?

Ma l'attitudine non basta. Il corpo esprime in mille modi come la pensate nonostante quello che volete pensare. E questa comunicazione corporea esprime il conflitto fra il desiderio che tutto sia vero o falso e la necessità che non lo sia. Non si può fare niente per controllare il corpo in queste sue emanazioni di consapevolezza. O siete convinti che una cosa è vera oppure non lo siete. Solo quando si riesce a superare la barriera mentale della scissione della realtà in vero o falso il corpo seguirà di conseguenza, naturalmente, l'espressione di un convincimento sincero. Sì può essere sinceri anche esprimendo come vero ciò che un'altra persona ritiene falso.

In effetti la macchina della verità rileva la sincerità, non la verità. Può essere d'aiuto la pratica quotidiana. Essere costretti a mentire ogni giorno rende più semplice assottigliare la barriera del vero. Un lavoro di venditore, ad esempio, rende su un individuo predisposto del tutto inefficace l'uso della macchina della verità. Questa lavatrice durerà dieci anni? Certo, anche di più. Quest'auto è affidabile? Al cento per cento. Questo computer è potente? È il top della gamma.

Attenzione però: se arrivate al punto da poter sconfiggere la macchina della verità non sarete più in grado di tornare alla condizione di innocenza originaria!

venerdì 5 giugno 2009

Senza retromarcia

Anche in questo preciso momento miliardi di persone stanno facendo qualcosa. Anche stando seduto qua di fronte al monitor sento auto che passano, lavori stradali, vedo siti che si aggiornano. Mi sforzo di immaginare persone lontane e quello che stanno facendo. Una parte del pianeta è al buio, molti dormono, ma stanno comunque facendo qualcosa, si muovono nel sonno, sognano forse.

Quanti saremo a fare qualcosa in questo momento sul pianeta? Dieci miliardi di persone? Alcune stanno nascendo proprio ora, possiamo far finta di sentire i vagiti che coprono l'ultimo fiato di chi invece se ne va. Miliardi di cervelli impegnati ad analizzare l'attimo, il presente, cose come muovere la mano in un certo modo, ascoltare, guardare, progettare le azioni dei prossimi secondi, dei prossimi minuti. Gesti semplici, niente che comporti il futuro della specie. D'altronde sarebbe assurdo pretenderlo, non esiste una coscienza collettiva, solo miliardi di individui che pensano a lavarsi, a mangiare qualcosa, in definitiva a sopravvivere un altro giorno.

Noi fortunati che apriamo il frigorifero, il rubinetto, la portiera dalla macchina, la scatola dei medicinali, pensiamo che in fondo sia facile, quasi noioso, arrivare a domani. Altrove magari al domani neanche ci pensano, non ha significato il futuro, non ha senso la vecchiaia, quando tutto intorno si muore così, da un momento all'altro, bambini adulti vecchi non fa differenza, tutti sono soggetti a una morte improvvisa per le cause più strane e insondabili. Malattie senza nome a cui si dà l'aspetto di spiriti malvagi, incidenti che possono capitare e non hanno nulla di scandaloso, non provocano sdegno né rabbia, solo una serena, stanca, apatica rassegnazione.

Noi parliamo di futuro della specie, di futuro del pianeta. Ci sentiamo i padroni, i responsabili, i chiamati dal destino, gli eletti da dio, per risolvere problemi creati da pochi, gestiti da pochi, voluti da pochi. Subiti da tutti. E mi accorgo di essermi sentito in colpa, di aver creduto a quelli che mi dicono è anche colpa tua se il futuro è in bilico. Ho creduto fino a pochi secondi fa che i popoli civilizzati fossero colpevoli di tutto e i selvaggi di niente. Noi popoli grassi, dalla vita sedentaria, programmati a svolgere attività giornaliere del tutto estranee alla natura dell'uomo, gesti alienati in ambienti alienanti, giorni ripetitivi in ragnatele sociali, vincolati da gerarchie basate su regole subdole e illogiche.

Ma in realtà noi non abbiamo fatto niente. Noi siamo, in quanto più invischiati, ancora più vittime dei selvaggi abitanti di terre senza elettricità, senza asfalto, senza onde radio, soggetti ai capricci del caso che camminano abbracciati alla morte, senza tenerla nascosta nel ripostiglio come facciamo noi, terrorizzati ormai non solo dall'idea che la vita finisca, ma addirittura che col tempo il corpo si consumi, invecchi.

Noi non abbiamo fatto niente, semplicemente ci alziamo e cerchiamo di procurarci di che sopravvivere fino a domani, non siamo diversi dai selvaggi che non inquinano. Se per sopravvivere ci dicono di metterci la cravatta e andare in macchina a chiuderci in una stanza e parlare gentilmente con altre persone noi lo facciamo. Se fa freddo noi cerchiamo un modo per scaldarci, che sia legna che sia gas. Se ci danno dei pezzi di carta e un posto nel quale scambiarli con cibo noi prendiamo i biglietti e li usiamo per comprare da mangiare. Se stiamo male cerchiamo qualcuno che sappia che sostanze farci assumere per tornare in salute.

Chiunque al nostro posto farebbe la stessa cosa. Diciamo ai brasiliani non togliate la foreste. Diciamo agli africani non uccidete gli animali (nel Zimbabwe non esistono più molte specie di animali, sapete perché? La gente aveva fame e se le sono mangiate). Diciamo ai cinesi non diventate come noi. Ai sudamericani. Diciamo a mezzo mondo noi stiamo uccidendo il pianeta, non fate come noi.

Ma se non siamo stati capaci di impedire a noi stessi di agire con un orizzonte temporale più lungo dell'immediato, come potremo mai impedire agli altri di fare lo stesso? Di seguire le nostre orme. Siamo forse disposti noi a rinunciare, a tornare indietro? Potremmo accettare la morte di bambini piccoli per mancanza di medicinali? Potremmo accettare una vita media di quarant'anni costellata di malattie. Una volta potevamo, non molto tempo fa, diciamo un paio di secoli fa. Potevamo accettare di fare dieci figli e vederne morire otto. Potevamo accettare di sputare sangue per la tubercolosi liquidando il problema con un'alzata di spalle. Era normale.

Adesso che cos'è normale? 65 anni di giornate tutte uguali, incasellati nell'organigramma della società civile, come tanti piccoli robot al servizio di una formica regina che ci promette sorridendo l'annientamento del pianeta. Ci fornisce benessere materiale in cambio di una vita frenetica, piena di paure, le menti coordinate, omologate, assuefatte dai programmi televisivi. Mutui da pagare, stile di vita da mantenere, mode da seguire, tutti oboli da pagare per l'accettazione sociale, per emergere, per stare a galla, per non finire al livello dei selvaggi, sottopagati, malati, ignoranti, incivili.

E invece sai cosa? Non c'è differenza. Solo miliardi di persone che seguono il programma della sopravvivenza come meglio possono, guardando non a quello che deve fare l'umanità per arrivare al prossimo secolo ma quello che deve fare il singolo nei prossimi dieci minuti. Non è vero che noi viviamo meglio di loro, anzi, direi il contrario dal momento che i suicidi aumentano con il benessere materiale. Non è vero che noi siamo più istruiti dato che abbiamo scordato le regole elementari della vita sul pianeta e non sapremmo rimanere in vita in un ambiente naturale e non artificiale. Non è vero che a noi la morte non ci tocca fino alla vecchiaia dato che moriamo in macchina per le strade, ci vengono i tumori per lo smog, ci vengono gli infarti per lo stress.

In realtà noi abbiamo fatto un baratto. Abbiamo ceduto una vita intensa, profonda, significativa, umana nella più umile e vera delle accezioni in cambio... in cambio di che? Di un programma da eseguire come robottini per tutta la vita, giorno dopo giorno, come schiavi delle antiche galere, a spingere sui remi sotto la frusta di una formica regina senza nome. E nel farlo ci dobbiamo anche sentire in colpa perché questo scambio sta producendo come effetto la morte del pianeta.


lunedì 1 giugno 2009

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (14 di N)

- Papa.
- Buongiorno, hai dormito bene? -, apro la moka.
- Ho fatto un sogno, papa.
- Davvero? - sciacquo la moka.
- C'era il trombone.
- Il trombone?
- Sì, il trombone di Elia. L'ha rubato il bersagliere.
- Ah, che robe! - riempio la moka.
- Il bersagliere con le piume sul cappello.
- Piume di struzzo? - metto il caffè nella moka.
- Noooo, papa, piume nere.
- Un bersagliere con piume nere sul cappello che ruba il trombone di Elia - chiudo la moka.
- Sì papa, sì, e poi arriva il dinosauro.
- Eh? - metto la moka sul fornello.
- Il ticeatopo, anzi, no, il tiex.
- Un dinosauro? - accendo il fornello.
- E lo mangia.
- Si mangia il bersagliere?- tiro fuori la tazzina.
- Nooo, papa, mangia il trombone.
- E beh, il trombone è buono. - tiro fuori lo zucchero.
- È saporito.
- È piccante. - tiro fuori il cucchiaino.
- Sì, anche la trombetta.
- E la tuba anche. - metto lo zuccherro nella tazzina.
- La tuba papa?
- La tuba francese. - mi giro a guardarlo.
- Papa. -
- Dimmi. - mi abbasso per avere gli occhi all'altezza dei suoi.
- Voglio fare il bersagliere.
- Perché no? E' un'idea.
- Posso avere il trombone adesso?
- No, li ha mangiati tutti il dinosauro.
- Forse ne è rimasto qualcuno.
- Forse.
- Andiamo a cercarlo?
- Sì, dopo però, sono le sette del mattino, è ancora tutto chiuso, ora papa beve un caffè.
- No papa, sono già le ventinove. Andiamo dai, andiamo.