lunedì 28 novembre 2011

the right thing

to della faccia non si sarebbe mai detto che sotto a quegli occhi comuni a quella bocca da nulla a quel naso bambolesco una faccia qualunque una faccia da scusi il disturbo sa per caso che ore sono una faccia da acqua di colonia e gel per capelli chi l'avrebbe mai sospettato che sotto una faccia da bravo ragazzo e il corpo anche il corpo parliamo di un corpo normale né alto né basso né largo né stretto parliamo di una faccia e di un corpo privo di segni rivelatori parliamo di una voce la voce d'accordo la voce forse qualcosa di strano c'era nella voce ma non parlava non si sentiva la voce per cui è difficile si fa presto adesso che quando lo sai poi è logico ti chiedi come sia potuto accadere ma al momento una faccia così non c'era motivo di fare i sospettosi un bel sorriso e degli abiti eleganti perfino eccessivi non dico sgargianti anche se lo erano sgargianti ma nel complesso si addicevano al portamento una posa spavalda e accattivante da venditore da cascamorto da appagamento dei sensi il sentirsi a proprio agio di chi è abituato a muoversi in libertà senza urtare niente e nessuno di chi sta calpestando una strada battuta per andare in un luogo familiare ti dico nessuno avrebbe potuto immaginare che di lì a poco sarebbe tornato con gli amici con il trombettiere con il dolcevita giallo con la mora inanellata con sorprese nella bombetta il ludibrio l'esaltazione la frenesia tribale gente che si accascia sfinita intorno al falò ringraziando per l'opportunità di mollare di lasciar perdere di buttarla sul ridicolo e che nulla abbia più importanza che non si discuta più ma si faccia solo la cosa giusta oh la cosa giusta sì la cosa giusta giusta giusta l'ho visto prendere per mano una ragazza per farla volteggiare l'ho visto fare un gesto col pugno a mimare un fiore che sboccia e l'ho visto lanciare baci mettere baci sulle dita e soffiarli addosso alla gente impazzita alla gente arrampicata sulle spalle del vicino allungarsi per toccare il cielo la gente che si riteneva al sicuro per via dei tagli sartoriali delle cravatte intonate della faccia ti dico una faccia qualunque a parte la voce e i capelli ma erano nascosti sotto la bombetta non si vedevano i riccioli rossi non c'era sentore di nulla ti dico che era impossibile da prevedere l'effetto trascinante sulla gente che ha perso la testa allo squillo di tromba ha smesso di pensare dopo le prime note la gente si è girata tutta verso il palcoscenico e ha ceduto alla libido gettando via le inibizioni e i sensi di colpa la gente si buttava a corpo morto nel crogiolo della grande catarsi gioiosa dell'intrattenimento fine a se stesso e roteava ancheggiava gridava piangeva e rideva c'era gente che si abbracciava che si spogliava gente che si procurava dei tagli profondi nelle braccia e nelle gambe c'era gente che si ficcava in bocca sostanze innominabili strabuzzando gli occhi quando al centro sono apparse le fiamme è divampato il falò c'era gente che prendeva la rincorsa per but

 
  Foto di Iain Mckell

lunedì 21 novembre 2011

Icone moderne 005

Frank, proprio lui, siamo andati a intervistarlo nella sua abitazione, la villa fatta oggetto di un recente scandalo su presunti illeciti contributivi che non è approdata a nulla di definitivo. La fedina penale del nostro idolo è rimasta immacolata e questo grazie anche all'intervento dei sostenitori che hanno improvvisato una manifestazione di fronte agli uffici locali degli ispettori del fisco. Frank dice che hanno esagerato, che non c'è stato nessun assalto agli uffici governativi, che non hanno distrutto le prove dando fuoco agli archivi perché di prove da distruggere non ce ne sono mai state. È tutto un complotto? I discepoli del più grande evoluto vivente ne sono convinti. Da quando ha vinto il premio Selezionato dalla Natura la sua vita è diventata proprietà della specie umana, il suo liquido seminale è stato valutato per la stipula della polizza impotenza una cifra record, come è giusto che sia per una risorsa, così definita dalle principali riviste di settore, fondamentale per il futuro dell'umanità. Donne, mettetevi in fila, prenotate la vostra donazione di sperma e fate il tifo per Frank, che rimanga sempre in salute, ne va del patrimonio genetico delle future generazioni. Dopo la grande scrematura che ha visto la scomparsa delle caratteristiche recessive e di alcune pozze genetiche minori, abbiamo ora il nostro nuovo campione, selezionato per produrre gli individui scientificamente più adatti alla sopravvivenza. La sua scarsa intelligenza lo rende invisibile nella folla, la sua inesistente capacità critica gli permette di incarnare il cliente perfetto. Frank è il padre che tutti vorremmo avere, il fratello più invidiato, l'amico più richiesto, il compagno ideale. I partiti politici si stanno accordando su chi di loro lo candiderà per primo e per quanti anni ci governerà prima di diventare Presidente e lasciare il posto al prossimo Selezionato dalla Natura. La sua intervista è stata rilasciata per interposta persona, dal momento che la capacità di dare risposte coerenti non è un fattore determinante per la sopravvivenza della specie. Gli abbiamo chiesto della sua implacabile ricerca del piacere sessuale, se pensa di garantire numerosi individui alla nostra fazione al punto da consentirci di vincere la contesa evolutiva con l'altra fazione. I nostri concorrenti sono arrivati a sette miliardi di individui quest'anno, se decidessero di sopravvivere per mezzo di un'invasione del nostro territorio non avremmo speranze dal momento che il tentativo di mutazione genetica forte non ha dato gli esiti che tutti speravano, anche se gli esperti affermano che il ritorno in massa dentro agli oceani è solo rimandato, non sono più molti a fare investimenti emotivi nel progetto branchie. La nostra unica speranza è Frank, il nostro stallone senza cervello, le analisi di densità spermatica fanno ipotizzare percentuali di ingravidamento superiori all'ottanta per cento, questo significherebbe raddoppiare la popolazione in un decennio e vincere la competizione evolutiva, diventando i signori incontrastati della specie umana. Dopo l'ondata di suicidi degli intelligentoni abbiamo imparato che la guerra evolutiva non si vince con la specializzazione ma con la flessibilità, non si vince con il miglioramento ma con le deviazioni casuali. Tornare animali, è il motto di Frank che viene esibito sulle magliette e sugli adesivi e gridato nei cortei che inneggiano alla supremazia naturale contro la morale artificiosa del meno adatto. Tornare animali, lasciando morire vecchi e malati, uccidendo i figli più deboli, combattendo fisicamente per ottenere quel che si vuole, rispettando le leggi della natura, adeguandoci a esse, Frank ha l'aria estasiata mentre ci racconta il sogno di un mondo in cui non esistano più fazioni, nemici, ma solo estinti e sopravvissuti. 

mercoledì 16 novembre 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (44 di N)

Quando c'hai un figlio gli anni passano sempre più veloci, ma in un modo del tutto nuovo. Senza figli gli anni passano troppo veloci perché non vuoi diventare vecchio, oppure passano troppo lenti perché sei troppo giovane per avere uno stipendio decente, il ciclo di studi universitari completato, una casa di proprietà scelta da te con il bonus d'orgoglio per un mutuo di cui hai valutato tasso e rata, una famiglia con tanto di fuochi artificiali e filmato con effetti speciali e musica di sottofondo anni '80. Queste sono tutte faccende che riguardano la vita precedente, prima della metamorfosi che ti provoca, se sei fortunato, l'arrivo di un figlio, altrimenti diventi uno dei tanti finti giovani cinquantenni che vanno a cuccare sfitinzie e sbarbatelle, una dei tanti esempi di restauro chirurgico sboccato in dadaismo estetico. Non c'è niente di più triste degli adulti che non hanno mai raggiunto la maturità, una volta diventavano baldracche e alcolizzati, ora invece sono Trilly e Peter Pan, versione horror demenziale.

Quando c'hai un figlio il tempo continua a sembrarti scorrere alla velocità sbagliata, ma non più in riferimento a te. Troppo veloce perché ha già sei anni, va a scuola, sono sempre di più le cose che sa, le cose che riesce a fare da solo, ti ricordi quando pesava dieci volte meno di adesso e ti guardava come se tu fossi la cosa più interessante del mondo, adesso cominci a diventare superfluo e non sai se la tua è assuefazione allo schiavismo genitoriale o se davvero la libertà dell'era pre-figli non fosse illusoria e deficitaria. E troppo lento il passare degli anni quando non vedi l'ora di scoprire che faccia avrà, come reagirà allo stress, come tenderà a risolvere i problemi, che grado di acutezza intuiva sarà in grado di raggiungere, che grado di complessità di ragionamento, quanto sarà simpatico, quanto sarà preciso, che sogni farà. Perché tu vuoi esserci e il futuro è sempre un'incognita.

Quando c'hai un figlio di sei anni cominci a chiederti se è il caso di iniziare a portarlo alle feste. Il mio li compie in estate, a scuole chiuse, per cui non potrà dare feste di compleanno invitando i suoi amici di scuola. Non lo so se danno queste feste per ricevere regali o per una sorta di iniziazione alla socialità extralavorativa. C'è già chi si risente per non aver ricevuto inviti e chi si vanta di essere nella lista della tal promessa dell'alta società futura. Non oso immaginare i problemi di autostima legati all'accettazione del gruppo che si presenteranno nell'adolescenza, epoca di lotte intestine per il ruolo di soggetto alfa in grado di venire allo scoperto con esplosioni di testosteronica violenza. Per ora si tratta di riunioni con tanto di genitori che nelle personalità come la mia inducono a torpore, malinconia e progressivo senso di estraniazione.

Quando c'hai un figlio e lo porti a una festa dipende dal figlio. All'unica festa cui ha partecipato, mio figlio, forse troppo abituato a frequentare gli adulti, non ha giocato con bambini sconosciuti, preferendo intrattenersi in futili conversazioni e dichiarare di essere stanco e di voler tornare a casa dopo una decina di minuti. Con i compagni di classe, che conosce bene, sarebbe solo un'altra ora di scuola, tutta di ricreazione. Ora, non voglio fare quello che pensa sempre il peggio della gente, ma secondo me le feste per bambini così piccoli (così come molte altre feste piene di invitati di cui non è mai fregato niente a nessuno e sono pure antipatici ma è sempre un regalo in più che tanto il buffet costa uguale) servono per aumentare i regali che al bambino di sei anni, parliamoci chiaro, a meno che sia Gandhi, interessano quelli, i regali, se ne frega di tutto il resto, del tempo e dei soldi che perdono gli invitati per partecipare, della dimostrazione di amicizia (proporzionale all'entità del regalo, che sei gli regali un giocattolo da poche lire significa che non gli vuoi bene, è un insulto e non verrai mai più invitato, cosa che non succede se stai a casa fin dall'inizio, perché se non hai mai regalato niente non vuol dire che qualora finalmente ti presentassi non porteresti un regalo da un milione di dollari).

Quando c'hai un figlio pensi che forse si tratta in realtà di iniziative per cementare i rapporti fra i genitori, come se fossimo ancora un po' tutti adolescenti, con genitori alfa che partecipano a tutte le feste e genitori beta che si sono riprodotti senza averne diritto. E se non ci porti tuo figlio resti quello che non si preoccupa di un bambino che dà una festa e non vede arrivare gli invitati, poverino, resta lì da solo, scioccato per il resto della vita, per colpa tua che sei un bastardo asociale. Se tuo figlio compie gli anni d'estate la prossima volta programma meglio la nascita o fai la festa di non compleanno, se sei andato a tutte le feste altrui potrai sempre recriminare che tu sei altruista e disponibile e questo è il ringraziamento, alla tua festa di non compleanno ci verranno tutti solo se hai un'attitudine molto sviluppata nelle abilità sociali (così snob, signora mia, ci mancavano solo le feste di non compleanno, ma io ho detto no, non se ne parla, sarebbe come regali sia a Natale che a Santa Lucia, niente di personale, anzi, però, mi dispiace, non so lei, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma certe cose le trovo diseducative).

martedì 15 novembre 2011

Il passante

Il passante mi ha parlato, mi ha guardato come fa sempre, prendendo la mira da una distanza siderale, spuntando la mia esistenza e camminando via senza rallentare il passo o cambiare l'andatura. Per la prima volta in cinque anni mi è passato accanto e mi ha parlato, forse perché ero solo, nessun testimone in grado di incastrarlo davanti a un giudice. Di solito ci ignoriamo con l'intenzione di non ferire, di non infierire, come due naufraghi evitano di guardarsi per non ricordarsi a vicenda le implicazioni di una situazione disperata, come due coniugi che si tengono in disparte per non far capire al nemico il bisogno di aiuto, privi di rifornimenti e in attesa di rinforzi che non arriveranno mai. Ma lui si è spinto più avanti, non saprei dire se nel modo giusto o come la signora che vedevo camminare sul bordo della strada, con una marmitta di pasta fra le mani, ogni giorno, alla stessa ora, diretta in città, con la vestaglia e il grembiule e le pantofole, a volte felice a volte corrucciata a volte indifferente. Il marito la andava a recuperare con la motoretta o col trattore, senza mai lamentarsi, sorridendole, dicendole me l'hai fatta di nuovo, sei una birichina, mi fai gli scherzi. Lui un uomo al di là dell'obeso, un budda in canottiera estate e inverno, col berretto da graduato tenuto appoggiato sulla cucuzza come un centrotavola la sera di Natale, perché natalizio era il perenne sorriso sul faccione, una tempesta di serenità su un pianeta di indulgenza. Perché cammina quella signora, chiedevo ai grandi. E loro niente, non la guardare. È matta, chiedevo con la voce di chi non osa guardare sotto il letto. E loro no, mi dicevano i grandi, mi dicevano nessuno è matto, non esistono i matti, è malata, non sta bene. È matta, chiedevo ancora, è tutta spettinata, è malata nel senso di matta? No, ha avuto un problema, è stata male. Gira in pantofole, è diventata matta? No, ha avuto un problema quando ha partorito, non so di preciso, mi dicevano. Smettila di fissarla, mi dicevano. Che tipo di problema? Non è niente di cui ti debba preoccupare, pensa a studiare e a comportarti come si deve, e guarda da un'altra parte. Un giorno poi la signora cedette e il marito non lo si vedeva più in cima al suo trattore, quel suo culone strabordante dal seggiolino, la seguì subito dopo, si tolse il sorriso e il cappello, rassegnò le dimissioni morendo nel sonno.

Il passante è tutt'altra pasta, indossa un cappello di grado superiore. Non capisco se è di grado così alto da non poter comunicare con gli inferiori o se è l'onorificenza data per atto eroico, taciturno per shock post traumatico, così lo chiamano di questi tempi, quando hai dato tutto, anche la presenza di spirito necessaria a pretendere il congedo e la faccia tosta di chiedere l'onore di morire nel sonno. Sono cinque anni che lo incrocio per strada e lo colgo nel momento in cui distoglie lo sguardo. D'estate si ingobbisce e tira dritto, d'inverno mette una giacca sopra la solita maglia a maniche lunghe e sta su dritto, la mano libera al collo, per tenere accostati i lembi a coprirsi la gola. Nell'altra mano c'è il sacchetto, sempre quello. Tre anni fa mi ha seguito dentro a un negozio e ha guardato la merce esposta, lanciandomi occhiate come un fottuto agente segreto, in attesa di un segnale da parte mia per effettuare una consegna, passare l'informazione microfilmata. Se n'è andato senza dire niente a nessuno, senza comprare niente e, perplessità mia, senza venire degnato di attenzione dai commessi, come se conoscesse tutti o riuscisse a controllare le loro piccole menti o rendersi invisibile ai loro deboli occhi. Un passante di altissimo grado, probabilmente a riposo, o peggio congedato con disonore, decaduto dalla carica licenziato fallito traditore della patria fatto oggetto di pesanti ri Il cappello è di lana sottile, color amaranto, se lo cala fin sopra le sopracciglia, anche se ci sono quaranta gradi all'ombra, e i bambini si attaccano alla mano dei genitori quando lo vedono, le vecchiette stringono la borsa al petto, gli uomini soli fanno la faccia da duro quando ce l'hanno davanti e preoccupata quando se lo lasciano alle spalle, le donne sole alzano il mento e taccheggiano sull'altro marciapiede e si voltano indietro a controllare come per caso, per riavviare i capelli o rispondere a una voce familiare che invoca la mamma.

Il passante potrebbe essersi spinto troppo lontano, aver visto quel che non doveva vedere, aver scoperto teoremi che non hanno parole per venire spiegati, oppure potrebbe essere come il ragazzo sul triciclo, andato perso poco dopo la nascita per via di una febbre, il proiettile del cecchino spietato che si diverte a scommettere su come andrà a finire, dimostrare che se gli togli il cappello ma lo lasci in vita quello si dimenticherà la strada per tornare a casa, rendendo vana l'utilità di una qualunque mappatura. Il ragazzo che si è lasciato crescere i capelli per dar loro la forma di un copricapo, che pedala sul triciclo per adulti e menomati, diretto in città, salutando le macchine che gli sembra di riconoscere, sorridendo a uomini e animali, suonando la tromba che il padre gli ha avvitato al manubrio mentre con l'altra mano si allarga in gesti di benvenuto e di incontenibile apprezzamento per le innumerevoli novità del quotidiano. Grida saluti e sentenzia auspici benauguranti, il ragazzo con troppi capelli, incapace di chiedersi cosa ne sarà di lui il giorno che restasse solo, l'abbandono di se stessi è una delle faccende che non possono essere sparate via nemmeno dal cecchino dei cecchini. Lo si vede portare a termine commissioni e ripetere il percorso che riempie le sue giornate. Lo si vede arrancare d'estate, la maglietta fradicia di sudore e la faccia di chi non si rende conto di avere molta sete. Lo si vede arrancare d'inverno, quando risponde con gesti di via libera e pollici alzati di gran divertimento a chi si appoggia il clacson vedendolo sbucare dalla nebbia. Il passante è diverso, osserva le persone scusandosi di avere occhi, ascolta discorsi volanti scusandosi di avere orecchie, cammina appoggiando i piedi come se la terra fosse composta di piccole creature indifese e lui ne stesse massacrando a manciate per il vano piacere di una lunga passeggiata. Una passeggiata che va avanti da anni, il passante cammina da quando si sveglia a quando crolla addormentato.

Il passante stamattina mi ha parlato. Non ha resistito. Di solito entriamo nel radar reciproco a grande distanza, ci avanza tempo per preparare la non interferenza, valutare velocità e direzione, calcolare deviazioni, occupazioni, distrazioni, in modo da superare le rispettive orbite senza il rischio di influenze e collisioni. Stamattina non c'è stato modo di mantenere le distanze, dopo cinque anni siamo giunti a portata di orecchio e il passante ha deciso di reputarmi degno di considerazione e ha detto una frase di cui ho colto solo una parola: freddo. Lo ammetto, mi ha colto di sorpresa, ha parlato senza guardarmi, senza fermarsi, solo aumentando il volume della voce per poi diminuirlo, in modo che fosse al massimo nel punto di minor distanza fra i nostri corpi. L'effetto estraniante di accelerazione e decelerazione mi ha spaesato ma non al punto da sopraffare la reazione automatica inculcata dall'addestramento, ho detto freddo anch'io, solo freddo, una singola parola a volume molto alto e diretto al passato e nel punto esatto in cui si trovava il passante quando era al massimo della sua parabola sonora. È stato come l'eco di uno sparo, mi immagino il suo sorrisino, tale e quale al mio, e la malinconia di un evento unico, che non si ripeterà, ma ora so che il passante non è stato abbattuto, non è neppure crollato, è rimasto isolato, dentro uno dei tanti vortici che costellano il fiume del tempo, una parentesi di cui non si sente la necessità, perché esistono sentieri che devono restare agibili, occorre che una sentinella li calpesti senza mai stancarsi, senza conoscere il motivo di tanta sollecitudine, e più è difficile il tracciato e più alto è il grado del passante, più è difficile il messaggio in codice e più esperto dev'essere l'agente, più è complicato il percorso e più è resistente la volontà dell'incaricato. Il freddo è ciò che li accomuna, la costante battaglia per impedirsi di rabbrividire di fronte all'egemonia del freddo.


lunedì 14 novembre 2011

Tempus Fugit

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giovedì 10 novembre 2011

ordine di idee

Arrivare in cima, per entrare nell'ordine di idee ho attaccato al soffitto il poster di una veduta alpina. Il caposezione ha disegnato alla lavagna alcuni grafici esplicativi, ha commentato le statistiche, dice che ci tiene a farlo manualmente per farci entrare nell'ordine di idee, che qui si deve dare il massimo come membro di una squadra vincente. Quando dice Vincente il caposezione grida e aspetta che rispondiamo in coro Vincente! Se un militante riesce a entrare nell'ordine di idee gli si spalanca di fronte un panorama di successo, è uno degli slogan di quest'anno, hanno usato stereografie per rendere distinguibile la novità, hanno inventato un carattere di stampa apposta per comunicare l'attuale declinazione dell'ordine di idee. Quest'anno per entrare nell'ordine di idee bisogna meditare sulle stereografie, riflettere a fondo sul significato di panorami che spalancano le gambe invitandoti a entrare nell'ordine di idee e raggiungere la cima del successo. Perché noi, qui, abbiamo sempre bisogno di idee vincenti (vincenti!), abbiamo sempre bisogno di sangue fresco, di nuova linfa, ho ancora pochi anni per dimostrare il mio valore. Se entro nell'ordine di idee posso anche diventare il Presidente, un giorno, si tratta solo di capire sempre da che parte stare, questo il caposezione l'ha sussurrato, facendoci l'occhiolino, ha detto pi pi pi, e poi ha spiegato: il Partito non Perdona i Perdenti. Ha guardato la telecamera di sorveglianza e Datemi un amen, ha gridato, e noi Amen! Sia lodato il Presidente! Poi siamo passati all'autocritica, abbiamo estratto a sorte e sono stato proprio io il fortunato a poter esporre pubblicamente le mie mancanze, dimostrando di saper entrare nell'ordine di idee del miglioramento costante, l'atteggiamento costruttivo di chi ci tiene a far parte di una squadra vincente (vincente!). Sono arrivato a piangere lacrime vere, mi sono buttato per terra in ginocchio a chiedere scusa a tutti, ai compagni, al Partito, al Presidente, per riuscirci ho pensato al poster che ho attaccato al soffitto, ho immaginato di essere sdraiato nella mia cuccetta, a tremare di freddo, con l'inno del Partito a tutto volume nelle orecchie per aiutarmi a cancellare il mio passato, le mie idee controrivoluzionarie, la mie catene borghesi, con gli occhi fissi alle montagne nel poster, determinato a raggiungere una cima qualunque o precipitare nel vuoto. Ho ricevuto gli sputi, gli insulti e le percosse ringraziando per la possibilità di continuare a far parte di una squadra vincente (vincente!) e in seguito ho elencato i miei propositi di donare tutto, vita compresa, per il Partito e per il Presidente, e ho sfogato una rabbia viscerale contro i nemici del bene, del giusto, del progresso. Sono piacevolmente stanco e dolorante, ho pagato una multa per ristabilire la mia integrità morale, evitando l'espulsione dal Partito, un atto dimostrativo dal momento che il mio stipendio lo ricevo dal Partito e lo giro interamente al Partito in cambio dell'onore di far parte di una squadra vincente (vincente!). Sono stato esonerato dal servizio per il resto della giornata, con obbligo di confino forzato in camera a riflettere sul mio scarso fervore politico. Sono sulla buona strada per entrare nell'ordine di idee e raggiungere il successo, col tempo passerò dal volantinaggio a incarichi di prestigio e responsabilità. La democrazia ha sempre meno soldi per finanziare il Partito, gli amici del partito, le aziende del partito, gli iscritti del partito, e i nemici fanno di tutto per aggiudicarsi i contributi, le facilitazioni, i rimborsi, gli stanziamenti a fondo perduto. I lavoratori del privato non capiscono l'importanza di contribuire al sostegno del benessere collettivo e sono restii a versare denaro sui conti pubblici, c'è ancora molto da fare per farli entrare nell'ordine delle idee, convincerli a far parte di un gruppo sociale, la collettività non supera facilmente gli egoismi tipici di chi non capisce l'importanza di far parte di una squadra vincente (vincente!). Durante la seduta di autocritica ho proposto di fondare un altro giornale e di conquistare più visibilità nel dopocena televisivo, mi sono fatto avanti per organizzare di persona una massiccia campagna su internet, in grado di mobilitare la gente su questioni concrete e trovare coesione attorno ai sentimenti rilevati dai sondaggi dell'ufficio propaganda. Una volta al potere si potrà agire in modi più netti per attuare il cambiamento rivoluzionario che è il marchio di fabbrica del Partito, certe cose la gente non le capisce, ha paura, è meglio mostrare coi fatti, ho già pronto lo slogan per l'anno prossimo: il Partito lo fa per il tuo bene. Nella mia sezione c'è chi cerca di raggiungere la cima suggerendo l'eliminazione fisica di nemici potenti e agguerriti, la via diretta, la chiamano, la legittima difesa dell'oppresso. Si tratta di capire da che parte stare, e io ho scelto la parte di chi lotta non solo per il consenso della masse lavoratrici, povere e incolte, ma combatte anche per aggiudicarsi le preferenze della classe media, che va rassicurata, va presa con le buone, è diffidente come chi possiede qualcosa da perdere e non vuole perderla. PPP, dico a chi tentenna per lo schieramento, il Partito non Perdona i Perdenti. Arriverà il giorno che lavoreremo tutti per il Partito, e quel giorno sarò Presidente. 

venerdì 4 novembre 2011

Al di lei servizio (2 di K)

Eccolo il principe toccarsi la falda di un cappello invisibile, il gesto sciocco che si prende gioco della disciplina, delle raccomandazioni, delle troppe ripetizioni andate a vuoto. Il principe mi saluta cadendo sul ginocchio sinistro, facendomi la cortesia di indovinarlo, estrae il pugnale e me lo porge dallo stesso lato, lo sgarbo intenzionale del mancino. Conto i passi sorridendo, lo chiamo da lontano come se gli volessi bene, ripeto il suo nome con la voce di chi è felice dell'incontro. Quando sono abbastanza vicino uso lo stivale per dare un calcio, uso il dorso della mano per assicurarmi che non si permetta di alzare lo sguardo. Nessuno mi dice si calmi, nessuno mi stringe per tenermi le braccia. L'oste si accanisce sul legno, finge di non sentire, di vivere dentro alla bolla del dovere, dentro ai circuiti e alle bobine della spazzola che stringe in pugno, il suo corpo dice sono parte del panno che uso per tirare a lustro le suppellettili. A quest'ora solo gli ubriachi dondolano stupore e divertimento, e il principe, con quella sua testa deforme che prendo a sberle fino a schizzare saliva, fino a rabbrividire di sudore giù per la schiena. Schiaffeggio i bitorzoli e le cicatrici, i miei anelli che graffiano lo scalpo del principe che ormai giace sdraiato in singhiozzi e si tappa le orecchie coi pugni. Tutt'intorno il silenzio che si deve tributarmi per legge, il silenzio che non si rompe senza autorizzazione, il silenzio che mi accompagna dalla nascita, in cui mi immergo per dimenticarmi il di lei sorriso, la di lei corsa a piedi nudi nei corridoi del palazzo, il silenzio di cui andava immune prima di venirne abitata per via del principe e delle sue patetiche manie.

È un silenzio pieno di voci che danno suggerimenti sbagliati, è un silenzio fatto di occhiate e dinieghi e contrordini, di tradimenti per il di lei bene, di sotterfugi e contratti, di torture e condanne. È un silenzio che la testa del principe non può contenere per via degli echi e dei rimorsi, dello svegliarsi con la certezza che il cuore sia scoppiato. Vorrei sedermi per terra e ordinare la morte dei testimoni, sto costruendo un ponte di cadaveri per non bagnarmi i piedi. Ma sono pensieri dovuti alla natura del silenzio connesso al mio servizio, sono una forma di devozione alla di lei beatitudine, costretta a divorarsi un pezzo alla volta, dal di dentro. Così rimango in piedi, composto, mi guardo intorno passando in rassegna i presenti, sfidandoli a incrociare il mio sguardo, e solo quando hanno avuto modo di sentire il peso di una colpa senza nome, solo allora dico a voce alta Chiamate le guardie. Il sollievo di potersi trovare altrove è una necessità perfino dell'oste, che trova addirittura la forza di rimproverare il garzone, come chi si rimette i vestiti quando il medico ha finito. Il principe non trema più, osa rimettersi in posizione, allunga la mano disarmata e stavolta è quella giusta. Il principe rimane così, in attesa del permesso di parlare, e io non ho più voglia di ucciderlo, non ho più voglia di eliminare dal mondo l'obbrobrio di quella testa, non ho più voglia di silenzio. Dalla strada giungono schiamazzi, risate, lo sferragliare di metallo in avvicinamento. Cos'hai da dire, chiedo. Il principe guarda in terra e dice. A voce alta, grido. Il principe dice La verità.

Ci sono uomini armati che non sanno cosa fare, non trovano obiettivi da infilzare, squartare, sbudellare, se ne stanno li a tirare il fiato nelle maschere antigas. Non c'è nessuno che grida, nessuno che impartisce gli ordini, nessuno col coraggio di ammettere di avere sospetti sul principe, di essere a conoscenza del dramma. Le guardie nascondono la tristezza dei discorsi che tirano fuori le donne dopo l'amplesso, cacciano l'immedesimazione dietro a maschere di spietata efficienza perché hanno imparato che gli uomini rispondono al dolore con il rispetto e il silenzio. Il rispetto che diventa compassione all'aumentare del di lei patimento. Il silenzio che diventa sempre più denso, soffocante, ogni giorno della di lei agonia moltiplica le dimensioni di un silenzio che ha contagiato la luce, ha tolto lucidità alle squame dei pesci, rotondità alla frutta matura, leggerezza al piumaggio. Le guardie aspettano, hanno mandato a chiamare il capitano, uomo invecchiato nel giro di poco, cadendo da cavallo, l'onta del trascinare una gamba per il resto della vita lo ha reso insensibile e permaloso, le occhiaie permanenti di chi va alla ricerca di vendetta contro tutti gli dei e i demoni, nessuno escluso. Il capitano spinge lontano le guardie e avanza con la spada innescata a ronzare minacciosa. Il capitano rovescia la sedia occupata da un ubriaco allucinato e sporco di vomito. Il capitano ritorce un baffo per darsi coraggio, il dolore che gli provoca l'inchino è nulla in confronto alla consapevolezza che gli altri si accorgano della sua debolezza, storce appena la bocca allo scricchiolare dell'articolazione. Portatelo via, dico al capitano.

Lasciatemi solo, dico per guadagnare una distanza di qualche passo dalle guardie, per sentirmi meno oppresso dalla cenere nell'aria e dalle nuvole scure in agguato da giorni sui confini orientali, a suggerire incendi indomabili. Non possono abbandonare il servizio, devono proteggermi e rispettare i giuramenti. Possono stare alla distanza che va tra la loro sensazione di pericolo e le necessità della mia sicurezza. La verità. L'ossessione per la di lei felicità, la consacrazione al di lei divertimento. Gli innumerevoli viaggi, le imprese azzardate, il costante pensiero alla di lei sorpresa quando avrebbe ricevuto i doni. Pensavo alla verità camminando per le strade, elargendo cenni di benevolenza agli apprendisti che improvvisano commissioni urgenti per incrociarmi sulla via, annuendo alle matrone dalla saggezza inacidita e alle serve con le bocche rugose e lo sguardo rapace, ispezionando i negozi e i laboratori occupati da lavoratori orgogliosi che alimentano le vaporiere e controllano i fusibili, affaristi eleganti in grado di fare valutazioni a occhio. Me ne vado elogiando, apprezzando, complimentandomi per ogni dettaglio, sforzandomi di ignorare le domande inespresse sulla di lei salute. Penso che ci vorrebbe un mostro, un grosso drago da nutrire con uomini sfaticati e donne sterili. Ci vorrebbe un drago per far dimenticare al popolo la storia del principe e della di lei repentina infermità. Un mostro terribile che renda obbedienti i bambini, pazienti le mogli, disponibili i mariti. Un mostro da incubo che induca all'onestà i mercanti e all'impazienza gli amanti. Un mostro che renda ininfluente qualsiasi verità.

Un mostro è quello che ci vuole, dico all'ingegnere, trovandolo ancora in attesa sul portone. Ero molto preoccupato, mi risponde. Un mostro, gli ripeto, lo sa fare un mostro? E lui sì, dice certo, un mostro meccanico, sicuro, è quello che ci vuole, dice arretrando, provvederò a integrare la modifica nel progetto, dice si potrebbe e altre cose che sfuggono al mio udito compromesso. Un mostro è quello che ci vuole, dico all'avvocato che se ne sta seduto in punta di sedia nel salottino d'ingresso. Lui non dice niente, mi tende un fascio di fogli che afferro e lascio apposta cadere. Guardo la carta che svolazza e gli li dico la prossima volta faccia più attenzione, gli dico sarebbe preferibile un'azione preliminare nel caso si delineasse e non finisco la frase imbocco uno svincolo, mi arrampico sulle scale a quattro zampe, mi fermo davanti alla porta chiusa della stanza di lei, appoggio la fronte e prego, prego per la venuta di un mostro, prego il mostro di divorarmi per primo, tremando per la paura di un rifiuto. Non sento rumori, solo il ticchettio dell'orrida bestiaccia artificiale che deve aver sentito il mio odore, che è venuta a grattare emettendo versi d'allarme. La verità, maledetto principe, avresti dovuto lasciarla dov'era fin dall'inizio, avresti dovuto innamorarti della menzogna come chiunque altro, avresti dovuto ringraziare una per una le bugie che la vita tiene in serbo per consolarci e tenerci all'oscuro, al sicuro. Dovevi proprio trovarla, dovevi proprio riportarla a casa, dovevi proprio farne un per lei regalo. Ne hai anche per me, di verità, te ne è avanzata, è una magia, sussurrasti al di lei orecchio, è un tesoro, affermasti per la di lei emozione, con quella tua testa impresentabile, è un incantesimo, annunciasti per la di lei eccitazione. Portatemi il principe, inizio a urlare attraversando stanze e corridoi, portatemelo subito.

mercoledì 2 novembre 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (43 di N)

Quando c'hai un figlio una delle cose che cambiano più evidenti sono le abitudini. Si raccomandano di non farsi sconvolgere la vita dai figli, di lasciarli a casa e organizzare serate romantiche come da fidanzati, di non diventare schiavi dei figli, di non sentirsi in colpa continuando la propria vita come se i figli non fossero nati, come se fossero delle bestioline simpatiche che impareranno a controllare la vescica. Spiegano che non importa la quantità ma la qualità, chiudeteli in una scatola e tirateli fuori una mezz'ora al giorno, se la cosa non vi stanca e non vi stressa. Consigliano cosa dargli da mangiare, le attività più adatte, il ciuccio si o no, il latte si o no, le merendine sane sporcate mezza cucina e usate venti tipi di frutta e mettete in frigor e in forno per una bella merendina sana. Tanto poi ci pensa la servitù a riordinare, la stessa che è andata a comprare la frutta rigorosamente bio d'importazione in via della spiga.

Quello che vi dico io è tutto il contrario: lasciatevi sconvolgere la vita. State con i figli tutto il tempo possibile, anche in silenzio a leggere ognuno il suo libro o a guardare i cartoni. Dimenticatevi le uscite romantiche per far finta che si resta fidanzati per sempre, non è così, se fingete non vale, si capisce, prima accettate la realtà è che siete sposati e siete diventati genitori e meglio sarà per tutti, figli compresi. Il ciuccio non fa crescere i denti storti, se non lo pucciate nel miele però è meglio, sennò poi non vi lamentate che a vent'anni vuole ancora col ciuccio. Il latte è latte, non è veleno. Lo zucchero invece sì. Non dovete dare un numero di merendine a caso tra zero e dieci. Una merendina al giorno non fa male, una caramella invece sì. Anche il sale fa male, non si deve salare tutto perché sennò non ha sapore perché voi avete la lingua anestetizzata da anni di peperoncino. Anche il vino e il caffè fanno male ai bambini.

Se non vuole fare sport perché obbligarlo? Se non vuole fare danza non ha disturbi affettivi. Avete paura che domani incontra un amichetto che sa già nuotare a farfalla, arrampicarsi in cordata, calciare in rovesciata, montare all'inglese un pony? Sapete quanto costa poi l'analista quando diventa grande, ammesso che si accorga e ammetta un giorno di avere dei problemi? Non c'è neanche bisogno di giochi costosissimi, ieri per esempio abbiamo costruito una nuova pista per le biglie con oggetti presi a casaccio, una paletta per le mosche, uno zho zhu pet, una scatola, delle riviste, un tubo, pendenze e ostacoli vari. Costo zero, divertimento mille. Con il robot da cento euro ci gioca dieci minuti e poi diventa un soprammobile. Non ha bisogno di giochi fantastici, ha bisogno di un futuro in cui ricordare i giochi che faceva con mamma e papà.

Adesso imparano fin da subito il peggio del peggio dalla tv, e in seguito perfezionano il tutto interagendo con gli amici. Quasi tutti i cartoni mostrano combattimenti contro mostri. Perfino il telegiornale, riportando le parole dei politici, è zeppo di parolacce che manco all'osteria del porto. Abbiamo figli che non si abbracciano ma si lanciano addosso raggi laser immaginari e si danno mazzate emettendo urla strazianti di mostri in agonia. Collezionano porcherie di tutti i tipi, imbustate in modo da trovare doppioni al modico costo di tre euro l'uno. E hanno solo sei anni, chissà più avanti quanto sarà difficile tenerli in carreggiata. E voi fate finta di non saperlo, fate finta che non non avete colpa perché vi hanno consigliato male. No, troppo comoda, avete la colpa di non fornire un bersaglio a chi è nato per fare centro dentro di voi, di non fornire un appiglio a chi è nato per aggrapparsi a voi. Poi se volete diciamo che è per il loro bene, che sembrano tristi e insicuri ma in realtà diventano forti e indipendenti.