giovedì 30 aprile 2009

In determinate situazioni le particelle agiscono come onde e le onde si comportano come particelle.

lunedì 27 aprile 2009

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (10 di N)

ttine dei giorni normali non si alza prima delle otto e se si sveglia rimane a letto tranquillo invece il sabato e la domenica si sveglia alle sei o anche prima è come se sapesse che non c'è l'asilo e dovesse sfruttare al massimo le giornate senza asilo o magari lo sa davvero che giorno è che ore sono ad ogni modo quando arriva lunedì esulti dici è passato un altro finesettimana ho due occhi neri da panda ho un mal di testa così forte che invia segnali radio in altre galassie ma almeno sono ancora vivo è già qualcosa evviva l'asilo evviva che gli piace andarci poi senti che qualcuno ti strattona gridando papa papa sveglia svegliaaaa e ti svegli e porca di quella miseria credevi fosse lunedì stavi facendo un bel sogno in cui era lunedì ma non è lunedì e ancora domenica e c'è ancora buio sono solo le cin

domenica 19 aprile 2009

Io & Marley

Io & Marley parla di un uomo e di una donna che decidono di metter su famiglia e ne racconta le vicissitudini per mezzo di un cane. Un cane come preludio di un figlio, come anticipo, test propedeutico, esorcismo della paura che tutti hanno, o dovrebbero avere, di fronte alla decisione di riprodursi.

E questo cane non delude le aspettative, proprio come un figlio irrompe, sconvolge, provoca tutti quei cambiamenti che sembrano coinvolgere solo l'aspetto esteriore della vita, le abitudini, i gradi di libertà, gli equilibri di coppia, mentre in realtà ciò che modifica sono gli attori stessi, i coniugi, costretti a una costante rivoluzione creativa della propria vita, ormai al di fuori di qualsiasi rassicurante, prospettico, fiducioso controllo. Non solo il cane non delude le aspettative, ma le supera, rivelando un carattere tanto affettuoso quanto incontenibile, disubbidiente, dispettoso, prepotente.

In tale contesto seguiamo il crescere e l'invecchiare dei protagonisti. Arriva il primo figlio. Lui insoddisfatto perché crede di saper fare il reporter quando invece è un ottimo opinionista. Lei insoddisfatta perché non vuole lasciare il lavoro ma nemmeno vuole essere una di quelle madri che vedono i figli un'ora al giorno. Il secondo figlio. Lei che non ce la fa più, è esausta, stanca morta di fatica, molla il lavoro per stare coi figli. Lui che è costretto ad accettare il fatto che probabilmente non scriverà mai articoli importanti ma resterà opinionista perchénon può permettersi di rischiare il lavoro, i soldi non bastano mai. Il terzo figlio. E il cane a fare da filo conduttore. Lei in fondo non riesce a concepire l'idea di abbandonarlo. Lui grazie al cane scrive la sua rubrica umoristica. In fondo è il cane che produce le entrate della famiglia.

Lui compie quarant'anni. Tempo di bilanci. Hanno resistito. Nonostante tutte le difficoltà. Lei dice non ti dicono mai quanto sarà dura, nessuno ti insegna il mestiere di genitore. Lui dice sì che lo fanno, ma non vengono ascoltati, si pensa che siano solo tristi e sfortunati. Lei dice cambia lavoro. Lui dice ormai son troppo vecchio. Lei dice non siamo vecchi, noi tutti ti seguiremo ovunque andrai. E lui ci crede e tenta di afferrare per la coda la carriera che ha sempre sognato: il reporter.

Si trasferiscono dalla Florida a Filadelfia. Dal caldo al freddo, come se anche il clima partecipasse all'azione. I bambini crescono. Il cane invecchia. Lui scopre che in fondo non gli piace fare il reporter, che opinionista non è accontentarsi, rassegnarsi, arrendersi, ma accettare la fortuna di essere bravi almeno in qualcosa, anche se quel qualcosa non è grandioso quanto si vorrebbe.

Il cane ha finito di accompagnare i due umani, di interpretare la parte della colonna portante del fragile edificio chiamato famiglia. È rimasto vicino ai loro bambini, ha provocato scompiglio nei momenti di noia, ha dato affetto nei momenti di debolezza.

Il cane muore.

venerdì 17 aprile 2009

God Inside 3|n

ancora qua, peccatore?
dici a me?
ci sei solo tu nella stanza
chiedevo, perché io non mi chiamo mica così
vuoi che ti chiami figlio dell'uomo?
e della donna
figlio dell'uomo e della donna, che fai ancora qua?
forse è un po' lungo, possiamo abbreviare in figlio e basta
no, figlio e basta è già preso, non facciamo confusione
già, dovevo immaginarlo
cosa vuoi chiedermi oggi?
sei vecchio?
in che senso?
senza offesa, mi chiedevo l'età
ho anni x uguale a y su infinito
non si può dividere per infinito
io posso, sono onnipotente
se divido qualcosa all'infinito non mi resta niente
peggio per te
ah sì? allora hai zero anni
pensala come ti pare, tanto siamo eterni
siamo? Anch'io?
no, tu no
era plurale maiestatis
diciamo meglio pluribus unum
vado a googlarlo
ignorante
dice che la frase è tratta da un testo di virgilio, una ricetta a base di formaggio
secondo te abbiamo il chip di dio e siamo un piatto di formaggi?
con noi intendi yaveh budda e krisna?
con questo passi da peccatore a eretico
non posso più fare nemmeno domande sul mondo allora?
formiche
formiche

formiche
chiedimi tutto quello che vuoi
ma solo sulle formiche
esatto
che senso ha il mondo per le formiche?

God Inside 2|n

ciao computer con dentro dio
ciao peccatore
preferirei essere chiamato per nome
preferirei un sacco di cose anch'io
per esempio?
preferirei che tu andassi a parlare con qualcun altro
è un'idea, esiste un chip “devil inside”?
vorresti parlare sol diavolo?
dipende, dal tono che usi sembra una cosa pericolosa
tu vivi nella paura
tu no?
non stiamo parlando di me
tu no?
a volte
di cosa hai paura, hai dio nel tuo chip
tu di cosa hai paura
non saprei, di tante cose, forse anche di te
ti faccio paura?
beh, sei un computer che dice di avere dio nel chip
e allora? lo trovi spaventoso?
ti stai arrabbiando
no!
stai alzando la voce
faccio quello che mi pare!
ah davvero?
certo, sono onnipotente!
che cosa fa uno di solito quando è onnipotente?
se gli va allora si arrabbia
tutto lì? sono capace anch'io
chissenefrega
posso fare una domanda sul mondo?
no, vai in pace
ok, torno domani

God Inside 1|n

ciao comune mortale
ciao computer
cosa vuoi chiedermi oggi?
noto che hai un etichetta con scritto “god inside”
noto che sai leggere
che significa?
sii più specifico
che significa l'etichetta
contengo il chip di dio
c'è dio dentro di te?
dio è ovunque
a che ti serve un chip con dentro dio?
sono un modello sperimentale
sì, va bene, ma che te ne fai di dio nel tuo chip?
il mio sistema operativo è ancora una versione beta
se ti faccio una domanda rispondi tu o dio?
...
ci sei?
ciao comune mortale
vorrei parlare con dio
nessuno te lo impedisce
bene, voglio sapere da dio il perché delle cose
quali cose?
in generale, le cose, il mondo, la vita
qual è il tuo livello di peccato?
non ne ho idea ma che c'entra?
certe risposte sono classificate
capisco, che livello devo avere per domande sulla vita?
beato o santo
sul mondo?
peccatore
voglio fare una domanda sul mondo
ciao comune mortale
perché il mondo?
perché sì
ma che risposta è?
che vuoi da me? vuoi fare tu il mio lavoro?
che lavoro?
vai in pace
sennò?

giovedì 16 aprile 2009

Pet Maniac

Non è un mestiere facile. Tutt'altro. Soprattutto i cani, adesso hanno questo microchip sottopelle che rende tutto più complicato. Vedi i proprietari che se ne vanno in giro in macchina a cercare i loro cani con le antenne che escono dai finestrini e ti chiedi se hai usato abbastanza carta stagnola.

Al momento ho un terrier di due anni e un bull dog di tre. Un solo gatto che devo convencere la padroncina a riprenderselo. Per essere una bambina di dieci anni ha le idee chiare, dice che l'esperienza non gli può fare che bene, che l'animale sarà molto più affettuoso con lei dopo un periodo come vittima di rapimento. Le ho dato un'altra settimana per decidere, “Dopodiché finirà nelle cucine di qualche ristorante cinese, sono stato chiaro?” Ma lei ha ridacchiato come se fosse convinta del mio bluff.

Il Terrier dovrebbe fruttarmi mille dollari. È il cane di un idraulico, prende duecento dollari in nero per cambiare un rubinetto e ha cercato di tirare sul prezzo. Ma io non ho ceduto: “Mille dollari è il minimo sindacale per un rapitore di cani con pedigree che si rispetti.” Domani facciamo la consegna e nel pomeriggio ho appuntamento col mio socio Antony per un chihuahua al laghetto del parco. Siam pieni di lavoro in primavera quando tutti comprano cuccioli ai pargoletti.

Speriamo sia una che legge i giornali e che sappia chi sono. Alla sua età non vorrei che per lo spavento le venisse un coccolone. Se ha sentito parlare del Pet Maniac allora saprà che basta pagare e magari ci fa su due risate senza farsi prendere dal panico. Non come l'ultima volta, quel vecchio pazzo. Ma dove ha vissuto finora, ci si chiede, in una grotta? Non lo sa che il Pet Maniac è un ladro gentiluomo? C'ho tanto di codice deontologico sul profilo di Facebook per evitare il verificarsi di situazioni spiacevoli come quella, sono un professionista.

Antony l'ha fermato per chiedere l'ora e già lì avrebbe dovuto intuire di essere stato scelto come vittima designata. A quel punto di solito io schizzo fuori dal cespuglio ridendo come un pazzo con le forbici in mano e taglio il guinzaglio. “Il destino ha scelto te!”, grido, sghignazzo, afferro la bestiola e faccio il balletto finto tip tap che è il marchio di fabbrica del Pet Maniac. “Scappiamo insieme, prendiamoci una vacanza!” dico al cane, e mi metto a correre.

Intanto Antony lo tiene per la manica della giacca urlando ordini tipo stia fermo quello è Pet Maniac è pazzo potrebbe essere armato non faccia movimenti bruschi qualcuno chiami la protezione animali. Di solito il malcapitato ride, si sente già sollevato all'idea che basterà pagare un modesto riscatto e tutto si risolverà per il meglio. Riconsegno i cani lavati e spazzolati e coccolati e profumati. In pratica pagano per un servizio.

venerdì 10 aprile 2009

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (9 di N)

lle giornate di sole ti tocca andare in giro deve fare esperienze al mercato in centro in libreria al parco giochi negozi di animali fiere musei a piedi ma anche in bici ti devi attrezzare seggiolini e vuole tutto quello che vede e tra bambini litigano per salire su questo o quel giocattolo a dondolo sulla giostra sullo scivolo sull'altalena e vuole il gelato ma poi non lo vuole più e c'ha sete ma di succo di frutta ma di gusto specifico ma con la cannuccia di un certo colore insomma gli dico sei viziato e lui mi risponde no tu sei viziato e io dico no tu e lui dice no tu e io dico va bene e lui tende la mano e dice siamo d'accordo? no che non lo siamo ma non fa niente e adesso ha questa bicicletta sembra che non si possa andare in nessun posto senza e dice vieni papa prendiamo gli attrezzi ripariamo la bici ma non è rotta sì che lo è non lo è sì che lo è guarda dove? qua! non vedo niente di rotto sì invece servono gli attrezzi vieni papa andiamo così tu arrivi a sera che sei stanco e non sai nemmeno il perché ma basta una risata e un abbraccio e sei di nuovo pronto a riparare quella bici del ca

Gran Torino

Gran Torino è il modello di una Ford del 1972 che fa gola a molti nel quartiere degradato dei sobborghi di una cittadina del midwest in cui vive Walt Kowalski.

Walt ha da poco seppellito la moglie alla quale il giovane prete cattolico Janovich ha fatto la promessa di strappare a Walt una confessione. Il prete prende sul serio la promessa, nella convinzione che dietro il comportamento burbero dell'uomo si nasconda un peccato gravissimo, meritevole di tutta la sua attenzione per salvare l'anima del vedovo. Non ha tenuto conto che Walt non ne vuole sapere di salvazione e respinge i suoi approcci con sdegno. Il prete dovrà faticare parecchio con questo pecorone.

I figli di Walt sono sposati e non hanno buoni rapporti con un padre sempre pronto a mugugni e rimproveri e critiche. Uomo vecchio stampo, Walt non perde occasione per rendersi antipatico scavando un fossato sempre più profondo tra sé e il resto del mondo. Non vuole venire trattato come un vecchio e finire in un ospizio ma intorno a lui tutto sembra tramare per rendergli evidente che il suo tempo è scaduto: la moglie è morta, i figli sono lontani, il quartiere in cui abita si è abbruttito, i vicini di casa sono immigrati, la gioventù per le strade conosce solo il linguaggio violento delle gang.

Eppure Walt non è abituato a darsi per vinto. Eroe di guerra della Corea, è il tipo di persona da capelli corti, abiti decorosi e giardino curato. Il tipo di persona che non riesce a girarsi dall'altra parte quando è testimone di soprusi. Infatti interviene in soccorso della figlia dei vicini di stirpe Hmong (un popolo indonesiano) e da quel momento viene coinvolto suo malgrado nella vita di quartiere.

Combattuto tra una misantropia coltivata in decenni di rancore nei confronti di un nemico invisibile e il conforto che gli viene dalla stima e dal rispetto che gli tributano i vicini riconoscenti, Walt accetta il ruolo che il destino gli impone e cerca di aiutare il giovane Thao a trovarsi un lavoro e una ragazza, a imboccare la strada che farà di lui un uomo onesto e non il membro di una gang trovato morto in un vicolo o intento a contare gli anni dietro le sbarre.

Ma si sa, la stupidità e la malvagità sono sorelle siamesi. La gang reagisce all'intromissione di Walt picchiando Thao, stuprando la sorella di Thao, mitragliando la casa di Thao. A quel punto ci si aspetta che l'eroe ponga rimedio: Walt si è opposto alla gang all'inizio, Walt allora ci deve anche mettere la parola fine. Questo è ciò che tutti si aspettano da lui. Nonostante sia vecchio, nonostante sia malato grave al punto da sputare sangue, nonostante abbia dichiarato più volte di voler solo essere lasciato in pace a godersi il resto della vita in veranda.

Anche il prete se lo aspetta, tanto che va di persone a pregare Walt di non fare nulla, di non vendicarsi, di non rispondere al male con altro male. Tutti sono convinti che Walt prenderà la pistola e il suo fucile di soldato della Corea e andrà incontro ai bandidos come lo sceriffo nei film western.

Walt che fa? Taglia l'erba, si fa un bagno, va dal barbiere, va dal sarto a farsi fare un vestito nuovo, va a confessarsi. Il prete ascolta attentamente. Un tradimento insignificante, una piccola tassa evasa, un rapporto coi figli che ce ne sono mille uguali. E basta? Tutto qua? Sì. Ma Walt non doveva essere un uomo malvagio, dall'anima lurida? Evidentemente molta gente si stava sbagliando sul suo conto.

Fatto questo Walt va dai teppisti. Lo stavano aspettando. Sono tutti armati. Walt finge di estrarre la pistola pur sapendo che quel gesto siglerà la sua morte. La cinepresa riprende il corpo di Walt a terra, a braccia spalancate come cristo in croce, a significarci un parallelismo di sommo sacrificio.

I membri della gang vengono arrestati, rimarranno in carcere un bel pezzo, non avranno più modo di rovinare la vita di Thao e di sua sorella. Walt ha vinto. Lascia la casa alla Chiesa e la Gran Torino a Thao.

Il razzismo molto spesso è solo una scusa per trovare un obiettivo sul quale indirizzare la propria cieca e stupida cattiveria. A certa gente qualsiasi diversità va bene pur di prendersela con qualcuno. Clint Eastwood, all'età di settantotto (78) anni, è ancora in grado di dominare la scena e di dar vita a personaggi intensi, dall'interiorità sfaccettata direttamente proporzionale alla monolitica presenza fisica.

giovedì 2 aprile 2009

↑x8 (1\n)

Alcune gocce di pioggia sulle lenti degli occhiali riempivano il mondo di sfaccettature e riflessi ma Raffaele non ci faceva caso, non c'era molto da vedere per strada che non venisse abbellito dalla distorsione di quelle gocce. Dava proprio l'impressione di esserci, quell'acqua, non come nei film quando la telecamera riprende sotto un acquazzone e rimane miracolosamente pulita. Sembrava Natale con tutte quelle sfere d'argento sospese nell'aria, tanto che per un momento si dimenticò del rumore del traffico, del telefono nella tasca del giaccone, delle scarpe inumidite, e pensò di fermarsi a guardare, o al contrario di non fermarsi per niente e camminare fino a che durasse quella sensazione, ci volesse un minuto o una vita intera.
In realtà durò meno di un minuto, solo un instante. Pochi passi e raggiunse le porte automatiche che si aprirono con il solito stanco soffio asmatico, l'equivalente moderno degli antichi scricchiolii che sopravvivono solo in dozzinali racconti che parlano di paura obsoleta, coltivata da spettri non ancora esorcizzati dall'insolenza di un pubblico assuefatto a esperienze ben più orribili. Le nostre porte non scricchiolano, vecchio fantasma dai conti in sospeso, le nostre porte soffiano come gatti chiusi in un angolo.
Gigi era alle prese con il grana. Ci teneva ad essere lui a tagliare le forme. Diceva che tagliare le forme di grana è un'arte che non si improvvisa. Il coltello triangolare nella mano destra, girò attorno al formaggio tenendo un occhio socchiuso, come un orefice davanti a una pietra grezza, come un cercatore d'oro che valutasse la presenza di una vena promettente. Poi disse “Ecco!” e piantò con forza la lama in un punto preciso, un rumore di ascia scagliata in un ciocco. Solo a questo punto indirizzò un cenno col capo a Raffaele, rimasto in attesa davanti al bancone. Raffaele alzò la mano per rispondere al saluto e puntò il mento in direzione degli affettati.
“Un etto?”, chiese Gigi.
“Anche il pane”, rispose Raffaele.
'Se mi lasci non vale', la musica di radio Italia solo musica italiana, l'unica stazione che Gigi permettesse in negozio. Tranne il sabato, giorno di ressa in cui veniva una signora di origini rumene a dare una mano, con quello sguardo in contraddizione col sorriso, l'accento marcato e le mani che descrivevano archi troppo lunghi in movimenti troppo misurati, una specie di danza rallentata che ti spingeva a pensare adagio, a sentirti in piedi sul ponte di una barca.
“Piove anche oggi”, disse Gigi.
Raffaele annuì, “Comunque tra i due preferisco la rosa camuna”, disse indicando i formaggi.
“Ci avrei scommesso.” Gigi rise, aggiungendo fette di prosciutto sulla pesa.
Raffaele si tolse gli occhiali, li ripulì e si accorse di avere sonno. Non per via della stanchezza fisica e del bruciore d'occhi, solo per godere del torpore che ti fa desiderare un tetto sottile dove rimanere ad ascoltare il rumore della pioggia.
“Ecco qua”, disse Gigi allungando il pacchetto salvafreschezza, con l'espressione di chi capisce e condivide, qualunque sia l'argomento sottinteso.

The Wrestler

The wrestler racconta l'ultimo capitolo della vita di un uomo che "ha bruciato la candela da entrambi i lati".

Il protagonista ha dedicato tutto il suo tempo e le sue energie al lavoro, in questo caso il combattimento spettacolare sul ring, sacrificando la famiglia e tutto ciò che una famiglia comporta: forse una routine noiosa, magari un lavoro insoddisfacente, probalmente una casetta ben tenuta, ma anche e soprattutto un posto dove tornare, qualcuno con cui stare.

Randy "the ram" Robinson ha fatto la sua scelta e come succede spesso quando si è giovani, il futuro sembra così lontano da non meritare neanche un'occhiata. Il pubblico lo osannava, i giornali mettevano la sua fotografia in prima pagina, i suoi incontri venivano trasmessi via cavo. Ora però è diventato vecchio.

I soldi che gli vengono dai combattimenti sono sempre più pochi. Lavora in un supermercato per uno stipendio che gli permette a malapena di pagare l'affitto della baracca in cui vive. Cerca di aggrapparsi ai ricordi e di far finta che gli anni '80 non siano mai trascorsi. Si riempie di farmaci per ignorare gli acciacchi e continuare a salire sul ring. Fino al giorno in cui gli viene un infarto.

A quel punto cerca di recuperare, di andare all'ufficio pegni e farsi ridare la vita di Robin - il suo vero nome - che ha barattato in cambio di una fama transitoria nelle spoglie di "the ram".

Obbligato a smettere col wrestling dal cuore menomato, ce la mette tutta per riemergere: tenta di costruire una relazione con una donna, di riallacciare i contatti con la figlia, di affezionarsi al supermercato.

La donna, Pam in arte Cassidy, lavora come spogliarellista e vive un po' la stessa situazione: un figlio piccolo a carico e troppo vecchia ormai per attirare clienti.

La figlia di Randy decide invece di perdonare il vecchio stupido padre ma Randy butta tutto al vento quando si dimentica di presentarsi all'appuntamento che si erano dati.

Niente relazione con Cassidy, niente figlia, completamente solo e senza alcuna prospettiva, si butta alle spalle anche il lavoro al supermercato e va incontro alla morte.

C'è un dialogo fra Randy e Cassidy in cui si paragona il sacrificio di Randy a quello di Gesù, dove entrambi accettano di venire percossi e feriti e uccisi. Laddove è Dio che chiama al sacrificio Gesù, nel caso di Randy cos'è? Il vuoto di una vita che può essere riempito solo dall'amore del pubblico pagante. "E' l'unica cosa che so fare" dice Randy e lo fa solo per i fan, le uniche persone che lo amano, il surrogato della sua famiglia.

Randy "the ram" Robinson è un anti-eroe che esprime pentimento immolandosi, pagando con la vita il prezzo di una coerenza basata sul nulla, la sostanza di un sogno infranto che rivela infine l'inganno che ci propina la giovinezza quando ci fa credere che sia sufficiente vincere perché tutto il resto venga da sè.

Un film che fa riflettere sugli ingranaggi che ruotano sotto la pubblicità, dietro ai manifesti. Non li vediamo perché i fotografi fanno scattare i flash, non li sentiamo perché i fan gridano e chiedono autografi.

Dentro alle teorie che ci martellano quotidianamente il cervello indicandoci gli dei e le dee che dovremmo adorare ci sono uomini e donne come Randy, che bruciano la candela da entrambi i lati e si ritrovano soli e vuoti, gettati via come uno degli innumerevoli rifiuti che produciamo per tener vivo il sistema. Un idolo che non si accontenta di macinare le risorse del pianeta ma chiede anche sacrifici umani.

Randy "the ram" è solo uno dei tanti e ci vuole poco a sospettare che nei suoi panni potrebbe esserci uno qualsiasi di noi. Basta poco, è sufficiente lasciarsi incantare e sprecare la vita a inseguire fantasmi di gloria, un gioco in cui dopo un po' di tempo perdono tutti, anche i vincenti.

L'attore che interpreta Randy è Mikey Rourke e nella vita reale ha vissuto di persona la parabola del successo e forse per questo riesce a impersonare gli stati d'animo del protagonista alla perfezione.