lunedì 30 maggio 2011

Un giorno con la nonna.

La mia nonna è una sola perché l'altra è già morta e ci vado a trovarla ogni tanto perché non c'è altra soluzione, ho sentito dire alla mia mamma nel telefono che mi porta dalla nonna perché non c'è altra soluzione, mi va bene lo stesso, la nonna mi lascia mangiare quello che voglio e prima di andare mi mette in tasca una mancia, sarebbero dei soldi, la mamma se lo scopre me la toglie e le dice che le mance si danno ai camerieri, è per quello che rimane un nostro segreto e ci strizziamo l'occhio quando la mamma non guarda. La mia nonna viva dice che la nonna morta era una brava persona e che non bisogna mai parlare male dei morti. Le ho chiesto, mettiamo che non ci sia questa regola, le ho detto facciamo per esempio che si può, invece, parlarne male, non apposta, solo per dire le cose come stanno, e lei ha abbassato la voce e ha detto meglio di no, non farmi parlare che è meglio se sto zitta, ma io ho capito lo stesso che la nonna già morta non sarebbe una soluzione e le ho detto meno male che è morta lei e non sei morta tu e la nonna viva mi ha sgridato, però ridendo, un miscuglio come fa le volte che mi mette paura, quando guarda la televisione, che penso che potrebbe diventare matta all'improvviso e io resterei qui da solo chiuso in casa con la nonna impazzita, senza avere un'altra soluzione.

La nonna dopo un po' si stanca di parlare, di giocare, dice che le fa male la schiena, il collo, la testa, che adesso è stanca di parlare, di giocare, mi fa una carezza, un sorriso, mi dice tu vai avanti a giocare che io mi riposo un po', e va sul divano e accende la televisione. È quei momenti lì che mi viene la paura che impazzisce di botto, perché guarda delle cose vecchie nella televisione, non gira canale quando esce la pubblicità, che già il volume è alto normale, figurati con la pubblicità non sento più la mia voce quando le dico nonna abbassa, nonna, e grido abbassaaaaa, ma lei niente, tiene gli occhi chiusi, la bocca aperta, e allora capisco che dorme, vado a premere il tasto del volume sul telecomando che la nonna tiene stretto nella mano anche se sta dormendo, non glielo tolgo perché sono convinto che se si sveglia adesso impazzisce di colpo e siccome non ci sono altre soluzioni dove mi porterebbe la mamma, da chi mi lascerebbe quando non ha tempo, quando deve fare le sue cose, il lavoro, i grandi sembra che devono sempre lavorare, anche quando fanno qualcosa che gli piace finisce che dopo un po' lo fanno diventare un lavoro per lamentarsi e dire ai bambini che non ci sono altre soluzioni.

La nonna quando la televisione sta zitta si sente un rumore di ringhio che le esce dalla gola, e ogni tanto una pernacchia molle che non capisco se è una puzzetta o se viene dall'ombelico, perché la nonna viva è molto vecchia e ai vecchi succedono cose assurde, cose orrende che non si possono nemmeno immaginare, come le macchie sulle mani e le vene sulle gambe, quando sarò grande la scienza sarà così avanti, dice la mia mamma, che non ci sarà più bisogno di creme e di bisturi e di pillole azzurre, dice che saremo tutti come quel film in cui si attaccano con i capelli alle piante e l'energia li connette con le menti degli avi, e io le ho detto mamma io con la nonna morta non lo so, forse non ci voglio parlare e lei è diventata triste, non mi ha nemmeno risposto, e quando le ho chiesto scusa ha detto no, non hai fatto niente, non è colpa tua, allora ho pensato che stavolta non è l'unica soluzione, ce ne sono almeno due, o ci vuole parlare tanto oppure non ci vuole parlare nemmeno lei con la nonna morta. Ho chiesto alla nonna viva quale secondo lei delle due soluzioni è quella vera e lei ha detto tutte e due, e poi si è corretta, ha detto anzi no, nessuna delle due, e io le ho detto nonna non vale, così non vale, le regole sono regole, non puoi fare come ti pare, e la nonna viva ha riso, mi fa arrabbiare quando ride per niente ma non glielo dico, non perché ho paura che mi impazzisce, perché magari si offende e niente mancia.

La televisione della nonna fa vedere gente che era giovane tanti anni fa e che adesso chissà, la televisione non è come il computer che vai sui siti e trovi le risposte, no, la televisione ti dice quello che ha da dirti e tu te ne stai buono seduto a guardare senza lamentarti, come la maestra di inglese, mi dice sempre che non la devo interrompere, che la buona educazione vuol dire alzare la mano. La televisione è peggio della maestra perché se alzi la mano fa finta di niente, beh, lo fa anche la maestra d'inglese ma potrebbe non farlo, ecco, la televisione no, al massimo puoi girare canale e sperare che ci sia quello che cerchi. La nonna per esempio trova sempre quello che cerca, sa sempre cosa trasmette la televisione, a che ora e su quale canale. Secondo me la mia nonna viva è un genio, non ha bisogno del computer perché sa tutto. Però quello che non capisco, e che mi fa venire paura che d'un tratto impazzisce di brutto, è che guarda sempre persone in bianco e nero, solo le persone che erano giovani tanti, tanti, tanti anni fa hanno quell'unica soluzione per i colori. La nonna viva, quando è ancora sveglia, racconta delle cose sulle persone nella televisione, dice com'era bella, guarda, oppure dice com'erano giovani, tutti e due, oppure se al posto di andarsene a trent'anni fosse ancora viva, e chiede conferma a me, come se dovessi sapere chi sono, e io rispondo sì, nonna, hai ragione, perché ho paura, per quanto ne so potrebbe dar fuori di matto da un momento all'altro.

Ho fatto delle regole per la nonna. La prima regola dice che non si può fare come si vuole. La seconda cambia tutte le volte e serve a far eseguire dei compiti precisi alla nonna, come il programma per i robot, per esempio la regola numero due dice che la nonna adesso giochiamo a spago ramo bottone. La terza non me la ricordo più ma so che c'era anche la terza regola, era una regola molto bella solo che adesso non me la ricordo più tanto bene. L'altro giorno è andato tutto come al solito, a un certo punto si è stancata e si è lasciata cadere sul divano con la televisione al massimo volume per vedere i suoi programmi di una volta, pieni di gente che oggi chissà, forse p vecchia come nonna, forse di più, molto di più, forse è come dice mamma la faccenda del legarsi per i capelli alla pianta, solo che mia nonna usa la tecnologia vecchia per collegarsi con le menti degli avi, che si può solo scegliere il canale degli avi tra le soluzioni disponibili e ascoltare le cose che hanno registrato quando erano vivi. Prima di dormire la nonna ha detto mi sembra di visitare una casa infestata dagli spiriti, l'ha detto come se ci fosse da ridere ma io per poco non me la sono fatta addosso, mi sono così spaventato all'idea che ci fossero i fantasmi dentro alla televisione della nonna che ho alzato la mano prima di fare la domanda, sono rimasto con la mano alzata a fissare lo schermo per un bel po', poi ho sentito uscire l'aria dall'ombelico di nonna e mi sono alzato per mandare a zero il volume.


mercoledì 25 maggio 2011

Il crocevia dei sognatori (002)

Non poteva sopportare di starsene lì buono in attesa. Neanche un minuto di più, la fronte appoggiata al vetro, le mani aggrappate ai tendaggi, sforzandosi di tenere fuori dalla testa la voce di lei, il flusso incessante di parole che la bocca di lei macinava senza pause, al solo scopo di stordirlo, di abbatterne le difese in modo da afferrarlo con tentacoli fatti di suono e trascinarlo per i piedi, tirarselo dentro alla bocca e masticarlo vivo, obbligare il suo corpo a sprizzare fuori dai pori i sentimenti, i sogni, l'energia vitale, succhi densi e luminosi che lei avrebbe raccolto nello spazio fra guance e gengive, come uno scoiattolo preoccupato per l'inverno, la pelliccia che freme e trasporta sottopelle i brividi fino alla punta della coda, è così che le parole escono dalla bocca di lei, seduta sul letto da qualche parte, alle sue spalle, seduta composta a modulare la velocità del suono affinché riesca a trapanare l'attenzione, a provocare turbamento, ansia, senso di profonda disperazione. E adesso cosa faremo, Tom? Fa questo tipo di domande, la voce di lei. Non abbiamo un posto dove andare. Dice cose di questo genere, la voce di lei. È qualcosa da tener fuori allo stesso modo del vento settembrino, l'unico vento che porta la nebbia fra le mille cime pinose e spinge il Cacciatore a far ritorno al crocevia dei sognatori, arrampicarsi fino al tetto, entrare nella sua stanza pericolante, in bilico sul tetto d'ardesia della locanda, e gettarsi bocconi sulla branda, le mani premute sulle orecchie.

Tom? Dice la voce di lei. Mi stai ascoltando? E poi dice Cosa stai facendo? Dove credi di andare? E rimane sulla porta a guardarlo correre sotto la pioggia, sapendo che è tutto quel che le riesce di fare, sapendo di avercela messa tutta per farlo rimanere. Sulla destra vede lampeggiare le luci rosse e blu dei mezzi di soccorso, alcuni fanno rifornimento di carburante o di acqua, altri sostano in attesa di chiamate d'urgenza, altri permettono ai più stanchi di entrare al punto di ristoro per un boccone o di utilizzare una delle stanze per farsi una doccia, magari chiudere gli occhi qualche ora. La pioggia finalmente è arrivata, quando ormai non rimane più niente da proteggere, nessuno da salvare, le fiamme hanno avuto tutto il tempo di fare i loro comodi, hanno banchettato, hanno festeggiato, lasciando i pavimenti sporchi di cenere, la mobilia carbonizzata, le vittime dei loro scherzi crudeli sono pupazzi ritrovati con la mano tesa verso l'ultima speranza o in posizione fetale. Tom? Dice la voce di lei anche se lui è ormai troppo lontano, diretto verso la fila dei superstiti seduti in terra, sul marciapiede, dove una donna che fa la spola con tazze di caffè caldo indossa un grembiule troppo macchiato per qualunque sapone. Tom prende un telo cerato identico a quello indossato dai superstiti, un grezzo poncho decorato a fasce catarifrangenti, e si sente subito meglio, si sente a proprio agio, parte di qualcosa finalmente in grado di consolarlo.

Un superstite è a torso nudo, ha seguito la scena e ora osserva Tom come si guarda un corvo intento a beccare i resti di un suo simile. La difficoltà di leggere l'espressione del superstite è dovuta in parte alla benda che porta sull'occhio destro, che gli dà un aspetto da spilorcio e canaglia, accentuata dai rotoli di grasso a coprire la cintura e dalla generale tensione del corpo di chi è abituato a stare sulla difensiva. Il Guercio picchietta la lunga unghia del mignolo sul bordo del bicchiere di polistirolo che tiene fra le mani e sorride, ha l'aria soddisfatta di chi sta alla finestra e si gode non visto la scena dall'alto, sporgendosi per sbirciare oltre i limiti della cornice. La mente di Tom si rifiuta di credere che sia un sorriso, decide per lui che si tratta di una smorfia di disgusto, di rabbia, per via del dolore, della perdita, per colpa dell'incendio. Tom si sente chiamare, la voce non è come quella di lei, che ti penetra il cervello e lo fa a brandelli, no, è una voce di donna che lo chiama Ragazzo, gli dice Ehi ragazzo, che gli sembra di essere ancora a letto quando è la terza volta che mamma chiama. Però la donna non assomiglia alla mamma, indossa una retina fucsia su capelli grigi e grossi e rigidi come fil di ferro, ha gli avambracci muscolosi dei camionisti, la peluria scura sotto il naso della menopausa, gli dice Sveglia ragazzo, prendi questo, e gli consegna il caffè con la violenza trattenuta del ringraziami se non te lo tiro addosso.

Il Guercio strizza la palpebra e Tom non capisce se avrebbe strizzato anche quella dell'occhio mancante o se è un segnale di complicità. Il Guercio ammicca per la seconda volta, stacca una mano dal bicchiere e schiaffeggia il marciapiede, invitando Tom a sedersi lì accanto, lo tira per il gomito, gli circonda la schiena col braccio nudo e gli dice Lasciala perdere, la Capa è una vecchia acida, e attacca a parlargli come se lo conoscesse da sempre. Tom sente l'odore dell'alcol nel sudore e nell'alito del Guercio. Tom distoglie la faccia, si discosta fisicamente per avere il tempo di abituarsi, perché di stare in mezzo ai superstiti è ciò di cui ha bisogno e se per farlo deve sopportare un po' di puzza, ebbene, che sarà mai? Il Guercio estrae dalla tasca posteriore una fiaschetta e dice Vuoi dare sapore a quella roba che la Capa ci ha rifilato? E ammicca di nuovo, stavolta Tom non ha dubbi a riguardo, toglie il coperchio di plastica e allunga il bicchiere. Il Guercio è contrariato, non si aspettava che Tom accettasse l'offerta, infatti versa un quantitativo irrisorio di liquore e quando riavvita il tappo ammicca per la terza? la quarta? volta e batte l'unghia del mignolo sul cuoio decorato che avvolge e protegge il contenitore metallico. Dice Ottima qualità. Dice Un pezzo raro e prezioso sia dentro che fuori. Dice ti interessi di tesori e pezzi antichi? Tom scuote la testa. Il Guercio riprende a parlare, non è una voce che mastica, non è una voce che picchia, è una voce che culla, una voce che inganna.

lunedì 23 maggio 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (40 di N)

Quando c'hai un figlio ci sono dei giorni che ti rendi conto con estrema lucidità che l'ombra si fa vicina, il momento in cui il sole si nasconderà non può certo farsi distante. Una mattina mi sveglierò con la netta sensazione che mio figlio si sia svegliato, si sia alzato in punta di piedi, abbia acceso la tv sul suo canale di cartoni preferito. Una mattina mi alzerò anticipando il solito buonumore che mi procura la semplice consapevolezza che ci sia mio figlio sul divano, con in mano uno dei suoi robot herolego, che inventa dialoghi assurdi fingendo di essere così impegnato nel gioco da non essersi accorto di me. Una mattina scoprirò che sono passati anni, decenni, che mio figlio è grande, abita altrove, che il mio vecchio corpo mi ha giocato un brutto scherzo, perché tutto questo è troppo complesso e vero per essere gestito dalla sola mente, nell'inganno viene coinvolto tutto il corpo, sentirò perfino l'odore specifico che hanno i tempi felici, quando ringrazi e non ne hai mai abbastanza, anche se amari, anche se duri, sono tempi che valgono la pena, sono tempi che non hanno bisogno di cercare un motivo. Sospettare che si sentirà la mancanza del bambino che fu, la nostalgia di giorni che rischiamo di lasciarci passare sotto il naso senza degnarli della necessaria attenzione, che siamo tentati di trascorrere concentrati su noi stessi, sui nostri problemi, senza fare niente non dico per gli altri in generale ma almeno per gli altri a cui vogliamo bene, almeno per i figli, è un buon inizio per capire le cose che cambiano quando c'hai un figlio.

Sacrificarsi a favore di persone singole, persone concrete, non come quelli che si sentono miss mondo sul palco, sotto i riflettori, e dichiarano di volere la pace nel mondo per vincere il concorso di persona più buona del mondo. Sacrificare tempo, fatica, oltre che soldi. C'è gente che si sacrifica per comprare un paio di scarpe, che chiede un prestito per un intervento di chirurgia estetica, che sacrifica tempo per coltivare relazioni sociali con persone alle quali metterebbe volentieri del veleno nel caffè. La stessa gente che poi ti viene a spiegare come si mangia per vivere a lungo, ti dice per chi si deve votare, come si deve affrontare il problema energetico, gente che pensa di sapere tutto perché l'ha detto la sua amica che l'ha letto nel tal posto che l'ha scritto il gran visir dell'opinione e tutti nel giro della cumpa quando ci si ritrova per l'aperitivo sono d'accordo per cui non è che sbagliano tutti. Per esempio adesso vanno di moda le scarpe con la suola arcuata, che ci dondoli sopra. Mia zia ha il mal di schiena e posso capire, ma tutti gli altri? Comprano tutti scarpe da 250 euro al paio perché d'un tratto hanno tutti il mal di schiena? Lo stesso vale per la politica, in democrazia è tutta pubblicità, moda, e quando c'hai un figlio capita che ti dedichi a lui perché lo fanno anche gli altri genitori, lasciando che la tua vita venga messa via, dentro un cassetto, così che non si rovini, che non si sciupi, che ti rimanga una bella faccia da esporre agli ospiti in visita quando ti ficcheranno in una bara.

Pensavo queste cose ieri, al parco pubblico, mentre da una parte c'era una festa di compleanno, dall'altra attivisti politici, in mezzo gente che cercava di rilassarsi, di giocare a palla, di godersi le chiacchiere seduti nell'erba. Con mio figlio eravamo lì a far volare l'aquilone. A volte il vento calava e l'aquilone veniva giù schizzando prima tutto a destra, poi a sinistra, che bisognava correre per tenerlo su il tempo necessario alla ripresa del vento. Mio figlio che correva, rideva, gridava Vola! Vola! Sta volando! Vola aquilone, vola! Gente attorno col sorriso di chi si è fermato a bere dopo aver sudato a rincorrere la palla. Ragazzini con gli abiti, le movenze, le pettinature, lo sguardo pronto a fissarsi o distogliersi tipico di chi non ha nessuna intenzione di perdersi nel mucchio, di venire scambiato per un coetaneo qualsiasi, alcuni dimentichi della compostezza da duri richiesta dalla parte che recuperano l'alta tonalità di voce dell'era prepuberale, altri che anticipano la celebrazione delle vacanze estive facendo i conti, cercando di capire quanto si rimarrà soli, a chi si potrà telefonare per una passeggiata con gelato, problemi seri, problemi che la madre impegnata coi festoni e i palloncini non ricorda più se non certe sere, quando certi odori o sapori le danno un senso di deja vu e una felicità di cui non ricorda il nome, come trovarsi di fronte a se stessi e stare bene attenti a come si costruiscono le frasi, la circospezione sul volto di chi non era preparato, lo sforzo per impedire che l'interlocutore percepisca il vuoto dove una volta c'era il nome sul quale giurammo eterno ricordo.

L'attivista era come non riuscisse in alcun modo a trattenersi dal dire a tutti che il gelato al pistacchio, tutti dovete assaggiarlo, il pistacchio ci deve essere ovunque, chi non gli piace il pistacchio è malvagio e bisogna abbatterlo rinchiuderlo, il gelato migliore è al pistacchio, chi dice il contrario sta pagando i sostenitori, sta raccontando balle, vi prende in giro con promesse ridicole, perché il gelato al pistacchio è la risposta, tutti lo vogliono tranne i matti, gli scemi, i ricchi, chi non vuole il pistacchio non capisce niente, sbaglia tutto, non possiamo permettere che il pistacchio non vinca, se non vince il pistacchio sarà un casino sarà uno schifo, finiremo male, il mondo ci riderà in faccia, non avremo di che sfamare i nostri figli, ci lasceranno morire in mezzo a una strada, il pistacchio bisogna che ci rendiamo tutti conto che la soluzione è il gusto pistacchio, chi non vota pistacchio andrebbe menato, non suggerisco né giustifico la violenza, dico solo che se uno che non gli piace il pistacchio viene pestato a sangue io lo capisco che sia potuto accadere perché siamo tutti stanchi di gente che vuole impedire l'ascesa del gusto pistacchio. L'attivista usava un megafono. Non era nemmeno un politico di professione, era gente che non aveva altro da fare nella vita che scassare i coglioni al prossimo, uno di quelli che su internet sono sempre di più, hanno trovato in internet un megafono enorme. Ci vorrebbe un filtro, oltre ai filtri per sesso, violenza, linguaggio esplicito, ci vorrebbe un filtro politica, visto che stupidità non è materialmente fattibile, mi accontenterei di filtrare chiunque non abbia di meglio da fare nella vita che rompere i coglioni al maggior numero possibile di persone esponendo le sue idee politiche e facendo il tifo per la sua parte politica.

Quando c'hai un figlio far volare l'aquilone ha tutto il fascino e la goduria che senza un figlio si trasformano in noia e tristezza. È l'emblema perfetto sulle cose che cambiano quando c'hai un figlio: a differenza del far volare un aquilone da soli, con un figlio invece a far volare un aquilone si ride, ci si diverte. Poi ti viene la gola secca, ti viene sete, e vai a comprare un ghiacciolo, a sentire fra le dita il delizioso freddume di una bottiglia gelata. La donna che sta organizzando la festa al bar per la figlia è elegante, pulita, sicura di sé, una signora che ci tiene, non so se effettivamente ricca o se di classe media, non ho mai avuto occhio per i dettagli, la marca dell'orologio, la qualità dei materiali e delle cuciture delle scarpe, le essenze del profumo. L'atteggiamento comunque c'era, il modo di guardare, il modo di tenere le braccia, il modo di stare in piedi, il modo di parlare anche. E quella perenne insoddisfazione che non si esprime nel mugugno ma in un sottile disprezzo privo di bersaglio, che viene lasciato espandere attorno come un veleno per far sentire in colpa chiunque nel raggio di venti metri. E la figlia, una bambina, che saltella via quando viene rimproverata, fingendo di non aver sentito. La bambina che era pronta a frignare e lamentarsi per via di contrattempi, di palloncini esplosi o festoni rotti o ritardi o musica non di suo gradimento o cheneso, e la madre che la sgrida con quel modo di sgridare identico in ogni parte del globo, laddove un bambino viziato ripaga con squisite lamentele ogni vittoria strappata agli stanchi genitori, colpevoli di tutto e di niente, chissà dove si nasconde il seme per attecchire e succhiare l'energia necessaria a far crescere rigogliosa la pianta dell'incomprensione.

Quando c'hai un figlio lui non sa niente di tutto questo, è giusto così, deve solo godersi la vita, è tutto quello che vuoi per lui, che rimanga al riparo dai rompicoglioni che vogliono cambiare il mondo, dalle crepe che diventano abissi tra persone che vorrebbero amarsi, degli scherzi della memoria quando ti svegli e ti sembra che ci sia un bambino in salotto, che una volta sapevi bene il nome della persona che eri e adesso proprio non ti viene in mente. Quando c'hai un figlio vorresti che la magia gli durasse per sempre, che non finisca a buttare la gamba in avanti e ridere con i singhiozzi di chi si accorge di aver perso il controllo sull'allegria, di aver ceduto alle pressioni dell'irresponsabilità fanciullesca, di chi ormai è troppo grande per certe cose. Quando c'hai un figlio vorresti dirgli una bugia, dirgli che non si è mai troppo grandi per certe cose, anche se tu, da solo, al parco, a far volare l'aquilone, da solo, no, senza di lui, non ci andresti. Quando c'hai un figlio vorresti proteggerlo dalle febbri ideologiche, dall'impulso romantico che sfruttano i pubblicitari della democrazia per mandare al potere i loro amichetti, vorresti fargli capire che fra tutti i modi per sprecare la vita, l'attivismo politico è quello più stupido. Non fa niente se non fai carriera, se non hai successo, se il prezzo è schierarsi dalla parte di un partito politico affinché ti favorisca vuol dire che vivi in un sistema che non premia il merito ma la mafiosità clientelare, che mette al centro delle relazioni sociali l'appartenenza a un partito politico, vivi in una democrazia formale che è una dittatura di fatto e non si merita niente, si merita solo di vederti andare via saltellando, come chi non si degna nemmeno di ascoltare.

Poi siamo andati a comprare il gelato e, senza motivo, siamo finiti a gridarci addosso verbi della prima coniugazione. E parole di origine francese, come tunnel. Col gelato in bocca da mandare giù per fare spazio a verbi sempre più spassosi, così, per il solo fatto di richiedere un labiale, di contenere molte erre, di essere pronunciati con intenti evocativi o consolatori. Lui li ripeteva soltanto, a parte qualche illuminazione salutata con scrosci di risate dal tipico tintinnio con quale vengono descritte le risate infantili da generazioni di scrittori. La risata che rincorre se stessa, che sgorga come una sorgente, ci vedi dentro le bolle, ti frizzano nelle orecchie e ti riecheggiano nel cuore. Poi abbiamo scherzato, poi abbiamo giocato, poi siamo rimasti in silenzio come chi sta mandando a memoria una poesia, almeno nel mio caso sì, una poesia fatta di ricordi, di emozioni che non c'è modo di conservare e per questo le si assapora il più a lungo possibile, una poesia che non ha parole, perché io le poesie, quelle scritte, quelle che vanno lette, io le poesie non le capisco, non le ho mai capite. È come sedersi a tavola e mangiare la fotografia di una bistecca fiorentina, e dire che buona, dire è cotta giusta, dire io lo capisco a vista d'occhio, se una bistecca è buona.

giovedì 19 maggio 2011

Grigiume.

C'era una volta un posto dove nessuno sta mai fermo, mai zitto. Un posto che gli abitanti si vantano di chiamare 'il posto che non dorme mai', e in effetti dentro ai confini del Posto c'è sempre luce, movimento, suono. Un giorno accade che dal cielo arriva un virus, nascosto dentro un piccolo asteroide che piomba nel giardino di zia Norma. È lei, mia zia, la prima a prendesi il Grigiume, così verrà chiamato il virus giunto dallo spazio. Zia Norma dice 'Che bel sassolino', prende in mano l'asteroide e si ammala di Grigiume. Quando confesserò che a me zia Norma piace di più malata che sana cominceranno a guardarmi con sospetto e a trattarmi come se fossi contagioso. Ma questo succederà dopo, quando ormai zia Norma si sarà rassegnata a fare le valigie e andare via perché da quando avrà preso il Grigiume nel Posto non le vorrà bene più nessuno. Si arriverà al punto che i ragazzini le grideranno 'Normal!', aggiungendo una L in fondo al nome, e scapperanno via ridendo di lei. A niente servirà dimostrare che il virus non è contagioso, la gente non si fida, avrà paura lo stesso di prendere il Grigiume e venire cacciata dal 'posto che non dorme mai'.

Il bello del vivere nel Posto è che ogni giorno c'è qualche novità. Ci sono altoparlanti e monitor ovunque che ti forniscono motivi per fare qualcosa o per non farla, per arrabbiarti o farti una risata. Non ti devi preoccupare di niente se abiti nel posto che non dorme mai. Non hai nemmeno tempo di farti delle domande, non devi rovinarti la vita sprecando enormi quantità di inutile fatica per capire le cose, c'è gente pagata per farlo al posto tuo, tutto quello che ti viene chiesto è di informarti, adeguarti, seguire i consigli come fanno tutti i bravi e onesti cittadini del Posto. Siamo organizzati per fronteggiare qualsiasi evenienza, ti dicono. Rilassati, ti dicono. E proprio quando tu sei lì, bello che rilassato, consapevole che là fuori sono organizzati per fronteggiare l'eccetera, ecco che cambia tutto! Che sferzata di energia, che botta di ansia. Adesso ti dicono che siamo tutti in gravissimo pericolo, che andrà tutto male, che non c'è niente da fare. E proprio quando tu sei lì, agitatissimo, che mandi giù pillole e droghe e ti ubriachi per resistere alla pressione, ecco che cambia tutto di nuovo! A volte addirittura uno ti racconta del caso di un pazzo assassino di bambini entrando nei dettagli e mostrando fotografie mentre su un altro canale ti mostrano l'espediente di un'attrice famosa per restare bella e sexy.

Per esempio l'altro giorno hanno detto che ci sarà il terremoto e chi può è scappato via. Solo zia Norma è rimasta indifferente e si comporta come se niente fosse. È per via del Grigiume, i guru della comunicazione sono venuti a intervistarla e hanno chiuso i collegamenti in diretta invitando la gente a pregare perché zia Norma ritrovi la fede nei media. Quando zia ha detto che è impossibile prevedere i terremoti e si è messa a ridere una giornalista inesperta non ha retto la tensione, ha urlato, ha puntato il dito contro la zia balbettando parole incomprensibili e ha perso conoscenza. Quando si è ripresa la prima cosa che ha fatto è stato chiamare l'avvocato per fare causa a Norma, è andata su tutti i canali a testimoniare l'accaduto e non si è ancora capito se la sua carriera è rovinata o è decollata. Comunque io sono rimasto con la zia e, incrociamo le dita, non ne stanno arrivando di terremoti. Vanno a ruba le magliette con la scritta grigia NORMAL e la faccia di una donna che somiglia a zia Norma - ma non si può affermare al di là di ogni ragionevole dubbio che sia proprio lei -, la moda lanciata dalla regina del canale 18 consiste nell'abbinarla al braccialetto che protegge dal contagio - lo slogan è: se non ci credi che funziona allora dimostramelo! - e truccarsi la faccia con tonalità di grigio, fatto questo non rimane che ostentare la camminata altezzosa di chi non gliene importa niente di niente.

Ho cercato di convincere zia Norma ma non vuole accettare gli inviti dei talk show, dei reality, le ho provate tutte, non c'è niente da fare, il Grigiume l'ha resa immune al richiamo del dinamismo che contraddistingue il 'posto che non dorme mai'. Le ho detto 'Zia, se ci vai lo capiranno che da un certo punto di vista sei guarita da qualcosa quando ti sei ammalata' ma neanche questo è servito, ha capito subito che non ci credo davvero che sia guarita. In effetti non capisco come faccia a non dare retta agli scienziati, agli esperti, voglio dire, Reginald Finston, le ho chiesto “Zia, come fai a non fidarti di Reginald?' e lei ha fatto spallucce con un tale disinteresse da farmi venire i brividi. Stiamo parlando di Reginald Finston, nessuno è così fuori di testa da non amare il buon vecchio Reginald, la sua rubrica di approfondimento va in onda da venti, forse trent'anni. Reginald ha detto pensateci un attimo, pensate a cosa succederebbe se da domani quando accendete la tv lo schermo restasse nero, la radio restasse muta. Sarebbe il panico, ha detto Reginald, pensateci su durante la pausa pubblicitaria e poi ne riparliamo.

Quando ho chiesto il parere a zia Norma lei mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto 'Lo vuoi davvero sapere?' e io sono rimasto spiazzato, una parte di me mi gridava che no, che non lo volevo sapere, che la curiosità il gatto, che era meglio tapparsi le orecchie e scappare. La bocca però ha detto sì prima che riuscissi a fermarla e la zia mi ha sussurrato 'Non esiste nessun virus', si è goduta la mia espressione stupita e ha detto 'Non è un asteroide, è solo un sasso', mi ha sorriso, mi ha carezzato la testa come non faceva da anni e mi ha chiesto 'Riesci a credermi?' Ci ho messo un po' a rispondere, volevo dare una risposta sincera, e sì, ho deciso che ci credo, è solo un sasso, non esiste il Grigiume, la zia Norma non ho idea del perché l'abbia fatto ma le credo, le dico 'Ti credo' e lei al posto di essere contenta si lascia scappare una lacrima, come in quei film romantici privi di senso che la mamma dice che li capirò quando sarò abbastanza grande e io le rispondo che non vorrò mai essere abbastanza grande per capirli solo perché so che questa battuta la fa sempre ridere. Zia Norma allora dice 'E quanta gente pensi ci sia là fuori che ci crederebbe?', al che mi rendo conto di essermi sbagliato, è malata davvero di Grigiume, perché se fosse sana lo saprebbe che dobbiamo chiamare Reginald, lui saprà esattamente qual è la cosa giusta da fare, Reginald ci aiuterebbe e tutto finirebbe nel migliore dei modi.

lunedì 16 maggio 2011

Finora hanno trovato più di 300 asteroidi che incrociano l'orbita terrestre e hanno dimensioni tali da provocare, andandoci a sbattere contro, l'estinzione della vita sulla Terra. Questa è la buona notizia, la cattiva è che ci sono da 100 mila a un milione di asteroidi come quei 300 che finora non sono stati nemmeno individuati.

martedì 10 maggio 2011

Arrivals (1:N)

L'uomo che si è fermato a controllare le tasche si dichiara soddisfatto quando interroga se stesso a proposito della vita, e così facendo azzittisce la voce del malcontento. Il suo nome inizia per Y, ha deciso che non tingerà mai i capelli qualche giorno fa, notando alcuni capelli bianchi sulle tempie. Ha deciso nello stesso tempo di non guardare mai indietro perché non sarebbe mai potuta andare meglio di così. Adesso sta cercando le sigarette, ha sfidato se stesso in tutti i modi possibili, il signor Y, compreso quello di fumare in dosi e orari specifici. Gli è venuto il sospetto di aver dimenticato le sigarette da qualche parte sull'aereo quando era ancora alle prese col controllo bagagli, preoccupato che i doganieri si mettessero a frugare con solo risultato di provocare disordine fra le sue cose. Adesso se ne sta fermo in mezzo al corridoio, intralciando il passaggio, e le pacche che si dà sulle tasche sembrano contenere forza in eccesso. Sono gli imprevisti da nulla che lo mandano in bestia, quelli così ininfluenti da non meritare nemmeno una citazione a margine.

La ragazza coi capelli rosa si è lanciata fuori dalla porte automatiche come se fuggisse da un luogo opprimente dove l'hanno costretta a respirare per lungo tempo l'aria viziata della noia, con il carico di introspezione che provoca irritazione, infiammazione, turbamento, come un malore che ti corrode da dentro e ti rende fragile e delicata, ti manda in frantumi se fai l'errore di guardarlo nelgi occhi o di invitarlo a entrare. Anche le sue amiche ammettono di soffrire dello stesso male, per questo non vede l'ora di abbracciarle esprimendo l'equivalente di grazie, mi state salvando la vita. Sono tre amiche che non parlano mai di cose tristi, è una regola, si possono fare confidenze solo in rari momenti che definiscono magici: prima di dormire, quando è rimasta in casa solo un'ultima luce da spegnere, oppure rifugiandosi in un angolo a bisbigliarsi nell'orecchio mentre tutti gli altri fanno rumore e si divertono. La solitudine, sua madre dice che non è niente, passerà, soffre un po' di solitudine, tutto qui, ma sua madre si sbaglia, le loro madri si sbagliano su tutto, sempre.

Y da piccolo c'è stato un periodo che aveva paura di restare senza denti. Si sarebbe svegliato un mattino e avrebbe trovato i sui denti sparsi sul cuscino. Adesso che è grande ha paura del cancro, un cancro ferroso che farà suonare gli allarmi, i sistemi antitaccheggio, i metal detector, un cancro dentro al cervello in grado di eludere qualsiasi tentativo di identificazione. I medici mostreranno le lastre e diranno che non c'è niente, non ci sarà modo di evidenziarlo, tanto meno di curarlo o asportarlo. Y pensa che meglio di così la sua vita non potrebbe essere, non c'è niente che possa disturbare la sensazione di ingratitudine che lo pervade ogni volta che pensa al peggio. Potrebbe avere perso i denti a otto anni, potrebbe avere un tumore così subdolo da nascondere le tracce della propria esistenza. Ha sentito gli spigoli del pacchetto di sigarette in una tasca interna della giacca. Si aggiusta gli occhiali sul naso e afferra la valigia come se avesse intenzione di scagliarla via, gettarla lontano, allontanare da sé l'orribile contenuto.

La ragazza ha un nome che inizia per L e sta ridendo con singhiozzi che ricordano quel tipo speciale di pianto che produce versi simili al raglio, al bramito, una contentezza spasmodica, dolorosa, straziante. Una delle sue amiche saltella sul posto, sbattendo le mani per aria come i gatti con le zampe bagnate. L'altra ha gli occhi lucidi e una smorfia sulla bocca che contraddice e rovina l'espressione di gioia complessiva che sta cercando di trasmettere. A volte L pensa seriamente che ciò che non riesce a ottenere, i desideri che ammuffiscono lentamente, perdono brillantezza come il pelo artificiale di pupazzi accarezzati fino allo sfinimento, soffocati dall'amore, desideri traditori che nonostante tutta la dedizione di cui hanno goduto non cedono, non si arrendono, non si avverano. A volte L pensa che se non avesse mai conosciuto le sue amiche adesso la sua vita sarebbe diversa, sarebbe migliore, adesso sarebbe una persona felice, avrebbe ciò di cui ha bisogno, non avrebbe occasione di cogliere lo sforzo che si nasconde nelle proprie risate.

Mentre Y lancia un'occhiata intorno per sincerarsi di non aver attirato troppa attenzione, di non aver lasciato trasparire insicurezza. Mentre L appoggia le dita su un piccolo monitor alla ricerca delle fotografie che vuol mostrare alle amiche dall'istante in cui le ha scattate. Ci sono altre persone che escono dalle porte automatiche, mai stanche di aprirsi con un soffio inudibile, coperto dalla musica di sottofondo, dalle chiacchiere, dal rumore bianco che si sviluppa nell'orgia delle onde sonore imprigionate dai controsoffitti, dalle plastiche dei cartelloni pubblicitari, dalle vetrine dei negozi duty free, non esiste giorno e notte qui dentro, esiste solo gente che parte e gente che arriva. F sta partendo, è una signora con gli occhiali scuri, il braccio piegato con la mano pendula della donna abituata alla borsetta. T aspetta una coincidenza, ha un bambino piccolo in braccio e una destinazione che non ha fretta di raggiungere, che ne farebbe a meno se potesse. S è soddisfatto di sé, durante la gita si è dimostrato all'altezza delle proprie aspettative, ha dimostrato di poter essere diverso, non scontato, insipido, banale, è stato imprevedibile, eccessivo, avventato, e adesso per qualche mese non dovrà sforzarsi di ottenere rispetto, non verrà preso in giro, smetteranno di usare odiosi nomignoli.


venerdì 6 maggio 2011

I'll be back.

ndo vengo a sapere che la madre di k è finita in ospizio è finita in manicomio forse non la madre di k forse la mia di madre la mia è il dubbio che mi tormenta mentre accompagno k alla prigione dove a quanto pare tengono la madre non ricordo più cos'è successo cosa ci hanno detto forse si riferivano alla mia di madre non a quella di k e adesso è lui che sta accompagnando me è il motivo per cui non parlo non dico niente mi limito a levitare a stare fermo sul tappeto mobile come quello che ho usato una volta dentro un aeroporto inglese oppure americano mi concentro sul tappeto mobile questo marciapiede vorrei dire a k che questo marciapiede mi ricorda molto il tappeto mobile che ho visto dove a los angeles forse era los angeles che io stavo in fila dicendo a voce molto alta a voce molto impostata dicevo a tutti e a nessuno in particolare i'll be back guardavo fisso negli occhi chiunque mi degnasse di attenzione e gli dicevo i'll be back e poi restavo a fissarlo fino a quando se ne andava e se insisteva a far finta che la scena non gli provocasse imbarazzo gli ripetevo i'll be back spruzzando saliva fino a quando una guardia della dogana della sicurezza mi ha offerto da bere mi ha dato in mano un pacchetto di cracker o noccioline salate e mi ha sorriso mi ha mostrato una poltroncina imbottita dall'aria comoda e mi ha chiesto desidera altro ho detto sì un milione di dollari e abbiamo riso ma quello non era un sogno questo sì infatti stiamo levitando veniamo trasportati da una forza ignota verso il collegio l'ospedale dove tengono la madre di k o la mia di madre la mia se solo riuscissi a ricordare cosa ci hanno detto di preciso riguardo alla madre di chi è la madre non mi ricordo hanno detto la troverete in albergo in stazione in cantina è lì che ti aspetta l'hanno detto a k o l'hanno detto a me dico a k tua madre e lui mi guarda come se avesse paura di qualcosa poi mi dice tua madre e io ho paura che sia vero non diciamo più niente non ci guardiamo nemmeno voliamo come chi lascia che il mondo gli scorra sotto i piedi e viene giorno e viene sera mi accorgo che stiamo cercando di ritardare gli eventi di rallentare andare sempre più adagio ma non c'è modo di trovare una scappatoia dobbiamo affrontare la situazione mi giro e dico k sei pronto k siamo quasi arrivati e lui fa spallucce anche se lo sa che mi fa venire il nervoso quando fa spallucce perché vuol dire che lui ha trovato una giustificazione ha trovato la dimostrazione la soluzione prima di me allora indurisco la faccia e gli dico i'll be back e rido come si ride quando si vuole far sapere a tutti i presenti che si sta ridendo con intenzione che si domina la risata e non se ne viene dominati e k annuisce anche se lo sa che mi fa venire il nervoso quando annuisce perché vuol dire che lui ha capito ha inquadrato ha adottato un punto di vista senza interpellare nessuno senza chiedermi un parere allora gli apro la porta e gli dico dopo di te per ferirlo e infatti adesso mi sembra più triste mi sembra che stia realizzando il fatto che è la sua di madre la sua non è la mia e mi dice era così sana era solo troppo nervosa ma qualche volta non sempre mi dice k che c'è stato sicuramente un errore uno scambio di persona di non preoccuparmi solo che adesso io sono k sono io è la mia di madre la mia mi guardo intorno la cerco resistendo all'impulso di chiamarla solo chi è in punto di morte chiama la mamma e io non lo sono l'ho appena detto che k mi dice tutti muoiono da soli e se ne va mi lascia in mezzo ai malati ai clienti ai vecchi ai pazzi agli avventori ai criminali ai turisti ai mendicanti che si accorgono della mia presenza e mi circondano dico qualcuno di voi sa per caso se qui c'è la madre di k o la mia di madre la mia e nessuno mi rispnde vogliono toccarmi vogliono rendermi partecipe dei loro guai mi vogliono spiegare le loro teorie mi chiedono favori mi ordinano di fare qualcosa e qualcuno mi dice stai lontano se ti avvicini la farai spaventare si metterà a gridare e io penso tu sei pazzo e dico i'll be back qualcuno mi dice tuo padre sono sicuro che sia stato tuo padre a darmi un pugno e io penso tu sei pazza e dico i'll be back qualcuno mi dice io metto i ricordi e le emozioni dentro a una scatola e io penso tu se

mercoledì 4 maggio 2011

Il rito.

Non so quali criteri adotti Hopkins per decidere di accettare una parte ma, come fanno tanti altri, non ci sarebbe niente di male in questo, è possibile che decida in base al compenso perché spende la sua bravura per dare fiato a lungometraggi allo stesso modo in cui si fanno i complimenti a una salma. Detto questo raccontiamo la storia del prete indemoniato. No, non l'esorcista, lo so che anche in quello il demonio, un prete posseduto eccetera, che in quel film la parte più incisiva è la vecchia madre che accusa di abbandono il figlio, Damien, Damien, implora la vecchina polacca, ricordate? Anche in questo un figlio viene accusato di abbandono da un genitore morto, ma stavolta dal padre, al telefono. Rospi, muli con gli occhi rossi, ambientazione vaticana, per il resto è la solita storia paurosa sul diavolo che gode nell'esercizio del male, si pasce della corruzione, si bea nell'inganno. Violenza, protervia, rivolta, dispetto, l'intero catalogo dei tratti caricaturali coi quali si spiega il male con la emme maiuscola. Il risvolto terroristico del suonatore di violino, della tentazione leggiadra e flessuosa, la rappresentazione dei peccati capitali. Tranne la superbia, forse perché trattano sempre di demoni minori, di quelli che vennero ficcati nel corpo dei maiali perché uccidessero corpi meno puri di quelli di un qualsiasi uomo, per quanto rovinato e perduto.

Il rito, così si intitola il film, cerca di mettersi nei panni dello scettico, di dare spazio a spiegazioni mediche, psicologiche, psichiatriche, neurologiche, filosofiche, approccio già utilizzato in altri film del genere che spesso precipitano dall'indagine metafisica allo spettacolo horror. Il personaggio di Hopkins è certamente quello più complesso, degno di una recitazione ben assemblata, ma tutto il resto lascia a desiderare. Ragazzine possedute ormai ne abbiamo viste di ogni genere, sì, da Emily Rose alla fanciulla incinta de 'L'ultimo esorcismo'. Viene il dubbio che il diavolo abbia davvero tutto da guadagnarci a vedersi rappresentato in maniera così puerile, e che si diverta a far gridare le sue vittime di possessione alla vista di un crocefisso o per lo spruzzo di acqua benedetta. Le cronache ci tramandano storie di lotta col demonio, certo, ma da parte di santi, di persone che in virtù della loro tensione spirituale si trovano nella condizione di dover lottare per non precipitare nel vuoto o per guadagnare un altro millimetro nella scalata verso la sapienza. Che il demonio si prenda la briga di far soffrire persone qualsiasi per soddisfare pulsioni sadiche o accettare sfide simboliche è uno sberleffo all'intelligenza e alla sottigliezza dell'avversario, una distorsione che non apre gli occhi sul diavolo ma li sposta su una degenerazione del male esclusivamente umana.

Satana è tutto ciò che allontana da Dio con la menzogna, non ciò che combatte Dio con la forza né tanto meno dilania corpo e mente degli uomini per conquistare e dominare il loro spirito. Film come questo ci ricordano il terrore che scaturisce dalle ipotesi sull'ignoto ma soprattutto che deriva dalla perdita del controllo. Non avere più il potere sulle proprie azioni, sui propri pensieri, sulla voce, non sapere più se quello che si vede è vero, non avere più la certezza di essere gli unici ed esclusivi abitanti del proprio corpo e della propria mente. Tutto questo vorrebbe offrire una parallassi sulla perdita dell'anima, o meglio dello spirito, frazione e distillato e seme di alito divino, definitelo come vi pare, dato che l'anima è un'invenzione del periodo romantico che ormai ci dobbiamo tenere come il Natale in inverno e un sacco di altre incongruenze innestate sul tronco della religione cristiana che non danno fastidio se non a chi è in grado di notarle e trova motivo di rammaricarsene. Per far capire la sofferenza e il dolore che provoca la perdita dell'anima dunque si ricorre allo stratagemma del copro e della mente espropriati e soggiogati nientepopodimeno che da uno o più angeli caduti in persona. E se non ci credi fai il gioco del maligno e la prossima volta potrebbe capitare a te, anzi, magari sta già capitando in questo momento, non ti senti strano? È solo suggestione, continua a ripetertelo, è solo suggestione.

Anche Papa Benedetto, onorabile Maestro, come altri hanno fatto prima di lui, compreso Beato Giovanni Paolo, ha dichiarato l'esistenza del diavolo, parola che significa colui che avversa, che si oppone a Dio. Ha perfettamente senso nel dualismo che governa il funzionamento della ragione ipotizzare l'opposto anche per dio, senonché da Hegel, che era un prete, in poi sappiamo che può esistere un superamento che rende immune il principio primo da qualsiasi vincolo dualista degno dell'eresia manichea così come di alcune religioni politeiste o dalla divinità impersonale. In seguito Hegel è stato spunto per ideologie assolutiste che associate allo scientismo hanno provocato tensioni utopistiche disastrose, e cosa più della storia umana ci insegna quanto poco ha bisogno il diavolo di possedere singoli corpi per dannare singole anime? Dio non ha posseduto Gesù e allo stesso modo Satana non possiede nessuno, che sia l'anticristo - sì, abbiamo visto film anche con l'anticristo -, Santa Teresa, Padre Pio o una povera vittima innocente, un bambino, o meglio una bambina, che non ha fatto niente per meritarselo tranne che voler bene alla mamma e obbedire al papà (o viceversa, becero femminismo e conservazione tradizionalista permettendo, why not?). Satana può anche fare a meno di agire, può anche starsene tutto il tempo in panciolle a sonnecchiare che la sua presenza si reifica nel mondo attraverso la nostra esperienza collettiva fatta dall'insieme delle nostre credenze, decisioni, azioni come singoli, come coppia, come famiglia, come tribù, come villaggio, come stato, come primo secondo terzo quarto mondo, come cristiani, come scienziati, come genitori, come giovani e come vecchi, come ladri e come onesti, e tutte le classificazioni che potete immaginare.

Bisogna avere paura di Satana, Belzebù - il signore delle mosche -, Astaroth o Bazuzu? No. Si deve avere paura di venire posseduti dal demonio? No. Si deve avere paura che il diavolo si prenda la briga di materializzarsi qui intorno a produrre rumori, provocare allucinazioni, fare impazzire dal terrore qualcuno solo per il gusto di farlo? No. Questi film sono l'alimento di cui si nutrono i sedicenti atei per ridicolizzare i credenti, per bollare la fede come superstizione, per non affrontare seriamente l'argomento religione. Miracoli o eventi soprannaturali demoniaci non servono per arrivare a conclusioni riguardo alla forza, direzione e intensità della propria spinta religiosa. L'unico avversario di cui ci deve seriamente preoccupare è dentro di noi, siamo noi quando non troviamo la forza di far seguire le azioni al pensiero, quando ci rifiutiamo di fare quello che sentiamo essere giusto, quando ci accorgiamo di aver sbagliato strada e ci ostiniamo a proseguire per non sprecare la fatica spesa e le risorse consumate per il cammino fatto nell'errore. Siamo tutti posseduti dal demonio, che è come dire siamo tutti peccatori, che è come dire tutti dobbiamo sperare di incontrare un esorcista che ci liberi dal male, ci spieghi dove stiamo sbagliando prima che sia troppo tardi, che ci dia modo di rimediare per quanto possibile agli sbagli, che prenda i nostri demoni ce li strappi fuori e li sbatta dentro a maiali che, povere bestie, per lo spavento e l'orrore si scagliano nel precipizio. Cosa che faremmo anche noi, ognuno di noi, se fossimo in grado di vedere dentro noi stessi con gli occhi di Gesù, la personificazione di ciò che rappresenta la guarigione, la liberazione, il perdono, l'amore gratuito di un padre.

Scusate, mi sono accorto adesso che questa non è una recensione ma un predicozzo. Pazienza, il film parla di un prete esorcista che combatte contro il maligno. E, come tanti prima di lui, perde la sfida col diavolo perché la morale è: il diavolo è forte e l'uomo è debole, anche se prete, anzi, soprattutto se prete. Un po' come recensire un film Disney: Bambi perde la mamma, il diavolo possiede una ragazzina, Dumbo impara a volare, i demoni parlano una lingua morta, Biancaneve viene risvegliata. E se uno dice il contrario è per scaramanzia, perché nessuno vuole sfidare la sorte, ritenersi un giorno responsabile quando rincasando trova i figli con la testa rivolta all'indietro che vomitano chiodi, accusarsi di aver attirato troppo l'attenzione su di sé mancando di rispetto a chi? Al diavolo? Portare rispetto al diavolo come lo si porta a un boss mafioso, per timore di ritorsioni? Ma per favore!

lunedì 2 maggio 2011

Icone moderne 004

Hanno finalmente ucciso l'uomo barbuto, così dicono, non avendo una foto da mostrare in tivvù hanno incollato la barba dell'uomo barbuto alla faccia di un cadavere trovato per caso, appeso a testa in giù di fianco all'autostrada, hanno usato la faccia dell'uomo cieco dalla nascita, sono sicuro, è andata così, l'hanno trovato attaccato come un frutto al ramo di un manifesto pubblicitario, hanno applicato la barba dell'uomo barbuto al volto del cieco dalla nascita, compresa di bocca e di denti, gli hanno trapiantato mezza faccia con tanto di mascella prima di darlo in pasto alla tivvù, l'uomo cieco dalla nascita nella foto si noti come viene illuminato dai fanali delle auto di passaggio, le pupille di chi non ci vede più, anche se non ci ha visto mai, ora dondola appeso al cartellone, il cieco dalla nascita che cantava a squarciagola quando la vita si faceva troppo densa, troppo dura, si noti la barba dell'uomo barbuto che viene mossa dal vento, la barba dell'uomo barbuto che luccica di colla virtuale, così che il mondo intero abbia qualcosa da mettere in tivvù per cena, ma c'è chi si avvicina al cadavere e gli dà una pulita, allunga la mano armata di fazzoletto e tenendosi lontano dal corpo appeso dell'uomo barbuto lo libera dal lucore del lacrimoso cieco dalla nascita, i resti disseccati e dondolanti che vennero scartati dai fabbricanti di carne, i liquidi e le gelatine che la cecità si è rifiutata di consumare, durante i lunghi anni di latitanza, sognando la mano di una madre e il sorriso di un padre che non ha mai potuto vedere, sopra di lui la modella in gramaglie pubblicizza nella notte e guarda il viavai con sereno disinteresse, l'uomo cieco dalla nascita è abbellito dalla barba dell'uomo barbuto che stanotte l'hanno stanato e l'hanno ucciso, non ci farà più del male con quella barba e quei denti storti nella bocca rossa e maldestramente sagomata, non più, posso salutare gli scheletri danzanti dei vecchi cartoni animati in bianco e nero che mi fanno sempre compagnia, proprio adesso mi sembra di vederli apparire alle spalle dell'uomo appeso e cieco e barbuto quando le sciabolate di luce avvampano i cespugli dello spartitraffico, mai più, mi dico non mi ballerete non mi convincerete della vostra esistenza, non mentre osservo la barba dell'uomo barbuto staccarsi poco a poco dal volto del cieco dalla nascita, i presenti che si agitano chiedendo di poter cambiare canale, non essere costretti a vedere il cieco dalla nascita emergere dalla barba dell'uomo barbuto che va opacizzando come la cataratta e precipitando nell'erba, una voce dall'origine imprecisata chiede che qualcuno corra a raccoglierla, dice per favore vi prego vi scongiuro che qualcuno corra, adesso, a raccogliere la barba dell'uomo barbuto perché l'hanno ucciso stanotte l'hanno freddato con un colpo preciso, con un colpo alla testa e questo diventerà l'uomo cieco dalla nascita se permettiamo che la barba dell'uomo barbuto si liberi e vada perduta, adesso, qualcuno corra a raccoglierla, e la bruci, affinché gli scheletri danzanti abbiano un falò attorno al quale osseggiare cranieggiare scapolare femoreggiare, lasciare che i denti risaggino e ghignaggino a sottolineare la gioia e l'ebrezza di essere noi tutti qui riuniti insieme a festeggiare la morte dell'uomo barbuto, perché l'hanno ucciso e adesso possiamo fingere di non avere più nulla da temere, ecco la barba dell'uomo barbuto sul volto del cieco dalla nascita, ecco il morto che da sempre ondeggia nei nostri incubi.