giovedì 26 febbraio 2009

L'araldo di Postacqua (1 di n)

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Fu Lucia a trovare il corpo carbonizzato. Si recava in canonica, come tutti i giovedì, con una torta per Don Gaudenzio. Quel poveruomo doveva avere un fuoco dentro, nutrito dalla fede, che lo consumava. Le occhiaie incavate, gli zigomi sporgenti, le lunghe dita scheletriche. Non c’era da meravigliarsi che i bambini tendessero a nascondersi vedendolo arrivare.
Lucia esagerava sempre con burro e uova nella sua guerra personale contro la magrezza del sacerdote. Non aveva il coraggio di chiederlo apertamente, ma era convinta che Don Gaudenzio avesse di che patire da un aspetto emaciato che vanificava i tentativi di fraternizzare coi fedeli. Lucia lo vedeva come un uomo triste, abbattuto da un metabolismo accelerato, bisognoso di tutte quelle calorie che solo una brava cuoca può garantire.
Con in mano la crostata di mirtilli, ben incartata e con tanto di fiocco, Lucia uscì di casa alle dieci in punto del mattino. Attraversò l’aia badando di passare giusto oltre la curva di terra battuta che segnava il limite del territorio cagnesco. Infatti quando Cirillo sbucò fuori di corsa dal portico finì come al solito per ribaltarsi nella polvere, strattonato dalla catena. Percorsa Via della Torre, strada principale di Postacqua, passò di fronte alla bottega della signora Giulia stando bene attenta a guardare dall’altra parte e tirò dritto fino al piazzale della chiesa.
Il corpo era davanti alla scalinata. Si trovava in posizione china, accartocciato su se stesso. Sembrava inginocchiato, come in penitenza. Emanava un forte odore di lana bruciata e aveva una mano puntata verso il portone di rovere della chiesa, come a indicare un invisibile difetto.
Lucia rimase a fissare il cadavere a lungo, indecisa sul da farsi. Non aveva capito subito di cosa si trattasse. Si guardò in giro e quando realizzò di essere da sola e in presenza di un corpo umano carbonizzato finalmente reagì: si portò le mani alla bocca, lasciando cadere la torta, ed emise uno strillo con tutta la forza che le riuscì di trovare. Aspettò di veder apparire qualcuno, quindi svenne.
Curzio Malpeni non aveva mai parlato con un tono di voce normale in tutta la sua vita. Quello che secondo lui era un bisbiglio risultava udibile a un chilometro di distanza. Così quando arrivò di corsa nel piazzale della chiesa e vide perdere i sensi la signora Lucia Franchetti, l’eco del suo allarme fece sollevare in volo gli uccelli da tutti gli alberi di Postacqua. Giorgio si mise a cavalcioni sulle spalle il piccolo Ezechiele, decise che non aveva nient’altro di valore da portare con sé e scapicollò giù dalla scale. Bruno abbandonò la pizza in forno e uscì in strada senza preoccuparsi di levare il camice sporco di olio e farina. Bettina lasciò cadere il bicchiere che stava asciugando e incollò il naso al vetro della finestra, piegando il collo per riuscire a vedere in fondo alla strada. Le voci si stavano moltiplicando e c’era gente che correva avanti e indietro.
Se vi foste trovati seduti su una delle panchine del parco, avreste visto sopraggiungere, da soli o in piccoli gruppi, quasi tutti gli abitanti del piccolo Comune di Postacqua. Ecco Rino e Giacomo, i fratelli Bonimba, spaiati come zoccolo e ciabatta. Il primo alto e leggero come un soufflé, il secondo tozzo e pesante come una peperonata. Da Vicolo dell’Olmo arrivò Rita, la sarta, coi capelli color rame stretti in un crocchio sulla nuca e un portaspilli a forma di coccinella sul polso sinistro. Roberto, il meccanico, con un grosso cerotto attorno al pollice e le sue scarpe da lavoro preferite che hanno ormai quasi vent’anni. Arrivavano e si fermavano a guardare il cadavere ancora fumante che si raffreddava in ginocchio sull’acciottolato. Parlottavano fra di loro a bassa voce e stavano già nascendo delle teorie fantasiose che diventavano realtà passando di bocca in bocca.
“Si è dato fuoco con che cosa?”, chiese Anna.
“Non sento odore di benzina, forse ha usato dell’alcool”, rispose Maria, passando da un piede all’altro e torcendosi le mani per riattivare la circolazione.
“Gli hanno dato fuoco con gli alcolici”, riportò Dario all’uomo dietro di sé.
Per il momento era accaduto tutto e niente. Col tempo la selezione naturale avrebbe eliminato le informazioni evidentemente false e lasciato in vita solo quelle più probabili. La verità avrebbe potuto esserci oppure no nel ventaglio dei pettegolezzi sopravvissuti. La cosa non scandalizzerebbe nessuno perché tutti sanno che a Postacqua le notizie sono cose vive. Nascono e sono piccole e indifese, piene di forse e casomai. Poi assumono dei lineamenti più marcati che si porteranno dietro durante tutta la crescita. A un certo punto raggiungono l’apice della maturità e sono piene di particolari e ricche di attrattiva. Infine inaridiscono, perdono tutto il loro fascino e si trasformano in un mero, insignificante, evento forse vero o forse no, comunque accaduto tanto, troppo tempo fa perché valga la pena di parlarne.
E in questo vociferare collettivo, nello sforzo di dar vita a una nuova piccola gemma di Storia del paese, una sola voce copriva tutte le altre cercando senza successo di richiamare l’attenzione. Curzio Malpeni teneva sollevata la testa di Lucia e la particolare voce roboante di lui spremeva dalla povera signora espressioni di grande sofferenza.
“Come si sente?”, chiedeva Curzio dandole piccoli schiaffi sulle guance. E fra uno schiaffo e l’altro chiedeva aiuto, ordinava di chiamare ambulanze e forze dell’ordine, di portare un bicchiere d’acqua. La possente voce di Curzio non si poteva far a meno di udirla, ma solo il piccolo Ezechiele, appollaiato sulle spalle del padre, dava segno di averla intesa. Voltato in direzione di Curzio, sorrideva e batteva le manine, per poi indicare il cadavere e dare il suo contributo allo spargimento delle opinioni.
“Buhato coacol!”
“Chiamate qualcuno!”, tuonava Curzio.
“Moto, ciso, uoco!”, rispondeva Ezechiele.
Quando finalmente riprese i sensi, Lucia disse solo due frasi: “Stia zitto se non vuole che mi esploda la testa” e “Che fine ha fatto la mia torta?”
Le sirene dei carabinieri iniziarono a farsi sentire proprio mentre irrompevano nella piazza i ragazzini, con gran derapate sui copertoni lisi delle bici.
L'autismo pare sia dovuto a intossicazione da metalli pesanti quali mercurio, piombo, cadmio, arsenico.
efono non piace se non lo sento son più contento però lo sento sempre specie quando sono sotto la doccia mi sto facendo la barba ci sono fotocellule secondo me che quando sto facendo qualcosa suona il telefono certe volte la maggior parte sbagliano numero una volta mi han detto ha vinto un concorso della coca cola lei è stato estratto ed io ho detto me ne frego non chiamatemi più un'altra volta mi ha chiesto sa se qualcuno lì nei dintorni vende casa ho risposto me ne frego di chi vende casa non mi chiami più un'altra cercano marinella giuliano fernando la nonna graziella chi ca--o li conosce ci deve essere qualche contatto nelle centraline del telefono dirottano le chiamate sul mio numero una volta ho chiamato qui vicino telefonata urbana ha risposto un giapponese mongolo cinese non capivo un ca--o di niente e cercavo di spiegarmi senta ho sbagliato e quello non capiva diceva cose frasi lunghissime in quella lingua sua piena di vocali nel posto sbagliato e non mi andava di fare il maleducato appendergli in faccia allora continuavo ho sbagliato numero vrong namber escuse muà messiò non capiva a un certo punto ho detto fanc--o mi sa che ha capito è internazionale s'è azzittito ho attaccato m'è venuta paura che mi rintracciava veniva a prendermi vestito da ningia e mi picchiava con mosse di cunfù sono cose bizz
In Usa a volte si può girare a destra a un incrocio anche se il semaforo è rosso e in Nuova Zelanda i cartelli per la sicurezza stradale ti dicono cose come: Abitanti 1000, dottori 0, cimiteri 1.

mercoledì 25 febbraio 2009

empio l'altro giorno mi ha chiesto ti piace questo pelusc io dico che bello è un dingo e lei s'è incacchiata non è un dingo è un coniglio ma come si fa a dire che è un dingo e io ha un'orecchia più piccola dell'altra lei mannò è la stoffa mi hai rovinato l'atmosfera mi piaceva così tanto adesso mi dici che ti sembra un dingo ma come si fa e io ma devi sapere che avevo gli occhiali sporchi da lontano non ci vedo bene adesso che sono vicino devo dire che è proprio uguale a un coniglio a parte il grambiulino e il fatto che ha sul braccio un cesto di fiori l'avevo scambiato per un dingo in quanto era umanizzato non potevo saperlo è il colore che mi ha tratto in inganno il dingo ha quel colore e basta mentre i conigli variano di colore capisci ma lei mi guardava come convinta che raccontassi delle balle per via che ci era rimasta male ma a me che me ne frega se è un dingo o un coniglio che importanza ha non so una qualche importanza ce la deve avere per le donne sono particolari che contano sappilo ascolta i mie consigli prima di dire che qualcosa ti sembra un dingo pensaci due volte sennò va a f
Se da 20 passa a 25 è aumentato del 25%, ma se torna a 20 è calato del 20%.
Un modo per capire se un bambino ha la meningite è controllare la rigidità nucale verificando se riesce a piegare la testa in avanti fino a toccarsi il petto col mento.
esciallo mi aveva dato in mano uno straccio e io non avevo più spazio di stoffa pulita per strofinare dato che c'era per esempio la rotella del telefono che c'aveva sotto uno strato di roba nera che io pensavo fosse sudore delle dita raggrumato nel corso degli anni e mi veniva quasi un conato però ho pulito anche quello e mentre passavo alla vetrinetta con dentro fascicoli con le copertine punteggiate dalle cacche di mosca entra un altro maresciallo e parlano ma io non ascolto perché non sta bene e poi potrei venire a sapere qualcosa che poi finisco più nella merda di quanto già non sono ma quello dice soldato ed io non sto ascoltando e allora lo dice a voce altissima col punto esclamativo che io sobbalzo e scatto sull'attenti con lo straccio tutto sporco in mano e penso merda perché ho attirato l'attenzione forse un gesto brusco o la mimetica che non mimetizza bene ma lui mi guarda e fa di dove sei? ed io con tono da duro e mezzo punto esclamativo per rispetto dico signore, sono di crema ma lui guarda l'amico pari grado e mi poi a me come se fossi una merda perché del resto è così che mi sento e forse lo capisce a guardarmi e poi dice e io allora sono di panna montata e poi ride forte e anche l'altro ride forte e ridono forte tutti e due e mi guardano come fossi una merda e allora io non so se posso ridere o devo sentirmi offeso o rispondere a tono e allora rimango sull'attenti a sudare con le sopracciglia incazzate e lo sguardo fiero di una merda che guarda fisso davanti a sé e spero che se ne vada perché preferisco pulire ed essere lasciato in pace perché non è colpa mia se ieri mi è partito un ginocchio e ho pianto dal dolore tutta notte in silenzio dal male visto che il medico non aveva antidolorifici da darmi e diceva che passava subito ma la mattina avevo un ginocchio grosso così e ho marcato visita e tutti mi guardavano come se facessi apposta e così son finito a pulire quest'ufficio che almeno nessuno mi grida in faccia e non devo scattare da nessuna parte e magari quando ho finito il maresciallo mi passa sottobanco qualche succo di frutta che li vado a bere col piantone quan

eppi icsmas

La cassiera indossa il berretto rosso. Fascia bianca in acrilico dei peluches made in china. Ci sono dei cartelli. Grazie per aver acquistato da noi. Sono arrivati nuovi cuccioli di cane bellissimi nel reparto animali. Un vecchio loreto dal piumaggio sbiadito fruga nel bicchierino. Ci sono ciclamini in bicchiere e stelle di natale spruzzate di brillantini azzurri. Lampadine in serie da esterno metri quattordici. Babbo natale alto sei spanne con occhiali in fil di rame sullo sguardo stupito. Albero in fibra ottica sconto per tessera soci. Ci sono imitazioni della roba di kathe wolfhart: mulini a candela, vecchietti che ci metti l'incenso e sembra fumino la pipa, uccellini di plastica con piuma vera per coda. Lasciate fuori il carrello. Io non posso entrare. E presepi innevati corone di vischio set di centrotavola con piatti bicchieri tovagliolini angioletti in ferro battuto. La cassiera indossa il berretto di sbieco e fuori il cielo s'è fatto color mattone. Dalle casse john lennon soppianta la reclame del panettone. Confezione di vini cesto infiocchettato un mostro di plastica da deformare a piacimento la cucina dello chef anni otto più. Venite a conoscere i nuovissimi televisori a retroporiezione e gli ultimi arrivi macchine fotografiche digitali cineprese videoregistratori i personal computer più potenti ai prezzi più convenienti. Un addetto del reparto casalinghi è atteso all'ufficio informazioni. Mamma voglio anche il dvd di harry potter, me lo compri me lo compri me lo compri? Un elefante trudi rosa e bianco osserva e sorride, alto due metri, seduto con le zampe allargate e la proboscide a punto interrogativo. La cassiera, pallida anche questa, indossa il berretto. Buon natale punto esclamativo in stampatello sullo scontrino.

Hole

Mi hanno ficcato un ago nel braccio per levarne liquido nerastro. Non faccio in tempo a giuggiolarmi col l'idea di avere petrolio in circolo, prima tappa del processo di trasformazione in robot senziente, che già mi siringano la chiappa per l'ennesima antitetanica. Con tutto il vaccino che ho in corpo tengo gli agenti patogeni ad un miglio di distanza. Ma l'altro braccio è illeso, e allora via con quattro buchetti ad allarmare patie ai tubercoli. Filosofia del buco, parte dai complessi freudiani e giunge alla fisica del tossico. Horror vacui, la natura è portata a riempire i buchi; invece la politica li produce. Buchi nel bilancio, nello spazio profondo, nelle mutande e nella cultura che, essendo roba d'accademia, si fa chiamar lacuna. Il buco e la lacuna, l'opercolo, l'orifizio e l'asola. Keynes era un panteista, riversò il creato nell'economia, tutto si riduce a fare e disfare buchi. Ho un buco nello stomaco, vallo a dire a chi soffre d'ulcera. Faccio un buco nell'acqua e un foro nella gomma, senza cavare un ragno. Tanto di cappello all'inventore del buco con la caramella intorno, vaga allusione alla donna oggetto. Uno squarcio sul futuro, una crepa nel passato. Fessura o spiraglio, voragine o traforo: la guerra dei sessi si gioca anche sull'orlo del vano. Il colabrodo eretto a idolo del neoesistenzialismo, allorché il buco è in quanto tutto il resto non è. Niente può essere dentro al buco: esso fornisce di coscienza tutto quel che sta al di fuori di sé. Quando sono fuori di me vivifico il mondo e individuo lo scopo della mia non esistenza. Forse anche Dio è un buco.
La disposizione dei tasti sulle moderne tastiere (QWERTY) è stata studiata per rallentare la battitura, in ordine alfabetico nelle tastiere meccaniche si schiacciavano i tasti troppo velocemente facendoli incastrare ma la disposizione dei tasti innaturale è nel tempo rimasta tale anche se non esistono più i motivi per i quali fu adottata.
La nicotina è un potente insetticida.

martedì 24 febbraio 2009

Quando qualcuno sta mentendo di solito tende a volgere brevemente lo sguardo verso la sua sinistra.

Ridammela.

"For strength from Truth divided and from Just,
Illaudable, naught merits but dispraise
And ignominie, yet to glorie aspires
Vain glorious, and through infamie seeks fame:
Therfore Eternal silence be thir doome."

("Paradise lost", J. Milton, Book 6 v. 381 - 385)


Usava vernici speciali, immuni alle negligenze e ai solventi clorati. Le lettere sembravano bruciare nel buio, stilate da mani compassate con l’ansia del millimetro. Gli altri graffiti al contrario sbiadivano, mostravano sbuffi e colate.
Cominciarono a saltarmi nelle pupille mentre la zaffata di cordite impregnava la stanza. Non sono scritte che attendono docili le occhiate sfuggenti. Rimangono uncinate alla retina come riflessi solari e quando pensi di essertene liberato riemergono in altre forme, con altre parole, su differenti superfici, perseguitandoti negli incubi.
La prima apparve sul muro, in diagonale, sopra la macchia vermiglia ancora lucida di sangue. Gridava “Ridammela!” in caratteri cubitali azzurri con riverberi argentati e sfumatura in nero. Pensavo fosse lì anche in precedenza, ignaro che apparissero dal nulla all’improvviso.
Per un momento pensai a un’estrema forma di insolenza del cadavere di Sara, in grado di vantare prepotenza con messaggi post mortem. Oppure una misteriosa forma di premonizione che l’avesse indotta a rivendicare la vita che non gli avevo ancora tolto per mezzo di un prematuro epitaffio.
In seguito le scritte apparvero ovunque. Su muri, vetrine, strade, porte, specchi, passanti.
Non possiedo un carattere irrequieto e difficilmente gli eventi riescono a sconvolgermi. Se così non fosse difficilmente riuscirei a condurre proficuamente il mio lavoro. Lo specialista cui mi rivolsi, dopo aver realizzato di essere il solo a notarle, imputò il difetto visivo allo stress e mi prescrisse dei calmanti. Decisi di rinnovare la mia totale sfiducia nella classe medica; credevo di poter dimostrare la mia resistenza in una sfida alla pazienza reciproca.
Le scritte apparivano luccicanti e stucchevoli anche sul soffitto della mia camera da letto senza che mi scomponessi o mostrassi insofferenza. Semplicemente le ignoravo.
Presi ad assumere controvoglia i medicinali quando rischiai un incidente stradale. Lo stress usò il parabrezza come sfondo e la visibilità divenne nulla.
Eppure l’artista perseguitava il mio campo visivo con segnali estranei al subconscio. Non avevo idea di cosa potesse significare un “Non dovevi credermi.” sul parabrezza. Mentre le gomme stridevano sull’asfalto e i clacson altrui oltraggiavano la manovra insensata, le parole mutarono una ad una, in maniera indescrivibile, come se un pennello incorporeo si premurasse di colpire le mie retine in modo casuale, senza rispettare alcun metodo, fino a comporre l’ormai frequente “Ridammela”.
Solo adesso, mentre svito il silenziatore, comprendo l’origine del fenomeno. L’ultima vittima giace mollemente di fronte a me, tenuta composta dai lacci con cui l’ho assicurata alla sedia.
Non sono un assassino privo di scrupoli, che lavora dietro compenso senza fare domande. Ci dev’essere movente e mi accerto che sia fondato. È stupefacente quanto una calibro nove puntata in fronte stimoli la gente a dire la verità. La maggior parte trova conforto nel potersi confessare prima di morire, come se facesse qualche differenza. Quel che metto in atto è offrire alle vittime la possibilità di liberarsi dal peso di menzogne nascoste faticosamente, spesso per lunghissimi periodi.
Posso restare anche per ore in piedi, con la pistola in pugno, ad aspettare. Di solito lo sfogo arriva nei primi dieci minuti. Tutto quel che devo fare è chiedere “Sei colpevole?”.
Si potrebbe pensare che sia facile mentire, ma non è così quando si ha la certezza di non potersela cavare. Perché io mi informo prima di chiedere. Accerto i moventi, indago sui presupposti, verifico le condizioni. Mi presento preparato agli appuntamenti. E quanto arrivo è troppo tardi per mentire.
Una sola volta ho agito pur essendo nel dubbio. Una volta sola la mia voce può aver mostrato un tono incerto nel porgere l’ultima domanda. Quella sola volta è stata sufficiente per giustiziare una bugiarda. Così bugiarda da mentire perfino sulla propria colpevolezza, da mentire a se stessa sul fatto di potermi obbligare a ridargliela, come se non esistesse l’irreparabile.
Sono tornato nel bosco dove ho seppellito la salma di Sara parecchie volte da quando ebbero inizio i graffiti. Gridavo “Cos’è che vuoi?” e “Ridarti cosa?”. Non avevo capito che la domanda giusta era un’altra.
Oggi ho preso il badile e l’ho tirata fuori e ho appoggiato contro un albero il sacco di plastica contenente il corpo esanime. Con i capelli ritti sulla nuca ho forzato la gola ad emettere suono.
“Sei colpevole?”
Potrei giurare di aver sentito distintamente un no, e per infiniti secondi ne ho sentita l’eco col terrore che non finisse mai. L’ho lasciata lì dov’era, seduta nel sacco a guardare la propria tomba, e sono fuggito.
Dopo un inferno di tormentata pazienza, finalmente non vedo più le scritte.

Abdicazione.

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- Ma lei ce l’ha una famiglia?
- Questo spiegherebbe quella gente che mi gira per casa.
(Scott Adams)
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Figliolo, mi è giunta voce dell’approssimarsi di un evento lieto e grave a un tempo. Sono persuaso che ti sarà di qualche conforto ricevere l’appoggio e il consiglio di chi accettò la responsabilità della tua condotta fin da prima che tu nascessi. Ora io son quest’uomo che con difficoltà ti impartisce gli ultimi comandamenti, accusando e molti acciacchi e parecchi motivi di lamento, ma sia ferma la tua convinzione riguardo alla fermezza dè suoi intendimenti, e non ti faccia difetto il vederlo allo stremo del fisico, al che non sia vano al tuo orecchio codesto fermissimo richiamo alla coscienza.

In un ruolo di grande prestigio, ti appresti a diventare parte della stimata comunità che di buon grado ti accoglie dietro garanzia della fiducia che in te ripongo, cosi’ come fece con me quando venne il momento mio. Ti viene chiesto di far resoconto al dunque riguardo agli insegnamenti ricevuti, e a me dimandato testimoniare su quelli impartiti.

Vivo nella sicurezza che tu sia ignaro dei moti dell’animo al di fuori del senno da uomo timorato d’iddio; ch’essi disturbano la visione corretta del mondo. In tal guisa provai il tuo intelletto per molti anni, tessendo figure retoriche e costruendo trappole in cui martoriare la stessa logica di cui t’insegnavo i rudimenti. Giudico remoto il giorno in cui mi venisse fatto torto dalla tua incapacità di intendere il tuo ruolo e i tuoi doveri all’interno dei vincoli sociali che ti faranno presto da catena ed ornamento civile insieme. Ma reputerei incompleto il risultato dei miei propositi nel dare contenuto alla tua erudizione se tacessi il pericolo di cadere in errore terribile e funesto, cosi’ come tradirei l’onestà che ci lega qualora la tenessi a bada con la sferza di una lingua muta, imputando il malessere che me ne deriva dal parlarne a saggio timore e prudente ritrosia.

Vorrai perdonarmi se ho atteso gli ultimi giorni per rivelarti il mio pensiero, eppure saprai comprenderne i motivi allorquando sarà dato il tempo necessario per tessere il filo che segna il confine tra gli opposti al lavorio della mente. Ebbene, ricorderai certamente quando proclamai a gran voce, con tono severo e meditato, l’esistenza di una scissione naturale del mondo, grazie alla quale ci viene data possibilità di cognizione e discernimento, affinché noi si possa fare affermazioni in un idioma che appaia sensato. Invero è questo tutto ciò che abbisogna di sapere chiunque non sia destinato ad una posizione di prestigio, qual’è appunto quella che hai guadagnata con l’impegno profuso in anni di perseveranza nello studio, col profitto della perspicacia che t’è innata per dono divino e talento naturale.

E' opportuno dunque che tu ora sappia ciò che viene tenuto a parte, perché non accadano gli abomini che produrrebbe la conoscenza abbandonata nelle mani di chi non ha l’abilità di maneggiarla. Sarebbe un delitto imperdonabile consentire ad un bambino l’accesso a strumenti in grado di causagli guai e lesioni; tale sarebbe comunque depositare in un orecchio incapace di comprenderle, a un intelletto impreparato a vagliarle, soppesarle e tenerle dacconto, le informazioni che mi appresto a comunicarti. Ordunque confido che tu intuisca la necessità del segreto senza farti illudere sull’abilità del prossimo di farne uso allo stesso modo dei colti, imperciocché prevedo il fallimento cui andresti incontro qualora non degnassi di fiducia ed obbedienza queste mie raccomandazioni al silenzio.

Il tuo onore e la tua stessa vita dipendono ormai dall’uso che saprai fare del potere che ti è stato concesso, frutto nevvero di fatica ancorché di grande favore nella speranza che le tue doti possano fare in modo non sia stato uno spreco. La tua verrà chiamata fortuna, gli invidiosi ti additeranno come privilegiato, i nemici cercheranno di figurarti alla stregua di una moneta contraffatta. Ma la tua missione è piuttosto un martirio, per il quale sarai continuamente spinto a dimostrare il tuo impegno, a combattere per mantenere la stima del tuo valore presso coloro che fanno affidamento sulla tua abilità, a rafforzare la fede dei semplici e la fedeltà dei sudditi. Farà l’esito di successo o sconfitta di un’intera vita l’utilizzo degli strumenti forniti alla tua ambizione per darti modo di realizzare le tue superiori qualità interiori.

Quel giorno ti mentii. Lo confesso: v’erano ancora molti dubbi sulle tue effettive tendenze caratteriali. La fanciullesca età mostrava in gemma i tratti dell’animo e dovetti sperare di rimanere in vita il tempo necessario a rimediare le lacune seminate lungo il percorso dell’apprendimento. Quel tempo è giunto ed ho un debito di verità da saldare. Non esiste infatti dicotomia che non sia frutto artificiale dell’intelletto. Nulla di quanto ti ho insegnato appartiene a verità in sé, per sua natura, ma tutto viene sottoposto a giudizio per tramite del fine e del mezzo.

L’omicidio non è sbagliato in sé, ma solo al fine di mantenere in vita la comunità di cui ci vantiamo d’esser civili presso i selvaggi. Se ognuno fosse libero di rivendicare personalmente i proprii diritti, senza far ricorso al potere dell’autorità, non esisterebbe popolo coeso né stato né chiesa e neppure la comunità che ci fa gustare la vita cosi’ come veniva vissuta nei giardini dell’eden. Il nostro fine è la creazione di un paese in cui si realizzi la perfezione del monismo, ovvero un mondo ove la vita si configuri essenzialmente come mancanza di morte. L’unico modo di realizzarlo che rientra nelle umane possibilità è la negazione delle dicotomie, la soppressione della dialettica, il silenzio sul dualismo. Il premio la vita perfetta, l’immortalità per negazione ideale della morte. La morte dovrà esistere solo per coloro che non aderiscono a questo modus vivendi, coloro che rifiutano di obbedire alle leggi che governano il paese perfetto., coloro che ostinatamente desiderano una vita per sé e non accettano l’idea di vivere per tramite della comunità. L’unica morte possibile sarà quella della comunità, ed essa mai avverrà finché le donne partoriranno, ovvero in aeternum.

Potrebbero sembrarti il delirio di un povero demente alle prese con il trauma dei troppi anni trascorsi, eppure confido la speranza che, se non ora, un giorno tu possa capire e riflettere sugli stessi assillanti dilemmi che straziano la mia indebolita senescenza.

Ora conosci la verità, fai parte dell’élite destinata a condurre l’umanità verso la sua realizzazione spirituale nella storia del mondo. Ma non è naturale, quanto artificiale. Se tutti sapessero potrebbe accadere che alcuni individui, esclusi dal privilegio della conoscenza che ti vede partecipe del potere sul destino della nostra comunità civile e progredita, potrebbero mostrarsi contrari ad accettare la guida che ti deriva, com’è ormai tradizione, per censo acquisito. Potrebbero verificarsi ribellioni, discussioni infinite sulla liceità delle decime e della simonia, sulla necessità del fuoco purificatore in caso di manifesto rifiuto dei principi che regolano la convivenza civile.

Col tempo, nel quotidiano esercizio del potere, dimenticherai la verità. Debbo confessarti che sono ormai rari anche per me i dolorosi momenti in cui mi soffermo a indagare la coscienza per cercare appoggio alla mia decisione di contribuire allo sviluppo della nostra comunità di prescelti da Dio sul cammino luminoso del progresso umano. Vorrei avere una lettera come questa per cavarne sollievo, ma non sono in possesso che di una lontana memoria del giorno in cui mi venne sussurrata la verità nel buio di un confessionale. Per questo ho deciso di impugnare penna e calamaio, affinché tu non debba patire l’ansia del dubbio e ne esca fortificata la tua fedele volontà nel portare i termine il gravoso compito del comando. Ché queste parole non si possono perdere nel labirinto delle memorie per poi ricomparire a molestarti nel sonno, ma rimangano chiare e bel delineate a segnare la giusta via quanto verrai preso da qualche malvagio demone dello spirito.

Pensa alla comunità come a un figlio debole e spaventato, bisognoso di guida e indirizzo nel pensiero e nell’azione. Non è naturale l’altruismo, ma tu dirai il contrario. Non è innata la propensione al mantenimento dei parenti, ma tu dirai che la famiglia è voluta da Dio. Non è giusto imporre obblighi e doveri, ma è tuo obbligo e dovere affermarlo e tu stesso dovrai assoggettarti alla legge senza perdere di vista la verità dell’artificio necessario. Il fine è la comunità dell’eden, il mezzo l’inveritiera dicotomia, per cui tutto sarà giusto e sbagliato a seconda che serva a conseguire il fine.

A chi vorrà mettere in dubbio il fine dirai che è volontà di Dio o che è qualità intrinseca della natura umana. A chi vorrà mettere in dubbio Dio o la natura umana vorrai applicare la legge vigente: scomunica o imputazione di reato, ovvero esilio o morte, a seconda della gravità dell’intenzione e del grado di sviluppo della comunità sul percorso che conduce all’eden.

Che tu possa vivere abbastanza da testimoniare il raggiungimento del fine, da vedere la fine della storia, il compimento della volontà divina, la realizzazione della natura umana. Io ormai sono troppo carico di stagioni e la unica consolazione è la certezza che vorrai succedere alla carica che fu mia. Per questo assegno al latore di questa missiva l’incarico di consegnarti il bastone ricurvo e l’anello con sigillo, i simboli della carica che ho ricoperto con dedizione per tutta la vita, e che ora riceverai in dono affinché ti siano utili a gestire il potere con saggezza, per continuare la missione nostra, ormai troppo onerosa per le mie consumate membra.

lunedì 23 febbraio 2009

Il cavallo è molto sensibile al tono di voce.
Il cavallo si spaventa se fai gesti bruschi.
Il cavallo con le orecchie tirate indietro è nervoso, non si fida di te.
Il cavallo ti morde se avvicini la mano di taglio e non di piatto.
Di solito non è il cavallo che sbaglia, ma il cavaliere.

domenica 22 febbraio 2009

Sotto i 50Volt non si corrono rischi, ma sopra i 50Volt il danno dipende solo dall'intensità della corrente.

a frequenza di 50-60Hz:
10 milliAmpere: i muscoli restano contratti e non si può mollare la presa.
25 mA: paralizza muscoli del torace, rischio asfissia
60 mA: interferisce con le fibre nervose del cuore, fibrillazione

Un fulmine raggiunge 10 miliardi di Volt e ha intensità di corrente che varia tra i 2.000.000 e i 200.000.000 mA.

sabato 21 febbraio 2009

L'animale più velenoso del mondo è una medusa.
I bambini piccoli non possono capire l'ironia, usarla con loro serve solo a farli sentire confusi.

venerdì 20 febbraio 2009

Si può uscire dalle sabbie mobili muovendo i piedi come a salire scalini all'indietro.

giovedì 19 febbraio 2009

Il cervello umano contiene circa 100 miliardi di neuroni.
L'ultima generazione di processori contiene circa 730 milioni di transistor.

Ogni neurone utilizza circa 10.000 sinapsi per collegarsi ad altri neuroni.
Ogni transistor possiede 1 collegamento per dire se è acceso o spento.

L'attività elettrica nel cervello lavora alla frequenza di 40 Hz.
Il processore a circa 3.000.000 Hz.

Ogni neurone è controllato da 30.000 geni per attivare, creare o eliminare sinapsi.
Il transistor non è controllato da niente perché di suo non fa niente.

Il cervello pesa circa 1.4 Kg e consuma circa 10 Watt a una tensione di 0,11 Volt.
Il processore con dissipatore (senza tener conto di scheda madre e alimentatore) pesa circa 0.5 Kg e consuma circa 130 Watt a una tensione di 1,17 Volt.

mercoledì 18 febbraio 2009

Il cervello umano è programmato per fare attenzione solo ai rischi concreti, personali e imminenti. Del resto se prestassimo davvero attenzione a tutto quello che potrebbe capitarci in futuro resteremmo paralizzati dal terrore.
Se la velocità della luce non si può superare, sapere che esiste vita su un pianeta lontano milioni di anni luce che differenza fa?
Darwin parla di evoluzione ma gli individui più intelligenti passano il tempo a speculare al posto che a copulare.

martedì 17 febbraio 2009

Gamberetti, aragoste, crostacei in generale hanno un'altissima affinità biologica con gli insetti. Sono in pratica insetti che vivono nel mare.
Sopra una certa altidudine (1200-1600 metri) gli acari non possono sopravvivere per via della scarsa umidità.

lunedì 16 febbraio 2009

L'occhio umano registra 29 immagini al secondo.

Teatro d'avanguardia

Inizia a mezzanotte in punto, basta che individui l’origine del richiamo sonoro fino a giungere all’ingresso illuminato. No, non è difficile da trovare, è una costruzione mastodontica, che si presenta con un portale di legno massiccio con archi dorici e un fiorone rinascimentale nel bel mezzo della facciata. In effetti può generare soggezione negli animi sensibili, ma ti assicuro che l’interno regala un’atmosfera accogliente. C’è luce, posti a sedere in abbondanza e, se arrivi in anticipo, a volte ti poi godere dell’ottima musica d’organo.

Beh, non ci sono poltrone né altre comodità: le panche sono di legno. L’impianto di climatizzazione, per via degli ambienti spaziosi fino all’eccesso, non sempre riesce a soddisfare i bisogni degli astanti. Tieno conto che però non costa niente, davvero. Per quanto ti possa sembrare strano in questi tempi di recessione, l’ingresso è gratuito. Al massimo se proprio non riesci a trattenerti, puoi dare una mancia volontaria all’incaricato che, a un certo punto dello spettacolo, passa col cestino.

Tra l’altro non è una rappresentazione in cui il partecipante viene relegato a spettatore passivo, non mancano situazioni di coinvolgimento collettivo.

Ti spiego come funziona: all’inizio si è tutti seduti in attesa e d’improvviso suona una campanella. Da un portoncino laterale fa il suo ingresso il protagonista, vestito in modo eccentrico, con lunghe palandrane colorate e un bastone riccamente decorato fra le mani.

Gli esperti mi dicono che esistono significati ben precisi legati a colori e forme del copricapo, che può essere bianco o giallo o rosso, nonché un simbolismo complesso, patrimonio degli studiosi più colti, nei preziosi che si notano al medio o all’anulare, negli oggetti utilizzati nel corso della rappresentazione e nei bastoni di scena dall’aspetto cerimoniale.

Ma non importa, basti sapere che dal momento in cui suona la campanella, occorre prestare attenzione a ciò che si svolge sulla predella sopraelevata che ospita un tavolo, delle candele, e tutto ciò che necessiterà all’evento in corso.

No, non c’è bisogno di studiare il libretto come all’opera. Quando tocca al pubblico intervenire con repliche, canti e monologhi, è sufficiente muovere le labbra o, meglio, restare in silenzio, piuttosto che sbagliare.

Vengono letti dei capitoli di libro e il protagonista esprime opinioni come succede allo speaker’s corner, mentre il pubblico s’intromette con frasi preconfezionate, così da realizzare il cosiddetto effetto ‘folla compatta’.

Il momento clou si verifica quando viene chiesto a pubblico di scambiarsi gesti affettuosi, per lo più strette di mano dal momento che in questa particolare filiale di cui ti parlo è necessario che gli uomini siedano nella metà destra dell’edificio, e le donne nella sinistra. Immagino sia per cautelarsi nel rispetto delle leggi sull’ordine e il buon costume, dato che qualcuno potrebbe sentirsi spinto a lasciarsi andare troppo agli istinti nell’esaltazione mistica della catarsi.

Ad ogni modo ci si alza e ci si siede, si canta e si recita, mentre l’uomo vestito strano compie alcuni riti propiziatori di gruppo piuttosto curiosi e affascinanti. Alcuni parlano di cannibalismo, ma personalmente non ho assistito ad alcun tipo di violenza su animali o cose. Certo, si parla di agnelli sgozzati e ci si può mettere in fila per bere il sangue e mangiare la carne di un tizio chiamato Gesù, ma non è reato che io sappia.

Quando vedi che si alzano tutti in piedi e cominciano ad uscire, vuol dire che non c’è più niente da vedere. Si può passare tempo ad accendere candele o a studiare particolari architettonici per ritardare l’impatto col la gelida temperatura esterna, ma non sempre è permesso rimanere in loco in attesa della replica.

Tutto sommato è un’esperienza singolare. No, non c’è bisogno nemmeno di prenotare, è sufficiente presentarsi la notte del ventiquattro dicembre con un certo anticipo, altrimenti si rischia di non trovare posto a sedere.

Santario

Un visitatore che sorvolasse la zona proprio sopra la villetta di Riccardo vedrebbe in lontananza, verso sud, una larga striscia di asfalto che è l’autostrada Milano-Venezia. Noterebbe i muri dipinti di fresco del Municipio di Santario, di un bel color carta da zucchero, e la piazza prospiciente la chiesa di Don Ludovico, con la sua facciata gotico romana ancora circondata dai ponteggi per i lavori di manutenzione. L’ipotetico visitatore potrebbe effettuare una virata e abbassarsi di quota per sorvolare il parco dietro l’oratorio, con la dolce inclinazione del prato che si conclude in riva al fiume, offendo uno scorcio suggestivo dell’ansa del fiume in cui due ragazzini si stanno dando da fare per allamare una trota argentata o un salmerino.

Santario è poco più di un paese, ma ad ogni piano regolatore si costruiscono nuovi quartieri ed è proprio in uno di questi che si trova la villetta di Roberto. Si tratta di una costruzione a due piani di modeste dimensioni, ma che offre tutte le comodità che si possano comprare senza sborsare grossi capitali. Un garage, un comodo soggiorno, due stanze da letto. Il nostro visitatore volante, se riuscisse a manovrare con destrezza i comandi, potrebbe passare lì vicino e sbirciare dalla finestra del bagno. Vedrebbe Riccardo chinato sul lavandino, con l’orecchio accostato al buco, come se cercasse di ascoltare una voce proveniente dallo scarico.

Una cabrata e sarebbe già sopra la scuola materna e vedrebbe Gabriella davanti alla porta d’ingresso, con una tazza di caffè in mano, in attesa dei suoi alunni. E da lì sui boschi attraversati dalla seggiovia, l’unica via per arrivare al valico e scendere dall’altra parte, a Ottenga, specie quando nevica e il ponte di ferro dei genieri si mette a scricchiolare. Ed è proprio su quel ponte che sta passando una fuoristrada sgangherata, con a bordo la simpatica Rachele e il non altrettanto simpatico marito Giacomo. Si stanno dirigendo a passo di lumaca verso il mercato del sabato, dove compreranno provviste e qualche metro di scampolo per delle nuove presine. Giacomo si sta lamentando, tanto per cambiare.

E-mail from Ufficio Dirigenza

Sono piacevolmente colpito dalla tua conversione, anche se chiedo quale sia stato l'evento scatenante. Di solito non si cambia idea così facilmente: chi non crede all'esistenza di Jorge, nè all'effettiva dimensione del suo potere, rimane schiavo della propria convinzione al fine di salvaguardarsi da eventuali ritorsioni.

Il tuo coraggio è ammirevole ma, certo riuscirai a comprendere le mie ragioni, ho bisogno di motivazioni forti per concederti la fiducia e pertanto l'accesso ai miei segreti. Il farlo potrebbe costarmi la vita, nell'ipotesi migliore; il ricovero forzato in una struttura per il trattamento sintomatico delle perversioni, qualora Jorge stesso si prendesse la briga di studiare il mio fascicolo.

Al fine di provare un genuino trasporto a sostegno della domanda di entrare a far parte del nostro gruppo, ti chiedo di porre in atto un'azione di copertura che renderà palese la tua devozione alla causa.

Come ben saprai, domattina verranno collaudate le nuove serrature del centro smistamento, di cui tu stessa, come segretaria del comitato operativo di terzo livello, governi il processo decisionale. Sarà sufficiente un malfunzionamento temporaneo nei sigilli del compartimento stagno nelle strutture seminterrate. Rimarrà così scoperto un collegamento dei magazzini coi pozzi di drenaggio.

Per ottenere l'effetto desiderato ti basterà inserire nel terminale del tuo ufficio il codice che ti mando in allegato. Quando scatteranno gli allarmi dovrai dirigerti velocemente nell'androne del blocco F e seguire Franziska.

Non c'è bisogno che ti spieghi cosa significhi tutto ciò: dovrai dire addio al mondo che conosci, agli amici, alla casa, a tutto quanto. Per sempre.

Ti sembrerà di rinascere e approderai alla conoscenza della verità, ma a un costo altissimo. Non ti accadrà nulla se rifiuti. Se non te la senti non verrai biasimata e nulla di tutto questo risulterà mai, neppure sui rapporti interni dell'opificio.

Se invece senti di dover uccidere Jorge unisciti a noi e otterrai vendetta.

Franziska, qui al mio fianco, ti manda i suoi affettuosi saluti e non vede l'ora di darti il benvenuto.
Lo zero per secoli non è stato considerato un numero.

Sulla democrazia

Ipotesi: ci sono due programmi di governo diversi (se sono uguali non serve chiedere il voto), che dunque portano a risultati diversi.

Per aderire alla definizione di intelligenza, si deduce che le persone intelligenti sapranno capire molto meglio di quanto possa fare una persona dotata di scarsa intelligenza qual è il programma migliore fra i due, a condizione che i programmi siano strutturati razionalmente: all’input X segue l’output Y.

Se il processo democratico offrisse scelte razionali (ovvero fosse possibile per una persona più intelligente scegliere il programma migliore), essendo il sottinsieme dei più intelligenti una minoranza, il voto democratico sarebbe tale da rendere ininfluente l'intelligenza o addirittura ostacolarla.

Nel mondo reale è impossibile stabilire che X produce Y leggendo i programmi dei partiti, allora è completamente inutile chiedere alla gente di andare a votare e scegliere un programma. Tanto che neppure le persone più intelligenti saprebbero compiere una scelta razionale. Si otterrebbe lo stesso risultato se vincesse le elezioni il candidato che sputa più lontano, o meglio che sfrutta uno strumento di marketing più efficace.

Del resto dopo il voto fanno quel cavolo che gli pare e al diavolo il
programma. Primo corollario al Teorema della democrazia: “I programmi elettorali servono solo a giustificare le spese della consultazione elettorale.”

Facciamo decidere a una scimmia qual è il programma migliore. Secondo quanto emerge dalla nostra ricerca ha le stesse probabilità di fare la scelta giusta di quante ne abbiano tutti insieme gli aventi diritto al voto in un processo democratico.

Parte seconda: dimostrazione per assurdo.

Ma ammettiamo pure che tramite l’uso dell’intelligenza sia possibile stabilire quale Y è prodotto da X in ciascuno dei due programmi in esame. Ora, si supponga di poter scorporare dalla massa degli aventi diritto al voto 1000 individui di cui sia stata attestata la superiore intelligenza.

1- i voti dei 1000 superdotati si dividuono fra i 2 programmi allo stesso modo di quanto accade per i voti di tutti gli altri votanti.

La conseguenza di questo risultato è che il processo di voto democratico è del tutto indifferente all'intelligenza. Una politica in cui l'intelligenza sia ininfluente non è una forma efficiente di gestione della cosa pubblica.

2- i voti dei 1000 superdotati vanno tutti a favore di 1 dei 2 programmi di governo mentre tutti gli altri si dividono fra i 2 programmi o viceversa.

La conseguenza di questo risultato è che il processo di voto democratico non è del tutto indifferente all'intelligenza, bensì va addirittura contro il principio della scelta intelligente.

In ogni caso la democrazia, così come ogni progetto orientato a principi idealistici che eliminano ogni differenza e caratteristica individuale, sono espressione di metodo scientifico inefficiente e inefficace. L'unica fonte di razionalità risiede dunque entro i confini dell'individuo, escludendo tutte le forma di decisione/azione concertata sul piano della socialità. Non appena un secondo individuo con caratteristiche diverse (migliori o peggiori) interferisce nel processo decisionale di qualcuno, necessariamente diminuiscono efficacia ed efficienza.

Il teorema viene presentato per avere valenza generale e non si occupa di definire cos'è l'intelligenza o perché un "programma" sia migliore dell'altro.
Afferma semplicemente dati di fatto:
1- se sono diversi – con input X che dà output Y - uno dev'essere preferibile all'altro,
2- se esistono persone più intelligenti di altre allora si può pensare che esista un modo di isolarne 1000 dalla popolazione in esame.

In questo senso il teorema è logicamente inconfutabile.

Per avvicinare il mondo della teoria a quello della pratica, si restringa il campo di indagine dall'insieme "processi decisionali" a "processi decisionali inerenti la scelta di uno schieramento parlamentare che difenda il nostro interesse individuale".

L'uomo in questo caso non decide tenendo conto degli effetti sul mondo, ma degli effetti sul proprio futuro (portafoglio, tempo libero,...).

Domanda: Quali saranno i migliori effetti?
Risposta: Quelli che promettono, a me che voto, ricchezza/tempo libero/sesso a volontà...

Bene. ora prendiamo in esame due popolazioni. Una in cui la maggioranza della popolazione è consapevole che qualsiasi proposta mirante a migliorare il benessere collettivo provocherà un danno al proprio reddito netto (chiameremo questa popolazione con un nome di fantasia: "Svizzera"), e una in cui la maggioranza della popolazione e già tartassata al punto da ritenere che qualsiasi proposta mirante a migliorare il benessere collettivo provocherà un danno a qualcuno di non meglio precisato, ma non certo al votante che "non ha più niente da perdere" (chiameremo questa popolazione "Italia").

Il processo democratico allora assumerà le sembianze di una clava gigantesca con cui picchiare a morte chi ha qualcosa che non abbiamo per rubarglielo ed usarlo noi. Un referendum che proponesse alla popolazione "Italia" di tassare la popolazione "Svizzera" avrebbe un esito condizionato esclusivamente dal numero dei votanti nelle rispettive popolazioni. (Volendo malignamente associare i nomi inventati a stati realmente esistenti, si capirebbe un eventuale potenziamento dell'esercito svizzero ai posti di confine meridionali).

Tenendo conto di questi ragionamenti si addiviene alla conclusione che non solo i processi decisionali collettivi, e non individuali, o sono indifferenti all'intelligenza o vanno addirittura contro l'intelligenza, ma si capisce che i processi decisionali degli esseri umani sono governati non dalla ragione ma da istinti primordiali. La ragione è un mero strumento per nascondere la clava sotto un manto ideologico fatto di principi assolutistici come "bene", "giustizia", "uguaglianza",...

Secondo corollario al Teorema della democrazia: “Il processo democratico consente l'uso legale della clava.”

Importanti pensatori del passato predissero che, siccome la popolazione aumenta più del pil, la clava sarebbe finita in mano ad una maggioranza di poveri affamati. Altri invece predissero che, siccome per produrre è necessario che nessuno ci privi del sonno picchiandoci con una clava, la clava sarebbe finita in mano a quelli in grado di produrre ricchezza.

Ovviamente entrambi le correnti di pensiero sono sbagliate: la clava passa da una parte all'altra a seconda della fase congiunturale dell'economia mondiale. In fase recessiva aumenta la povertà e le mazzate se le beccano i "ricchi", in fasi espansive i poveri finiscono in minoranza.

Si tenga presente però che è sempre possibile convincere una persona di non essere abbastanza ricca, bella, sessualmente soddisfatta,... (la tecnica di persuasione si chiama "marketing" in economia, "propaganda" in politica).

Domanda: ma perché non usare il buon senso al posto dell’intelligenza nella scelta del programma da votare?

Risposta: Il buon senso non è una variabile razionale. Il buon senso mi dice che se vedo qualcuno affogare dovrei cercare di salvarlo, ma è statisticamente accertato che nella maggior parte dei casi chi si tuffa per salvare qualcuno che affoga finisce per affogare pure lui.


Per concludere ecco un esempio di dialogo fra politico (P) e cittadino (C).

Prima del voto:
P- Sei povero da far schifo. Vivi in un mondo di merda.
C- Mumble mumble (il rumore che fa il cittadino pensante, da non confondersi con quello di una mucca che rumina il bolo)
P- Vota per me: Il tuo vicino che ha la lavatrice programmabile via internet e tu no: col tuo voto gli prenderò dei soldi e te li darò perché anche tu possa avere la lavatrice collegabile via internet. Non solo, ti lascerò scegliere il colore dell’antenna!
C- Wow! Mi hai convinto.

Dopo il voto il politico (P) si trasforma in Governo (G):
G - Sei ricco da far schifo. Vivi nel lusso.
C- … (rumore del silenzio che si prova vendendo una macchia sulla lastra dei propri polmoni.)
G - Dammi i tuoi soldi. Mi servono per comprare i tuoi voti alla prossima campagna elettorale.
C- Ma i patti erano che…
G - Hai tre secondi per pagare, dopodiché ti sbatterò in prigione.
C- Wow! Mi hai convinto.
La pubblicità è ingannevole per definizione.

Polizia

Stanno passando attraverso quel varco, sotto la gonna di un'alba svogliata. Dobbiamo prestare attenzione, correre senza tenerci per mano. Non ti fermare di fronte ai barbagli riflessi da vetri in frantumi. Lontani. Non importa più nulla, siamo rimasti ormai in pochi. Hanno forzato la porta gettandosi in strada, un refolo d'aria mi strappa il cappello. Lì fuori è già chiaro, vedo la mia valigia rotolare ondeggiando mentre chinati fuggiamo. Striscianti. Il cuore fa l'eco ai passanti che affrontano pertugi e scaloni passandoci accanto, col fischio dell'allarme fra le dita. Una spirale in bianco e nero piramidale, un carrello di ciliegio intarsiato che vomita ragnatele di tela pregiata. Aspetta, non correre, non c'è nulla che non si possa aggiustare. Selvaggi. Il vapore delle cucine puzza di imbroglio, osservato da un grillo inchiodato alla parete dallo scricchiolio del buon senso. Vorrei il mio cappello nocciola, con banda di raso marrone e un fiore di carta oleata. Non te lo chiedo, mi limito a salire verso il balcone della plaeta, di nuovo, ripetendo i percorsi segnati da facce sospettose, cercando di tenerti al riparo dal contagio dell'ansia. E tu lo stesso. Sfiori col dito la metafora di un tarlo sul bordo di una sedia borchiata d'ottone, cantando con lo sguardo le note del tuo silenzio. D'accordo. Senta signora vorrei una valigia; non uno zaino, non un borsone da disastro finanziario. Verde, la voglio verde con inserti di cuoio e possibilmente un lucchetto pacchiano. Spartano. Il tuo editore ha chiamato per darti ottime notizie e tu sfoghi lacrime di stress sulla caporeparto, facendo spazio al buonumore per antitesi. Li ho visti aprirla e tirarci fuori le mie cose, una per una, come formiche al banchetto di un ragno defunto. Barbari. Se non fossi così stanco insisterei, se non avessi un giardino da curare che si illumina di mute apprensioni cercherei anche il cappello. Preferisco scappare, tornare a correre lungo flaccide parabole col ridendo sguaiato al calore del sangue. Destino. Ritorno e la voglio, l'ho vista poco fa che armeggiava con l'articolo. Ricorda? Esatto, magari verde. Ricordi? Ironia malvagia, il commesso ripete a pappagallo. Massì, quella. Ah, ricordi. Me la stavi rubando poco fa, per ripagarti dell'offesa di un branco di spavaldi incoerenti. Incoscienti. Ma guarda: dov'e' il biglietto per nome indirizzo, dov'è la fottuta garanzia? L'ha scritta in bel corsivo un damerino infarfallato con il colluttorio nel taschino? Intuitiva, raccogli il mio pensiero e gli dai fiato: Polizia! Voglio rivedere tutto il contenuto, e metteteci pure il cappello. Gira e rigira lo so, lo sento, riprenderemo dove finisce l'alba e comincia il mattino, con cose da dire e cose già dette.
Alcuni mediciali antiinfiammatori provocano lesioni gravi al tendine d'Achille.

Nella caaaasa del GF

La pelle del condannato foderava muscoli strappati e ossa incrinate. Presentava zone maculate dai contorni irregolari nei punti in cui forti pressioni sbrindellarono vaste distese di capillari. Lividi come iridi dai molti colori - sopra tutti il nero e il viola e un rosso d’intensità a scalare nel giallo verso il centro - immerse nel liquido amniotico del dolore. Il Viscido, matricola 76724, intonava lamenti come preghiere, restando accovacciato nella pozza di sangue, orina, lacrime.

L’avambraccio sinistro poggiava lontano, pulsante. Fra i peli le palpebre di un’asola. Nell’asola occhieggiava la punta di una frattura scomposta.

- Siamo pronti? Sistema quella luce, per favore.

Il tremito del Viscido si fece visibile, ma lo sguardo atterrito permaneva occultato nell’ombra.

La mano del cameraman prese a lampeggiare. Tre dita. Pugno. Due dita. Pugno. Un dito.
- Bentornati, siamo alla fase conclusiva.

L’inquadratura si concentrò sull’avambraccio ferito, penisola sanguinante di un continente martoriato.

- Come potete vedere il condannato ha superato anche la terza fase della condanna. Tra poco entrerà di nuovo l’esecutore.

Ecco finalmente la luce sul volto del condannato. L’impatto emotivo è certamente notevole. Uno dei globi oculari è esploso e una lacrima di umore vitreo ristagna nell’orbita ormai vuota.

- Viscido, pensa che questa trasmissione a reti unificate possa servire a qualcosa? -

Un gemito strozzato, uno schizzo di saliva amaranto trova percorso ideale fra gli incisivi spezzati e conclude la sua parabola sulla spugna del microfono.

- Pensa che vedere in diretta cosa capita a chi compie atti bestiali facendo violenza sugli innocenti possa frenare i malintenzionati? -

Un rumore viscerale spinge la telecamera a indagare. Una rapida panoramica ne evidenzia l’origine. I momenti successivi sono dedicati alla macchia scura che s’allarga sul cavallo dei pantaloni.

- Mi dicono che alcune lesioni interne potrebbero abbreviare la sua condanna, si ritiene una persona fortunata? -

Il battente cigola. Nel rettangolo della soglia appare la sagoma dell’esecutore.

- Vi ricordo che potete votare da casa l’attrezzo per la prossima tortura. Rimangono tuttora in testa alle vostre preferenze i chiodi da legno da martellare nel cranio, le pinze da torsione per i genitali e l’acido solforico nelle vie respiratorie superiori. -
I topi sono cannibali.

POS

Quando il gruppo di scienziati incaricati del progetto “Origini della specie” iniziò ad ottenere i risultati sperati, nessuno di essi riuscì ad immaginare fino in fondo le conseguenze che ne sarebbero derivate.

La Commissione di Vigilanza per la Sicurezza Globale - ramo dei Servizi Speciali alle dipendenze dirette del Comitato Esecutivo, in seno alla struttura internazionale nota come G8 – aveva accolto dapprima con sospetto le teorie del Professor Koenig, ma con crescente entusiasmo dopo i continui dissidi con organizzazioni indipendenti e lobbies con accesso ai mezzi di comunicazione.

« Non possiamo continuare ad operare con l’assillo del consenso delle masse », aveva esordito Koenig di fronte al comitato in riunione straordinaria, « Quand’anche fossimo nel giusto, e lo siamo stati in passato nella quasi totalità dei casi, avremo sempre di fronte due ostacoli insormontabili: l’ignoranza delle masse e il potere degli avversari. »

Nessuno ruppe il silenzio che seguì per esprimere obiezioni.

« Genetica, energia atomica, processi di integrazione economica a livello globale, aborto e clonazione. Potrei elencare per ore innumerevoli argomenti fonte di insanabili dissidi fra noi, ovvero coloro che conoscono i termini che consentono scelte razionali in proposito, e gli altri, ovvero coloro che hanno meri interessi politici nel sostegno all’una o l’altra causa. »

Le pareti del bunker risuonarono di mormorii d’approvazione e scricchiolii provocati da corpi in agitazione sulle sedie.

« I mass media, le istituzioni religiose, le organizzazioni clandestine sostenute da governi esteri solo con lo scopo di provocare disordini, i partiti politici alla ricerca di voti per mezzo di propaganda slegata da principi di realismo e pragmatismo. »

I mugugni si fecero più marcati e ci fu chi pestò il pugno sul tavolo per sottolineare il proprio malcontento.

Allargando le mani in un gesto di rappacificazione, Koenig annuì lentamente passando in rassegna le file dei suoi sostenitori. « Signori, lasciate che vi presenti il mio contributo ad una possibile soluzione.»

Detto questo, fece un cenno ad un giovane assistente che cominciò a distribuire le fotocopie di un voluminoso incartamento. Il progetto “Origini della Specie” ebbe il via libera all’unanimità dopo due sole ore di dibattimento.

In realtà fu molto più semplice del previsto implementare il progetto all’interno dei Paesi aderenti. Fu sufficiente allargare le maglie della tolleranza e spargere i semi di una nuova cultura: una visione del mondo fatta di contraddizioni e paradossi. Per esempio uno di essi fu l’ormai famoso “Bisogna dare il meglio di sé per ottenere il massimo, ma è più furbo chi riesce a non fare niente senza subirne le conseguenze”.

La gente cominciò a vivere la schizofrenia indotta senza i temuti problemi fisiologici indicati nelle controindicazioni del Progetto. La natura umana non è mai stata a corto di sorprese per gli scienziati.

Nei resoconti protocollati dal Comitato emergono situazioni stupefacenti che ancor oggi lasciano aperte inquietanti prospettive per i ricercatori. I nomi dei soggetti sono stati sostituiti dalle sole iniziali, ma è fuor di dubbio che si riferiscano a fatti realmente accaduti.

G.T. ha finito le sigarette e abbandona di soppiatto il posto di lavoro senza staccare la corrente. Quando torna il cantiere è in subbuglio perché inavvertitamente un collega è inciampato negli attrezzi di G.T. precipitando da dodici metri d’altezza. G.T. riesce a piangere davanti alle telecamere, incolpa il capo cantiere e si prende una settimana di malattia. Settimana che passa seduto davanti alla tv a bere e fumare e uscendo di casa con una scusa pronta nel caso un ispettore venisse a constatare il suo precario stato di salute.

M.R. in casa e sul lavoro, è manager di medio livello in una multinazionale, impersona l’equilibrio psicologico personificato. Una volta a settimana si trasforma: frequenta prostitute, si droga, danneggia le proprietà altrui, emette alte grida e tira bottiglie vuote di birra contro i muri. Tutto questo lo fa tornare in contatto con la parte più antica di sé: la parte animale. L’origine della specie.

Una sera d’autunno la sua bottiglia di birra colpisce alla testa una ragazzina che tornava dal corso di danza. La ragazzina perde sangue dalla tempia destra e sviene. M.R. la lascia priva di sensi sul marciapiede e fugge, soffocando l’ilarità e l’eccitazione che gli deriva dal potersi allontanare senza esser visto. Il mese dopo inizia a cercare animali da colpire con le bottiglie. L’anno dopo viene ferito da una prostituta per legittima difesa.

D.T. decide di smettere di studiare dopo che per tre anni consecutivi ha diretto le occupazioni degli studenti. Trova lavoro presso un impresa di costruzioni e il suo primo incarico è di ripristinare la copertura di un tetto presso una ditta di cosmetici. È piena estate e, mentre scalda il catrame, trova divertente l’idea di lasciare un buco nella copertura, pensando in questo modo di tornare a casa prima e di venir pagato di nuovo in autunno quando le prime piogge richiederanno un ulteriore intervento di ripristino del tetto. Il mese dopo una temporale crea l’infiltrazione e l’acqua piovana manda in corto circuito la centralina di un macchinario. Una giovane operaia al turno di notte perde la mano sinistra e due dita della mano destra a causa di un malfunzionamento degli impianti.

C.M. è una ragazza che ricava piacere dalla vita solo quando può andare in giro con le amiche a divertirsi. In ufficio ha imparato un modo per potersi dedicare ad attività meno impegnative. Legge riviste di moda e fa largo uso di bagni e macchinette per merendine e bibite programmando il telefono affinché devii tutte le chiamate alla segreteria o alla casella vocale. L’anno dopo la maggior parte dei clienti non rinnova i contratti e la ditta in cui lavora è costretta licenziare gran parte dei dipendenti. C.M. si rivolge ai sindacati e organizza proteste davanti ai cancelli della ditta per impedire il normale svolgimento delle attività produttive.

Koenig venne accolto da uno scroscio di applausi. « Il Progetto sta ottenendo risultati stupefacenti. Siamo ormai in grado di governare senza dover rendere conto a nessuno del nostro operato. L’origine della specie ci consente di essere gli unici esseri umani alla guida di un immenso branco di scimmie.»

Una risata viene accolta con stupore ma subito accompagnata da un nuovo applauso.
« Abbiamo levato ai nostri avversari il monopolio sugli stupidi. Ora che la quasi totalità delle masse è composta di stupidi, non abbiamo più l’obbligo di giustificarci con qualcuno e possiamo usare le stesse armi dei nostri nemici. Non siamo più solo un avamposto della razionalità in guerra con i poteri che fanno leva sulla stupidità. Abbiamo preso il posto di chiese, partiti, mass media senza in cambio cedere lo scettro del comando. »

Gli occhi di Koenig scintillano nella fornace del successo.

« Si chiama adattamento ed è la sola forma di sopravvivenza che possa dirsi vincente. Ora siamo uguali al nostro nemico, indistinguibili da esso, ma al contempo restiamo noi stessi, dall’altra parte della barriera dell’intelligenza e del comando. Non ci sono più stupidi nelle mani dei nostri nemici e intelligenti dalla nostra parte. Sono diventati tutti uguali e pertanto soggetti ad un’unica fonte di potere: la vostra. »

Non si riesce a comprendere cosa inducesse Koenig a pensare di essere al cospetto di persone immuni al processo di cambiamento sociale da lui innescato. Con senno di poi è così lampante l’evidenza di un mondo che è stato per decenni preda del caos, con un indice di razionalità tornato ai livelli di secoli passati.

Certo, noi oggi possiamo avvalerci di sofisticati programmi di intelligenza artificiale che ci consentono la gestione della realtà mediante procedimenti cognitivi di gran lunga più efficienti rispetto al ventunesimo secolo. Tuttavia rimane sconcertante ipotizzare l’idea di vivere in un mondo in cui le scelte non siano basate sulla razionalità, un mondo in cui le soluzioni dei problemi vengono scartate per non intaccare lo status quo o per motivazioni legate al potere o al denaro.

Il traffico era un problema ma i semafori non erano sincronizzati dai computer nemmeno nelle metropoli e i progetti per nuovi parcheggi venivano bocciati in previsione di cali nelle entrate per multe di divieto di sosta. L’uso del petrolio continuò pur essendoci a disposizione fonti alternative d’energia a basso costo per calcoli sulle mancate entrate fiscali sui carburanti. Le droghe venivano vietate e tollerate nello stesso tempo. La duplicazione di software abusiva veniva punita con una pena superiore all’omicidio colposo. L’evasione fiscale divenne uno strumento di repressione politica, laddove – in un sistema fiscale che non permetteva la sopravivenza delle imprese senza ricorrervi - veniva tollerata e allo stesso tempo permessa a seconda delle convenienze politiche.

Questi furono solo alcuni effetti macroscopici del Progetto Origine della Specie (POS), la vita quotidiana dei cittadini ridotti a bestie da macello dev’essere stata un vero e proprio incubo di cui noi oggi possiamo solo immaginare l’orrore.

Nitrito

Oltre la ringhiera della galleria v’era un pergoletto con l’uva americana e la mattina presto si poteva cogliere un grappolo senza temere punture di vespa. Indossavo una calzamaglia rossa coi bottoni dietro. Quel giorno ero il primo ad essermi svegliato e perciò mi sembrava di poter compiere qualsiasi proibito senza che nessuno potesse fermarmi. Mi aggrappai alla ringhiera e guardai lontano, un cielo dalle guance pittate che si vergognava dell’alba. Tutta quest’improvvisa libertà e non sapevo cosa farmene. Restavo accigliato a guardarmi intorno, sempre più conscio del fatto che ero solo, con l’agitazione che lasciava spazio a un senso di vuoto. Sarei potuto andare ovunque, là fuori. Si sarebbero svegliati ed io sarei già sparito per sempre, di corsa nei prati e lungo strade tortuose, con la calzamaglia rossa a riempirsi di polvere, ramingo e famelico. Ma restavo lì, alla ringhiera, incapace di far altro che gustare l’effimero gusto d’una trasgressione immaginata. Colsi un grappolo e iniziai a spremermi gli acini in bocca, recuperando i semi con la lingua per poi sputarli lontano, dabbasso, in sghembe parabole, cercando di non fare rumore. Desideravo che durasse a lungo e così desiderando mi perdevo la possibilità di goderlo appieno. Ogni tanto mi voltavo a guardare la porta, sperando che continuasse a non uscirne persona. Dunque sorridevo, staccavo un altro acino, tornavo a pensarmi in fuga, senza obblighi né attenzioni. Finché passò un cavallo e mi vide e nitrì adagio come ad avermi letto nella mente un pensiero ridicolo. L’uomo che lo teneva alla cavezza lo blandì, una carezza sul collo, e l’animale gli spinse il muso sul fianco, facendolo barcollare. Pensai che il cavallo avesse tentato di dire all’uomo di guardare là, in galleria, quel ragazzino in calzamaglia rossa, con la furia nello sguardo, le labbra macchiate dall’uva, che al passare dei cavalli nasconde la testa nelle spalle e scappa in disparte per timore di venire calpestato. E il cavallo aveva riso di me. Ed io gettai via il grappolo e tornai in casa, spaventato, ché avevo sputato giù con un seme il coraggio della finzione.
Qualsiasi linguaggio è frutto di una convenzione.
Esistono fenomeni che non si possono esprimere in termini matematici.

Immortalità

Mi alzai una mattina e non esisteva più. Non fu qualcosa di cui rendersi conto. Il fatto che fosse esistita non aveva importanza alcuna. Come l’infanzia, come la bambina che ora ha due figli grandi e sembra ieri che tutti aspettavano la sua prima parola temendo fosse muta. Non posso dire di aver aperto gli occhi ed averne sentita la mancanza. Non c’era più e la vita continuava con i suoi ritmi e il profumo del caffè e l’acqua fredda sulle guance rasate. Chi può dire se servirebbe ancora la sua presenza, quanto potrebbe aiutare saperla accanto al letto, indecisa sul tenerti per mano. Mi piace pensare che se ne sia andata di propria iniziativa, sparita per togliere l’incomodo, ruga d’espressione stanca d’essere osservata nello specchio. Qualcuno avrebbe voluto prendersene il merito ma non fu possibile dimostrare niente. Semplicemente da quel mattino smise di essere nei nostri pensieri. Seppellita in terra sconsacrata, in una tomba senza nome. Non so perché ora vado testimoniandone l’assenza. Non riesco a credere che mi manchi l’odore a volte ferroso ed altre salmastro che riempiva gli ambienti ancor prima che ci si accorgesse del suo arrivo. Probabilmente le nuove generazioni non immaginano nemmeno che aspetto possa avere quando fuori c’è la nebbia e sui vetri sbocciano fiori di ghiaccio. Non possono sapere cosa si prova ad accoglierla quando non si ha nemmeno la forza di alzarsi per guardare le nuvole al tramonto. Molti dei miei coetanei sono partiti, destinazioni lontane, nel tentativo di ritrovarla, di saltarle in braccio come fosse la mamma e svanire anch’essi nel nulla. Spesso vorrei provarci anch’io ma c’è sempre qualcosa che mi ferma: una parola di troppo, un aspettativa sul futuro, l’abitudine a rimanere a galla. Però mi ricordo com’era prima di quel mattino. Esisteva più di chiunque altro. Una presenza soffocante negli animi più sensibili. Una tortura per amanti e poeti. Una liberazione per i meno pazienti. Non sapevi mai cosa aspettarti da lei. Poteva sorprenderti o darti appuntamenti lunghi un secolo. Ma comunque arrivasse, per come ci si preparasse ad accoglierla, per quanto si desiderasse incontrarla, riusciva sempre ad arrivare in anticipo. Molti la incontravano nel mezzo di un sogno, altri invece la vedevano da svegli e qualcuno doveva provvedere a chiudere loro le palpebre vuote e spalancate. Ora che non esiste più mi chiedo in momenti come questo se con lei non sia svanita una fetta del mio vivere, il senso del mio restare. Ma poi mi sveglio e c’è il calore del sole e il profumo del caffè e lo schiaffo dell’acqua fredda. E ricomincio così di nuovo a vivere e a vivere e a vivere la mia giornata.

Delirio

La ripida fronte del viandante attende impavida l'affronto di sguardi affilati e gorgheggia nella bruma la gola martoriata del pettegolezzo, il grottesco dimenarsi di fiammeggianti tubercoli va a inquietare le coscienze di infanti pazienti dormienti per dar tempo allo scioglimento di consunti legacci e bavagli e pianete lustre di gloria nell'immenso di un enigma seppellito nel folto, nel fosco, nel fasto dell'effimero e la flaccida gota dell'ebbro trema e si contorce abbozzando un sorriso stirato quando l'ombra nostalgica di una mano adorata disegna nel vuoto simboli diafani e ribelli, gareggia baldanzosa con nastri di seta infilzati nelle ciocche mentre l'intrigo si trascina nella sabbia, nel sabba, nella tana del mamba solenne adagiato fra turbinii di iatture e taciti sospetti, distratti, acquattati come ratti in batuffoli d'angoscia con la diafana pupilla del passante a smarrire il gracile sostegno in divenire e l'impiombata pellicola delle motivazioni si scioglie lungo il corso, il dorso, il terso profilo del salice piegato dal carico di petulanti boccioli.

CyberAlice

La teiera era percorsa da piani diagonali che la sezionavano almeno una volta al secondo, distorcendone la percezione visiva. La lepre sedeva a capotavola, con ciuffi di poliestere sulla fronte. L’imbottitura fuoriusciva da uno strappo situato in mezzo a quanto restava delle orecchie consunte e ritorte.
- Gradite dell’altro tè? -, chiese Isabeau.
Il proiettore emise un ronzio e il ghiro fece per aprire gli occhi.
- Certamente! -, rispose il Cappellaio portando una mano alla tesa per sistemare il cilindro sulle ventitré.
Isabeau aveva apparecchiato la tavola all’ombra del tamarix e una pioggia incessante di rametti entrava nelle tazze, attraversava il liquido e andava a posarsi sul ripiano di formica sottostante.
- Forse dovremmo cambiare di posto -, suggerì la lepre. Non faceva che guardarsi impaurita alle spalle e nel farlo andava perdendo lunghi fili di poliestere e palline di polistirolo dalla fronte, tanto che la testa s’appiattiva di continuo, sgonfiandosi lentamente.
- Ha ragione lei -, si ridestò il ghiro, - Voto a favore! -
- Tu non hai diritto di voto! -, lo sgridò il Cappellaio.
Isabeau afferrò la teiera pensando che era davvero un bel gioco da farsi. Gli esagoni della serra geodetica creavano riflessi tutt’intorno e il verde che aveva scelto per l’erba era così vivace da dare le vertigini.
Provò nuovamente ad afferrare la teiera senza riuscirci. I piani diagonali roteavano ad intermittenza e l’immagine diveniva sfocata.
- Forse dovremmo davvero cambiare di posto dal momento che la teiera non vuole più collaborare -, disse Isabeau con uno sbuffo d’irritazione.
- Stava andando tutto così bene, non trovate? - Ma il Cappellaio singhiozzava, in preda agli spasmi. Il ghiro aveva smesso di russare e la testa della lepre aveva perso il sostegno del collo e ciondolava dietro la schiena.
Isabeau si alzò e provò a schiacciare i pulsanti del proiettore per capire dove fosse il guasto. Sarebbe stata felice di risolvere il problema senza chiedere aiuto. Aveva visto diverse volte la sequenza di riavvio ed era sicura di essere riuscita a memorizzarla.
L'animale più veloce della terra, in proporzione, è uno scarafaggio.

Il ponte

È un formicaio ed io sono un intruso. Camminano a lunghi passi affrettati e non viene scambiata un’occhiata. Il sole ripercorre più volte lo stesso arco di radianti ma orologi non se ne vedono e quei pochi o sono troppo lontani o ne è difficile la messa a fuoco. È per via del calore: la febbre gelida dell’immaginario collettivo. Il traffico sfreccia silenzioso come un torrente di vernice in polvere, con le ombre delle vetture a compenetrare le reciproche velocità relative.

Alcuni abitanti conoscono la direzione; lo si capisce da testa china, espressione desolata. Sono programmi residenti nella memoria alta, daemon del mio subconscio per riempire il centro cittadino altrimenti deserto. A volte un passante si guarda intorno e non si capisce se sia un’ospite giunto da un universo onirico estraneo, un diverso stato mentale rimasto invischiato nell’avvicendamento delle identità, un Es di vite precedenti.

Se provi a chiedere attenzione quello torna in sé e ti licenzia con un gesto stizzito, completando la metamorfosi con un guizzo e un cambio d’abito. Sembra che la maggior parte della gente indossi completi scuri, o almeno sono i soli così omogenei da venir percepiti sotto la volta dei portici, mentre taccheggiano su piastrellati in marmo bianco rosa tinte pastello.

Attraversare una strada, portarsi altrove, raggiungere una qualsiasi destinazione. Una parte di me si preoccupa del ritardo ed un’altra volta ecco il sole regredisce d’una manciata di gradi, quanti ne servono a soffiare sulla schiuma dell’ansia.

Per qualche sconosciuto motivo i semafori non scattano, come se sapessero meglio di me dove e quando è previsto che io prosegua. Se provo a scendere dal marciapiede scatta una selva di clacson e la velocità del traffico si incrementa sull’iperbole dell’accanimento. Non so perché mi riempio di paura quando mi spettina il passaggio di un taxi quando tutto l’insieme predica solenne l’imperativo della normalità.

A un certo punto, se siete già entrati nella mia città, sapete che in fondo al viale, nei pressi della rotonda con erba artificiale, si prosegue nel parco. Ci sono colonne rastremate che fanno male agli occhi, riflessi argentati dell’acqua in lontananza, fuori portata anche gli alberi e gli animali e la gente. Nel parco c’è tutto ma si trova sempre ad almeno cento passi. La distanza sarebbe rilassante con un po’ d’ombra, ma anch’essa dista cento passi e si sposta e si nasconde allo sguardo.

Non ci rimane che superare il ponte e ne saremo fuori. Questa vigliacca città conosce un solo modo per farsi odiare, ma lo conosce bene. La mappa del parco si trova nella sala da tè e dietro di essa quella dell’intera metropoli. Il locale è al centro del parco e i viali sono a raggiera, impossibile non incrociarlo.

Il sole entra da finestre opache e cade sulla mappa che giace a terra, per metà sotto la porta del retro. Non era poi così complicato: il ponte è anticipato da una porta trionfale con statue di soldati nelle molteplici nicchie. Basta uscire, seguiti dallo sguardo riprovevole degli avventori, e scoprire che non l’avevamo scorto per semplice distrazione.

Dietro la mappa si vede la panoramica scattata da un aereo e i monumenti principali sono ritoccati con vernice fosforescente. Si vede il traffico, i portici, la rotonda, il parco, il ponte. Una figura microscopica regge una mappa con due mani a pochi passi dall’arco trionfale. Ci si chiede chi sia e si conclude che è solo una coincidenza.

Il ponte ha traversine in legno d’abete argentato e parapetti in trecce d’acciaio. L’insieme è molto blu, verde e giallo, corroso qui e là dalla salsedine. Infatti il mare cade a strapiombo con onde arrabbiate e stanche a sfracellarsi nel silenzio sottostante. Il singolo borbottio che riecheggia dei lontani boati ora colpisce ora lascia indifferenza.

A metà del cammino incontri lei.

Agile, ginnasta dai capelli legati sorride e balza in avanti perdendosi in chiacchiere. Si parla parecchio, con lei a dire la mia parte è ascoltare e la faccio, annuendo di quando in quando, con l’orecchio imbottito di cascate e gli occhiali spruzzati dal vento. Ci siamo, dice lei, il ponte si restringe, ma non è esatto: in realtà si arrampica pregando sul versante sbiancato di calce. Si erge ed affonda al tempo stesso, col mare impegnato con metodo e costanza a seppellire sommergere occultare.

Lei scala il fianco, raggiunge il palo conficcato sul promontorio e prosegue noncurante. Dal canto mio resisto una volta, due volte al peso di tonnellate idriche. Alla terza ondata l’apnea si prolunga e mi sveglio coi polmoni invocanti la tregua.

Inanello boccate di requie osservando l’alba, col caffè acciambellato sul cumulo dei desideri.

Giullare

Il bruto trafficava con le mani inguantate, nella scatola d’argento.
“E’ un sistema matriciale equivalente!” sentenziò il menestrello di corte, facendo attenzione a non calpestare la stola d’ermellino.
Il sire fece scricchiolare l’armatura cinque volte. Estrasse un calice dalla scatola. Lo scagliò dalla finestra.
“Come vi chiamate?” gracchiava l’ara, volando su un altro dei quattro trespoli che angolavano la stanza. “Come vi chiamate?”
Il saltimbanco rimandò voce dal cortile: “Un domanda pervicace, darei la penna remigale per poterne estrarre la cubica radice!”
Ma il sire non ascoltava e rovistava nella scatola, “Non sciupate il mio sudore. Di lacrime ne ho già pagate a sufficienza senza per questo dovervi ascoltare, o moribondi che state a pianificare i miei interventi, a seccarmi le fauci con l’acetato e il silicone.”
“Come vi chiamate?”
Dalla scatola venne fuori una spada. La ruggine a vorticare fra i campanelli alle caviglie del giullare, che tossiva, menando fendenti con la minuscola cetra.
“Come vi chiamate?”
Era d’argento, la scatola, e cesellata. Il sire ne tirò fuori una cintura, e ne fece un collare.
“Fatelo tacere il volatile, prima che gli spettri mi spezzino il bronzo degli antichi catenacci!” era la voce gioiosa del saltimbanco, ancora alle prese con astronomie dimostrate per assurdo.
“Volete che venga giustiziato, o vi basta che vada a ricordargli l’origine dei suoi tormenti?”
Non vi fu risposta e l’archibugiere ripose la polvere, con grande delusione ed aria afflitta.
“Come vi chiamate?”
I corridoi risuonavano di tacchi e speroni. Il sire parve emozionarsi ma quando vide che era solo un comune otre da pastore se lo gettò alle spalle, come se vi trovasse un gusto delicato nel maneggiarlo con furore.
Il pianto di un neonato era un sussurro che lisciò il silenzio, facendolo collimare negli interstizi. Anche l’ara smise di porre inquietanti domande, com’era solita fare i tutti i primi giorni d’aprile.
Il sire ristette. Si guardò intorno, trovando piacevole il gesto nonostante lo spavento per ombre che fuggivano lontane, in apparenza.
Il prete arringò la sottoveste fino a scoprire le caviglie ed esclamò a gran voce: “Ed ora vi canterò della giostra e di come i cinghiali scoprirono l’affare.” Ma nessuno sorrise né l’invitò a continuare.
Tutti osservavano il sire al suo ritorno verso il trono, che l’accolse di malavoglia. La scatola d’argento giaceva capovolta, svuotata, ai margini del tappeto insanguinato.
L’ara prese lo slancio e sbatté le ali contro la vetrata del salone, finendone sconvolta.
Emise un gemito, il sire, e disse: “Ecco, amici, l’ho trovato!” e mostrò l’ultimo oggetto del suo magro bottino. Un oggetto contundente e scarno ed emaciato luccicava per una somma di circostanze favorevoli. “Eccolo, vi piace?” Ed era Giordano, quell’oggetto che faceva capolino. Ed era il nome del sire, quell’oggetto.

Poliedrico

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"E' la Grande A'Tuin, uno dei rari astrochelonidi provenienti da un universo
dove le cose sono meno di come sono e più come la gente immagina che siano."
("L'arte della magia", Terry Pratchett)
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La pelle tesa e gonfia vibrava sui bordi e in quel punto il sangue fluiva violaceo e svaniva nelle lenta pulsazione delle correnti ascensionali. La mappa dei capillari risuonava in volume del battuto asimmetrico prodotto dagli otto cuori della bestia. Così che le correnti e i cuori e il sangue e la volontà di potere divenivano tutt’uno in uno sguardo perlaceo, invischiati nella mistica del passaggio. Nella magia della dislocazione.

Volava nella notte l’animale: con le trecce nere imbrigliate nei finimenti in lega di berillio, i denti esposti, asciutti, aperti in un ghigno d’esaltazione, le dita percorse da tremiti e improvvisi calori.

L’apertura alare misurava settanta e sette braccia. L’ombra si stagliava in negativo nel buio ed era lunga tre sole braccia. A quell’altezza la poca luce di riflesso si infrangeva sui denti, scivolava lungo le trecce, rallentava per l’attrito con l’indaco dei ritorti, si accumulava sulle punte fino a prodursi in scintille liberatorie ad ogni battito di cuori.

A volte la percezione s’impigliava nelle pieghe del tempo e restava impressa in un luogo estraneo all’esperienza comune. Un neonato veniva svegliato dal suo stesso pianto, un cane abbaiava d’improvviso contro odori immaginari, il cervello di un piccolo mammifero veniva annegato dall’esplosione di un’emorragia.
Il sogno del Poliedrico potrebbe raccontare le sembianze del dragone. Egli conosce le correnti invisibili che scorrono nelle pietre, risolve il tatto nella comunione dei faggi rossi e degli aceri palmati, indovina le frequenze del pensiero dei rapaci notturni.

Il Poliedrico è l’unico in grado di sognare il dragone senza lasciarsi avviluppare dal vincolo dell’emozione e mutare di forma. La disposizione delle sue intuizioni è strutturata secondo le leggi della spirale e niente può interrompere la sua concentrazione durante il sonno senza annichilire nel fragore organico dell’incoerenza manifesta.

Nel sogno del Poliedrico il dragone migra per tempi indefiniti, brevi e lunghi come il ciclo dell’effimera, roteando lungo il bordo della comprensione con movimenti elastici. Giro dopo giro si cala nell’intimo della coscienza e da lì ancora più a fondo lungo il fulcro dell’indeterminazione. Giunge a destinazione e lì i suoi occhi si fanno bui, i denti si ritirano nella carne, gli enfi capillari s’incendiano, gli otto cuori ottengono la sincronia. Le trecce rimangono sospese nel vuoto e vorticano nell’oblio del Poliedrico.

Ecco la bestia torna a volare nella notte infinita del vivere altrove, colpita sul ventre da lacrime di pioggia a lungo invocate. Rientra in possesso dell’ombra con sottomissione, muta direzione in obbedienza al campo magnetico. Ma ora è un altro dragone. I denti sono esposti, gli occhi perlacei, le trecce suonano incensi di colore. Un altro dragone. Un altro specchio nella mente del Poliedrico.
Contro i virus gli antibiotici sono del tutto inefficaci.
Contro i batteri non esistono vaccini.

domenica 15 febbraio 2009

Un suono a 115 decibel provoca danno all'udito. A 160 decibel si perfora il timpano.
Molti riproduttori di musica in commercio permettono uscita in cuffia a volume sonoro superiore ai 115 decibel.

Lettera di dimissioni

Gent.mo sig. Genere Umano,
mi duole con la presente comunicarLe che non intendo entrare con Lei nel 2000.
Con sommo rammarico, dal momento che sono andate evidenziandosi profonde differenze d’opinione nel corso della vicendevole forzata convivenza, mi sento in dovere di abbandonarLa al suo destino dichiarandomi fin da ora estraneo a tutto ciò che riguarda l’atteso passaggio epocale.

È mia ferma intenzione dissociarmi in toto dalla Sua deprecabile abitudine al capodanno e pertanto conto di rimanere nel 1999 a tempo indefinito.

Che sarà mai questo 2000 di cui tutti parlano in termini entusiastici? Quali sono le sue referenze? Che scuole ha frequentato, ha un curriculum di precedenti esperienze formative? Chi ci assicura che abbia le necessaria competenza per ricoprire il ruolo di anno corrente? Non è ancora entrato in servizio e la Genere Umano s.p.a. si è già accollata sborsi enormi per adeguare le apparecchiature informatiche, senza contare gli enormi investimenti stanziati per i soli festeggiamenti di benvenuto.

Il 1999 si e’ impegnato quotidianamente per ben 52 settimane di fila, giorno e notte, sette giorni su sette, al fine di soddisfare le Sue spropositate aspettative. Non mi sembra onesto né virtuoso accomiatarlo con un gesto per far posto ad un nuovo anno venuto fuori dal niente, senza cognizione di causa, del tutto privo di esperienza.

Perché mai dovrei affidare le mie esigenze ad un anno che manco conosco quando ho a disposizione un 1999 consapevole del suo ruolo e ben addestrato alla conduzione di routine dell’ufficio cui è deputato? E poi, lo dico senza vergogna, personalmente agli anni mi ci affeziono e trovo crudele licenziarli proprio alla scadenza del contratto di formazione senza degnarli neppure di un’occasione per dimostrare la capacità di rinnovamento che un anno come il 1999 possiede, a mio avviso, in quantità considerevole.

Come crede che si senta un anno nel vedersi seppellire vivo in un libro di storia alle 11.59 da persone capaci un minuto dopo di festeggiare l’arrivo del suo sostituto? Le confesso che già verso ottobre il 1999 ha diminuito il suo rendimento del 40%, proprio in vista del deprimente traguardo del prepensionamento.

Lei, come amministratore delegato della Genere umano s.p.a., sta sprecando i soldi dell’azienda in aree di mercato a scarso rendimento, pratica una filosofia del business contraria ad ogni sano vademecum manageriale e mette a rischio la fiducia degli investitori incoraggiando una rotazione di personale che si ripercuote direttamente sul grado di efficienza complessiva dell'attività caratteristica su cui si basa la ragion d’essere della nostra società.

Mi permetto dunque di affermare che questa Sua politica aziendale va contro ogni principio di buona conduzione degli affari e con la presente allego le mie dimissioni ad effetto immediato. Darò ampia spiegazione del mio gesto davanti al consiglio d’amministrazione e mi aspetto che Le venga una volta per tutte impedito di nuocere alla società come sta ormai facendo da quasi due millenni a questa parte.

Mi riservo inoltre la facoltà di istituire la Genere UltraUmano s.p.a., operante nello stesso Suo ramo di mercato e con l’intento di farle una concorrenza spietata, qualora le suddette dimissioni venissero accolte dalla maggioranza degli azionisti nonostante il mio invito a privarLa della carica che indegnamente ricopre.

AugurandoLe un felice 1999 SME (Secondo Mandato Esecutivo TM), colgo l’occasione per invitarla all’assemblea degli azionisti, da me indetta per il 31 dicembre 1999, in cui spero si venga a capo di questa imbarazzante situazione.

Azienda certificata OMO3000

Relazione consuntiva sui miglioramenti ottenuti nella Vostra pregiatissima Azienda della certificazione OMO3000.

Egregio Cliente,

ci pregiamo di fornirLe un valido strumento gestionale affinché Lei sia in grado di valutare i significativi miglioramenti che è riuscito ad ottenere avvalendosi della nostra professionalità nel farLe conseguire con successo la certificazione OMO3000.

Abbiamo fatto istaurare nella Sua Azienda un sistema di monitoraggio del feed-back per la soddisfazione del cliente nonché del personale.

Abbiamo indotto i responsabili delle Sue funzioni aziendali a formalizzato le procedure inerenti la Sua filiera produttiva.

Abbiamo aiutato i Suoi dirigenti a formulare un pano di incentivi legato al conseguimento degli obiettivi.

Certi di farLe cosa gradita, restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento e alleghiamo sollecito di pagamento ns. fattura n. 238/475 per un totale di 20.000 (ventimila) castazzi d’omoquatrtrini di tungsteno che risulta ancora in sospeso.

Cogliamo l’occasione per porgere i migliori saluti.

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All’attenzione di: Direttore generale.
e, p.c.: Egr. Sig. Cancelli Dott. Ing. Guglielmo.
Mittente: Cacchiotomo Luigi, Direttore esecutivo.
Oggetto: Postilla al resoconto di fine anno.

Illustrissimo Direttore,

L’OMO3000 è una catastrofe. Mandare avanti la ditta è diventato un casino.

1 - il modulo per la soddisfazione clienti.

a) Venditori.

I nostri clienti sanno che se esprimono pareri positivi i nostri venditori otterranno un premio, viceversa saranno licenziati. I venditori stanno comprando pareri positivi dai clienti per conservare il posto di lavoro. Questo sarebbe poco. Il peggio è che usano i soldi della ditta. I soldi che la ditta spende in premi ai venditori finiscono dritti nelle tasche dei clienti. Risultato: la ditta spende di più per via dei premi ma i venditori prendono lo stesso stipendio che prendevano prima e in più sono incazzati neri.

b) Centralinisti.

I centralinisti hanno scoperto che la soddisfazione cliente, sulla quale viene calcolato il loro premio, è calcolata in base al numero di telefonate che riescono ad evadere al giorno. Sospetto che i centralinisti abbiano cominciato a far finta che cada la linea e che i clienti siano costretti a chiamare decine di volte prima di riuscire a ottenere risposte complete. I centralinisti incolpano l’impianto telefonico e affermano che il gran numero di telefonate è da imputare al controllo qualità della produzione in quanto se non ci fossero prodotti difettosi e manuali d’uso incomprensibili non otterrebbero tutte quelle telefonate. Oltre a pagare premi di fine anno a tutti quanti per l’enorme quantità di telefonate che risultano evase, abbiamo sostenuto ingenti spese per pagare continui controlli e miglioramenti dell’impianto.

c) Controllo qualità.

Il reparto ha iniziato scioperi a singhiozzo e a gatto selvaggio per protestare contro la creazione del reparto supercontrollo superqualità del reparto controllo qualità voluto dalla certificazione OMO3000. Lamentano che nessuno controlla la qualità di coloro che sono addetti a controllare la superqualità del reparto controllo qualità. Inoltre chiedono l’acquisto di un nuovo capannone per archiviare il materiale cartaceo in quanto le diciotto tonnellate di moduli e tabulati prodotti negli ultimi sei mesi ha finito per invadere tutti i locali disponibili e dopo la morte del caporeparto per caduta accidentale di una pila di statistiche chiedono ulteriore sicurezza sul posto di lavoro. Così ci troviamo a preventivare per il prossimo anno ulteriori spese per comprare, oltre agli scarponi con la punta di metallo, l’elmetto in kevlar e i guanti in maglia d’acciaio con la punta delle dita in lattice per poter battere i tasti, anche gli occhiali e la mascherina di protezione contro gli acari che si annidano nei monitor.

2 - Soddisfazione personale.

La soddisfazione del personale è ulteriormente peggiorata. Il sondaggio, eseguito in forma rigorosamente anonima, ha mostrato che i dipendenti stanno peggio che se abitassero alla periferia di Nuova Delhi. A parte le schede con sopra scritte ingiurie all’indirizzo dei quadri e dei dirigenti, i consulenti esterni per la certificazione, al modico costo di altri 10.000 castazzi di plutonio impoverito, sono riusciti a cogliere alcuni miglioramenti che potrebbero aiutarci ad avere dipendenti felici e soddisfatti, il che porterebbe a una maggiore produttività degli stessi. Stiamo dunque approntando le modifiche suggeriteci: deodoranti a spruzzo nei bagni al profumo di OMOquattrini freschi di stampa, distributori automatici e gratuiti di bevande gassate a base di caffeina, saune finlandesi e massaggiatrici professioniste negli spogliatoi, cartelli in tutte le lingue che dicono “La ditta ti vuole bene” in ogni incrocio fra corridoi e un premio in denaro a chi seguirà il seminario facoltativo sull’arte zen di migliorare il proprio aspetto tramite l’uso del saldatore ad elettrodi.

3 -

Ora basta. Non sono pagato abbastanza per fare anche questi resoconti settimanali, mensili e annuali. Non sono soddisfatto del mio rapporto con la ditta. Se domattina non mi fate trovare 5.000 castazzi di magnetite irradiata nel cestino del mio ufficio, in banconote di piccolo taglio non rintracciabili, attiverò tutti i miei mezzi per boicottare la conferma della certificazione al prossimo esame.

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Spett.le CertOMOmatic,

Questa nostra in risposta al Vs. sollecito di pagamento per la fattura n. . 238/475, a comunicarVi che abbiamo arrestato la procedura di pagamento e abbiamo chiesto ai nostri legali di intentarVi causa per danni. Dopo il vostro intervento abbiamo sì ottenuto la certificazione OMO3000 ma abbiamo anche assistito ad un progressivo e inarrestabile declino dei profitti, i nostri migliori dipendenti hanno rassegnato dimissioni e i nostri maggiori clienti sono in gran parte passati alla nostra principale concorrente (non certificata).

Distinti saluti.
Se si viaggia al doppio della velocità non si arriva in metà tempo.
L'acqua potabile che esce dal rubinetto ha qualità organilettiche migliori di quelle di molte acque vendute in bottiglia.
Non esiste una formula in grado di dirci se un numero dato è primo oppure no.
Il motivo per ci cui ci sono più stelle di quelle che vediamo in cielo: essendo l'universo in espansione, gran parte delle stelle si allontana da noi a velocità prossime a quella della luce. Se così non fosse la Terra verrebbe irridiata da una quantità di luce tale da carbonizzarci tutti quanti in un lampo.
Se si accetta una dimostrazione basata su una probabilità inferiore al 100% allora bisogna essere pronti a credere a qualsiasi cosa.
Contrariamente a quanto si crede, orinare sulle punture di medusa è del tutto inutile.
Inserire la prima mentre l'auto indietreggia è possibile.
Inserire la retro mentre la macchina avanza invece no.