martedì 21 dicembre 2010

Anna

ssimo tunnel con i faretti che scorrono al di là del vetro e ti colpiscono le pupille diverse volte al secondo quando sei dentro al tunnel nel centro del tunnel perché vicino alle uscite i faretti si diradano non sono così fitti non mitragliano la luce ma la dispiegano e vedi la luce arancio che entra adagio e ti passa sopra come uno scanner come un volo d'uccello poi esplode la luce vera la luce fortissima del giorno che fa chiudere gli occhi che fa alzare la mano e quando ti abitui guardi fuori e ti aspetti grandi cose sei molto felice di essere uscito dal tunnel infatti io ero così eccitato per essere uscito dal tunnel da aver voglia di parlare con la ragazza seduta di fronte a me la ragazza che è stata per tutto il viaggio con la testa appoggiata al finestrino s'è formata della condensa dove il vapore della sua traspirazione si è incollato al vetro gelido ma non le dico niente perché sono convinto che dorma come non ha mai dormito altrimenti sentirebbe il freddo nel punto in cui la sua testa tocca il vetro gelido e cambierebbe posizione ma il motivo è anche la nebbia da questa parte del tunnel c'è la nebbia non si vede niente non c'è niente da essere felici l'uscita del tunnel si rivela una delusione e da questo momento non possiamo più nemmeno avere percezione della velocità non ci sono faretti solo il bianco quel bianco che ti lascia supporre gradazioni immaginarie mentre aspetti che appaia dal nulla un ostacolo meno male che ho ancora la voce da mandare a rimbalzare contro la nebbia e canto sono l'unico sul pullman che canta e nessuno mi dice di smetterla nessuno dà segni di percepire la mia voce la ragazza di fronte a me non stacca la testa dall'umida tana di condensa c'è chi legge chi dialoga c'è perfino chi sorride ai ricordi così finisco la canzone e la ricomincio fino a quando il pullman frena rallenta il pullman si ferma e le porte del pullman si aprono davanti a una ringhiera davanti al precipizio nebbioso che sta dietro la ringhiera e qualcuno si alza fruga nei bagagli si prepara a scendere qualcuno mi tocca facendomi spaventare è la ragazza della testa sul vetro la ragazza mi dice qui c'è il mare un mare che sale e che scende un mare che entra nelle grotte passa sotto le montagne e risale qui dentro al lago c'è un lago di mare un lago che è mare lo vedi si alza e si abbassa come un respiro di mare la ragazza mi dice queste cose e io non so cosa rispondere rimango zitto a fissarla a fissare la parte della sua testa che è rimasta appoggiata al vetro per tutto questo tempo finché lei annuisce e scende dal pullman e quando la ragazza scende dal pullman la nebbia sparisce cade tutta in una volta come pioggia leggera così leggera da non far rumore si appoggia come una coperta sul mondo e vedo il cielo il lago che è mare vedo il villaggio e i cartelloni pubblicitari le statue fatte di scarti metallici e i turisti le visiere dei berretti le camicie larghe le scarpe consumate sui talloni le macchine fotografiche gli occhiali l'aria perennemente affamata i glutei che ciondolano in un passo da pinguino soddisfatto vedo il sole sento odore di fritto e di salse di sughi di carne alla brace e allora scendo penso siamo arrivati penso finalmente e non so perché mi trovo a pensare finalmente dico a voce alta finalmente siamo arrivati poi corro inizio a correre voglio sentire l'aria che si oppone corro dentro al villaggio evitando gli ostacoli fino a quando non ho più fiato e proprio in quel momento sento la voce di Anna in realtà non conosco nessuna Anna non ho mai sentito prima quella voce ma so che è la voce di Anna e che Anna è una presenza incorporea la voce di Anna dice in questo negozio vendono le opere di non capisco Anna dice un nome straniero pieno di consonanti Anna dice in questo negozio costano dieci volte meno che altrove mi ha incuriosito entro e cerco queste opere lasciando che Anna mi guidi a un espositore di quelli che ruotano e in basso ci sono dei libretti illustrati ne prendo in mano uno si intitola volti nella nebbia la copertina mostra le sembianze di umanoidi spettrali intrappolati in volute di fumo che sembrano fiamme e il nome dell'autore non riesco a leggerlo perché le lettere sono scritte in modo da impedirmelo eppure quello che mi interessa è trovare il libretto mancante sono certo che ne manchi uno e so che è sempre così che quello specifico libretto manca sempre manca anche dove lo venderebbero a un prezzo decuplicato lo cerco con agitazione crescente e sento Anna che dice sono qui perché non mi senti sono qui è così che mi accorgo di non sentirla più quel che sento è solo vento il rumore del vento guardo fuori dalla finestra e vedo piccole nuvole bianche correre nel cielo sono nuvole piccole e molto veloci e subito dietro arrivano nuvole più grosse e pesanti arrivano nuvole scure che hanno le gambe nuvole che camminano e ogni passo che fanno è un tuono le gambe delle nuvole sono fatte di nebbia e il rumore dei passi si avvicina lo vedo dalla finestra vedo gente che scappa al riparo si infila nelle porte dei negozi delle case dei ristoranti tranne coloro che rimangono all'aperto e si chinano a cercare chissà cosa per terra forse gli occhiali una monetina dei documenti importanti forse qualcosa di più prezioso della vita c'è una vecchietta strappa qualcosa dalla terra dal fango dalle fessure tra i sassi non capisco cosa sia forse una rapa forse una cipolla un fungo e la vecchietta alza la testa verso di me che mi giro prima di incrociarne lo sguardo prima di confermare la sua sensazione di essere spiata mi guardo le mani e mi accorgo di chiamare Anna dico Anna Anna dove sei Anna ho trovato il libretto mancante Anna è qui nella mia mano è il libretto mancante lo si riconosce dal

lunedì 20 dicembre 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (33 di N)

Quando c'hai un figlio a un certo punto ti trovi a decidere quali consigli dare. Capisci che qualcuno all'asilo lo chiama ciccio per via che è in carne, non serve essere obesi, basta avere un po' di pancetta e c'è chi lo prende in giro, quando tuo figlio ti dice i miei capelli non sono lunghi, i miei capelli non sono da femmina e tu hai solo detto che è di nuovo ora di dare una spuntata, allora chiedi chi ti ha detto che hai capelli da femmina? I bambini sono così, non lo fanno con intenzione, per ferire, come fanno gli adulti. I bambini ti vedono che magari hai le orecchie a sventola e ti chiamano orecchione, ti chiamano Dumbo, sarebbe strano se facessero finta di niente, ti stringessero la mano, commentassero la prima pagina dei quotidiani. Se tuo figlio ha un difetto verrà preso in giro, punto, non c'è niente che tu possa farci. Soprattutto non c'è niente che tu debba farci se non sperare che sviluppi rapidamente la pellaccia di chi incassa e, quando pensa di aver incassato abbastanza, restituisce con gli interessi. Se incassa di tutto senza mai reagire verrà fatto santo o si farà esplodere in un centro commerciale.

Come reagire, questo gli devi insegnare. Ti ricordi quando eri bambino e sai che se lasci capire che qualcosa ti urta i nervi c'è la forte possibilità che quella cosa venga ripetuta fino a strapparti dal cuore ogni tipo di sentimento. Ignorare è una buona strategia ma passi per debole, è come suggerire di aumentare la dose, lanciare un invito anche a chi fino a poco aveva paura di te a tentare qualcosa di piccolo per poi passare a cose più serie. Le dinamiche sono identiche a quelle che regolano le interazioni fra gli adulti, solo che i bambini non ricorrono a ipocrisie, sotterfugi, menzogne. I bambini sono più simili a un branco di animali che accerchiano una preda fisicamente, senza ricorrere a espedienti più o meno sofisticati. Cosa consigliare a tuo figlio? Vuoi che diventi un compagnone, uno che sta al gioco, che regge gli scherzi, che ride di se stesso e accetta ruoli subalterni nel branco pur di evitare conflitti con i più aggressivi e dominatori? O vuoi che si faccia rispettare anche se questo significherà creare un branco suo o finire isolato? Cos'è meglio?

Così a mio figlio ho detto: se qualcuno ti prende in giro tu digli di smetterla. Se gli dici di smetterla tante volte e quello non smette tu digli uè macaco torna nella giungla. Se ancora non smette digli conto fino a tre se non smetti ti mando all'ospedale. Se ancora non smette riempilo di botte finché non ti prega di fermarti e giura di aver capito. Mi hanno detto tutti che ho sbagliato e allora gli ho detto se qualcuno ti prende in giro lascia che continui fino a quando riesce a convincerti di avere ragione, di avere il diritto di trattarti male. Mi hanno detto che ho sbagliato anche con questo consiglio. Per questo sostengo che quando c'hai un figlio a un certo punto tanto vale che decidi tu che consigli dare, o magari stai zitto o dai un consiglio a caso, tanto i consigli che dai a tuo figlio verranno sempre considerati sbagliati. I padri devono dare consigli di nascosto, bisbigliando, e in seguito negare di averli dati.

Quando c'hai un figlio a Natale c'è la recita. Quest'anno Elia ha fatto il re magio. I re magi erano tutti e tre bianchi e hanno cantato e ballato. Elia era in mezzo agli altri due re magi, entrambi più alti di lui, e le braccia di questi gli finivano davanti alla faccia per motivi di coreografia. Lui stava attento a non infastidire, limitava lo slancio delle braccia verso l'esterno, e gli altri no, con grande spontaneità invadevano il suo spazio senza che lui ne risultasse infastidito. Ecco, più che altro mi ha rattristato il vederlo accettare come normalità un atto di sopraffazione, di certo semplice e involontario, sicuramente privo di chissà quale significato. Solo che mi vedevo in lui, gli dicevo scusa se ti ho passato i miei geni, anch'io come te preferisco fare un passo indietro piuttosto che lottare per il diritto a sbracciarmi come tutti gli altri. Se fossi capaci di convincerti che sbracciarsi più degli altri è importante, dà senso alla vita, farei in modo di insegnartelo. Ma purtroppo penso che siano poche e molto diverse da questa le cose davvero importanti.

Elia schivava le braccia degli altri re magi, cantava con l'entusiasmo di chi sta facendo qualcosa esattamente come gli è stato richiesto, non come chi esegue il compito senza trovarci nessuna motivazione, alcun appagamento. Quando è finita ha pianto, molto sollevato, ha chiesto adesso andiamo a casa? Gli ho detto sei stato bravo, bravissimo. Lui ha detto tu da piccolo facevi le recite? Ho iniziato a ricordare e ho smesso subito, schifato, ho detto sì, le facevo. E tuo papà veniva a vederti? Sì, penso di sì, non mi ricordo ma son sicuro di sì. Ma il tuo papà dov'è? Quando c'hai un figlio devi decidere in ogni momento cosa dire e cosa no, che si tratti o meno di consigli. È morto, è al cimitero. È in cielo, con gli angeli? Sì, in cielo, come ti pare. Dorme con le x al posto degli occhi? Sì, ha anche le x. Ma tu sei il mio papà? Sì, e tu il mio bambino. Ma anche tu allora dormi e poi hai le x sugli occhi? No, io no, io sono un papà diverso dagli altri, io non muoio. Ah, bene, dice lui. Posso mentire a un bambino, penso, anche se è mio figlio, penso, non è così difficile. Quando c'hai un figlio se decidi di mentire non sarò certo io a fartene una colpa.

mercoledì 15 dicembre 2010

Tyrrel P34

Perché scappare? Perché spaccare tutto? Leo oggi evita il centro, per il resto la sua giornata si prospetta identica a qualsiasi altra, compresa la passeggiata dopo colazione. Dal punto in cui si trova scorge le colonne di fumo nero collegate in basso a quel che rimane di silos esplosi, sostanze chimiche che bruciano senza mai esaurirsi, oltre il ponte, sulla destra, col fiume in mezzo così sporco e pieno di detriti da sembrare fermo, e a sinistra la polvere di cemento dei pilastri che reggevano l'autostrada, una spolverata di zucchero a velo che rende piacevole e onirica la scena di devastazione. Leo ha deciso che non permetterà al mondo di rovinargli l'esistenza, sorride e saluta tutti quelli che incontra, lo fa sfiorandosi il cappello, con un cenno del mento, dicendo a voce alta buongiorno. Saluta la signora anziana che si appende a un lungo bastone di legno grezzo e trascina dietro di sé una gamba dal polpaccio gonfio, con le vene in rilievo, e i suoi piedi sono strizzati dentro a un paio di ciabatte luride. Saluta il trio di ragazzi che avanzano ingobbiti, la testa nascosta nel cappuccio della felpa, le mani in tasca e i gomiti in fuori. Saluta il bambino che non è scappato via come gli altri alla vista di un adulto, il bambino che si accarezza il bernoccolo violaceo sulla fronte, il bambino che lo segue stando attendo a mettere i piedi nell'ombra che Leo proietta all'indietro.

Leo non viene aggredito per via di Tyrrel P34, il molossoide brevettato che procede con l'eleganza di una morte istantanea al suo fianco, ottanta chilogrammi di persuasione per gli indecisi, dissuasione per i malintenzionati. La legge ha stabilito che non ci si può ritenere offesi dalle parole del modello Tyrrel, anche se pochi padroni hanno il coraggio di attivare la funzione libertà di parola. Quello che Tyrrel dice è quello che il padrone pensa, così diceva la bellissima ragazza della pubblicità, circondata da cani impegnati a farle i complimenti che i loro timidi padroni non riuscivano a esternare. La donna anziana si ferma immobile e aspetta che la bocca dentuta di Tyrrel sia abbastanza lontana, quindi sputa per terra e riprende la sua guerra fatta di passi brevi e strascicati. I ragazzi cambiano marciapiede. Il bambino niente, il bambino non fa niente di particolare, anche se si capisce che vorrebbe parlare con Tyrrel, si vede da come tiene gli occhi su di lui, da come ne studia i movimenti, coperto e protetto dall'ombra di Leo. Tyrrel che dice 'Spero che quella gamba guarisca', 'Se fossi in voi starei lontano dai guai', tutte cose che Leo pensa davvero, deciso com'è a non permettere che il mondo gli crolli sotto i piedi. 'Vedrai che si sistemerà tutto', dice Tyrrel, e il bambino rimane stupito del fatto che il cane parlante sembri felice, e il bambino decide che li seguirà per un po', di nascosto.

Leo ha preso con sé la sua rivista preferita, quella dove hanno usato una persona a caso per dare un volto al protagonista. Si è chiesto se fosse un caso isolato o se usassero sempre volti di sconosciuti per creare fenomeni mediatici a tavolino. Per un paio di settimane quante volte aveva dovuto ripetere 'No, è solo una forte somiglianza', quando invece era chiaro che gli avessero rubato l'immagine. Un articolo ben fatto, con la sua faccia ripresa in molte situazioni, fotografie ritoccate alla perfezione. Quella in cui indossa gli occhiali per esempio, tutti i riflessi sulle lenti argentate non sono un gioco da realizzare, quella in cui indossa l'ultimo modello di protesi totale per la virtualizzazione sensoriale è perfetta, anche se hanno fatto in modo di riprenderlo sempre di sbieco, così che la percentuale effettiva di faccia risulti sempre al di sotto degli standard richiesti dalla giurisprudenza. Gli ipotetici colleghi in quelle foto chi erano? Persone qualunque come lui, gente al di fuori del circolo elitario della medialità iperespressiva? Aveva assunto un investigatore per indagare sulla giornalista che aveva firmato il pezzo, sulla casa editrice della rivista. Ma ormai, a questo punto non ha più senso starci a pensare. Non esistono più riviste, non esiste più medialità. Forse un giorno si accenderanno i terminali e annunceranno il ritorno a una vita normale. Leo è certo sia questione di giorni, basta tenere duro, è proprio quello che sta facendo, tenere duro.

Tyrrel non ha bisogno di essere portato al parco ma Leo ne approfitta per raggiungere la stessa panchina sulla quale si siede da quando c'è stata la prima esplosione, dall'altra parte del pianeta, il giorno in cui vennero tutti esonerati dal lavoro e invitati a mantenere la calma. La panchina offre la possibilità di godere un panorama in continuo mutamento, mai uguale a se stesso, che continuerà a proiettare fino a quando non si guasterà il sistema di rifornimento autonomo. 'Taci, per favore', ringhia Tyrrel mentre il suo padrone finge di non vedere la mano tesa della donna in sedia a rotelle. 'Non prendo ordini da un cane', dice lei, 'Cosa mi porti oggi?' Leo non è superstizioso. Le bambole, le piume, gli amuleti, i teschi, le pergamene, le bottiglie che una volta erano campioncini di profumo, niente di tutto questo lo turba. 'Non sei una strega', dice Tyrrel, 'Lo sappiamo entrambi'. La donna accarezza la testa del cane, dimostrando il coraggio di un pazzo o di un santo, e dice 'Certo, certo', e ride forte mostrando i denti, sporchi, tutti e quattro, due sopra e due sotto, altri non ne ha. Leo non si ferma, anche se volesse darle qualcosa non ha nulla a parte la rivista e l'anello dati personale, prosegue come niente fosse anche se dietro di lui parte la solita cantilena di maledizioni che gli fa quasi piacere ascoltare. Le consuetudini sono indizi di normalità. Anche il dispositivo per accedere al perimetro del panorama è un indizio di normalità: anche oggi legge l'anello e accetta il pagamento di Leo. È la dimostrazione che non tutto è perduto, le cose si sistemeranno. Leo si siede composto sulla panchina, apre la sua rivista preferita e si dispone a lasciare che il panorama lo rilassi.

giovedì 9 dicembre 2010

Metabolizzare.

ro i circuiti sciolti e il metallo nei cavi si decompone il metallo viene corroso viene corrotto viene infettato dal morbo e diventa muco l'enorme naso di internet cola muco da miliardi di computer collegati al centro al nido al buco nero dell'informazione ammalata oltre ogni possibilità di recupero ecco la verità contagiata dal morbo questo è il metallo che si squaglia questo è il rame che diventa muco dorato con striature di sangue elettrico a colare negli interstizi a bagnare i radiatori a bloccare le ventole cosicché tutto diventi caldo e tutto divenga nebbioso del vapore del fumo bagnato che puzza di ozono dei condensatori tubolari che scoppiano adagio e sbocciano e si gonfiano e si apre la pelle d'alluminio si tira si tende e si offre e si squarcia emettendo pigri rumori di mortifera lussuria affinché ne venga fuori muco luminoso a sfolgorare tra le connessioni di grandi scintille azzurre e piccole scintille rosa più nascoste e fugaci e ricche di ridondanze digitali la testarda passione di un dispositivo meccanico che sviluppa l'iterazione e viaggia a migliaia di ripetizioni al secondo fabbricando precisi tentativi a vuoto in un ciclo virtualmente infinito che invece rallenta e si dipana in transistor liquefatti e involucri svuotati perché il metallo scivola via cade nel vuoto si va sciogliendo nelle schede madri sulle schede video dentro le schede di memoria il metallo nobile sulla superficie magnetica dei tanti dischi così rotondi e lucidi dove il metallo non cigola più non manda più riflessi non è più un metallo che sorride nell'amplesso di una piaga furiosa di scariche che si aggrappa a connessioni temporanee fra catodi e anodi in via di fusione affinché tacciano gli eccessivi e i referenti e vengano azzittiti i pretesti e le ipotetiche così avviene e così si realizza proprio mediante l'esposizione delle saldature e per mezzo della manifestazione di un circuito stampato che nessuno riconosce che non può essere capito perché sono tutti impegnati nell'analisi di effetti visivi e sonori sono tutti proiettati a inventare nuove modalità di percezione tattile con l'ausilio di sensori e vibrisse e speciali protesi mentali che forniranno tutta la conoscenza necessaria alla sopravvivenza della specie e intanto pozzanghere di metallo si addensano sotto le scrivanie e nei vani portaoggetti e nei diversi comparti stagni di intelligenze troppo compromesse dal pu

martedì 7 dicembre 2010

Sassi.

C'era una volta il più grande inventore di sassi che sia mai esistito e il suo nome era Ralph McArthur. Il primo sasso inventato da Ralph, quando aveva solo due anni, si trova dove lui stesso l'ha posizionato e si dice che regga tuttora le sorti di lontani pianeti. Da quel primo semplice sasso Ralph ha compiuto progressi enormi arrivando a farci conoscere e apprezzare i magnifici sassi multifunzione per cui è oggi noto a chiunque nel mondo si occupi seriamente di sassologia. Al tempo dei primi sassi inventati da Ralph non esisteva infatti niente di paragonabile nel campo dell'arte o della tecnologia. Ora siamo abituati a sassi prêt-à-porter, sassi d'equilibrio, sassi morali, sassi a rifrazione meccanica, ma allora esisteva solo un tipo di sasso e non era preso in considerazione, anzi, veniva colpevolmente ignorato da tutti. È dunque grazie a Ralph se a un certo punto ci siamo resi conto delle enormi potenzialità custodite nel sasso.

Il più grande inventore di sassi che sia mai esistito, Ralph McArthur, si guadagnò un anticipo di fama grazie a un articolo sul giornale scolastico all'età di cinque anni, quando espose la sua prima opera sassiforme al concorso interno di scienze applicate. L'articolista dimostrò la lungimiranza tipica dell'età giovanile che va perduta con la crescita e la sua spietata critica nei confronti del 'sasso non magico' ha permesso all'opera concettuale di Ralph di attirare l'attenzione di un collezionista e filantropo rimasto anonimo. Da quel giorno lo studio dei sassi ottenne finanziamenti e Ralph ebbe a disposizione un laboratorio completamente attrezzato dove sviluppare la nuova branca del sapere. È l'inizio del periodo di granito, che viene definito così per l'abbondanza di opere disseminate ovunque e da ogni parte richieste in forza dell'enorme curiosità attivata dal dirompente contenuto innovativo della teoria dei sassi.

È in quegli anni che vediamo la comparsa del sasso eretico, il sasso nostalgico, il sasso neo-empirista, ogni pezzo in serie numerata e corredato di trattato esplicativo. Ma il culmine viene raggiunto con il sasso pesante, da tutti ritenuto la summa del pensiero sassologico. Si tratta della composizione che viene riportata di solito sulle copertine dei manuali e delle dispense universitarie, la teca con i led che lampeggiano e i cartelli di pericolo che ondeggiano. I dottori dicono che fu proprio lo sforzo del sasso pesante a rovinare in modo irrecuperabile, a soli vent'anni di età, la salute fisica e mentale di Ralph McArthur. Dopo aver completato la collocazione del sasso e attivato i complicati meccanismi che governano l'esecuzione dell'azione esplicativa le testimonianze ricordano un Ralph sorridente e soddisfatto ma del tutto scollegato dalla realtà. Da quel momento si è ritirato a vita privata e non ha più inventato nuovi sassi, troncando di netto la conduzione delle numerose ricerche di cui era responsabile.

Si cela dunque nel sasso pesante la risposta definitiva di Ralph alle domande filosofiche che solleva il sasso in sé, al di fuori di contesti esemplificativi. Analizziamo da vicino anche noi, come le migliaia di studiosi che giungono qui da tutto il mondo, il funzionamento del sasso pesante. Vediamo nella teca muoversi come insetti gli automi in un ambiente frenetico dove solo il sasso pesante, posto al centro, rimane fermo a dominare la scena. Ci sono diverse teorie sulla natura del sasso pesante e non è ancora stato trovato un compromesso, per cui se da una parte c'è chi afferma la fissità del sasso, dall'altra c'è chi ne rivendica una sostanza relativa. Uno dei più grandi esperto viventi di sassologia, nel suo ultimo libro, ipotizza che il sasso pesante sia una zavorra mentale atta a impedire la deriva razionalista, una fattispecie di alienazione dove tutto è da ritenersi possibile se non illogico. Il sasso pesante rappresenta senza dubbio il buon senso, una variabile illogica finalizzata all'ottimizzazione delle risorse e alla composizione degli interessi in un campo statistico di possibilità verosimili.

In base a queste considerazioni la vita di Ralph McArthur viene sottoposta a un rigido controllo. I suoi movimenti vengono tenuti sotto costante osservazione e non può fare nulla senza un'autorizzazione preventiva. Con la scusa di provvedere alla sua protezione da ipotetici attacchi di folli e megalomani si teme in realtà che stia progettando la rimozione del sasso pesante, evento che scatenerebbe il panico e avrebbe conseguenze tragiche sui destini del mondo intero. Ralph da parte sua non fa che invitare in tutti i modi possibili a liberarsi del sasso pesante e per questo molti sospettano che abbia perduto il senno. Rimuovere il sasso pesante, anche solo spostarlo di qualche centimetro suona come un sacrilegio, un atto temerario dalle conseguenze imprevedibili. Chi troverebbe mai il coraggio di sfidare l'ignoto, di innescare processi sconosciuti? Solo qualcuno all'oscuro dei più basilari elementi di sassologia si assumerebbe un rischio simile.

venerdì 3 dicembre 2010

Arriva il Natale

(scritto per la simpatica iniziativa del Corriere e leggibile anche qui)

Capisco che arriva Natale senza che nessuno me lo dice perché sto attento alle cose che cambiano e non perché, come dice papà, il Natale è troppo grosso da evitare per un bambino. Gli ho risposto che prima di tutto non sono più un bambino, ho otto anni e mezzo, e scommetto che so capirlo prima di te caro papà quando arriva davvero Natale. Lui ha accettato la sfida e naturalmente ho vinto io. Adesso ti spiego come è andata.

Ho preso un quaderno e ho segnato le impronte che lascia il Natale mentre si avvicina di nascosto. Per esempio i cartelli scritti a mano fuori dalle vetrine con sopra cercasi aiuto. Ho anche indizi che tengo segreti, dei trucchi per vincere facile. Come l'uomo senza un piede che vive seduto per terra, quello con la stampella di legno e il cane che dorme sempre, quello che a volte alza lo sguardo e a volte no, sta lì a fissare i soldi dentro al bicchiere. Ecco, quando mette il cappello rosso vuol dire che Natale ha iniziato a muoversi.

Papà dice che Natale è tutto sbagliato, che Gesù è nato d'estate, che Babbo Natale l'ha inventato il marketing, all'inizio si arrabbia moltissimo per via che sente arrivare il Natale. Dopo si calma e si mette seduto sul divano come quando non ha più niente da dire, come quando non ha più voglia di litigare, e se lo lasci riposare gli passa, si rende conto di non poterci fare niente e allora sorride e gli viene perfino voglia di giocare.

Lista delle cose che annunciano il Natale: i fiocchi colorati, i riflessi su carta metallizzata, il volume della pubblicità, montagne di giocattoli al supermercato, le canzoni alla radio, le luci in centro, i campanellini. Soprattutto la tv. È la tv che agita la bacchetta come un direttore d'orchestra, è la tv che d'estate ti dice che sono tutti in vacanza a divertirsi tranne te, a Natale ti dice che tutti stanno ricevendo doni e affetto tranne te. Così il Natale capisci che arriva nel momento in cui inizi a sentirti triste.

Quando l'ho detto a papà lui si è stupito, ha detto che sbaglio, mi ha preso in braccio come quando vuole parlare sul serio, da uomo a uomo, ha detto ascoltami bene, ha detto ho capito cos'è il Natale una volta sola in vita mia, non c'era aria di festa e nessuno aveva la pretesa di essere felice, lo vuoi sapere cos'è per me il Natale? E va bene, dimmelo, ho risposto. È quando sei arrivato tu, m'ha detto, e ho capito che diceva la verità perché rideva e aveva gli occhi pieni di riflessi, come le palle di vetro dell'albero di Natale.

giovedì 2 dicembre 2010

Rondam [003]

Rondam, 25-02.8651
Li ricevi i miei messaggi? Perché sono ancora qui? Ho le gambe ancora inutilizzabili, riesco a malapena a trovare l'equilibrio per restare seduto ma il tremito alle mani va scemando e sono ottimista. Adesso riesco a scriverti e a inviarti le email di nuovo personalmente. Spero che la giustificazione per avermi lasciato qui sia un impedimento legale connesso alla patologia che mi ha colpito. Sono uscito dalla quarantena da giorni e mi aspettavo di trovare subito un avvocato a parlarmi di quanti soldi per danni potrei sfilare dalle tasche di qualcuno per tutto quello che mi sta succedendo. Ti assicuro che al mio rientro gli avvocati saranno più di uno, la copertura assicurativa per le spese sanitarie ha intenzione di pagare senza protestare o va in cerca di complicazioni? Voglio essere trasferito in un ospedale più moderno di questo ma non riesco a farmi ubbidire da nessuno, non capisco se non esiste un posto migliore di questo dove curare i malati o se il problema è un altro, magari di soldi. A volte sospetto che le mie carte di credito aziendali siano state bloccate ma non mi faresti mai uno scherzo del genere, vero? Mi sento come un verme infilato sull'amo, non è solo la sensazione di aver perso il controllo sul mio corpo fisico, ma anche e soprattutto sulla mia intera vita: non posso più agire in maniera autonoma, non posso più decidere per me stesso, sono in balia dei dottori e delle infermiere. Non so cos'è più insopportabile, se le porose mura screpolate dell'ex convento trasformato in ospedale, se la luce fioca delle lampade a carburante liquido, con quell'odore pungente e dolciastro in grado di monopolizzarti l'olfatto per il resto della vita, la sognerò nei miei incubi di vecchiaia questa puzza, se la costante musica d'organo in sottofondo, in grado di produrre l'equivalente di una perdita d'equilibrio mentale, o le infermiere. Le infermiere che girano di notte nel buio più assoluto e le noti solo per via di unghie e pupille sospese nel vuoto, come lucciole, come stelle perdute oltre i confini del cosmo, e si avvicinano per recitare filastrocche magiche e si levano di dosso i gechi per regalarteli, appoggiandoli in punti delicati del tuo corpo. Come sono finito così? Ricordo solo che stavo comprando uno di quei machete molto decorati che usano da queste parti quando non ho riconosciuto più il sopra dal sotto, non come la labirintite che ho fatto da giovane, no, è qualcosa di diverso. Organizza per favore il mio rientro a casa, l'affare per quanto mi riguarda è saltato, se vuoi darò anche le dimissioni, ti chiedo solo di mettermi sul primo volo di rientro.

mercoledì 1 dicembre 2010

All'università prestigiosa (2*N)

Quando vai all'università prestigiosa ti accorgi che tutti intorno a te sono orgogliosi di essere nell'università prestigiosa. Si vestono in modo consono per non avvilire il fascino delle grandi opportunità offerte con l'ingresso nell'università prestigiosa. Non si chiamano più amici di scuola, nemmeno compagni o camerati, si chiamano colleghi. Quando senti i professori che si riferiscono a persone che non conosci, che sono lì con te solo perché seguite lo stesso corso, che probabilmente ti aiuterebbero solo per mandarti a fondo meglio, che non vedono l'ora di emergere usando come scala i corpi ammucchiati di perdenti e sconfitti, i professori li definiscono tuoi colleghi e tu sai che è solo un appello alla civiltà, come dire non azzannatevi alla gola, se proprio dovete cercate di essere discreti e ricordatevi la distruzione delle prove. Se pensi che sia un ambiente infame che riguarda esclusivamente l'università prestigiosa e che il mondo del lavoro là fuori sia tutto un vogliamoci bene allora scusami tanto se non ti contraddico e ti lascio continuare il tuo comodo viaggio nel mondo dei sogni, forse verrò a trovarti nella casa d'accoglienza dove troverai riparo. Oppure confonderai la solidarietà e la collaborazione con l'affiliazione e l'associazione in branco e raggiungerai i vertici senza problemi, e ti basterà una telefonata per far finire qualcun altro sotto un ponte.

Questo è il primo insegnamento che viene impartito usando una semplice sostituzione di termini, da amico di scuola a collega d'università. Fino a quando non lo capisci sei ancora un liceale fresco di maturità che immagina futuri migliori, sentieri luminosi, destini gloriosi, e nelle pause del suo delirio shopenaur-hegeliano cerca di divertirsi e di sembrare normale quando incontra una ragazza carina. A un certo punto arriva il momento di aprire un libro e capire che usare colleghi non è poi niente di straordinario rispetto al linguaggio che viene usato nei libri dell'università prestigiosa, scritti da professori che hanno un quoziente intellettivo stellare, perlomeno nella parte che riguarda lo sviluppo di un linguaggio oscuro e in grado di massacrare anche l'attenzione e l'interesse di uno strafatto di coca. In quel momento esatto si aprono le nubi sul tuo capo e il raggio laser dell'astronave comprensione ti colpisce in mezzo agli occhi: non sai niente, non sei niente. Dovrai imparare non solo a estrapolare le informazioni rilevanti da questo gomitolo di sintassi spastica, traducendo dal matusaliano vocaboli che ti fanno invecchiare la lingua a pronunciarli, dovrai anche imparare a tua volta a scrivere in accademichese per non far la figura da Li'l Abner, e a parlarlo, possibilmente senza cadenze dialettali particolari, al massimo con accento inglese, ma rigorosamente british, non yankee, mi raccomando.

Alla fine arrivi alla tesi, che è la parte più bella se, com'è capitato a me, il correlatore precisino che ti sta facendo tribolare da mesi per le paturnie che lo assillano per via di contenuti che vorrebbe più compiacenti e metodi di analisi poco ortodossi viene bypassato dal boss, dal titolare di cattedra, che dice 'si stampi' quando lui aveva previsto altri mesi di tagli e rifacimenti. Avevo scelto quel professore come relatore perché lo stimavo davvero, credo ancora adesso che sia una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto, il motivo è che se stai scrivendo per uno stupido scrivi stupidate che tanto è sufficiente così, ma se stai scrivendo per un genio ti preoccupi molto di più di passare per stupido e magari fai un piccolo sforzo ulteriore. La prima scelta era stata in effetti un professore del quale non pensavo granché bene, per fare meno fatica, avere meno seccature, ma il correlatore assegnatomi era ancora più capra di lui, poteva essere diversamente?, s'è mai visto un professore che si circonda di gente più intelligente di lui?, mai sottovalutare la furbizia degli stupidi, se sopravvivono così bene e al posto di estinguersi aumentano un motivo ci sarà. Quando ha cominciato ad annullare gli appuntamenti lamentandosi di continuo dei problemi meccanici con la sua macchina di merda sono andato a cercare qualcun altro senza nemmeno voltarmi a salutare.

Per vendicarmi del sistema scolastico, anni e anni a lasciarmi succhiare tempo e vita dalla noia, dalla prigionia forzata in classi deprimenti, ho inserito qualche chicca nella bibliografia, curioso di scoprire se qualcuno avrebbe mai letto e protestato. Perché la tesi non serve a niente in realtà, non la legge nessuno se non è obbligato, non si viene bocciati alla discussione della tesi, al massimo non si aggiungono molti punti al voto finale calcolato sulla media degli esami sostenuti. Lo studente passa mesi facendo avanti e indietro dalla biblioteca e dall'ufficio del correlatore. Se non sa scrivere, non sa ragionare, non sa mettere insieme questa specie di libro sui generis, non impara a farlo dal nulla. Un conto è ripetere quello che leggi sui libri, un altro è scrivere tu qualcosa che abbia un minimo di senso e di profondità. Da noi, a differenza di altri paesi, non ci sono corsi di scrittura, di ragionamento, di dialettica. Poi scoprono che un sacco di gente se la compra già fatta e non tutti sono casi di somari colti sul fatto. C'è gente che non ha gli strumenti per farla da sé, magari è preparatissimo nella sua materia ma non sa scrivere una tesi di laurea. E i professori lo sanno, per questo chiudono un occhio. Ho visto gente che non saprebbe nemmeno scrivere il riassunto delle sue vacanze al mare discutere tesi scritte da professionisti del copia incolla in biblioteca.

Prima di andare a spendere soldi per truffare il sistema e rischiare processi e figure barbine è meglio provarci da soli. Mi son divertito a scrivere la tesi, devo essere sincero. Era la mia occasione per mandare tutti a quel paese e cavarmela con piena assoluzione, e infatti certi musi lunghi alla discussione quando dicevo questo nobel dell'economia secondo me sostiene cose che non stanno né in cielo né in terra e quell'altra affermazione non sta in piedi senza stampelle ideologiche. Ho abbracciato posizioni controcorrente sui principi cardine della giurisprudenza fiscale, inserito il codice per una simulazione al computer del rischio nei mercati finanziari, messo in discussione teorie ritenute molto solide. Perché comprare una tesi già fatta quando nella tua ti puoi sbizzarrire a tuo piacimento? Non rischi più niente, sei alla fine, di cosa hai paura, che ti guardino storto? Ero così rilassato quando sono arrivato alla discussione che ho iniziato parlando di quello che avevo visto in tv la sera prima, e nessuno trova strana la cosa se lo metti in relazione anche lontanissima con l'argomento della tesi. Quando sei stufo di veder montare quell'aria da puzzetta sotto il naso nei membri della commissione che si aspettano l'accademichese e si vanno convincendo che tu non lo sai usare, è il momento di innestare il modulo divento quasi incomprensibile e far calare il buio in cavità oculari finora illuminate da un divertimento mal riposto.

L'aspetto più gratificante rimane la bibliografia, dove ho inserito titoli come il feticismo degli Zuni, il manuale di perito meccanico che usò mio padre negli anni '50 e le opinioni religiose di Einstein per verificare se qualcuno ci avrebbe fatto caso. La risposta è no, la bibliografia non l'ha controllata nessuno, e se l'ha fatto non ha trovato niente di strano. Sospetto che i membri della commissione non abbiano letto neanche la tesi, limitandosi a sbrigare la faccenda della discussione come una delle tante noiose incombenze legate all'insegnamento universitario. La tesi di laurea è una cerimonia scontata per festeggiare con amici e parenti, non è un esame. Ero l'unico senza mucchi di parenti venuti da chissà dove col vestito della festa, quegli orribili gessati da esselunga, a fare complimenti e omaggiare di regali e mazzi di fiori. Gli addetti alla gestione del parentado, che si occupano di filtrare la folla, di separare laureandi e vecchie zie, di permettere l'accesso all'aula dove il futuro salvatore del mondo sta per dimostrare il suo eroismo a un numero di parenti compatibile con la disponibilità di posti a sedere, in tutto questo io ero da solo, senza parenti, senza amici, senza penne nuove ancora nella scatola, senza fiori puzzolenti, senza manifesti goliardici né feste di laurea colme di invitati. Ho discusso la laurea con due sconosciuti come pubblico e me ne sono andato.


sabato 27 novembre 2010

The Thing's arms.

pita di avere le braccia pesanti come le braccia della cosa dei fantastici quattro solo le braccia diventano di pietra e finiscono a terra o sul tavolo e ti tengono bloccato per via del peso sono grosse e pesanti gran parte di te è ora fatta solo di braccia sei un mostro con il corpo piccolo e le braccia enormi sei un animale deforme la cui mutazione genetica l'ha portato in un vicolo cieco questo stai pensando mentre cerchi di capire la sensazione di avere le braccia della cosa dei fantastici quattro cerchi di capire perché non vedi la pelle dividersi in placche di pietra arancione quando cogli un movimento e alzi lo sguardo e vedi che c'è tua moglie dall'altra parte del tavolo c'è la tovaglia tra di voi ci sono i piatti i bicchieri e tua moglie ti sta fissando e tu pieghi la testa di lato scegli una delle sue pupille di moglie sulla quale concentrarti e ti concentri sulla sua pupilla che è nera che è grande e rotonda e nera e profonda come lo schermo del computer quando giocavi a doom c'erano delle zone della mappa c'erano delle stanze nere di quel nero di pupilla e dal nero dal fondo del nero sbucavano teschi in fiamme teschi urlanti di dolori invisibili che ti inseguivano per scoppiarti addosso e tua moglie abbassa lo sguardo nel piatto e mangia un boccone e quando lo rimette su di te è diverso adesso è come se si fosse ricordata una cosa nostalgica che ti fa venir voglia di deglutire ma non lo fai perché nella tua gola c'è una matassa di filo spinato e dopo aver masticato e inghiottito tua moglie ti dice sei pallido e fa la pausa di una virgola e aggiunge molto pallido col tono di una persona che è suo malgrado preoccupata e si sente in dovere di essere sincera al che tu rispondi non è niente e ci metti la pausa di una virgola e aggiungi devo aver dormito poco e nient'altro perché ogni parola tira pezzi del filo spinato che hai nella gola ma lei si rianima forse pensava che il tuo silenzio fosse dovuto al rancore all'immotivato astio che a volte matura da ghiandole e ormoni maschili e allora ti racconta ti parla ti fa partecipe di ciò che le interessa di ciò che le occupa i pensieri da quando si sveglia a quando si addormenta e forse anche nel sonno le cose che sogna e che al mattino non si ricorda mentre tu fai molta attenzione non vuoi che ti si accusi di non ascoltare e cerchi domande da fare senza trovarle cerchi la prontezza in eventuali risposte da dare anche se è difficile con il vento fuori che manda foglie secche a sbattere sui vetri e le braccia della cosa dei fantastici quattro ancora immobili sulla tovaglia e la mente che ti dice hai sentito questa non era una foglia questa era un passero andiamo a vedere andiamo a controllare e nella tua immaginazione scosti la tenda e tiri un sospiro era una foglia magari grossa e bagnata ma non devi perdere il contatto con la voce di tua moglie con il senso se ce l'ha ancora nelle frasi di tua moglie in ogni singola parola che ascolti con la massima attenzione possibile poi ripeti la scena e non c'è niente da sospirare c'è un passero che sbatte della due la sola ala che non si è spezzata ma tu ascolti tua moglie nessuno può dire che non stai ascoltando anche se fuori c'è vento anche se il rumore delle foglie che sbattono contro i vetri è così affascinante infatti ripeti la scena e te la sei cercata c'è un passero con la testa rovesciata e l'occhio rotondo per nulla sorpreso il becco socchiuso che reca sui bordi tatuato l'ultimo cinguettio e qualcosa dentro di te lo traduce e ti fa sapere anche se non vuoi queste parole potevo volare ma non potevo sorridere e tua moglie si alza si è ricordata di dover dire qualcosa a sua madre va al telefono e sorride a qualcosa a qualcuno forse a te che hai recuperato l'uso delle braccia sono tornate normali le usi per strappare il boccone di pane che giura di avere sapore e per metterlo in bocca senza masticare lasciando fare alla poca saliva che ti riesce di spremere dal filo spinato mentre scappi col pensiero su un'isola tropicale dall'accecante spiaggia bianca che all'alba si riempie di piccoli granchi senza colore che corrono a portare da un buco all'altro i loro piccoli frammenti di informazione muovendosi precisi e scattanti in modo che il messaggio ti rimanga implicito e segreto e più li guardi più rimarresti a guardarli che quando scavano un buco nella sabbia e ci entrano dentro sei convinto che spariscano e vadano in posto bellissimo dov'è impossibile a


giovedì 25 novembre 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (32 di N)

Quando c'hai un figlio sembra ieri che l'hai portato a casa e invece l'anno prossimo va alle elementari, ieri sera ha detto quando faccio così, e addenta per un momento il panino imbottito, mi fa male un dente, qui, sotto, questo. Gli tocchi l'incisivo inferiore sinistro e ti accorgi che balla, che dondola, tuo figlio ha iniziato a cambiare i denti, ogni volta è un piccolo strappo nel cuore toccare con mano le prove del fatto che diventa grande. Sembra ieri che l'hai visto per la prima volta, nella culla di alluminio dell'ospedale, le calzine troppo grandi fissate ai polpacci col nastro adesivo che usano per tenere a posto i tubi delle flebo e dell'ossigeno. Perché c'erano quelle calzine troppo grandi, da dove arrivavano non te lo ricordi, forse un regalo. Le manine chiuse, gli occhi chiusi, il cordone ombelicale che è un'escrescenza violacea un po' ripugnante da disinfettare tutti i giorni fino a che si stacca. Gli tocchi la pelle morbida, nuova, si sente anche al tatto che è pelle nuova, pelle che brulica di vita al punto che ti sembra di vedere la rapida e violenta moltiplicazione delle cellule, tocchi la manina con la punta dell'indice e dici benvenuto, e non riesci a immaginare che possa dondolargli un dente o imparare a leggere. Un dente che dondola, sembra impossibile, forse c'è qualcosa di strano, non è troppo presto? Quando c'hai un figlio non ti senti mai pronto, non ti danno mai il tempo di prepararti a incassare i cambiamenti.

Quando c'hai un figlio pensi che quando diventa grande e indipendente si chiuderà la parentesi che ti ha reso padre, immagini di fare come Charlie Chaplin che messo incinte delle donne anche quando era un matusalemme. Ti dici che c'è dentro di te il ragazzo che eri prima e che si può sempre ripartire nella vita. Il ragionamento che va così di moda nei tratti patetici, vagamente mongoloidi, di chi corre dal chirurgo a farsi tirare o gonfiare la faccia. Il riscatto morale di chi firma nuovi contratti di matrimonio come chi trova il coraggio di andare a comprarsi un nuovo cane, magari un orfanello al canile, dopo che il vecchio fedele ha tirato le cuoia. Ti dicono che non è mai troppo tardi, che la vita comincia a 40 anni, 50, 60, che la vecchiaia non esiste più. A volte mi immagino che sia possibile evitare di crescere, di maturare, di accumulare esperienza, di fare progressi nella scalata alla saggezza. Poi vedo le arzille cariatidi che invadono con artificiosa baldanza il territorio dei giovani veri e mi scappa da ridere. No grazie, preferisco la vecchia scuola, per la quale non rimani giovane ma diventi un uomo di mezza età e poi un anziano che ha fatto quello che ha potuto ed è contento così, non sente il bisogno di rifarsi una vita, non gioca a piangersi addosso, sentirsi un perdente, sconfitto, messo fuori gioco da quella truffa chiamata scorrere del tempo. C'è gente che comincia fin da subito a sentirsi male, a mettersi in attesa del remake, perché si vive una volta sola, perché gli anni non ritornano, perché quello che conta è spremere il massimo. E invece no, qualcuno dovrebbe dirlo a reti unificate, riempire le città di manifesti che dicono 'e invece no', vivi come se la tua vita fosse una sola, la inizi e la porti avanti e la finisci, non esiste il bottone del rewind, non puoi fare taglia incolla, non si photoshoppa l'anima.

Quando c'hai un figlio vai alle riunioni, come ho fatto io ieri sera. Abituato a crollare nel sonno alle nove, afflitto da mal di gola e febbriciattola, sono andato a informarmi perché l'anno prossimo va alle elementari e bisognerà iscriverlo. Ci sono state molte domande, nessuna proveniente da me. Non so perché non mi vengono mai in mente domande da fare. Un padre molto domandoso ha invece chiesto se tenevano i bambini fino a sera tardi, se li tenevano anche d'estate, se avrebbero dato compiti a casa obbligandolo al lavoro supplementare di aiutare il figlio la sera, tornato dal lavoro. Uno di quei padri che sanno come farsi voler bene, e magari si lamenterà per la scarsa frequenza delle visite del figlio quando verrà scaricato all'ospizio. Già me lo vedo a far venire i sensi di colpa elencando tutti i sacrifici che ha fatto per i figli, tutto il lavoro per dar loro benessere e opportunità. E mi sento in colpa per averlo giudicato, mi vien da pensare che forse è meglio di me per un mucchio di motivi che non conosco. Una delle maestre risponde no, pochi compiti ma se suo figlio impara a leggere secondo me è anche bello la sera, ogni tanto, ascoltarlo mentre legge. Lui ha fatto silenzio qualche secondo poi ha detto se uno li vuole iscrivere agli sport o a musica, a danza, deve far venire la baby sitter per i trasferimenti o ci pensate voi? Al che mi è venuto da sbadigliare forte e da tornarmene a casa. Ho guardato la maestra e ho fatto il gesto con la mano che significa 'annamo? svicolo tutta a mancina? levo le tolle? E lei ha annuito, mi ha dato il permesso di andarmene, ma quando mi son girato ho visto la sorella, la madre, la suora seduta di fianco alla porta e ho cambiato idea, sono rimasto fino alla fine.

Quando c'hai un figlio torni a casa dalla riunione e scopri che è rimasto sveglio, che ha aspettato il tuo ritorno, e vorresti dirgli grazie, non c'era bisogno di dimostrarmi niente ma grazie, e invece dici “Come mai non sei a letto a dormire? È tardi.” Succede sempre così, le cose che si dicono nella realtà difficilmente sono quelle che si vorrebbe aver detto, non c'è un regista che grida stop, uno sceneggiatore che riscrive le tue battute, un montatore che mette insieme solo i pezzi migliori.

lunedì 22 novembre 2010

E Aznavour vince per un'incollatura (1 di n)

(prima stesura)

L'ex ippodromo era nel mirino della famiglia Bandelli e della famiglia Ronco per via della possibilità ventilata dal comune di trasformare una parte della struttura in albergo, offerto gratuitamente in gestione all'impresa che avesse realizzato la ristrutturazione, col bonus di un parcheggio sotterraneo a pagamento i cui introiti sarebbero finiti nelle tasche del vincitore dell'appalto. Franco Bandelli e Rinaldo Ronco si erano già incontrati diverse volte per fissare i paletti dell'affare. I loro architetti e i loro commercialisti avevano provveduto alle cifre, riempiendo di numeri svariate tabelle e stilando dettagliati resoconti finanziari. Combattere al rialzo era una follia, significava per entrambi una inutile perdita di denaro, molto meglio stabilire fin da subito chi aveva le armi più potenti, le carte vincenti. Poi c'era la questione del cadavere, certo, ma quella poteva aspettare, come amava dire la buonanima Vittorio Bandelli, certe faccende non scappano da nessuna parte.

“Prima di tutto mi interessa sapere se hai avuto notizie del mio cavallo”, disse il Ronco dopo aver abbracciato il suo unico concorrente meritevole di attenzione. Non c'erano imprese edili in grado di mettere piede nel territorio Bandelli-Ronco senza finire coi libri in tribunale. Per l'invasore si trattava di eventi al limite del paranormale: pezzi di carta che la burocrazia non timbrava accampando scuse ridicole, fornitori che mancavano le consegne lamentando imprevisti, guasti ai macchinari che non venivano riparati nei tempi stabiliti, banche che chiedevano maggiori garanzie o intimavano il rientro immediato dei capitali senza addurre uno straccio di giustificazione. Cose così, eventi inspiegabili che respingevano escavatori e muratori della concorrenza fuori dai confini dell'impero Bandelli-Ronco. “Ti trovo sempre in forma, non invecchi mai”, rispose il Bandelli ignorando l'argomento cavallo. È una frase tipica del Bandelli quella del trovare tutti molto in forma, per nulla invecchiati. La dice a chiunque, in qualsiasi occasione, è la frase che usano per prenderlo in giro quando sono così ingenui o ubriachi da essere sicuri che non verrà mai a saperlo.

L'intervento preso in esame dal consiglio comunale riguarda l'intero complesso: le stalle, i fienili, l'ex convento poi ex-caserma adiacente, i magazzeni, le mansarde ricche di colombari, i depositi ricavati dalla muratura dei chiostri, i recinti dove si praticano non meglio precisate terapie a base di equitazione, gli uffici al momento utilizzati da enti, fondazioni, sedi distaccate, associazioni dalle criptiche sigle che si mantengono riscuotendo tariffe la cui origine si perde nel tempo o coi più banali sussidi statali. Le stalle occupano grosse porzioni dell'edificio principale e costituiscono per intero la lunga costruzione centrale di più recente edificazione. La stalla più grande, ben arieggiata, la più lontana dai rumori del traffico che potrebbero infastidire e rendere nervoso l'inquilino è in questo momento sporca di sangue e bisogna gridare per farsi sentire al di sopra del frastuono succeduto ai colpi di pistola, un tripudio di nitriti sconvolti e colpi di zoccolo ferrato contro i portoncini sprangati. Ci sono due uomini che discutono, facendo attenzione a non mettere i piedi nella pozzanghera di sangue che va allargandosi nel fieno, ignorati dal personale che si comporta come se non fosse successo niente.

“Sediamoci”, dice il Bandelli, e suona come un ordine al punto che il Ronco viene sfiorato dalla voglia di rifiutarsi, così, per principio. Sappiamo entrambi che io sono più grosso di te, questo sta dicendo il Bandelli, e sta dicendo la verità, la sua ditta fattura quasi il doppio. Il Ronco si domina, è abituato a teleguidare il suo corpo da lontano, tenendo nascoste le emozioni, preme un pulsante nella cabina di comando e il Ronco sorride come se avesse otto anni e vedesse per la prima volta il mare, che poi è l'unico momento felice della sua vita che il Ronco possa ricordare. “Volentieri”, dice il Ronco lasciandosi cadere nella poltroncina, “Anche tu mi sembri in ottima salute, pensa che qualche infame mi aveva detto che avevi una di quelle malattie, come si chiamano, ero così in pensiero e invece guardati sei un fiore.” Al che il Bandelli annuisce, fa un cenno al cameriere, dimostrando che non gli importa nulla di quello che il Ronco ha da dire. Il Bandelli parla e tu ascolti, il Bandelli dice cosa è meglio fare e tu chiedi solo qual è la tua parte. Il Ronco si aspettava di venire interrogato, che gli chiedesse il nome dell'infame che andava in giro a spargere letame e invece niente, il Bandelli ordinò per entrambi e disse “Ora, se non ti offendi, ti spiego come stanno le cose secondo me, poi tu dimmi che sbaglio.” Dirti che sbagli, chi avrebbe mai il coraggio di farlo, pensò il Ronco.

I due uomini che discutevano nelle stalle si chiamavano Ferruccio e Marcello, e non riuscivano a venire a capo del dilemma. Il cadavere del cavallo copriva parzialmente il cadavere dell'uomo, bloccandolo col suo peso, la testa e il torace dell'uomo saldamente imprigionati sotto i quarti posteriori dell'animale. Aznavour, dicevano i caratteri gotici sotto le coccarde e i trofei vinti dal cavallo che il Ronco aveva deciso di avere a qualsiasi costo, essendo disposto perfino a scendere a patti col Bendelli cedendogli il lotto dell'ex linificio per meno della metà del valore che avrebbe acquisito dopo la trasformazione in nuova area residenziale. Dopotutto quel valore non l'avrebbe avuto mai, quell'area non sarebbe mai stata inserita nel piano regolatore finché il Bendelli non avesse detto a chi di dovere 'Adesso ti spiego come stanno le cose'. Il cavallo sarebbe stato il regalo perfetto per Gioia, la sua nuova amante, regalo per modo di dire, diciamo piuttosto un giocattolo in prestito temporaneo per garantirsi adeguate prestazioni. Se il Bendelli avesse saputo quali promesse la splendida Gioia aveva distillato nell'orecchio del Ronco per convincerlo a comprarle quella bestia dal nome pretenzioso i termini dell'accordo sarebbero stati molto più sfavorevoli. Ora Aznavour giaceva con gli occhi strabuzzati e la lingua bluastra fuori dai denti. Il cavallo avrebbero potuto spiegarlo, forse, ma trovare una giustificazione per il fatto che sotto ci fosse il cadavere di Tonino era più complicato.

Il Ronco ascoltò in silenzio, sorseggiando il costoso vino bianco e sgranocchiando arachidi e patatine. Il Bendelli parlava lentamente, sottolineando con la voce alcuni sostantivi come 'investimento' o 'rischio e pericolo', alcuni verbi come 'impegnare' e 'onorare gli accordi', alcuni aggettivi come 'amichevole' e 'importante e sicuro'. Il Ronco non sentiva niente di nuovo, i rispettivi avvocati si erano già riuniti diverse volte per trovare un accordo, mancavano solo le loro firme, previste l'indomani nell'ufficio del direttore di banca. Aspettava di affrontare l'unico argomento in sospeso, il cavallo. “A me non interessa cosa c'è scritto nei documenti che firmeremo domani, capisci? Mi interessa che ci guardiamo in faccia e ci stringiamo la mano.” Il Ronco annuisce e si fa serio, consapevole che un'occhiata sbagliata manderebbe tutto all'aria. “La parola di un uomo non ha prezzo, dico bene?”, dice il Bendelli allungando una mano di piatto, mostrando il grosso rubino al dito medio come farebbe un vescovo. Il Ronco svuota d'un fiato il bicchiere, lo appoggia sul tavolo e dice “La parola è tutto nel commercio”, lo fissa negli occhi e gli afferra la mano ingioiellata con entrambe le sue, come farebbe per raccogliere un pulcino caduto dal nido. “Noi faremmo grandi affari insieme se ti decidessi a diventare mio socio”, sussurra il Bendelli con un sorriso ferino. “Te l'ho detto, ci devo pensare, ho delle responsabilità nei confronti della mia famiglia, non rispondo solo a me stesso”, dice il Ronco come se fosse sinceramente dispiaciuto. “Certo, certo, il futuro dei tuoi figli e dei tuoi nipoti, come se diventare mio socio significasse buttarli in mezzo a una strada, farli morire di fame”, il Bendelli guarda altrove, offeso. “Non è questo, lo sai, ne abbiamo parlato tante volte”, si scusa il Ronco, “Ma cambiando argomento, il mio cavallo, sai qualcosa del mio cavallo?”

“Chi ce lo dice a quello, ah? C'eri anche tu quando spiegò il cosa, il come e il quando, ah? Quello ci ammazza, vedrai se non ci ammazza”, ripeteva Marcello, ancora istupidito e incapace di accettare la realtà. “Che cosa ti vuoi inventare? Mica lo potevamo sapere prima, ti pare? Chi ce l'ha mandato questo, piuttosto, tu lo sai?”, disse Ferruccio. “Quanto ci mette? Quanto ci vuole a farci sapere qualcosa? Qua si fa buio. Lo richiamo? Lo richiamo.”, disse Marcello schiaffeggiando le tasche del completo alla ricerca del telefono, “Sempre più piccoli, li fanno 'sti aggeggi, ma dov'è? Dov'è?” Ferruccio era molto più calmo, stava pensando, stava riflettendo, ma non riusciva a far combaciare tutti i pezzi, gli mancava qualche informazione essenziale. Ricominciò dall'inizio, la prima domanda è sempre 'chi ci rimette', è da lì che bisogna partire per capire tutto quello che vale la pena di capire. Se capisci chi ci rimette sei a buon punto, sei molto vicino a scoprire da che parte si deve scappare per rimanere vivi. Più ci pensava e più gli sembrava assurdo, non riusciva a concentrarsi perché da ogni parte rimbombava nella sua testa la voce del buon senso che gridava 'Cerca un cavallo uguale, fai sparire le prove, metti le cose a posto'. Ma aveva già guardato, non c'erano cavalli uguali, un paio simili sì, ma non proprio uguali. “Vale la pena rischiare?”, disse a se stesso. “Eh?”, disse Marcello coprendo il telefono con la mano. “Niente Marce', anzi dimmi, secondo te questo cavallo quanto assomiglia da uno a dieci a quello morto?”

giovedì 18 novembre 2010

Le buche

Le buche si evidenziano abitualmente come depressioni su una superficie altrimenti coerente e priva di tensioni discrete. Altresì non sono rare buche più importanti, deformazioni vistose provocate da una consistente perdita di materiale costitutivo. Il marciapiede che collega via stazione con piazza mercato presenta solchi rettangolari dove le pezze d'asfalto più scuro segnalano scavi recenti nel manto stradale, crepe abbondanti dove le radici degli alberi si sono allungate in profondità, screpolature, avvallamenti, piccoli crateri dovuti al gocciolamento o alle infiltrazioni. È un marciapiede dalla morfologia complessa, costellato dalle macchie di antiche gomme da masticare, da ciuffi d'erba e isole di muschio, da rifiuti, escrementi, tracce sbiadite di vernice. Si verifica la presenza di alcuni tombini, uno quadrato dove tutt'attorno l'asfalto ha ceduto dando forma a canali di scolo che spingono l'acqua piovana, proveniente da una vicina grondaia abusiva, a evitare il tombino, a dividersi in due rigagnoli che l'avvolgono e si riuniscono dietro di esso precipitando infine dal cordolo in una composta, elegante, anche se ridotta cascata. Altri tombini sono rotondi, più piccoli, la forma rotonda è l'unica che impedisce per ragioni geometriche al coperchio di scivolare nel buco comunque lo si posizioni.

Entro spingendo una porta a vetri leggera al punto da far pensare che sia polistirolo mascherato da legno, dipinto da un maestro del dettaglio con pennelli millimetrali. È il mio ristorante preferito, ricordo a me stesso volgendo intorno lo sguardo a riconoscere, a controllare, a verificare che tutto sia dove deve essere. Il vaso dei fiori secchi sul pianoforte con le sue spighe colorate di rosso, le roselline ingiallite dal capo chino, gli steli di foglie improbabili che hanno perso spessore fino a diventare filigrane. Il tavolaccio infinito davanti all'enorme camino, dove c'è sempre posto finché qualcuno riesce a stringersi al vicino, poi non più, e ci si passa il vino e ci si offre il pane chiacchierando di argomenti innocui, masticando i bocconi con tutta la calma necessaria a meditare una risposta accurata. I cani, il giovane che ti lecca la mano e ti appoggia la zampa sulla coscia, il vecchio che rimane sdraiato accanto al fuoco e se accetta un boccone prelibato è solo per farti un favore, lo prende con delicatezza sopportando il mal di denti, il mal di ossa, la nausea per vita che è l'insulto continuo di una morte che indugia. I quadri anch'essi saggi nella loro mancanza di vigore, senza nessuna voglia di stupire, di ammaestrare, se ne stanno appesi un po' sghembi a mostrare acquarelli di ponti su fiumi tranquilli, placide composizioni di frutta in cui la luce proviene sempre di sbieco.

C'è una buca molto vecchia dove il bitume e la pietra si odiano, alla base di un gradino da soglia che non porta a nessun ingresso, un portoncino di marciume verniciato, marchiato da spaccature vistose e tumescenti così antiche da non avere attrattiva neppure per l'insetto meno esigente. Dove in passato ci furono pareti ora c'è un giardino, ma l'accesso è sopravvissuto, risparmiato dalla pena dei muratori, dalla superstizione dei proprietari, dalla distrazione degli architetti o semplicemente da un bisogno di memoria, uno scherzo incomprensibile. La buca rivela dei segni incisi nella pietra, dove il marciapiede si scosta o viene respinto, e questi segni, corrosi quanto sono, non dicono più niente, borbottano i segnali incoerenti degli anziani che si addormentano con gli occhi aperti. Poco più avanti le bocche di lupo, le reti arruggine su grate arrugginite che proteggono da ciò che si nasconde nel buio della cantina, oppure sono lì per impedirci di entrare, di fare pazzie. Si sentono correnti d'aria che sono un respiro odoroso di polvere d'estate e di muffa d'inverno, che ti fanno guardare nel buio oltre la rete e le grate mentre allunghi il passo. Nelle buche si raccoglie la terra, il polline giallo dell'immenso cedro dall'altra parte della strada, ci finiscono oggetti smarriti che sono bottoni rotti, puntine schiacciate, frammenti di carta dai contorni frastagliati, schegge di vetro molato dall'eterno rotolio dell'abbandono, l'insonnia di una febbre che è chiedersi il perché senza trovare mai risposta.

Il mio ingresso fa suonare una campanella e rimango fermo in attesa che appaia la cuoca. Non passa mai più di una manciata di secondi prima che venga fuori sparata dalla cucina con in mano dei piatti o una caraffa, dei bicchieri, delle posate, un cesto di fette di pane. Non è ancora entrata nel salone che il suo sguardo è su di me, mi stava vedendo attraverso le pareti e non mostra stupore si limita a un cenno delicato del capo, comprensivo, un sorriso che non ha paura di mostrare qualcosa di intimo e sincero, un organizzazione dei movimenti che rivela totale disinteresse per i problemi che tormentano la gente comune, uno sguardo che ha smesso da tempo di arrendersi a qualsiasi disagio. Mi vado a sedere e prima di rivolgere l'attenzione ai presenti mi concentro sugli spari e i fischi dei ciocchi sugli alari, e mi sgonfio, e dimentico. Mi separo dalle sciocche polemiche dei militanti, dagli stretti orizzonti dei predicatori, dalle argomentazioni insidiose degli squilibrati, dall'arroganza dei sobillatori, dalle pretese degli ipocriti, dalle menzogne degli arrivisti. Penso alle mani della cuoca, arrossate dai forni e dai vapori, ammorbidite dai sughi e dagli unti, odorose di spezie e di primizie, nodose e precise, fragili e rapide. Penso ai capelli della cuoca, legati e racchiusi nel canovaccio di cotone a righine usato come foulard, al disegno delle ciocche invisibili, alla tensione che muove le forcine quando piega la testa. Penso al fuoco e anche al basso soffitto con le travi a vista, agli oggetti sulle mensole, ai mattoni del pavimento. E con gratitudine dimentico.

martedì 16 novembre 2010

Sono andato alla gita.

Sono andato alla gita con il pullman e mi sono divertito molto. Punto. Mi è piaciuto andare alla gita e quando sono tornato l'ho detto a tutti, anche al signore che sta sempre fuori dal negozio a fumare. Il suo negozio è sempre vuoto quando ci passo davanti guardo nella vetrina e dentro al negozio del signore che fuma non c'è mai nessuno. Non lo so come fa a resistere, il negozio vuoto mi mette tristezza, forse è per quello che se ne sta fuori dal negozio a fumare, per non sentirsi troppo triste. Una volta ho sentito dire questa cosa dell'elefante. Si dice che non si vede l'elefante dentro alla stanza. Mi piace molto dire questa frase quando mi sembra di essere l'unico a vedere l'elefante. Il significato dell'elefante è che stai avendo una luci nazione, che vedi cose che non esistono. Ecco perché lo saluto sempre col sorriso il signore che fuma fuori dal suo negozio sempre vuoto, perché mi sto immaginando un elefante. Lo dimostra il fatto che il signore mi saluta tutto allegro come se il suo negozio di solito fosse pieno di clienti e proprio quando passo io, guarda la coincidenza, per combinazione è uno dei pochi momenti della giornata che è vuoto.

In pratica mi è piaciuta molto la gita perché non ho visto elefanti. Ecco. La parte più bella della gita è stata quando non c'era più l'autista, non si trovava più l'autista, l'autista era andato via e nessuno sapeva dove. Ho riso moltissimo ma senza farmi scoprire perché capisco come ci si deve comportare. Se tutti sono arrabbiati e preoccupati, se tutti si lamentano e si agitano non puoi metterti a ridere nemmeno se sai come spiegare cosa ci trovi di divertente. È come l'elefante, quello che trovi divertente tu scopri che agli altri non fa ridere per niente. Ho riso forte dentro di me anche per via del fatto che dicevo ma è assurdo, ma dove sarà finito, non si fa così, questa è proprio bella. Insomma giocavo all'agente segreto, da una parte mi scandalizzavo in compagnia dall'altra facevo il tifo per l'autista dicevo scappa autista sei libero corri. Ho avuto un momento di panico quando mi è venuto il dubbio che tutti stessero facendo come me, stessero simulando per obbedire a qualche ordine impartito da un genio del male che preme tasti su un telecomando e ci fa fare cose di gruppo, ci fa risalire i torrenti come ai salmoni, ci fa agitare torce e forconi contro chi si rifiuta di ignorare l'elefante nella stanza, scatena il panico nelle mandrie per farle andare dove desidera. Davvero ci imprta qualcosa dell'autista, ho pensato, perché non scendiamo dal pullman e ce ne andiamo via? In quel momento è comparso l'autista e quando è salito sul pullman hanno fatto tutti silenzio e quando ha acceso il pullman l'abbiamo festeggiato con un grande applauso.

Di solito le gite non mi piacciono ma questa mi è piaciuta per tanti motivi che non posso dirli tutti, ne verrebbe fuori un elenco noioso. E basta. Uno dei motivi è che è durata poco. Quando siamo arrivati faceva freddo e pioveva e dopo un po' si è capito che si voleva tornare a casa. Così siamo stati praticamente tutta la mattina sul pullman e ho guardato fuori dal finestrino e forse ho dormito un po'. Quando il signore che fuma fuori dal suo negozio vuoto mi ha chiesto perché mi è piaciuta la gita non sapevo proprio cosa rispondere così gli ho detto perché non ho visto elefanti e lui ha riso come se fosse la cosa più divertente che avesse mai sentito dire in vita sua. Poi ha tossito fino a diventare tutto rosso in faccia e quando si è ripreso ha detto è meglio che torno dentro a lavorare. In quel momento ho pensato che quella era la cosa più divertente che io abbia mai sentito dire in vita mia eppure, inspiegabilmente, non ci ho trovato niente da ridere. Ha cercato di toccarmi sulla testa ma io sono scattato indietro e lui si è ricordato che detesto venire toccato e allora ha sorriso e ha allungato la mano. Stringere la mano va bene, si può fare. Non ho detto che tipo di negozio è, lo davo per scontato. È un negozio barba e capelli, di quelli vecchi che ho visto solo nei film. È l'unico negozio del genere rimasto nel raggio di qualche chilometro o di qualche anno luce. Descrivo il negozio: ci sono due poltrone da barbiere, un grande specchio, un calendario. I muri sono colorati di tinta verde chiaro, forse un po' sul giallo o sull'azzurro. Il signore indossa un camice con i manici delle forbici che spuntano dal taschino e pettini di varie misure.

La gita è stata così bella anche perché è l'unica gita che non saprei dire dove siamo andati a farla. Siamo arrivati, abbiamo parcheggiato, siamo scesi, ci siamo rifugiati dentro a un bar per via del freddo e della pioggia, siamo risaliti sul pullman, abbiamo aspettato il ritorno dell'autista scomparso e siamo tornati indietro. Dove siamo stati in gita non lo so, per rispondere dovrei andare a leggere il nome del posto sulla fotocopia che ci hanno dato da portare a casa la settimana scorsa. Lo so che dovrei dire che questa gita è stata un fallimento, che non c'è stato niente di cui andare orgogliosi, che come gita tutti si aspettavano qualcosa di meglio. E infatti io sono d'accordo al cento per cento, stavo solo parlando dell'elefante, so benissimo che non c'è, volevo solo fare una verifica, se anche voi non lo vedete allora è tutto a posto, io infatti non lo vedevo neanche prima, facevo finta, anzi non l'ho proprio mai visto, ci siete cascati. Per cui cara maestra sappi che la gita non mi è piaciuta, che ho avuto paura per l'autista che fosse sparito per sempre e saremmo rimasti bloccati lì fino alla fine dei tempi, che al ritorno ho dormito male per via di come è andato tutto storto rovinando le mie splendide aspettative. E se dappertutto c'è gente con il mento rasato e i capelli in ordine vuol dire che il signore che fuma fuori dal suo negozio lavora quando io sono a scuola, non posso certo stare tutto il giorno a controllare chi entra e chi esce, le pare? Niente elefanti. Questo è quanto.


mercoledì 10 novembre 2010

Odori.

ori soprattutto gli odori i profumi le esperienze olfattive perché il mio naso era morto per colpa del fumare il mio naso era in coma nel buio di una puzza di fumo continua e costante e con gli odori anche i sapori se ne vanno perché i sapori non esistono da soli senza il naso i sapori sono solo acido dolce salato e così ho scoperto che c'è ancora un naso sulla mia faccia e che funziona sento gli scarichi delle macchine sento le foglie bagnate sento i capelli lavati le cicche americane il lucido alla cera d'api sento il pane sento la cipolla vecchia nell'androne e l'asfalto la vernice il disinfettante e sento gli acidi di stomaco delle invidiose i denti non lavati dei lazzaroni il grasso sulle dita dei meccanici il naso mi sta facendo impazzire non riesco più a sopportare le aggressioni delle correnti d'aria non sono più abituato alle ondate molecolari di una porta che si apre di un corpo che si toglie il cappotto riesco a visualizzare le particelle chimiche che si sprigionano all'intorno spinte da differenze di calore vedo spirali e onde e sciami di insetti disturbati è così che vede il cane mi chiedo è così che vede il cieco il pipistrello perché io mi muovo in mezzo agli odori ci nuoto in mezzo li evito e gli giro intorno o mi ci tuffo dentro perché azionano meccanismi mi riempono la bocca di saliva mi brontola lo stomaco oppure mi lacrimano gli occhi mi spingono alla fuga come fate vorrei dire ai passanti come fate a vivere così io non fumo da una settimana e sto per venire annientato dagli odori dai profumi come fate a vivere così io ho questa cosa sulla faccia che è il mio naso e il mio naso non posso ignorarlo senza ricorrere alle sigarette alla pipa il mio naso dice solo la verità non sa mentire come fate voi a vivere così il mio naso è Dio che mi appare in un cespuglio rovente e mi dice non hai nessun posto dove scappare perfino i sogni hanno ricominciato a odorare abbiamo un sacco di parole per la vista il tatto il gusto ma per il naso abbiamo solo profumo e puzza e questo dimostra che c'è qualcosa che non funziona che abbiamo paura dell'olfatto e stiamo cercando di liberarcene come di un senso di colpa ancestrale una traccia odorosa che ci portiamo dietro da secoli e che potrebbe condurre da noi i predatori il naso ci ricorda che siamo animali che siamo semplici che siamo stupidi il naso non ci piace ci impedisce la vanità l'ambizione l'orgoglio il sogno ma tutti questi odori come faccio non voglio ricominciare a fumare ma questi odori sono così tanti sono così forti sono così belli e tremendi da far

venerdì 29 ottobre 2010

Rat Today

Nuova offensiva degli umani nelle province orientali. Situazione disperata.

Baxter: attacco e distruzione in piena notte.

Il Capo Franz: voglio poteri speciali. Dougrat attacca: inutili le trattative diplomatiche.

Dal nostro inviato – Continuano i massacri e le distruzioni a Baxter, Massachusetts. Le macchine movimento terra degli umani hanno ripreso i lavori durante la notte, cogliendo di sprovvista la popolazione. Colpito anche il mercato: decine le vittime, centinaia i feriti. Mai prima d’ora le ostilità hanno avuto luogo durante il periodo che gli umani dedicano al riposo.

Per loro non si tratta mai di vincere o perdere”, ci informa il Colonnello Dougrat, responsabile delle operazioni sul campo; “Si tratta solo di quanto tempo di metteranno a distruggere questa o quella fra le nostre città”. Gli umani hanno infatti definito l’episodio come “lavoro straordinario”. Pare che vi saranno premi per quelli che riusciranno ad abbreviare i tempi della guerra, lavorando anche di notte. Baxter si appresta dunque a subire attacchi continui e sempre più intensi. Questo significa che diventerà ancora più difficile per gli uomini di Dougrat compiere azioni di sabotaggio nel tentativo di indurre gli umani a porre termine al conflitto.

Le decisioni prese dal capo dell’esecutivo degli umani avranno come conseguenza un incremento nel livello di asprezza del conflitto in corso. Le nuove opere di fognatura volute dal Sindaco Merconi stanno distruggendo secoli di storia ratta a Baxter e l’intera comunità Brownie locale rischia di andare incontro a un disastro economico e sociale senza precedenti.

Abbiamo intervistato il Capo Franz che afferma di aver già predisposto campi di accoglienza per i profughi nei pressi della discarica e torna a chiedere poteri speciali al Governo Federale per poter ordinare il ricorso ad armi più potenti ed azioni più incisive contro gli umani. Durante la conferenza stampa si odono applausi svogliati da parte di una rappresentanza della popolazione ormai stanca di una situazione intollerabile. Le tubature che portano verso la periferia sono quotidianamente percorse da intere famiglie in fuga dalla metropoli, alla ricerca di maggior fortuna in campagna, con la speranza di ricostruirsi una vita lontano da Baxter.

Il colonnello Dougrat, responsabile delle operazioni sul campo, si schiera apertamente dalla parte del Capo, condannando duramente gli inviti all’utilizzo di trattative diplomatiche. “Non si può scendere a patti con gli umani!”, proclama a gran voce il militare, “Abbiamo prove evidenti che gli umani sono animali privi di raziocinio, dediti solo a provocare morte e distruzione. So di cosa parlo.”

Dougrat era capitano ai tempi della guerra di Ashland, dove visse sulla propria pelle una situazione analoga a quella che sta vivendo ora a Baxter. Nonostante siano ormai trascorsi ormai più di vent’anni, tutti ricordano il rinnovo del sistema fognario di Ashland, con il novero sterminato di patrioti che hanno perso la vita nel tentativo di salvare la popolazione civile di ratti Brownies che si rifiutava coraggiosamente di abbandonare quella Patria così ricca di arte e cultura, dall’economia fiorente e sede della rinomata università di Lord Musch, voluta e realizzata dai Padri Fondatori all’inizio dei tempi.

Per domani (n.d.r.: oggi per il lettore) è stata fissata una riunione del Consiglio in seduta plenaria dove si discuterà del modo più opportuno di affrontare l’emergenza. Capo Franz è sempre dell’idea che dietro al comportamento degli umani ci sia un disegno dei Blackies e del loro astuto Subcomandante Magros. È probabile che il Capo approfitterà dell’occasione per chiedere nuovamente al Governo Federale l’autorizzazione all’uso del deterrente chimico e batteriologico per sfoderare un attacco definitivo nel territorio dei Blackies.

Toltarjs, l’ambasciatore dei Blackies insiste nell’affermare l’assoluta estraneità del suo popolo e di Magros in particolare. “È fuori da qualsiasi buon senso ipotizzare che esista un Gatto e che risponda agli ordini del nostro Subcomandante ed è addirittura pazzesco pensare che gli umani lavorino per i Blackies. Ad ogni modo si sappia che il mio Paese reagirà in modo estremamente duro ad un eventuale attacco immotivato da parte del Governo dei Brownies.”, ha fatto sapere l’ambasciatore Toltarjs per mezzo di un comunicato ufficiale.

Nel frattempo cresce il malcontento generale e si temono disordini nelle strade di Baxter. Tanto più che, stando a fonti giornalistiche ritenute affidabili, i servizi segreti hanno scoperto l’arrivo di un camioncino umano sospetto nell’area della discarica. Due individui umani si aggirano nei dintorni ispezionando il territorio per mezzo di complesse apparecchiature, proprio come se sapessero dell’esistenza dei campi profughi Brownies in zona e cercassero di determinarne l’esatta ubicazione al fine di provocare ulteriori danni alla popolazione civile.

Donne, vecchi e bambini, già scampati una volta al destino di una fine cruenta e immeritata rischiano forse un’ulteriore occasione di finire nel mirino degli umani. La decennale presenza minacciosa dei Blackies, guidati da un odio cieco nei confronti dei Brownies e sempre pronti a violare le frontiere per ingaggiare battaglia, non migliora certo la situazione.

Prosegue l’indagine sui misteriosi disegni apparsi nelle vasche di cultura idroponica.

Due gemelli: “I disegni sono opera nostra.”

Ma vengono subito smentiti dagli esperti: “Non sanno farne di uguali agli originali”.

Baxter – Gli scienziati le hanno battezzate “Spirali di Fibonacci”. Si tratta dei disegni formatisi misteriosamente nelle vasche idroponiche del nuovo complesso per la produzione agrobiologica, ultimato l’anno scorso. Potrebbe essere uno scherzo quello che ha tenuto impegnati per settimane esperti e studiosi pervenuti in loco a studiare il curioso fenomeno. Due gemelli adolescenti, Mark e Johnny, hanno confessato di esserne gli autori: “Volevamo fare uno scherzo a Marghy”, la sorella maggiore.

Gli esperti però concordano sull’impossibilità di tale ipotesi. I falsi, infatti, mancherebbero delle caratteristiche specifiche che invece caratterizzano i pittogrammi originali. Le Spirali di Fibonacci sarebbero opera di una tecnologia superiore, probabilmente di origine aliena, in quanto nessun ratto, Brownie o Blackie che fosse, riuscirebbe mai a concludere tali opere in così breve tempo.

Per verificare le testimonianze, i ragazzini sono stati invitati a riprodurre uno dei disegni e si è scoperto così che non solo gli steli erbosi di soia vengono spezzati – e non piegati da una forma di energia sconosciuta come succede negli originali – ma al termine del lavoro non si rilevano nei dintorni le anomalie di campo elettromagnetico che invece promana dalle Spirali autentiche.

Alcune testimonianze parlano di sfere volanti ma, come le voci sulle fantomatiche pupille verticali rosseggianti del Gatto, vengono ipotizzate essere il frutto di autosuggestione. Sul posto abbiamo incontrato e intervistato alcuni dei sostenitori delle teorie aliene. “Le Spirali sono un messaggio che ci viene dalla costellazione del Grillotalpa”, afferma Marvin Lobster con convinzione. “Ha ragione,” aggiunge Rebold Debussy e, puntando un dito verso la Spirali: “Presto dimostrerò che sono le istruzioni per sconfiggere il Gatto.” Il Gatto? “Certo! Esiste ed è guercio perché io l’ho vista quella pupilla fiammeggiante e non sono pazzo!”

Per il momento possiamo solo dire che gli esperti continuano a studiare l’evento e che molti di loro sono propensi a ritenere che, nonostante i ragazzini siano risultati estranei alla vicenda, ci sia una spiegazione logica e plausibile che nulla ha che vedere con alieni e gatti guerci.


giovedì 28 ottobre 2010

Temple Grandin.

Ieri sera ho visto un film sulle mucche, o meglio un film sulle mucche è ciò che ha visto la parte di me che si identifica immancabilmente con i personaggi autistici. Per essere precisi affetti da sindrome di Asperger, una forma lieve di autismo che, a differenza delle forme gravi, permette una vita normale, se per normale si accetta il considerare marziani tutti quelli che ci circondano. Sì, per gente come Temple Grandin sono tutti gli altri a non essere normali, e mi stupisco della prontezza e convinzione con le quali sarei disposto a darle ragione. Non si tratta di autismo alla Rain Man, dove è non solo consigliabile ma necessario il ricorso a un istituto che eroghi servizi alla persona adeguati alle problematiche di malattie che impediscono l'autosufficienza.

Sono numerosi i film, i libri, addirittura serie comiche televisive come The Big Bang, con quelle fastidiose risate fasulle in sottofondo che ricordano i Jefferson, a utilizzare le caratteristiche dell'autismo, nello specifico l'autismo lieve dell'Asperger, per stupire un pubblico di 'normali' che non solo trova difficile comprendere come ci si senta ma trova anche parecchio buffa la situazione di chi è invece affetto da questa, come chiamarla?, patologia?, è davvero una patologia l'insieme delle caratteristiche che da una parte esprimono limitazioni nel campo delle capacità di relazionarsi su un terreno emotivo e sentimentale, dall'altro rappresentano però l'utilizzo di capacità intellettive specifiche immensamente superiori alla media.

Addirittura comincia a farsi spazio l'idea che la sindrome di Aspergen sia ciò che caratterizza persone che sono state in grado di perseguire obiettivi con una costanza, una dedizione e una pervicacia rese possibili solo dal ricorso a condizioni patologiche legate all'autismo. Se uno ha successo si ipotizza abbia l'Asperger e ne abbia tratto vantaggio a sapito degli sfortunati concorrenti, se fallisce di sicuro non ce l'ha ed è un semplice malato mentale da compatire, ecco più o meno il criterio 'scientifico'. Non si capisce se persone come Temple Grandin sono autistici che si avvicinano alla normalità o persone normali che indulgono nell'autismo così come si cade in una psicosi. Siccome non sanno come venirne fuori, gli psicologi si aggrappano al solito Freud e tirano in ballo carenze affettive materne in episodi infantili. Spesso vorrei che Freud fosse vivo per scrivergli una lettera di insulti.

Temple Grandin, per esempio, teme le porte e il contatto fisico. Basta questo a fare di lei un'autistica mancata? Manie, fobie, ossessioni, fastidio al contatto fisico, tutto ciò diventa patologia quando scatena reazioni isteriche o ansia incontrollabile. Personalmente odio gli ascensori ma li uso, provando tutta una serie di impressioni spiacevoli ma li uso. Stringere una mano per me vuol dire trasferire sulle rispettive dita chissà quali batteri potenzialmente letali ma se devo stringere la mano di uno sconosciuto la stringo e sorrido nel farlo anche se mi fa un po' schifo. Quanti gradi separano un 'normale' da un autistico? Se tutti fossimo come Temple Grandin cosa penseremmo di chi sente il bisogno di contatto fisico al punto da star male e sembra del tutto incapace di fare cose che per gli autistici sono normali attività quotidiane?

Il lavoro svolto da Temple Grandin con le mucche non ha significato e importanza solo per il fatto che ha migliorato la qualità della vita di animali destinati al macello. Non è impressionante solo perché ha dimostrato che una gestione efficiente del processo produttivo, e quindi una migliore struttura dei costi, passa anche attraverso modelli atipici di osservazione laterale attuabili solo mediante le, se non superiori, certo diverse capacità, non solo in termini analitici, di una 'mente autistica'. L'esempio di Temple Grandin racconta qualcosa di più fondamentale, spiega con i fatti che forse è sbagliato giudicare una persona normale o anormale in base al suo grado di autismo, partendo dal presupposto che normale sia chi abita l'estremo della completa mancanza di sintomi autistici. Piuttosto normale è chi sta da qualche parte nel mezzo, e se un autistico è malato, allora lo è anche chi non lo è affatto. Come chiamiamo la malattia che sta all'opposto dell'autismo?

mercoledì 27 ottobre 2010

All'università prestigiosa (1*N)

Quando vai all'università scordati tutto quello che pensi di aver imparato, non ti basta nemmeno per superare l'esame più semplice. Specialmente se hai scelto un'università prestigiosa, dove per un esame devi imparare dai 5 ai 10 libri, o meglio se lei ha scelto te, perché c'è una selezione all'ingresso, un test che misura il tuo quoziente intellettivo e la tua cultura generale. Almeno così funzionava ai miei tempi, prima della laurea triennale e dell'abolizione del servizio militare. Il voto che hai preso alla maturità conta per il 50%, e se ti presenti col voto massimo, lode e abbraccio del commissario probabilmente hai studiato al sud, non lo dico io, lo dice l'Istat. Ci sono anche parecchi trucchi per non pagare la retta e le tasse universitarie che io non ho mai sfruttato perché il costo dello sbattimento mi sembrava superiore al risparmio ottenibile. Sei abituato a professori che ti conoscono, al bidello che vi date del tu, a un ambiente abbastanza user friendly, e ti ritrovi all'università. Se è un'università prestigiosa probabilmente i terminali per registrarsi agli esami funzionano e il bar non sembra un porcile: è il motivo principale che mi ha fatto optare per la Bocconi. Un altro motivo è che pensavo fosse il posto giusto per imparare a fare i soldi, se hai i soldi puoi fare quel che ti pare e piace, non vale il viceversa.

La prima cosa che ti fa capire di essere in un mondo diverso, in cui non conti niente, è che sei tu a cercare la classe dove si tiene lezione e non il professore a venire da te. Il professore arriva un quarto d'ora dopo e va via un quarto d'ora prima, questa abitudine ha anche un nome, si chiama quarto d'ora accademico. Se arrivi da lontano magari ti sei alzato all'alba e quando entri in classe scopri che intere file di posti sono state già occupate. Funziona così: un gruppo di amiconi che abitano vicini all'università si mettono d'accordo, a turno uno di loro si alza presto e occupa file intere di posti. Sono quelli che poi trovi al bar che giocano a carte e quando ti vedono ridono perché tu sei classificato provinciale, non abiti in città e quindi sei poco più che un contadino analfabeta agli occhi di questi giovani rampanti metropolitani. Hai un accento che ti identifica subito come cerebroleso che è riuscito a intrufolarsi nel circuito della Milano bene, la Milano da bere. Come quando dici di essere di Sesto San Giovanni o Cinisello Balsamo, devi trovare i tuoi simili e aggirarti ai limiti del territorio dominato dai residenti limitrofi, a meno che uno di loro decida di darti un lasciapassare in cambio di una relazione sentimentale.

Oppure no, sono io che sono un misantropo e trovo sempre qualche motivo per trovare chiunque insopportabile. L'università era anche un modo per ritardare la chiamata alla leva, potevi rinviare la naja fino al ventiseiesimo anno, bastava dare qualche esame ogni anno. Spaccarsi la testa e sacrificare anni di gioventù per finire l'università a 23 anni e partire a militare mi sembrava una cosa da pazzi. Tanto più che al ritorno iniziavi a lavorare a 25 anni, ti ritrovavi cotto e mangiato ancor prima di capire perché eri così folle da tenerci tanto. Ogni tanto mia madre a dirmi sai il figlio della mia amica si è laureato a 22 anni, e io facevo finta di invidiarlo, dicevo caspita bravissimo che genio e dentro di me pensavo che babbeo. Quelli come me il ministro li chiama bamboccioni, l'accusa è quella di ritardare i contributi che con il nostro lavoro forniamo all'inps affinché vengano pagate le pensioni alle generazioni che hanno indebitato fino al collo l'Italia. Prendi i soldi e scappa, ecco cosa dico io. Il problema è che dopo una certa età non ti vogliono più, li vogliono giovani, disposti a prendere come stipendio due dita negli occhi, se non sono laureati meglio, ché i laureati si montano la testa.

Il bello di venire accettati da un'università prestigiosa è che quando qualcuno comincia a seccarti puoi portare la conversazione sugli studi e aspettare che ti chieda tu dove studi? Alla Bocconi. Come colpire con una mazza da baseball la testa dell'interlocutore che ti sta sottovalutando da mezz'ora, son soddisfazioni. Per il resto non ricordo grandi vantaggi. Per mantenere alto il nome della scuola bocciano e bocciano e bocciano. Ho visto gente piangere nei corridoi, seduti per terra con le mani sulla faccia, ho visto mettere a disposizione psicologi per aiutare gli studenti a gestire lo stress. Diritto privato era tanto se passava il 10% degli studenti. Adesso non so se è ancora così, ma spesso mi chiedevo se valeva la pena studiare 10 libri al posto dei 3 richiesti per lo stesso esame in un'altra università, che quando hai finito come titolo ufficiale tutte le lauree sono uguali. Che poi quando esci e dici laureato in Bocconi c'è anche chi ti guarda come se tu fossi un privilegiato, un membro dell'aristocrazia che si aggira nella Francia giacobina.

martedì 26 ottobre 2010

Esistenza a noleggio.

Sei stanco di donare spiccioli per strada a perfetti sconosciuti che si dimenticano di te dopo pochi istanti? Noleggia la mia esistenza! Vuoi sapere esattamente in che mani finiscono i soldi che invii per beneficenza? Noleggia la mia esistenza! Desideri fare qualcosa di concreto e davvero significativo nella tua vita? Noleggia la mia esistenza!

A un costo mensile irrisorio potrai utilizzare la mia esistenza per sentirti partecipe di una fantastica avventura. Unisciti alle migliaia di persone che stanno già noleggiando la mia esistenza ricavandone grandi soddisfazioni, entra nella grande famiglia e sperimenta una delle gioie più gratificanti dei nostri tempi. Sottoscrivi il tuo contratto di noleggio della mia esistenza oggi stesso e inizia subito a beneficiare dei grandi vantaggi che tutto questo comporta.

Il noleggio della mia esistenza ti dà diritto a ricevere aggiornamenti settimanali mediante i quali potrai controllare personalmente come vengono utilizzati i tuoi soldi. Mentre sei al lavoro saprai in ogni momento che io sto sfruttando la mia esistenza anche per te, inviandoti ondate di karma positivo. Riceverai un biglietto di auguri al tuo compleanno, al tuo onomastico, a Natale Pasqua e capodanno, e fino ad altre dieci ricorrenze a tua scelta. Noleggiando la mia esistenza ti assicurerai che ci sia sempre qualcuno pronto a ricordarsi di te per quello che desideri e quando lo desideri.

Il pacchetto extra, per versamento mensile superiore ai 50 euro, ti verrà garantita la possibilità di ricevere conforto in caso di malattia, incidente, cause di malumore imprecisate, per mezzo di parole adeguate alla circostanza. Mai più la morte del gatto senza nessuno che si dispiaccia con te e ti offra una spalla su cui piangere. Naturalmente l'opzione extra vale anche per eccessi di buonumore. Mai più giornate splendide senza nessuno a esultare insieme a te.

Noleggiare la mia esistenza ti consentirà di ottenere sempre un sostegno incondizionato delle tue opinioni (escluse testimonianze in tribunale), potrai avere qualcuno sempre disponibile a fornirti scuse per evitare gli impegni (esclusi documenti ufficiali), a sostenere la tua versione dei fatti (esclusi giuramenti), a darti manforte nelle discussioni (escluse polemiche). E tutto questo per una cifra irrisoria!

Come se non bastasse, fra tutti coloro che decideranno di noleggiare la mia esistenza verranno estratti a sorte 10 fortunati fra coloro che spendono più di 100 euro al mese e il loro nome verrà inciso sulla mia lapide nella lista dei benefattori che rimarrà esposta per sempre nel cimitero a esortazione e ispirazione per le generazioni future. Noleggia la mia esistenza prima che qualcun altro lo faccia al posto tuo, ai primi diecimila richiedenti verrà riservato il prezzo di favore di 1 solo euro al mese!

Gruppo su FB