lunedì 22 novembre 2010

E Aznavour vince per un'incollatura (1 di n)

(prima stesura)

L'ex ippodromo era nel mirino della famiglia Bandelli e della famiglia Ronco per via della possibilità ventilata dal comune di trasformare una parte della struttura in albergo, offerto gratuitamente in gestione all'impresa che avesse realizzato la ristrutturazione, col bonus di un parcheggio sotterraneo a pagamento i cui introiti sarebbero finiti nelle tasche del vincitore dell'appalto. Franco Bandelli e Rinaldo Ronco si erano già incontrati diverse volte per fissare i paletti dell'affare. I loro architetti e i loro commercialisti avevano provveduto alle cifre, riempiendo di numeri svariate tabelle e stilando dettagliati resoconti finanziari. Combattere al rialzo era una follia, significava per entrambi una inutile perdita di denaro, molto meglio stabilire fin da subito chi aveva le armi più potenti, le carte vincenti. Poi c'era la questione del cadavere, certo, ma quella poteva aspettare, come amava dire la buonanima Vittorio Bandelli, certe faccende non scappano da nessuna parte.

“Prima di tutto mi interessa sapere se hai avuto notizie del mio cavallo”, disse il Ronco dopo aver abbracciato il suo unico concorrente meritevole di attenzione. Non c'erano imprese edili in grado di mettere piede nel territorio Bandelli-Ronco senza finire coi libri in tribunale. Per l'invasore si trattava di eventi al limite del paranormale: pezzi di carta che la burocrazia non timbrava accampando scuse ridicole, fornitori che mancavano le consegne lamentando imprevisti, guasti ai macchinari che non venivano riparati nei tempi stabiliti, banche che chiedevano maggiori garanzie o intimavano il rientro immediato dei capitali senza addurre uno straccio di giustificazione. Cose così, eventi inspiegabili che respingevano escavatori e muratori della concorrenza fuori dai confini dell'impero Bandelli-Ronco. “Ti trovo sempre in forma, non invecchi mai”, rispose il Bandelli ignorando l'argomento cavallo. È una frase tipica del Bandelli quella del trovare tutti molto in forma, per nulla invecchiati. La dice a chiunque, in qualsiasi occasione, è la frase che usano per prenderlo in giro quando sono così ingenui o ubriachi da essere sicuri che non verrà mai a saperlo.

L'intervento preso in esame dal consiglio comunale riguarda l'intero complesso: le stalle, i fienili, l'ex convento poi ex-caserma adiacente, i magazzeni, le mansarde ricche di colombari, i depositi ricavati dalla muratura dei chiostri, i recinti dove si praticano non meglio precisate terapie a base di equitazione, gli uffici al momento utilizzati da enti, fondazioni, sedi distaccate, associazioni dalle criptiche sigle che si mantengono riscuotendo tariffe la cui origine si perde nel tempo o coi più banali sussidi statali. Le stalle occupano grosse porzioni dell'edificio principale e costituiscono per intero la lunga costruzione centrale di più recente edificazione. La stalla più grande, ben arieggiata, la più lontana dai rumori del traffico che potrebbero infastidire e rendere nervoso l'inquilino è in questo momento sporca di sangue e bisogna gridare per farsi sentire al di sopra del frastuono succeduto ai colpi di pistola, un tripudio di nitriti sconvolti e colpi di zoccolo ferrato contro i portoncini sprangati. Ci sono due uomini che discutono, facendo attenzione a non mettere i piedi nella pozzanghera di sangue che va allargandosi nel fieno, ignorati dal personale che si comporta come se non fosse successo niente.

“Sediamoci”, dice il Bandelli, e suona come un ordine al punto che il Ronco viene sfiorato dalla voglia di rifiutarsi, così, per principio. Sappiamo entrambi che io sono più grosso di te, questo sta dicendo il Bandelli, e sta dicendo la verità, la sua ditta fattura quasi il doppio. Il Ronco si domina, è abituato a teleguidare il suo corpo da lontano, tenendo nascoste le emozioni, preme un pulsante nella cabina di comando e il Ronco sorride come se avesse otto anni e vedesse per la prima volta il mare, che poi è l'unico momento felice della sua vita che il Ronco possa ricordare. “Volentieri”, dice il Ronco lasciandosi cadere nella poltroncina, “Anche tu mi sembri in ottima salute, pensa che qualche infame mi aveva detto che avevi una di quelle malattie, come si chiamano, ero così in pensiero e invece guardati sei un fiore.” Al che il Bandelli annuisce, fa un cenno al cameriere, dimostrando che non gli importa nulla di quello che il Ronco ha da dire. Il Bandelli parla e tu ascolti, il Bandelli dice cosa è meglio fare e tu chiedi solo qual è la tua parte. Il Ronco si aspettava di venire interrogato, che gli chiedesse il nome dell'infame che andava in giro a spargere letame e invece niente, il Bandelli ordinò per entrambi e disse “Ora, se non ti offendi, ti spiego come stanno le cose secondo me, poi tu dimmi che sbaglio.” Dirti che sbagli, chi avrebbe mai il coraggio di farlo, pensò il Ronco.

I due uomini che discutevano nelle stalle si chiamavano Ferruccio e Marcello, e non riuscivano a venire a capo del dilemma. Il cadavere del cavallo copriva parzialmente il cadavere dell'uomo, bloccandolo col suo peso, la testa e il torace dell'uomo saldamente imprigionati sotto i quarti posteriori dell'animale. Aznavour, dicevano i caratteri gotici sotto le coccarde e i trofei vinti dal cavallo che il Ronco aveva deciso di avere a qualsiasi costo, essendo disposto perfino a scendere a patti col Bendelli cedendogli il lotto dell'ex linificio per meno della metà del valore che avrebbe acquisito dopo la trasformazione in nuova area residenziale. Dopotutto quel valore non l'avrebbe avuto mai, quell'area non sarebbe mai stata inserita nel piano regolatore finché il Bendelli non avesse detto a chi di dovere 'Adesso ti spiego come stanno le cose'. Il cavallo sarebbe stato il regalo perfetto per Gioia, la sua nuova amante, regalo per modo di dire, diciamo piuttosto un giocattolo in prestito temporaneo per garantirsi adeguate prestazioni. Se il Bendelli avesse saputo quali promesse la splendida Gioia aveva distillato nell'orecchio del Ronco per convincerlo a comprarle quella bestia dal nome pretenzioso i termini dell'accordo sarebbero stati molto più sfavorevoli. Ora Aznavour giaceva con gli occhi strabuzzati e la lingua bluastra fuori dai denti. Il cavallo avrebbero potuto spiegarlo, forse, ma trovare una giustificazione per il fatto che sotto ci fosse il cadavere di Tonino era più complicato.

Il Ronco ascoltò in silenzio, sorseggiando il costoso vino bianco e sgranocchiando arachidi e patatine. Il Bendelli parlava lentamente, sottolineando con la voce alcuni sostantivi come 'investimento' o 'rischio e pericolo', alcuni verbi come 'impegnare' e 'onorare gli accordi', alcuni aggettivi come 'amichevole' e 'importante e sicuro'. Il Ronco non sentiva niente di nuovo, i rispettivi avvocati si erano già riuniti diverse volte per trovare un accordo, mancavano solo le loro firme, previste l'indomani nell'ufficio del direttore di banca. Aspettava di affrontare l'unico argomento in sospeso, il cavallo. “A me non interessa cosa c'è scritto nei documenti che firmeremo domani, capisci? Mi interessa che ci guardiamo in faccia e ci stringiamo la mano.” Il Ronco annuisce e si fa serio, consapevole che un'occhiata sbagliata manderebbe tutto all'aria. “La parola di un uomo non ha prezzo, dico bene?”, dice il Bendelli allungando una mano di piatto, mostrando il grosso rubino al dito medio come farebbe un vescovo. Il Ronco svuota d'un fiato il bicchiere, lo appoggia sul tavolo e dice “La parola è tutto nel commercio”, lo fissa negli occhi e gli afferra la mano ingioiellata con entrambe le sue, come farebbe per raccogliere un pulcino caduto dal nido. “Noi faremmo grandi affari insieme se ti decidessi a diventare mio socio”, sussurra il Bendelli con un sorriso ferino. “Te l'ho detto, ci devo pensare, ho delle responsabilità nei confronti della mia famiglia, non rispondo solo a me stesso”, dice il Ronco come se fosse sinceramente dispiaciuto. “Certo, certo, il futuro dei tuoi figli e dei tuoi nipoti, come se diventare mio socio significasse buttarli in mezzo a una strada, farli morire di fame”, il Bendelli guarda altrove, offeso. “Non è questo, lo sai, ne abbiamo parlato tante volte”, si scusa il Ronco, “Ma cambiando argomento, il mio cavallo, sai qualcosa del mio cavallo?”

“Chi ce lo dice a quello, ah? C'eri anche tu quando spiegò il cosa, il come e il quando, ah? Quello ci ammazza, vedrai se non ci ammazza”, ripeteva Marcello, ancora istupidito e incapace di accettare la realtà. “Che cosa ti vuoi inventare? Mica lo potevamo sapere prima, ti pare? Chi ce l'ha mandato questo, piuttosto, tu lo sai?”, disse Ferruccio. “Quanto ci mette? Quanto ci vuole a farci sapere qualcosa? Qua si fa buio. Lo richiamo? Lo richiamo.”, disse Marcello schiaffeggiando le tasche del completo alla ricerca del telefono, “Sempre più piccoli, li fanno 'sti aggeggi, ma dov'è? Dov'è?” Ferruccio era molto più calmo, stava pensando, stava riflettendo, ma non riusciva a far combaciare tutti i pezzi, gli mancava qualche informazione essenziale. Ricominciò dall'inizio, la prima domanda è sempre 'chi ci rimette', è da lì che bisogna partire per capire tutto quello che vale la pena di capire. Se capisci chi ci rimette sei a buon punto, sei molto vicino a scoprire da che parte si deve scappare per rimanere vivi. Più ci pensava e più gli sembrava assurdo, non riusciva a concentrarsi perché da ogni parte rimbombava nella sua testa la voce del buon senso che gridava 'Cerca un cavallo uguale, fai sparire le prove, metti le cose a posto'. Ma aveva già guardato, non c'erano cavalli uguali, un paio simili sì, ma non proprio uguali. “Vale la pena rischiare?”, disse a se stesso. “Eh?”, disse Marcello coprendo il telefono con la mano. “Niente Marce', anzi dimmi, secondo te questo cavallo quanto assomiglia da uno a dieci a quello morto?”

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