venerdì 29 ottobre 2010

Rat Today

Nuova offensiva degli umani nelle province orientali. Situazione disperata.

Baxter: attacco e distruzione in piena notte.

Il Capo Franz: voglio poteri speciali. Dougrat attacca: inutili le trattative diplomatiche.

Dal nostro inviato – Continuano i massacri e le distruzioni a Baxter, Massachusetts. Le macchine movimento terra degli umani hanno ripreso i lavori durante la notte, cogliendo di sprovvista la popolazione. Colpito anche il mercato: decine le vittime, centinaia i feriti. Mai prima d’ora le ostilità hanno avuto luogo durante il periodo che gli umani dedicano al riposo.

Per loro non si tratta mai di vincere o perdere”, ci informa il Colonnello Dougrat, responsabile delle operazioni sul campo; “Si tratta solo di quanto tempo di metteranno a distruggere questa o quella fra le nostre città”. Gli umani hanno infatti definito l’episodio come “lavoro straordinario”. Pare che vi saranno premi per quelli che riusciranno ad abbreviare i tempi della guerra, lavorando anche di notte. Baxter si appresta dunque a subire attacchi continui e sempre più intensi. Questo significa che diventerà ancora più difficile per gli uomini di Dougrat compiere azioni di sabotaggio nel tentativo di indurre gli umani a porre termine al conflitto.

Le decisioni prese dal capo dell’esecutivo degli umani avranno come conseguenza un incremento nel livello di asprezza del conflitto in corso. Le nuove opere di fognatura volute dal Sindaco Merconi stanno distruggendo secoli di storia ratta a Baxter e l’intera comunità Brownie locale rischia di andare incontro a un disastro economico e sociale senza precedenti.

Abbiamo intervistato il Capo Franz che afferma di aver già predisposto campi di accoglienza per i profughi nei pressi della discarica e torna a chiedere poteri speciali al Governo Federale per poter ordinare il ricorso ad armi più potenti ed azioni più incisive contro gli umani. Durante la conferenza stampa si odono applausi svogliati da parte di una rappresentanza della popolazione ormai stanca di una situazione intollerabile. Le tubature che portano verso la periferia sono quotidianamente percorse da intere famiglie in fuga dalla metropoli, alla ricerca di maggior fortuna in campagna, con la speranza di ricostruirsi una vita lontano da Baxter.

Il colonnello Dougrat, responsabile delle operazioni sul campo, si schiera apertamente dalla parte del Capo, condannando duramente gli inviti all’utilizzo di trattative diplomatiche. “Non si può scendere a patti con gli umani!”, proclama a gran voce il militare, “Abbiamo prove evidenti che gli umani sono animali privi di raziocinio, dediti solo a provocare morte e distruzione. So di cosa parlo.”

Dougrat era capitano ai tempi della guerra di Ashland, dove visse sulla propria pelle una situazione analoga a quella che sta vivendo ora a Baxter. Nonostante siano ormai trascorsi ormai più di vent’anni, tutti ricordano il rinnovo del sistema fognario di Ashland, con il novero sterminato di patrioti che hanno perso la vita nel tentativo di salvare la popolazione civile di ratti Brownies che si rifiutava coraggiosamente di abbandonare quella Patria così ricca di arte e cultura, dall’economia fiorente e sede della rinomata università di Lord Musch, voluta e realizzata dai Padri Fondatori all’inizio dei tempi.

Per domani (n.d.r.: oggi per il lettore) è stata fissata una riunione del Consiglio in seduta plenaria dove si discuterà del modo più opportuno di affrontare l’emergenza. Capo Franz è sempre dell’idea che dietro al comportamento degli umani ci sia un disegno dei Blackies e del loro astuto Subcomandante Magros. È probabile che il Capo approfitterà dell’occasione per chiedere nuovamente al Governo Federale l’autorizzazione all’uso del deterrente chimico e batteriologico per sfoderare un attacco definitivo nel territorio dei Blackies.

Toltarjs, l’ambasciatore dei Blackies insiste nell’affermare l’assoluta estraneità del suo popolo e di Magros in particolare. “È fuori da qualsiasi buon senso ipotizzare che esista un Gatto e che risponda agli ordini del nostro Subcomandante ed è addirittura pazzesco pensare che gli umani lavorino per i Blackies. Ad ogni modo si sappia che il mio Paese reagirà in modo estremamente duro ad un eventuale attacco immotivato da parte del Governo dei Brownies.”, ha fatto sapere l’ambasciatore Toltarjs per mezzo di un comunicato ufficiale.

Nel frattempo cresce il malcontento generale e si temono disordini nelle strade di Baxter. Tanto più che, stando a fonti giornalistiche ritenute affidabili, i servizi segreti hanno scoperto l’arrivo di un camioncino umano sospetto nell’area della discarica. Due individui umani si aggirano nei dintorni ispezionando il territorio per mezzo di complesse apparecchiature, proprio come se sapessero dell’esistenza dei campi profughi Brownies in zona e cercassero di determinarne l’esatta ubicazione al fine di provocare ulteriori danni alla popolazione civile.

Donne, vecchi e bambini, già scampati una volta al destino di una fine cruenta e immeritata rischiano forse un’ulteriore occasione di finire nel mirino degli umani. La decennale presenza minacciosa dei Blackies, guidati da un odio cieco nei confronti dei Brownies e sempre pronti a violare le frontiere per ingaggiare battaglia, non migliora certo la situazione.

Prosegue l’indagine sui misteriosi disegni apparsi nelle vasche di cultura idroponica.

Due gemelli: “I disegni sono opera nostra.”

Ma vengono subito smentiti dagli esperti: “Non sanno farne di uguali agli originali”.

Baxter – Gli scienziati le hanno battezzate “Spirali di Fibonacci”. Si tratta dei disegni formatisi misteriosamente nelle vasche idroponiche del nuovo complesso per la produzione agrobiologica, ultimato l’anno scorso. Potrebbe essere uno scherzo quello che ha tenuto impegnati per settimane esperti e studiosi pervenuti in loco a studiare il curioso fenomeno. Due gemelli adolescenti, Mark e Johnny, hanno confessato di esserne gli autori: “Volevamo fare uno scherzo a Marghy”, la sorella maggiore.

Gli esperti però concordano sull’impossibilità di tale ipotesi. I falsi, infatti, mancherebbero delle caratteristiche specifiche che invece caratterizzano i pittogrammi originali. Le Spirali di Fibonacci sarebbero opera di una tecnologia superiore, probabilmente di origine aliena, in quanto nessun ratto, Brownie o Blackie che fosse, riuscirebbe mai a concludere tali opere in così breve tempo.

Per verificare le testimonianze, i ragazzini sono stati invitati a riprodurre uno dei disegni e si è scoperto così che non solo gli steli erbosi di soia vengono spezzati – e non piegati da una forma di energia sconosciuta come succede negli originali – ma al termine del lavoro non si rilevano nei dintorni le anomalie di campo elettromagnetico che invece promana dalle Spirali autentiche.

Alcune testimonianze parlano di sfere volanti ma, come le voci sulle fantomatiche pupille verticali rosseggianti del Gatto, vengono ipotizzate essere il frutto di autosuggestione. Sul posto abbiamo incontrato e intervistato alcuni dei sostenitori delle teorie aliene. “Le Spirali sono un messaggio che ci viene dalla costellazione del Grillotalpa”, afferma Marvin Lobster con convinzione. “Ha ragione,” aggiunge Rebold Debussy e, puntando un dito verso la Spirali: “Presto dimostrerò che sono le istruzioni per sconfiggere il Gatto.” Il Gatto? “Certo! Esiste ed è guercio perché io l’ho vista quella pupilla fiammeggiante e non sono pazzo!”

Per il momento possiamo solo dire che gli esperti continuano a studiare l’evento e che molti di loro sono propensi a ritenere che, nonostante i ragazzini siano risultati estranei alla vicenda, ci sia una spiegazione logica e plausibile che nulla ha che vedere con alieni e gatti guerci.


giovedì 28 ottobre 2010

Temple Grandin.

Ieri sera ho visto un film sulle mucche, o meglio un film sulle mucche è ciò che ha visto la parte di me che si identifica immancabilmente con i personaggi autistici. Per essere precisi affetti da sindrome di Asperger, una forma lieve di autismo che, a differenza delle forme gravi, permette una vita normale, se per normale si accetta il considerare marziani tutti quelli che ci circondano. Sì, per gente come Temple Grandin sono tutti gli altri a non essere normali, e mi stupisco della prontezza e convinzione con le quali sarei disposto a darle ragione. Non si tratta di autismo alla Rain Man, dove è non solo consigliabile ma necessario il ricorso a un istituto che eroghi servizi alla persona adeguati alle problematiche di malattie che impediscono l'autosufficienza.

Sono numerosi i film, i libri, addirittura serie comiche televisive come The Big Bang, con quelle fastidiose risate fasulle in sottofondo che ricordano i Jefferson, a utilizzare le caratteristiche dell'autismo, nello specifico l'autismo lieve dell'Asperger, per stupire un pubblico di 'normali' che non solo trova difficile comprendere come ci si senta ma trova anche parecchio buffa la situazione di chi è invece affetto da questa, come chiamarla?, patologia?, è davvero una patologia l'insieme delle caratteristiche che da una parte esprimono limitazioni nel campo delle capacità di relazionarsi su un terreno emotivo e sentimentale, dall'altro rappresentano però l'utilizzo di capacità intellettive specifiche immensamente superiori alla media.

Addirittura comincia a farsi spazio l'idea che la sindrome di Aspergen sia ciò che caratterizza persone che sono state in grado di perseguire obiettivi con una costanza, una dedizione e una pervicacia rese possibili solo dal ricorso a condizioni patologiche legate all'autismo. Se uno ha successo si ipotizza abbia l'Asperger e ne abbia tratto vantaggio a sapito degli sfortunati concorrenti, se fallisce di sicuro non ce l'ha ed è un semplice malato mentale da compatire, ecco più o meno il criterio 'scientifico'. Non si capisce se persone come Temple Grandin sono autistici che si avvicinano alla normalità o persone normali che indulgono nell'autismo così come si cade in una psicosi. Siccome non sanno come venirne fuori, gli psicologi si aggrappano al solito Freud e tirano in ballo carenze affettive materne in episodi infantili. Spesso vorrei che Freud fosse vivo per scrivergli una lettera di insulti.

Temple Grandin, per esempio, teme le porte e il contatto fisico. Basta questo a fare di lei un'autistica mancata? Manie, fobie, ossessioni, fastidio al contatto fisico, tutto ciò diventa patologia quando scatena reazioni isteriche o ansia incontrollabile. Personalmente odio gli ascensori ma li uso, provando tutta una serie di impressioni spiacevoli ma li uso. Stringere una mano per me vuol dire trasferire sulle rispettive dita chissà quali batteri potenzialmente letali ma se devo stringere la mano di uno sconosciuto la stringo e sorrido nel farlo anche se mi fa un po' schifo. Quanti gradi separano un 'normale' da un autistico? Se tutti fossimo come Temple Grandin cosa penseremmo di chi sente il bisogno di contatto fisico al punto da star male e sembra del tutto incapace di fare cose che per gli autistici sono normali attività quotidiane?

Il lavoro svolto da Temple Grandin con le mucche non ha significato e importanza solo per il fatto che ha migliorato la qualità della vita di animali destinati al macello. Non è impressionante solo perché ha dimostrato che una gestione efficiente del processo produttivo, e quindi una migliore struttura dei costi, passa anche attraverso modelli atipici di osservazione laterale attuabili solo mediante le, se non superiori, certo diverse capacità, non solo in termini analitici, di una 'mente autistica'. L'esempio di Temple Grandin racconta qualcosa di più fondamentale, spiega con i fatti che forse è sbagliato giudicare una persona normale o anormale in base al suo grado di autismo, partendo dal presupposto che normale sia chi abita l'estremo della completa mancanza di sintomi autistici. Piuttosto normale è chi sta da qualche parte nel mezzo, e se un autistico è malato, allora lo è anche chi non lo è affatto. Come chiamiamo la malattia che sta all'opposto dell'autismo?

mercoledì 27 ottobre 2010

All'università prestigiosa (1*N)

Quando vai all'università scordati tutto quello che pensi di aver imparato, non ti basta nemmeno per superare l'esame più semplice. Specialmente se hai scelto un'università prestigiosa, dove per un esame devi imparare dai 5 ai 10 libri, o meglio se lei ha scelto te, perché c'è una selezione all'ingresso, un test che misura il tuo quoziente intellettivo e la tua cultura generale. Almeno così funzionava ai miei tempi, prima della laurea triennale e dell'abolizione del servizio militare. Il voto che hai preso alla maturità conta per il 50%, e se ti presenti col voto massimo, lode e abbraccio del commissario probabilmente hai studiato al sud, non lo dico io, lo dice l'Istat. Ci sono anche parecchi trucchi per non pagare la retta e le tasse universitarie che io non ho mai sfruttato perché il costo dello sbattimento mi sembrava superiore al risparmio ottenibile. Sei abituato a professori che ti conoscono, al bidello che vi date del tu, a un ambiente abbastanza user friendly, e ti ritrovi all'università. Se è un'università prestigiosa probabilmente i terminali per registrarsi agli esami funzionano e il bar non sembra un porcile: è il motivo principale che mi ha fatto optare per la Bocconi. Un altro motivo è che pensavo fosse il posto giusto per imparare a fare i soldi, se hai i soldi puoi fare quel che ti pare e piace, non vale il viceversa.

La prima cosa che ti fa capire di essere in un mondo diverso, in cui non conti niente, è che sei tu a cercare la classe dove si tiene lezione e non il professore a venire da te. Il professore arriva un quarto d'ora dopo e va via un quarto d'ora prima, questa abitudine ha anche un nome, si chiama quarto d'ora accademico. Se arrivi da lontano magari ti sei alzato all'alba e quando entri in classe scopri che intere file di posti sono state già occupate. Funziona così: un gruppo di amiconi che abitano vicini all'università si mettono d'accordo, a turno uno di loro si alza presto e occupa file intere di posti. Sono quelli che poi trovi al bar che giocano a carte e quando ti vedono ridono perché tu sei classificato provinciale, non abiti in città e quindi sei poco più che un contadino analfabeta agli occhi di questi giovani rampanti metropolitani. Hai un accento che ti identifica subito come cerebroleso che è riuscito a intrufolarsi nel circuito della Milano bene, la Milano da bere. Come quando dici di essere di Sesto San Giovanni o Cinisello Balsamo, devi trovare i tuoi simili e aggirarti ai limiti del territorio dominato dai residenti limitrofi, a meno che uno di loro decida di darti un lasciapassare in cambio di una relazione sentimentale.

Oppure no, sono io che sono un misantropo e trovo sempre qualche motivo per trovare chiunque insopportabile. L'università era anche un modo per ritardare la chiamata alla leva, potevi rinviare la naja fino al ventiseiesimo anno, bastava dare qualche esame ogni anno. Spaccarsi la testa e sacrificare anni di gioventù per finire l'università a 23 anni e partire a militare mi sembrava una cosa da pazzi. Tanto più che al ritorno iniziavi a lavorare a 25 anni, ti ritrovavi cotto e mangiato ancor prima di capire perché eri così folle da tenerci tanto. Ogni tanto mia madre a dirmi sai il figlio della mia amica si è laureato a 22 anni, e io facevo finta di invidiarlo, dicevo caspita bravissimo che genio e dentro di me pensavo che babbeo. Quelli come me il ministro li chiama bamboccioni, l'accusa è quella di ritardare i contributi che con il nostro lavoro forniamo all'inps affinché vengano pagate le pensioni alle generazioni che hanno indebitato fino al collo l'Italia. Prendi i soldi e scappa, ecco cosa dico io. Il problema è che dopo una certa età non ti vogliono più, li vogliono giovani, disposti a prendere come stipendio due dita negli occhi, se non sono laureati meglio, ché i laureati si montano la testa.

Il bello di venire accettati da un'università prestigiosa è che quando qualcuno comincia a seccarti puoi portare la conversazione sugli studi e aspettare che ti chieda tu dove studi? Alla Bocconi. Come colpire con una mazza da baseball la testa dell'interlocutore che ti sta sottovalutando da mezz'ora, son soddisfazioni. Per il resto non ricordo grandi vantaggi. Per mantenere alto il nome della scuola bocciano e bocciano e bocciano. Ho visto gente piangere nei corridoi, seduti per terra con le mani sulla faccia, ho visto mettere a disposizione psicologi per aiutare gli studenti a gestire lo stress. Diritto privato era tanto se passava il 10% degli studenti. Adesso non so se è ancora così, ma spesso mi chiedevo se valeva la pena studiare 10 libri al posto dei 3 richiesti per lo stesso esame in un'altra università, che quando hai finito come titolo ufficiale tutte le lauree sono uguali. Che poi quando esci e dici laureato in Bocconi c'è anche chi ti guarda come se tu fossi un privilegiato, un membro dell'aristocrazia che si aggira nella Francia giacobina.

martedì 26 ottobre 2010

Esistenza a noleggio.

Sei stanco di donare spiccioli per strada a perfetti sconosciuti che si dimenticano di te dopo pochi istanti? Noleggia la mia esistenza! Vuoi sapere esattamente in che mani finiscono i soldi che invii per beneficenza? Noleggia la mia esistenza! Desideri fare qualcosa di concreto e davvero significativo nella tua vita? Noleggia la mia esistenza!

A un costo mensile irrisorio potrai utilizzare la mia esistenza per sentirti partecipe di una fantastica avventura. Unisciti alle migliaia di persone che stanno già noleggiando la mia esistenza ricavandone grandi soddisfazioni, entra nella grande famiglia e sperimenta una delle gioie più gratificanti dei nostri tempi. Sottoscrivi il tuo contratto di noleggio della mia esistenza oggi stesso e inizia subito a beneficiare dei grandi vantaggi che tutto questo comporta.

Il noleggio della mia esistenza ti dà diritto a ricevere aggiornamenti settimanali mediante i quali potrai controllare personalmente come vengono utilizzati i tuoi soldi. Mentre sei al lavoro saprai in ogni momento che io sto sfruttando la mia esistenza anche per te, inviandoti ondate di karma positivo. Riceverai un biglietto di auguri al tuo compleanno, al tuo onomastico, a Natale Pasqua e capodanno, e fino ad altre dieci ricorrenze a tua scelta. Noleggiando la mia esistenza ti assicurerai che ci sia sempre qualcuno pronto a ricordarsi di te per quello che desideri e quando lo desideri.

Il pacchetto extra, per versamento mensile superiore ai 50 euro, ti verrà garantita la possibilità di ricevere conforto in caso di malattia, incidente, cause di malumore imprecisate, per mezzo di parole adeguate alla circostanza. Mai più la morte del gatto senza nessuno che si dispiaccia con te e ti offra una spalla su cui piangere. Naturalmente l'opzione extra vale anche per eccessi di buonumore. Mai più giornate splendide senza nessuno a esultare insieme a te.

Noleggiare la mia esistenza ti consentirà di ottenere sempre un sostegno incondizionato delle tue opinioni (escluse testimonianze in tribunale), potrai avere qualcuno sempre disponibile a fornirti scuse per evitare gli impegni (esclusi documenti ufficiali), a sostenere la tua versione dei fatti (esclusi giuramenti), a darti manforte nelle discussioni (escluse polemiche). E tutto questo per una cifra irrisoria!

Come se non bastasse, fra tutti coloro che decideranno di noleggiare la mia esistenza verranno estratti a sorte 10 fortunati fra coloro che spendono più di 100 euro al mese e il loro nome verrà inciso sulla mia lapide nella lista dei benefattori che rimarrà esposta per sempre nel cimitero a esortazione e ispirazione per le generazioni future. Noleggia la mia esistenza prima che qualcun altro lo faccia al posto tuo, ai primi diecimila richiedenti verrà riservato il prezzo di favore di 1 solo euro al mese!

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venerdì 22 ottobre 2010

Mister Nonzo.

C'era una volta un signore che tutti chiamavano Mister Nonzo, era molto famoso. Quando stava per arrivare in città apparivano dei cartelloni con sopra il volto sorridente di Mister Nonzo e tutti non vedevano l'ora di andare a sentire cosa aveva da dire anche se l'avevano già visto l'anno prima e l'anno prima ancora. C'era gente che lo vedeva per la decima volta e nel tempo la stima per Mister Nonzo era cresciuta così tanto da spingere alcuni a vestirsi come lui, parlare adagio e a bassa voce come Mister Nonzo. Con grande stupore degli esperti Mister Nonzo riusciva sempre a raccogliere un gran numero di simpatizzanti, al punto che nemmeno campagne stampa diffamatorie e appelli in televisione facevano cambiare idea alla gente che, anzi, si incuriosiva e accorreva più numerosa per assistere alla performance di Mister Nonzo.

Già una settimana prima dell'arrivo di Mister Nonzo nelle strade apparivano teatranti a imitare Mister Nonzo rendendolo ridicolo, mimi a farne la caricatura, agitatori delle folle a predicare contro Mister Nonzo. Insomma questo signore diventato famoso col nome di Mister Nonzo a quanto pare dava molto fastidio anche se non si capivano i motivi di tanto scalpore. Fu proprio per scoprire perché Mister Nonzo fosse tanto odiato e tanto amato che Ronda Freshy, la bambina del terzo piano, pretese di venire accompagnata dai genitori allo spettacolo di Mister Nonzo. Quella volta si ricorda soprattutto per il fatto che Mister Nonzo venne arrestato per una lunga lista di presunti reati, in seguito a numerose denunce firmate da personaggi illustri del mondo della pubblicità, della politica, della finanza.

Insomma non era più tollerabile che questo signore se ne andasse in giro liberamente a fare quello che faceva, qualunque cosa fosse. Sì, il problema più grande era che nessuno poteva dire esattamente cose facesse Mister Nonzo e quindi non si poteva nemmeno stabilire se fosse giusto o sbagliato. Ronda Freshy era convinta che fosse innocente e, come lei, lo stesso pensavano tutti quelli a cui lo chiedeva. O meglio non si avevano prove che facesse qualcosa di sbagliato, per cui bisognava presumere che facesse cose giuste. Si può pensarla come si vuole sulla faccenda, ma non si può negare che l'arrivo di Mister Nonzo rendesse la vita più frizzante dal momento che anche i tipi più silenziosi, quelli che non dicevano mai una parola, all'improvviso eccoli a fare lunghi discorsi, a litigare perfino sul caso Mister Nonzo.

Ronda Freshy riuscì a trovare biglietti, anche se nelle ultime file, e arrivò in anticipo per evitare le annunciate manifestazioni di protesta organizzate da quelli che volevano impedire alla gente di entrare. Ronda Freshy se lo aspettava diverso, Mister Nonzo, non era un gigante con gli occhi di fuoco, aveva invece un aspetto comune, che a incontrarlo per caso non avresti mai pensato quello che fosse davvero Mister Nonzo. Era di altezza normale, aveva un taglio di capelli standard, vestiva colori neutri, insomma non aveva proprio niente di speciale, pensò Ronda Freshy, un po' delusa. Non doveva essere l'unica fra i presenti a pensarla così dal momento che non ci furono applausi, gli spettatori chiacchieravano tra di loro come se Mister Nonzo non fosse ancora arrivato e quello fosse un semplice tecnico, un passante, uno qualsiasi che per sbaglio era salito sul palco.

Mister Nonzo fece dei piccoli colpi di tosse dopo essersi seduto in modo composto sulla sedia piazzata in mezzo al palco, sotto i riflettori. Poi fece emh emh e cercò di attirare l'attenzione alzando una mano. Quando lo stupore provocò un po' di silenzio disse “Ci sono domande?” e fu in quel momento che scoppiò il pandemonio. Tutti volevano fare una domanda e gridavano e si spintonavano per essere i primi a ottenere una risposta da Mister Nonzo. La prima mezz'ora dello spettacolo passò così, con gli spettatori che uno dopo l'altro crollavano sfiniti per aver urlato troppo, per essersi agitati e aver sudato. A quel punto la gente iniziò a essere più gentile, diceva “Prego, dopo di lei” e “Si figuri, la mia domanda è niente in confronto alla sua”. Se volevano che Mister Nonzo rispondesse alle domande si doveva trovare il modo di potergliene fare educatamente almeno una.

Proprio Ronda Freshy venne scelta, da Mister Nonzo in persona, per raccogliere in un cesto le domande scritte su bigliettini e di pescarne a caso una alla volta. Forse l'aveva scelta per l'incarico vedendola tranquilla e silenziosa quando tutti intorno a lei sembravano impazziti. Fatto sta che pescò la prima domanda che diceva “Come si risolve la fame nel mondo?” Mister Nonzo ci pensò su parecchio e poi disse “Non sono sicuro che esista una soluzione efficace e duratura a questo problema.” La domanda seguente era “Perché ce l'hanno tutti con lei?”. Mister Nonzo disse “Ci sono certamente delle ragioni e se sapessi quali sono potrei dare una risposta molto più precisa.” Sul terzo biglietto c'era scritto “Cosa pensa dell'attuale governo?”. Mister Nonzo scosse la testa, poi annuì, si grattò la testa e disse “La questione è molto complessa e merita una ponderata sospensione del giudizio.”

Quando giunse l'ora e Mister Nonzo ringraziò i presenti per aver partecipato e avergli dato l'occasione di vivere dei bei momenti in loro compagnia l'applauso fu così forte da far barcollare Ronda Freshy. Ma come, si chiedeva la bambina del terzo piano, non ha risposto a nessuna domanda! Cioè, ha risposto, ma senza dare risposte vere! La gente era felice e chiedeva il bis, voleva l'autografo di Mister Nonzo, si faceva scattare foto con Mister Nonzo. Ronda Freshy si fece coraggio e tirò per la manica Mister Nonzo e disse “C'è una domanda a cui sai dare una risposta vera, che sia vero o falso, bianco o nero, sì o no?” “Sì, questa che hai appena fatto è una delle poche domande a cui rispondo in termini booleani, il che è filosoficamente molto logico”, disse Mister Nonzo. Voleva controbattere, Ronda Freshy, ma tutto quello che le veniva in mente era “Può darsi”, “Forse”, e da quella volta quando vogliono sapere cosa farà da grande lei non dice più “non lo so” ma che vuole fare come Mister Nonzo e diventare ricca e famosa e girare il mondo, e quando ha convinto tutti che è quello che vuole davvero aggiunge “Oppure no, non ho ancora deciso”.

martedì 19 ottobre 2010

Shopping.

Raggiungo il più denso stato di concentrazione della mia vita guardando oggetti esposti nella vetrina di questo negozio mai notato prima. Ogni volta sono convinto di aver salito un altro gradino sulla scala delle funzioni mentali, questa non fa eccezione. Sento le pupille farsi grandi, il sangue scorrere lento, i suoni vengono deviati e si allontanano, la luce mi scansa, mi gira intorno, l'aria mi avvolge o mi passa attraverso. Sto guardando forme geometriche senza nome, linee riempite di colore prive di definizione. Percepisco il tempo che accelera oltre i confini del mio corpo, la velocità del mondo distorce i volti, trasforma in lenzuoli di nebbia i veicoli che mi scivolano alle spalle. Cerco di spingermi oltre per essere sicuro di non restare deluso. Mi sforzo di vincere la resistenza che mi impedisce di perdere, di lasciar andare, di smettere. Voglio prendere fuoco, voglio passare attraverso i muri, voglio ottenere l'obbedienza dalla materia. Posso vedere i tuoi pensieri, posso stabilire l'altezza delle onde nel buio del tuo cuore, posso smettere di respirare, fare in modo che la mia carne si sciolga, miliardi di atomi cadono a terra senza far rumore quando rinuncio a tutto e cancello di me anche il ricordo, esco dalla memoria di Dio e vado a esistere dentro una boccia di vetro dove freddo e caldo non hanno senso. Non posso insistere, questo è tutto ciò che riesco a toccare alzando le braccia, in punta di piedi, facendo scricchiolare le ossa della spina dorsale. Se mi alleno la prossima volta saprò far meglio di così, avrò più energie da distillare, vedrò cosa c'è davvero là fuori, oltre il velo delle apparenze. La vetrina adesso riflette i miei vestiti, l'elastico si accorcia, riesco a stabilire quali parole si prestano a dare sostanza alla realtà. Suoni e segni per circoscrivere insiemi e categorie, il soffio della vita è assegnare una parola che rimane solo tua, quella parola sei tu e tu sei quella parola. Se nessuno ha una parola per te significa che non esisti. Tante lingue e linguaggi per pronunciare in modo diverso la stessa parola. Abbandono la vetrina e cammino immaginando che tutte le persone del mondo in questo momento emettano un suono, visualizzo il pianeta terra che vibra della voce dell'intero genere umano, e quello che dice non è intellegibile, e quello che pronuncia è il nome impronunciabile. Dopo di che a tutti spuntano le ali, ci sono ovunque persone che volano e nessuno senza ali per stupirsene. Qual è la parola che ha creato me? Quell'unica parola che mi farebbe girare sentendomi chiamato anche se bisbigliata nel frastuono più assordante. La parola che mi farebbe scivolare via dalla mente tutte le illusioni, i dubbi, che scioglierebbe la matassa dei mie pensieri ricavandone un filo sottile e leggero, da far sventolare nella brezza placida di una serenità eterna, infinita. Non voglio essere il frutto di una convenzione, non voglio sentirmi una delle tante combinazioni possibili del caso. So di essere stato chiamato alla vita mediante la creazione di una parola specifica così come so che unica è la sequenza di dna che mi contraddistingue. Prima che nascessi qualcuno ha emesso una sequenza di suoni con l'intenzione di ottenere proprio me. Non una macchina che produce inconsapevole, che assembla le frequenze commettendo errori dovuti a fattori imprevedibili. Voglio credere che qualcuno ci tenga a me almeno abbastanza da inventare una parola che mi renda unico, in questo modo avere un motivo per non pensare a me stesso come a un esemplare prodotto in serie, facilmente sostituibile, usa e getta, a cui non val la pena affezionarsi. Qualcuno che sia un padre ideale e madre perfetta e il me stesso che vorrei essere, tutto in una volta, che sappia ritrovare lo stampo da cui è stata ricavato questo io pieno di difetti e quando verrà il giorno mi aggiusti, ripeta la mia singola parola che col tempo è andata sporcandosi di rumore, corrompendosi di esperienze di vita, finendo scordata. Il ritmo dei miei passi è tornato normale, presto attenzione agli sguardi che incrocio, dietro quelle pupille ci sono parole, le pupille sono vetrine che sembrano vuote quando espongono oggetti di cui sono andate smarrite le parole che servono a percepirli. Vetrine che riflettono le sembianze di chi le guarda così bene da far pensare che non ci sia niente di interessante, solo fondi di magazzino e articoli dozzinali, negozi dove i cartellini dei prezzi sono attaccati a merce invisibile.

venerdì 15 ottobre 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (30 di N)

Quando c'hai un figlio vorresti sapere cosa succede all'asilo e invece è un mistero. Non so gli altri bambini ma il mio quando gli chiedo cosa ha fatto mi risponde sempre non lo so. E io non insisto, è la mia risposta preferita, quella che se potessi darei sempre, a qualsiasi domanda. Quando mi risponde non lo so sono perfino contento, sei tutto tuo padre mi viene da pensare. Il problema rimane: non so cosa succede all'asilo. Non che stia nutrendo una fissazione, una curiosità malsana, cosa vuoi che facciano all'asilo, giocheranno, faranno le tipiche cose da asilo. Ma quando leggi di maestre che picchiano i bimbi, di gite nella casa del produttore televisivo per girare filmini porno da vendere ai pedofili, insomma, la voglia di installare una webcam all'asilo per controllare la situazione ti viene. Poi ti passa, ci ridi sopra, ti dai del paranoico, però ogni tanto la voglia di trovare una scusa per irrompere a un'ora qualsiasi e scoprire cosa sta succedendo ti viene.

Cose che ho scoperto succedere all'asilo: usano i colori perché ho trovato macchie di colore sulle mani e sul grembiule, attività fisica perché si sporca i vestiti e i capelli diventano della consistenza al tatto di chi ha sudato, studiano inglese perché mi ha detto che ha conosciuto mister crocodail e diceva uats ior neim al cornavelasauro, il dinofroz che cambia colore, mangiano e bevono perché ho identificato macchie di sugo. So cose che mi ha detto la maestra: all'asilo va in bagno da solo mentre a casa no, mi sveglia urlando in piena notte per aiutarlo a rimettersi i pantaloni del pigiama, c'è stata una specie di rissa che ha spaventato la maestra, in quattro hanno giocato alla rievocazione storica di non so quale battaglia dei bakugan o di ben ten e la maestra ha detto che volavano gambe e braccia, calci e pugni, son finiti tutti in castigo ma non si è fatto male nessuno. Ho sgridato Elia, gli ho detto che non si gioca a pugni e nel caso si chiama boxe e ci sono delle regole, delle protezioni per mani e viso. La maestra, da come mi ha guardato, non apprezza il 'nobile sport'.

Oggi c'è una festa all'asilo, la castagnata, ribattezzata festa dell'accoglienza. Accogliere chi, non saprei, credo sia un generico invito all'altruismo, alla bontà, ai valori etici e morali. Che a me le castagne non fanno impazzire, fra l'altro. I bambini indosseranno una maglietta bianca decorata con le impronte colorate delle loro manine, e questa invece è una cosa che mi piace. Se non corressi il rischio di venire definito eccentrico, se non fuori di testa, me ne andrei anch'io in giro con una maglietta così. Pensa a star trek, che indossano tutti la stessa tutina, se tutti andassimo in giro con una maglietta piena di manate autoprodotte, sarebbe fantastico. So che fanno anche musica all'asilo perché Elia ha voluto una tromba giocattolo e la usa per farmi spaventare, mi arriva di soppiatto alle spalle e me la suona direttamente nel padiglione auricolare. Devo trovare il modo di farlo smettere o diventerò sordo, sempre che non mi venga un infarto prima.

Quando c'hai un figlio capita che un giorno incontrate una sua amichetta e lei punta il dito verso tuo figlio gridando a sua mamma “Elia! È lui che voglio che venga a giocare a casa mia!” Ho guardato la mamma della bimba, lei ha guardato me, entrambi abbiamo insaccato la testa fra le spalle come due tartarughe spaventate. Lei ha detto abbiamo una casa piccola, io ho detto abbiamo ancora le lampadine appese a un filo. In seguito ci ripensi e ti senti colpito nell'orgoglio, pensi va bene, io non mi fiderei a lasciarle mio figlio, ma perché lei non si dovrebbe fidare di lasciarmi sua figlia? Allora ho detto invita sia la tua amica che la sua mamma, e quando ho pensato ai rispettivi consorti esclusi dalla lista degli invitati ormai avevo parlato. Per fortuna la faccenda non si è sviluppata e non sono nate prevedibili complicazioni. D'altronde all'asilo sono tutte donne, sono tutte mamme, fanno combutta tra di loro, fanno capannello, se c'hai un figlio e sei maschio devi rassegnarti a venire isolato dal branco del gentil sesso. Stattene buono e zitto, ogni tuo tentativo di integrazione con il popolo delle mamme potrebbe venire frainteso, parla solo con gli altri pochi maschi che non sono nonni e non si vergognano di essere lì, parla come se ti avessero obbligato a farlo, che se fosse per te saresti a far cose virili da maschi veri che, com'è noto, non si occupano della prole se possono evitarlo. Non siamo mica in Svezia qui, ma quale parità e parità, uomini mammo, ah ah ah!

giovedì 14 ottobre 2010

Una fuoriserie decappottabile.

mino adagio con le mani in tasca a passi lenti ci vedo male perché ho tenuto gli occhiali scuri anche se è notte non voglio vedere bene voglio vedere sfocato voglio perdere i contorni delle cose voglio vedere solo i dettagli molto luminosi solo i riflessi della luce sulle superfici lucide dei metalli non voglio riconoscere la facce ma solo quel puntino bianco che tutti hanno nella pupilla quando ti guardano tutto il resto dev'essere ombra un grosso lenzuolo nero in cui spiccano solo i piccoli specchi negli occhi della gente mi immagino tutti questi raggi di luce che rimbalzano sulle iridi dei presenti e vanno a colpire con estrema violenza le lenti dei miei occhiali scuri senza riuscire a scalfirle senza penetrare in me senza la possibilità di spezzare il mio isolamento perché non voglio avere contatti sono qui solo per stare in mezzo alla gente e fingere di essere invisibile fingere che potrei fermare il tempo se volessi rimanendo l'unico in grado di muovermi è quello a cui sto pensando mentre rimango immobile sullo sgabello del bar della discoteca dopo aver salutato persone che si comportano come se mi conoscessero come se fossimo amici da sempre e alcuni di loro sono qui davanti a me che ridono e parlano e ogni tanto si rivolgono a me che li guardo privo di espressione e non trovano strano il mio comportamento non mi chiedono perché stai zitto perché stai fermo perché non ti levi gli occhiali scuri la risposta sarebbe sto fermando il tempo tra poco mi aggirerò per il locale schivando i vostri corpi congelati e a te darò un colpetto col dito sugli incisivi a te sposterò una mano e quando si riavvierà il tempo il movimento sarà stato più veloce della luce e questo non è possibile ma succederà a te invece cambierò di tasca il portafoglio e quando sarai vecchio ti verrà in mente senza motivo quella volta che ti successe una cosa stranissima ma intanto non sta succedendo niente non ci sto riuscendo mi accorgo che non ho più neanche voglia di fermare il tempo da quando ho visto una ragazza che mi guarda e dalla sua espressione capisco che fra i due quello che ha iniziato a fissare sono io e che la cosa la scoccia mi sta dicendo di smetterla di guardare verso di lei ma io non sono un maleducato mi alzo per andare a dirle che non la stavo fissando apposta che stavo solo cercando di fermare il tempo che è stato un malinteso ma quando sono a un passo da lei che mi sembra un po' spaventata adesso forse per via degli occhiali scuri li tolgo me li tolgo e vedo che si rilassa erano gli occhiali sto per dirle non sono strambo se tenevo gli occhiali era per un motivo quando vedo mio padre seduto accanto a lei mio padre è elegantissimo mio padre indossa un completo indossa la cravatta mio padre ha il sorriso di chi è felice e io mi dimentico di tutto non mi importa degli occhiali della ragazza del tempo perché qui c'è mio padre gli dico cosa ci fai qui papà e lui dice sono contento di vederti mi chiede come sto e io non posso smettere di guardare il colletto della camicia e la forma dei pantaloni gli dico papà come sei vestito questa roba non va più di moda lui non ascolta mette giù il bicchiere e si alza e viene verso di me con le braccia aperte verso di me che mi sento in colpa perché vorrei scappare urlando ma la voglia di ricevere il suo abbraccio è troppo forte quando mi raggiunge mi stupisco della sua solidità non riesco a credere che sia davvero lui che sia davvero qui eppure lo stringo forte per contrastare i miei dubbi con il timore che smettendo di crederci papà mi svanirebbe fra le dita lui dice ancora come stai e io non dico niente per non farlo svanire mi dice balliamo e questo mi fa ridere molto il solo pensiero di ballare con mio padre mi fa ridere tantissimo sto ancora ridendo forte quando iniziamo a ballare non ci posso credere sto ballando con mio padre per essere sicuro vado a cercare con la mano la profonda cicatrice che ha sempre avuto sulla schiena e quando la trovo vengo punito per la mia mancanza di fede vedo il suo volto diventare serio vedo mio padre che mi guarda deluso no non deluso ma dispiaciuto mi dice non è colpa tua non è colpa mia non è colpa di nessuno e io dico per favore non morire un'altra volta se vuoi metto gli occhiali e fermo il tempo ma non di nuovo non adesso e lui dice no è tutto nella tua testa qua fuori ho una fuoriserie decappottabile che mi aspetta devo andare dove tu non puoi venire gli dico scusami se non ci credevo scusami se ho avuto bisogno di trovare la tua cicatrice per convincermi che fossi davvero tu e lui scuote la testa e dice hai sempre dato troppo importanza alle piccole cose vorrei digli papà stai citando un film stai citando nikita ma lui mi stringe la mano mi dice mi raccomando aggiunge mi ha fatto piacere incontrarti e si volta e se ne va mentre inforco gli occhiali sono i tuoi papà fermati guarda li riconosci questi occhiali sono i tuoi e penso tempo fermati te lo ordino tempo fermati ti devi fermare tem

mercoledì 13 ottobre 2010

Supposta.

Tra due ore tocca a me uscire, prendere la supposta, è stato Jorge a chiamarla così, la capsula che ci porterà sopra, lassù, fuori da questa tomba, all'aria aperta. Due mesi in una gabbia di roccia, qualche minuto in una gabbia di ferro, la supposta infilata su per il culo di questa miniera assassina. Sono tutti di buon umore, perfino Mario, che è nato senza il dono del sorriso, ha una luce negli occhi che non ha mai avuto, quando guarda in alto, il soffitto della grotta, e chissà cosa immagina di vedere. Alfredo ripete da giorni che non gli interessa niente di finire in televisione, che se stringerà la mano del presidente sarà solo perché gliel'ha chiesto sua moglie. Alfredo ripete da giorni che a nessuno interessa davvero qualcosa di me, in particolare, o di Mario, in particolare, o di Roberto, in particolare, dice che siamo solo i minatori che verranno salvati, siamo attori di un film che l'anno prossimo sarà già sprofondato in quel posto dove finiscono tutte le cose che succedono agli sconosciuti e alle persone qualunque. Alfredo ripete da giorni che tutto quello che vuole è vedere il mare, sedersi in riva al mare sapendo di poter andare dove gli pare. Anch'io sogno sempre più spesso di trovarmi in posti senza muri.

Possiamo raggiungere con la voce chi sta quasi un chilometro sopra di noi. Parlare con i parenti, con i medici, con gli psicologi. Lo psicologo mi ha raccomandato di dormire quando le luci si abbassano per farci sapere che nel mondo dei liberi è notte. Mi fa moltissime domande, tutti i giorni, e io rispondo sincero. Mi ha chiesto se mi sento bene, ho detto non lo so. Mi ha chiesto se ho dei problemi, ho detto non lo so. Mi accorgo da come gli trema la voce che le mie risposte non lo soddisfano. Mi dice pensiamoci bene, sono qui per aiutarti a sopportare l'attesa nel miglior modo possibile. Ascolto, non sono il tipo che parla molto e il silenzio angustia il mio psicologo, dice non dobbiamo preoccuparci, ti posso assicurare che andrà tutto bene, presto ne verremo fuori. Dice verremo, come se fosse anche lui quaggiù con me, e a volte mi viene il dubbio che vorrebbe davvero esserci. Mi chiede se c'è qualcuno con cui mi piacerebbe parlare, che può mettermi in contatto con chiunque, e ci rimane così male quando gli faccio sapere che in questo momento non sento il bisogno di parlare con nessuno, rimane così deluso da spingermi a dire Sylvester Stallone, fammi parlare con Stallone. Ride, ridiamo. Dico chiamiamo il Papa, vogliamo parlare con Ratzinger, ci piacerebbe molto far due parole con Tom Waits. È molto contento quando anch'io uso la prima persona plurale.

Mia moglie anche oggi si è messa a piangere, dicendomi quanto le manco. Prima di restare bloccato sottoterra mia moglie era già tanto se mi salutava ogni tanto. Dice che là sopra la situazione è molto tesa, gente che era molto amica adesso si odia, scoppiano litigi per i contratti delle future interviste, per i diritti d'autore. Dice che quando tornerò fra i vivi diventerò ricco e famoso, di prepararmi a una nuova vita. Tornare fra i vivi, è una frase che da quando l'ha detta non smette di girarmi nel cervello. Leo si è riempito le tasche di sassi e altri piccoli oggetti, ogni tanto li tira fuori e li pulisce come se avessero un grandissimo valore. Non è il solo, anche Francis vuole portare con sé il più possibile, mi ha rimproverato di non fare lo stesso, dice che una volta fuori metterà all'asta anche la camicia che ha addosso. Una delle cose che mi ha colpito è stata la confusione e i battibecchi quando si è trattato di scegliere l'ordine di evacuazione. Alcuni volevano a tutti i costi uscire per primi, altri invece per ultimi, quasi nessuno ci teneva a uscire nel mezzo. Ho detto al mio psicologo che ci sono dei momenti i cui preferirei restare qua, rifiutarmi di entrare nella supposta, restarmene qui dove sono, da solo. Lui mi ha parlato in quel modo lento e preciso che utilizza solo passando dallo scrupolo alla paura e quando non aveva più voce mi ha invitato a cena, ha detto andiamo a mangiare insieme quando esci, d'accordo?, ero stanco di starlo a sentire e ho detto va bene. Ha detto perfetto, così mi piaci, per sicurezza ti mando giù delle pillole che ti aiuteranno a dormire meglio.

La supposta è un cilindro in rete metallica con un cavo d'acciaio per trascinarla nel cunicolo. C'è una mascherina per l'ossigeno, c'è un telefono d'emergenza. Ho avuto un sacco di tempo per pensare a cosa proverò entrando nella supposta. Non c'è molto da fare qui, a parte giocare a carte, fare ginnastica, intavolare lunghe chiacchierate, c'è fin troppo tempo per pensare. Sentirò i rumori del metallo che sfrega contro la pietra, mi coprirò gli occhi con le mani per evitare la polvere, conterò mentalmente i secondi visualizzando la mia ascesa come un puntino luminoso su uno schermo e di quando in quando mi sforzerò di vedere l'uscita, il cerchio luminoso del mondo dei vivi, il secondo parto, la nuova vita in attesa di possedere il mio corpo, l'esorcismo che mi libererà della vita vecchia, la metamorfosi. Ho sognato che arrivavo in cima e quando aprivano la supposta mi guardavo attorno e scoprivo di essere in ancora una grotta, solo un po' più grande, un po' più arieggiata e luminosa. Ho sognato che la supposta si bloccava a metà strada e mi dicevano che non c'era niente da fare, se ne andavano tutti e io stavo calmo, non mi disperavo, perché sapevo che in realtà ero rimasto l'unica persona viva al mondo e che sarei rimasto vivo per sempre, a percepire il trascorrere delle ere nel bozzolo protettivo della supposta. Ho sognato che la supposta usciva dal tempo e dallo spazio e quando ne venivo fuori mi trovavo nella vecchia casa in cui sono nato, in cui ho passato la mia infanzia. Ho sognato che era una capsula del tempo in grado di farmi tornare bambino e che premendo un bottone avrebbe fatto in modo di tagliare tutti i pezzi della mia vita che non avrei voluto rivivere.

(Disclaimer: i nomi ovviamente sono inventati, non c'è riferimeto a persone realmente esistenti)

martedì 12 ottobre 2010

Gwen

Hanno fatto una bambola che ti somiglia. La vendono per qualche globo di ectoplasma nei distretti affollati di Kamadan. Ho incontrato tua madre negli inferi, ti stava cercando, ti stava chiamando, ho provato a dirle che stai bene ma non ci sono riuscito. La tua bambola è personalizzabile, la tua bambola si può esporre al monumento dell'amicizia, la tua bambola se la posi in terra si accende e cammina e ti segue dappertutto. Vorrei comprare la bambola che ti somiglia ma non ho abbastanza soldi. Se avessi la bambola che ti somiglia la metterei nello zaino e la tirerei fuori in quei punti che so io, dove si possono ammirare i panorami, luoghi che si raggiungono correndo per ore, evitando i nemici quando possibile, posti lontani da villaggi e sentieri battuti. Tirerei fuori la tua bambola e le direi apri gli occhi, guarda.

Intanto alla tv ci sono delle facce che muovono la bocca. Persone vecchie che raccontano la politica, che fanno il confronto coi bei vecchi tempi, quando c'erano tanti soldi e la gente si ingellava i capelli per sentirsi migliore. Alla tv ci sono donne con grosse labbra e sostanze pastose sulla pelle che opacizzano e coprono trascurabili difetti inaccettabili dalle telecamere. C'è un uomo in ginocchio con una camera a spalla che si muove come un granchio, alla ricerca di nuove angolazioni, un dettaglio inconsueto capace di catturare l'attenzione e impedire che il dito prema un bottone sul telecomando. Ci sono mani alla tv che sottolineano le parole, i concetti, alcune si muovono adagio, descrivono complicati arabeschi al rallentatore, altre si muovono a scatti in direzioni all'apparenza casuali e ogni tanto viene puntato un dito, viene chiuso un pugno.

La bambola che ti somiglia ha la testa grossa, sproporzionata. C'è una definizione in Giappone per questo tipo di bambola, ideogrammi che non so pronunciare, accenti che evocano spari nell'ovatta. Ti ho vista piangere accanto alla fontana, distrutta dall'odio per i Charr e dall'amore per quel giovane tenente premuroso. La fenice arcobaleno strepitava e si teneva a distanza, turbata dai tuoi singhiozzi, incapace di sfuggire ai tuoi stati d'animo contraddittori. La rosa che stringevi nella mano perdeva un petalo ogni volta che le chiedevi di rimuovere il sortilegio, la fattura d'amore e il maleficio d'odio. Hai visto cadere Ascalon, le sue mura sbriciolate, profughi errabondi in grado solo di esprimere gemiti e nenie lamentose, fertili campi ridotti a sabbia cristallizzata. Ti hanno raccontato di tuo padre, di come non si arrendeva, spezzava le aste delle frecce e si rotolava per terra avvolto dalle fiamme.

Alla tv hanno mandato la pubblicità. Nella pubblicità i giovani sembrano davvero giovani, i vecchi sembrano giovani truccati da vecchi. Vedo bambini che giocano, poi appare un prodotto commestibile. Vedo ragazzi con la follia nello sguardo, poi appare un prodotto che vuole essere strumento di trasgressione. Vedo un vecchio che sorride, adesso ci sente, adesso la sua dentiera è incolata bene, adesso non deve più temere la puzza di piscio. Se alzassi il volume sentirei anche la musica, anche quei suoni specifici fatti in modo tale che quando li senti per caso devono farti apparire nel buio del tuo cervello, in quel luogo dove brucia la fiammella della tua coscienza e si sporge per vedere cosa succede fuori, lì dove vivi anche mentre dormi quel suono deve evocare il logo, il marchio, e con esso le piacevoli emozioni che ti fa provare la pubblicità. Siamo felici quando vediamo dei soldi passare di mano.

Ti conosco da tanto tempo, da quando eri bambina. Ti ho vista puntare un'arma contro un prigioniero, decisa a giustiziarlo, a sangue freddo, avevi i denti scoperti e le guance bagnate, e l'avresti ucciso davvero se non ti avessi fermata. Ti ho vista intervenire al consiglio per ottenere il permesso di scatenare la guerra, una guerra nuova, dicevi, gonfiavi il petto e dicevi il mio esercito è pronto, il mio esercito è organizzato. Alzavi il pugno in aria e dicevi la mia rete di informatori è vasta, la mia pianificazione è dettagliata, il momento della vendetta è finalmente arrivato. I maghi ti ammiravano, gli strateghi correvano a inginocchiarsi davanti a te, i guerrieri mettevano le loro armi al tuo servizio pronunciando solenni giuramenti. Alle tue spalle mi chiedevo fino a quando sarei rimasto a proteggerti dalla tua foga, dalla tua sete di rivalsa, a impedirti di trascinare il mondo nella prossima catastrofe con la fretta di chi non ha più nulla da perdere. Eppure avevi molto da perdere, perché non te ne rendevi conto, non riuscivo a capirlo.

giovedì 7 ottobre 2010

Alla scuola dei preti (5*N)

Io c'ero sempre alla scuola dei preti. Scioperi, neve, malanni, nulla poteva impedire che io fossi presente all'appello. Prima perché mi ci depositavano e non avevo scelta diversa dal bigiare. Quando finalmente potevo usare la moto o la macchina, e volendo firmarmi da solo la giustificazione, ormai ci avevo fatto l'abitudine. Il banco aveva qualcosa di rassicurante, la sindrome di stoccolma di chi il banco lo abbraccia, ci si stende sopra, lo prende a calci. Se entravo e qualcuno aveva spostato nottetempo il mio banco mi incacchiavo, lo rintracciavo e me lo riprendevo. Lo stesso per la sedia. Il mio banco, la mia sedia, qualcosa di sicuro, di stabile, un punto fermo, immutabile e permanente, non penso di chiedere troppo.

Se qualcuno si rifiutava di restituirmi il banco o la sedia, adducendo scuse improbabili, accusandomi di condotta puerile o, peggio, vantando diritti di appropriazione lecita, lo menavo. L'uso della forza, quando ho smesso di ritenere il contatto fisico un'opzione percorribile? Se non altro con me potevi essere certo di una cosa, non avrei mai agito di nascosto. Come quei tizi che ti sporcavano di inchiostro il giubbetto, vero G.?, o ti nascondevano la cartella, vero P.?, o ti danneggiavano la carrozzeria, praticavano l'arte della delazione, mettevano in giro voci maligne sul tuo conto. Facevano scherzi, insomma. Avrò avuto molti difetti, ma nessuno poteva accusarmi di non prendere le cose di petto. Non mi vendicavo di nascosto, non esercitavo la propensione alla meschinità, ti mollavo direttamente una ceffone in testa o un calcio in culo.

Adesso trovo fastidiosa perfino la violenza verbale, per dire come si cambia invecchiando. In compenso a volte immagino azioni degne di un film splatter ogni volta che evito il confronto con qualcuno che sta cercando di farmi innervosire, è il prezzo della mansuetudine? Fai esplodere una granata immaginaria nella bocca dell'interlocutore ogni volta che decidi di non accettare una provocazione? Accetti di vivere in un mondo ingiusto convincendoti che in un universo parallelo ogni torto sarà aggiustato. Alla fine dei tempi presenti il bilancio e se hai subito più di quanto hai reagito vinci. Spero che sia così perché altrimenti sto sprecando un sacco di occasioni per esprimere la mia aggressività repressa.

A quei tempi non avevo di questi problemi. Inoltre si poteva incanalare il dissenso in un esplosione di violenza controllata, come gli artificieri che mettono una cupola di piombo su una bomba e contengono la denotazione. Una prova di forza ritualizzata, come darsi pugni sui bicipiti e il primo che si arrende ha perso. Se in politica funzionasse così Tyson sarebbe diventato presidente. Ma se uno ti rifiuta di restituire la tua sedia cosa puoi fare? Lo denunci, chiami la mamma, scrivi un esposto al preside, organizzi una manifestazione di protesta? No, gli dici hai cinque secondi per toglierti dai piedi, dopo di che inizio a prenderti a sberle. Bullismo? Se lo dici a chi sta tormentando di coppini e prendendo in giro il gracile e timido A., colpevole di codardia per non aver passato le soluzioni di un compito in classe, gridando che aveva un solo testicolo e che sua madre lavorava davanti a un falò, come ha fatto quella volta F., smettendo solo quando gli ho sussurrato che poteva scegliere tra il piantarla e il trovarsi con un osso rotto, è ancora bullismo? Signore e signori della giuria, a voi la sentenza.

E dire che le uniche volte, in tutto poco più di un paio nell'arco di una decade, che si è passati ai fatti chi le ha prese riportando danni seri alla fine sono stato io. La cosa più fastidiosa dei punti in bocca e che la lingua non fa altro che andare a stuzzicare i nodi. Ma perché sto parlando di questo? Volevo parlare di cosa ti fa preferire il banco, il tuo caro e solido banco, il banco che non ti tradirà mai, alle bigiate. All'andare a giocare a biliardo con altri compagni di classe in vena di emancipazione e indipendenza, con la voglia matta di sperimentare cosa significhi divertirsi, di riuscire per una volta a sentirsi bene nell'esaltante pratica condivisa della trasgressione, e la certezza che anche stavolta non ci sarà niente di divertente, solo una forma diversa della solita, disgustosa, risaputa noia di sempre.

Vuoi mettere arrivare davanti al portone della scuola dei preti alle sei emmezza, non hai trovato traffico uscendo di casa molto presto. Passare in edicola, leggere il giornale davanti a cappuccio e brioches, fare il giro lungo a piedi toccando la piazza del duomo e il lungofiume, osservare la città che pian piano si anima, si riempie di persone come quando infili un bastoncino nel formicaio. Quando iniziano le lezioni tu sei già in piedi e in giro da ore. Quei giorni che non ti togli neanche il giubbetto, non apri la cartella, appoggi la testa sul banco e chiudi gli occhi. Se hai bei voti i professori non ti rompono le balle più di tanto. Tranne l'isterica prof di mate I. che non sopportava proprio di vedermi così e mi chiamava alla lavagna a dimostrare teoremi che ancora non aveva spiegato.

La scuola dei preti aveva un parcheggio interno. Se qualcuno si sta ancora chiedendo chi sia stato quella volta a entrare con la macchina nel campo di calcio, chi ci abbia fatto dentro testacoda e derapate che hanno fatto uscire dai gangheri il laido prof di ginnastica F., spingendolo a fare fuoco e fiamme in consiglio di classe per scovare e punire il colpevole... È inutile che mi guardate così, non c'erano telecamere ai quei tempi, non avete nessuna prova, l'unico testimone, l'allergico all'igiene V., appassionato di moto cross, ha preferito complimentarsi con l'autore per l'abilità nella guida, lamentandosi solo del fatto che l'idea non fosse venuta prima a lui.

mercoledì 6 ottobre 2010

Mr Nobody

Alcuni mi chiamano Craft (Can't Remember A Fucking Thing), dice il protagonista all'inizio del film, l'unico uomo sulla Terra che la tecnologia non ha reso immortale, l'ultimo uomo che sperimenterà la morte. Proprio la sua mortalità lo rende degno di attenzione, ogni istante della sua vita viene registrato e riprodotto su tutti i televisori perché la gente è curiosa di capire cosa si pensa e si prova a vivere nella consapevolezza di avere un tempo limitato di fronte a sé.

Un film che pone interrogativi filosofici, che vuole indagare il significato del tempo per avere la scusa di proporre in filigrana riflessioni ontologiche: l'essere, il divenire, la volontà, l'amore, cosa c'è prima e dopo la vita, principio originario e universi multipli e significato del tutto. Un obiettivo così elevato potrebbe sfociare in un minestrone insipido e stucchevole, ma nel caso specifico il risultato è apprezzabile. A parte la sovrabbondanza di scene drammatiche legate a vicende sentimentali che sfiorano la ridondanza e l'appiattimento su tematiche e pruriti adolescenziali, si deve ammettere che sono anch'esse necessarie come collante narrativo e contribuiscono a spezzare la tensione mentale che trascinerebbe la trama in un labirinto sterilmente cervellotico.

Il cardine attorno al quale gira la storia è una singola scelta che segna il confine tra un prima fatto di sicurezze, di serenità, di teorico proseguimento di una condizione prenatale idilliaca, e un dopo, fatto di bivii, di strade senza uscita, il delta frastagliato di un fiume in cui ogni ramo è vita vissuta a scapito di qualsiasi altra possibile, di cui ci resta ignoto quanto più desiderabile o meno potrebbe essere. In questo percorso l'autore vuole aggiungere anche lo zampino del caso, visualizzato però nella forma meccanica della teoria del caos, dove è sempre possibile supporre una matematica dell'iterazione nell'apparenza del fortuito, senza che questo possa fornire certezze, rendere immuni dal bisogno di quel mistero fondante che autorizza la fede.

Il signor Craft viene indotto a ricordare il suo passato tramite l'ipnosi, a indicare che il protagonista non sta fantasticando e quindi siamo tenuti a prendere per autentica la sua rievocazione almeno nella misura e nei parametri in cui è reale e veritiera all'interno della sua testimonianza. L'autore ci mostra paradossi, iperboli, antinomie, in una giostra di riflessioni che scivolano sopra, dentro, attraverso la storia senza mai porsi alla nostra attenzione con urgenza o prepotenza. Riflessioni sottotono che danno struttura e densità a una storia che risulta banale a chi non sappia cogliere i riferimenti, le allusioni, gli inviti a una metalettura.

Un punto focale è rappresentato dal dilemma in cui si trova il protagonista nel punto sopracitato, al confine con l'illuminazione, o con la caduta, laddove esplode l'innesco che ci proietta fuori dal giardino dell'infanzia innocente e ci lancia nell'inferno della maturità a bordo del primo vero, incancellabile, insuperabile, senso di colpa della nostra vita. Qui sboccia e si dipana la comprensione dell'irrimediabilità insita in ogni scelta, anche la più piccola ed erroneamente trascurabile. La situazione è resa nella forma tragica e archetipica, mettendo il protagonista nella condizione di dover scegliere tra la morte (in senso figurato) del padre e quella della madre.

Da qui procedono dilemmi simili, come la scelta del tipo di amore in cui credere e al quale sacrificarsi, oppure il coraggio di affrontare i nostri limiti (nel film identificata nell'acqua, nella paura/bisogno di affrontare e vincere l'acqua, nuotare o annegare nel tentativo), il mantenimento delle promesse più ambiziose e irrealistiche che ci vengano strappate (l'Isacco biblico qui inserito nell'assurdo proposito di spargere le ceneri di una persona su Marte).

E infine il premio, l'aldilà, che viene proposto nel film come conclusione espressiva del gioco di un dio bambino che ha di fronte a sé diverse opzioni tutte sbagliate come quelle del protagonista quando deve scegliere tra padre e madre. Eppure ecco il colpo di genio, la terza via, l'uscita di servizio. Il protagonista bambino non sceglie nessuno dei due e se ne va da solo. Il dio bambino si esprime in un universo che smette di espandersi e inizia a comprimersi, così facendo inverte il corso del tempo e distrugge tutto quello che è stato, elimina così facendo il dilemma e, forse, compie in questo modo il sacrificio più estremo annichilendo se stesso.

lunedì 4 ottobre 2010

Lavoro sedentario.

Si voltarono tutti quando entrò la donna, tranne Enrico, sempre alle prese coi riavvii, con la fissazione di trovare i virus, rabbioso contro chiunque, a suo parere, cercasse di violare il suo sistema. Si voltarono tutte le teste ma non all'unisono, essendo la mia postazione la più arretrata, ho potuto osservare l'onda d'urto della percezione di una presenza estranea colpire uno per uno i miei colleghi, spingendoli a smettere di digitare, a troncare a metà la frase che stavano pronunciando al telefono, a sentire un formicolio sulla nuca. Quando entrò la donna la temperatura nell'ufficio cambiò, la durezza della luce si divise e alcune lunghezze d'onda vennero attirate dalla forza gravitazionale della donna, con quei capelli, con quelle dita, con quelle caviglie, con quello specifico arco che il compasso delle sue gambe descriveva usando i passi come sentenze inappellabili.

Enrico si mise una mano sulla guancia e disse “Kappa erre vodka 51, sei un ricombinante”, e nessuno badò a lui. Non tanto perché la comparsa inattesa della donna aveva imprigionato la volontà di tutti gli impiegati, anche per quello, certo, ma in ogni caso tutti avevamo smesso da tempo di prestare ascolto alle paranoie digitali di Enrico. Fra di noi ci domandavamo sottovoce quando se ne sarebbero accorti, quanto sarebbe andato avanti prima che qualcuno decidesse di spedirlo nelle fauci di un professionista del cervello, nell'ipotesi migliore, l'unica che escludesse il licenziamento. Roberto invece sorrideva e dava l'impressione di essere pronto a stringere la mano della donna, a inginocchiarsi davanti a lei, a giurare e spergiurare qualsiasi testimonianza pur di evitare conflitti. Roberto è il migliore di noi, è quello che alza la media delle vendite dell'intero reparto, in pratica ci tiene in vita e ci protegge, dato che senza di lui saremmo in mezzo a una strada.

La donna entrò spalancando le porte e si fermo sulla soglia a fissarci uno per uno, come se cercasse un volto particolare e non trovasse altro che malfatte riproduzioni nel ricomporre in una forma gestibile l'orrore provocatole dai nostri lineamenti. Gianni recuperò da dietro l'orecchio destro la sigaretta spenta e se la rigirò fra le dita come faceva sempre nei momenti di perplessità, guardando il cilindretto da varie angolazioni come se contenesse la soluzione di ogni rompicapo immaginabile. Muoveva lo sguardo dalla sigaretta alla donna, dalla donna alla sigaretta, chiedendosi per l'ennesima volta perché avesse un giorno deciso di smettere di fumare. Lo chiedeva alla prima persona gli capitasse vicino in quei momenti di debolezza, e otteneva le risposte più svariate. Io stesso una volta gli risposi che si smette per lo stesso motivo per cui si comincia, anche se non ho la più pallida idea di quale possa essere dal momento che io fumo, non bevo, non faccio niente a parte il mio lavoro che consiste nel premere i tasti giusti al momento giusto senza avere certezze, postume o pregresse, né sul tasto né sul momento.

Enrico gli risponde vodka, tutte le volte. Quando non trova le parole dice vodka, è il suo mantra, il suo esorcismo. Gli piace il suono che fa, mi ha confidato, è convinto che abbia il potere di resettare i pensieri e le emozioni. Non l'ha mai assaggiata perché c'è il rischio che si spezzi l'incantesimo, non vuole neanche sentirne l'odore. Non puoi aver fede in qualcosa se non riesci a resistere alla tentazione di ricevere conferme, dice. Ho il sospetto che si comporti così solo in ufficio, non riesco a concepire la sua vita al di fuori delle mura protettive del suo impiego, solo qui gli è consentito essere se stesso, là fuori verrebbe distrutto e annientato da un semplice contrattempo. La donna è proprio verso di lui che si diresse, e io capii che stava per succedere l'irreparabile. Massimo ebbe il coraggio che avrei voluto avere io e come me scommetto anche Luca e Antonio e perfino Roberto se fosse una persona lucida. Massimo si alzò e disse “Mi scusi, posso chiederle...?” Non fece in tempo a terminare la frase.

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (29 di N)

Quando c'hai un figlio di notte senti le voci e spesso quello che dice la voce notturna di tuo figlio ti va a modificare i sogni. Stanotte alle 3:24, ho controllato l'ora, sono sicuro che fossero le 3:24 spaccate, stavo sognando qualcosa di tranquillo, c'era Daria Bignardi, stavo parlando con Daria Bignardi, avevo visto su internet una sua intervista qualche ora prima di dormire, per questo ho sognato Daria Bignardi.

In questo video su youtube si vedeva nel buio un tavolo rosso all'apparenza spaccato, una lastra di metallo smaltata di rosso, nel cono di luce di un faretto, quel rosso del sangue quando non ha ancora finito di coagularsi. Non so di cosa parlassero, non ascoltavo, mi piaceva di quel video seguire la telecamera in giro per lo studio, c'era un contenitore appeso al soffitto tramite cavi sottili, c'era una specie di protezione per le mensole di quelli da infilare sotto lo scolapiatti per raccogliere le gocce, per evitare di bagnare in giro, per proteggere le superfici sottostanti, e in questo caso la lastra di vetro o di plastica trasparente protegge la testa della Bignardi e ogni tanto la superficie si increspa perché una goccia cade dall'alto e ci finisce dentro, disturbando l'immagine proiettata, diversa o uguale a altre immagini proiettate in giro su varie superfici piatte o curve, grandi o piccole, vicine o distanti.

Ono convinto che ci dormirei volentieri in quello studio, per quello stavo sognando di parlare con Daria Bignardi e mi ricordo che le avevo chiesto qualcosa da bere, in una tazza come quella che usano dal Letterman, che non sai mai cosa ci sia dentro. E infatti lei mi chiede cosa ci vuoi dentro e io le dico qualsiasi cosa tu ritenga possa dissetarmi. E lei dice vodka. Io penso grappa di patate, e rido, dentro di me rido e penso che sono tutti matti, non la berrò mai quella roba. A questo punto, mentre Daria ordina a qualcuno di portarmi della vodka in una tazza da letterman io sento la voce e la voce dice “No!”, la voce grida “Non è giusto!”, una parte di me sa che è mio figlio che parla nel sonno e vorrebbe andare a fargli una carezza, a sussurrargli che è tutto a posto, ma un'altra parte di me queste cose le fa dire a Daria. La Bignardi si sporge sul tavolo, mette le mani sul tavolo, io penso che non lo farei, non metterei le mani su quel tavolo, Daria mi sussurra “ È tutto a posto, stai tranquillo” e siccome adesso le sue pupille sono accese dal di dentro, siccome ha dei led rossi accesi dentro agli occhi e i suoi capelli si muovono anche se non c'è vento, decido di raccontarle una storia, per calmarla, siamo in tv, penso, controllati.

Le racconto di questo ufficio, una storia di quelle in cui ci si godono le frasi senza che per forza abbiano un senso, una storia senza messaggio in cui i personaggi ogni tanto trovano un motivo per inserire nei dialoghi la parola vodka. Daria si rilassa e guarda sempre più spesso verso l'alto, guarda quella roba trasparente piena d'acqua che raccoglie gocce che cadono dal un rubinetto invisibile e a un certo punto si blocca, Daria diventa un fermo immagine con della bava che le scende da un angolo della bocca, respira pesante, credo che si sia addormentata. Non la sveglia nemmeno una voce da bambino che urla “ È finiiiiitaaaaaa!” e questo può significare solo una cosa, ovvero che la voce grida un'informazione banale e scontata, che non c'è nulla da preoccuparsi, che si può continuare a dormire.

Posso smettere di raccontare, nel sogno smetto di raccontare. La regia sta proiettando in giro spezzoni della mia vita che non ricordavo più. Alcuni sono spezzoni della mia vita se fosse andata diversamente, ne sono certo, e la cosa mi incuriosisce. Mi sento come se guardassi di nascosto la vita di un me stesso in un universo parallelo. La voce ora è molto vicina e mi dice “Papa, l'orologio è caduto, è stato un incidente” e aggiunge “è davvero complicato, è troppo vongoluminoso, non ci riesco papa” e io mi chiedo perché nessuno mi abbia portato la tazza promessa, ho davvero molta sete. Poi sento “ È giorno adesso?”, bella domanda, sono chiuso qua dentro con Daria che sbava, a guardare le mie vite alternative da quanto tempo, da quante ere? “Svegliati papa, dimmelo, è giorno adesso?”

Ecco perché so che erano le 3:24 precise. Quando c'hai un figlio capita che parla nel sonno, che grida nel sonno, che si sveglia e ti sveglia in piena notte per chiederti se le 3:24 antimeridiane si possa considerare giorno, dal momento che gli sembra di vedere del chiarore alla finestra, gli sembra che ci sia già un sole coperto da un cielo nuvoloso. Quando gli dici che è giorno in altri fusi orari, è giorno in certi canyon su Marte, è giorno quando si vuole ma secondo l'opinione dominante qui alle 3:24 è ancora notte lui dice “Oh, scusa se ti ho svegliato, pensavo che era giorno” e si rimette a letto e nel giro di qualche istante è di nuovo addormentato. A volte rimango sveglio e aspetto, non so cosa di preciso, aspetto come si aspetta una buona notizia che finisca la notte, ma di solito è come se trovassi anch'io come fa un bambino quel pulsante nascosto che fa addormentare, il bottone autoipnotico fatto di storie senza messaggio, di personaggi che parlano solo per aver la scusa di enunciare una parola chiave.

venerdì 1 ottobre 2010

Lamentazioni.

Distinto uomo canuto, tu che dirigi la baracca, è un punto d'onore l'eleganza del tuo gessato tagliato male, largo di spalle e corto di gamba, la cui stoffa costerà al metro quanto un attico in centro, e mi pregio con la presente di riferire alla tua eccelsa e integerrima persona, di notevole statura morale, nonché personalità di rilievo nel mondo dello spettacolo, nell'ambito accademico, nel giro di quelli che contano e, come si suol dire, che bazzichi e ti trastulli e ti vanti di fornire ispirazione alle nuove leve degli stagisti, dei fattorini, delle centraliniste, degli apprendisti, delle assistenti sempre ben pettinate, in perfetto equilibrio sui tacchi quindici, che ti circondano e premono a tuo nome e per tuo conto il bottone dell'ascensore nell'atrio, anche di fronte a testimoni scomodi, ligie al dovere e volteggianti di profumi esotici, fragranze, essenze in grado di tramortirmi a distanza, a te mi appello e riferisco, uomo affetto da lieve, direi impercettibile se non suonasse troppo lusinghiero, deficit di proprietà del linguaggio e immensa autostima, tu che controlli i parametri di efficienza sorseggiando liquori antichi in bicchieri numerati e blasonati, tu incurante dei particolari e avvezzo a battibecchi e controversie legali, con tutta la delicatezza del caso mi assumo la responsabilità di portare all'attenzione dei tuoi occhi affaticati e cisposi, arricchiti dalle rughe e dalle borse e dalle velature di incipiente cataratta, dettagli in grado di donarti l'aria stanca e trasandata del guerriero annoiato, la nomea che ti ha reso famoso almeno quanto la grinta caratteristica di qualunque tua campagna pubblicitaria ormai entrata di diritto nell'immaginario collettivo, mi trovo a sottoporti il problema in esame come spinto dal bisogno ancestrale di compiacere l'istinto che da sempre contraddistingue le politiche aziendali di basso profilo, così come a volte riecheggia contro i soffitti di cartongesso il postumo ticchettio delle unghie in sala macchine, tanto simile alla pioggia sempre invocata e mai percepita se non per tramite di corrispondenze a volte univoche a volte in aperta dissonanza con i principi di corretta amministrazione, quei valori che brillano nelle cornici appese nel tuo ufficio, fra decorazioni di rappresentanza e altre sostanze e materiali fortemente deducibili, mi permetto dunque, in nome dell'amicizia che non ci lega, della fraterna lontananza che ci rende nostalgici delle perdite, delle insolvenze e dei guadagni mai contabilizzati, mi offro volontario, dicevo, per consumare la parte del confidente, il ruolo della voce di una coscienza alterata, nel portare alla tua conoscenza alcuni fatti, o meglio alcune voci di corridoio, dicerie mai confermate che non reggerebbero in alcun tribunale cosicché tu venga messo nella posizione di esprimere un intero ventaglio di possibilità, decidere la linea d'azione da tenere, inserire la rotta e prepararti a spararle grosse o piccole o di media grandezza, così come è sempre accaduto nelle occasioni importanti, nei ritrovi esclusivi, nelle cene di raccolta fondi più o meno irritanti che ti obbligano a scandire l'elenco delle partecipazioni con voce rotta dall'emozione, accusando la mancanza di una controfigura, di un attore che abbia calcato il palcoscenico della vita tatuando sulla propria pelle gli errori di gioventù, le scappatelle, i colpi di testa, e rivolgendosi a te con occhi imploranti un tuo benestare, la sigla in calce del responsabile, il beneplacito, l'assoluzione, si faccia in quattro e si comprenda allora quanto sia naturale aspettarsi da te adesso, prima della convocazione d'assemblea, un intervento cruciale atto a ripristinare il corso normale degli avvicendamenti, degli scatti di anzianità, dei turni straordinari, delle assenza ingiustificate, in un clima di rinnovata coesione e ritrovata complicità, per questo motivo non ho potuto fare a meno di evidenziare certe incongruenze, alcuni aspetti secondari che mi sono preso la briga in questa relazione di sottolineare, e cogliendo l'occasione di ringraziarti per auguri dissimulati, rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito.