mercoledì 27 ottobre 2010

All'università prestigiosa (1*N)

Quando vai all'università scordati tutto quello che pensi di aver imparato, non ti basta nemmeno per superare l'esame più semplice. Specialmente se hai scelto un'università prestigiosa, dove per un esame devi imparare dai 5 ai 10 libri, o meglio se lei ha scelto te, perché c'è una selezione all'ingresso, un test che misura il tuo quoziente intellettivo e la tua cultura generale. Almeno così funzionava ai miei tempi, prima della laurea triennale e dell'abolizione del servizio militare. Il voto che hai preso alla maturità conta per il 50%, e se ti presenti col voto massimo, lode e abbraccio del commissario probabilmente hai studiato al sud, non lo dico io, lo dice l'Istat. Ci sono anche parecchi trucchi per non pagare la retta e le tasse universitarie che io non ho mai sfruttato perché il costo dello sbattimento mi sembrava superiore al risparmio ottenibile. Sei abituato a professori che ti conoscono, al bidello che vi date del tu, a un ambiente abbastanza user friendly, e ti ritrovi all'università. Se è un'università prestigiosa probabilmente i terminali per registrarsi agli esami funzionano e il bar non sembra un porcile: è il motivo principale che mi ha fatto optare per la Bocconi. Un altro motivo è che pensavo fosse il posto giusto per imparare a fare i soldi, se hai i soldi puoi fare quel che ti pare e piace, non vale il viceversa.

La prima cosa che ti fa capire di essere in un mondo diverso, in cui non conti niente, è che sei tu a cercare la classe dove si tiene lezione e non il professore a venire da te. Il professore arriva un quarto d'ora dopo e va via un quarto d'ora prima, questa abitudine ha anche un nome, si chiama quarto d'ora accademico. Se arrivi da lontano magari ti sei alzato all'alba e quando entri in classe scopri che intere file di posti sono state già occupate. Funziona così: un gruppo di amiconi che abitano vicini all'università si mettono d'accordo, a turno uno di loro si alza presto e occupa file intere di posti. Sono quelli che poi trovi al bar che giocano a carte e quando ti vedono ridono perché tu sei classificato provinciale, non abiti in città e quindi sei poco più che un contadino analfabeta agli occhi di questi giovani rampanti metropolitani. Hai un accento che ti identifica subito come cerebroleso che è riuscito a intrufolarsi nel circuito della Milano bene, la Milano da bere. Come quando dici di essere di Sesto San Giovanni o Cinisello Balsamo, devi trovare i tuoi simili e aggirarti ai limiti del territorio dominato dai residenti limitrofi, a meno che uno di loro decida di darti un lasciapassare in cambio di una relazione sentimentale.

Oppure no, sono io che sono un misantropo e trovo sempre qualche motivo per trovare chiunque insopportabile. L'università era anche un modo per ritardare la chiamata alla leva, potevi rinviare la naja fino al ventiseiesimo anno, bastava dare qualche esame ogni anno. Spaccarsi la testa e sacrificare anni di gioventù per finire l'università a 23 anni e partire a militare mi sembrava una cosa da pazzi. Tanto più che al ritorno iniziavi a lavorare a 25 anni, ti ritrovavi cotto e mangiato ancor prima di capire perché eri così folle da tenerci tanto. Ogni tanto mia madre a dirmi sai il figlio della mia amica si è laureato a 22 anni, e io facevo finta di invidiarlo, dicevo caspita bravissimo che genio e dentro di me pensavo che babbeo. Quelli come me il ministro li chiama bamboccioni, l'accusa è quella di ritardare i contributi che con il nostro lavoro forniamo all'inps affinché vengano pagate le pensioni alle generazioni che hanno indebitato fino al collo l'Italia. Prendi i soldi e scappa, ecco cosa dico io. Il problema è che dopo una certa età non ti vogliono più, li vogliono giovani, disposti a prendere come stipendio due dita negli occhi, se non sono laureati meglio, ché i laureati si montano la testa.

Il bello di venire accettati da un'università prestigiosa è che quando qualcuno comincia a seccarti puoi portare la conversazione sugli studi e aspettare che ti chieda tu dove studi? Alla Bocconi. Come colpire con una mazza da baseball la testa dell'interlocutore che ti sta sottovalutando da mezz'ora, son soddisfazioni. Per il resto non ricordo grandi vantaggi. Per mantenere alto il nome della scuola bocciano e bocciano e bocciano. Ho visto gente piangere nei corridoi, seduti per terra con le mani sulla faccia, ho visto mettere a disposizione psicologi per aiutare gli studenti a gestire lo stress. Diritto privato era tanto se passava il 10% degli studenti. Adesso non so se è ancora così, ma spesso mi chiedevo se valeva la pena studiare 10 libri al posto dei 3 richiesti per lo stesso esame in un'altra università, che quando hai finito come titolo ufficiale tutte le lauree sono uguali. Che poi quando esci e dici laureato in Bocconi c'è anche chi ti guarda come se tu fossi un privilegiato, un membro dell'aristocrazia che si aggira nella Francia giacobina.

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