giovedì 7 ottobre 2010

Alla scuola dei preti (5*N)

Io c'ero sempre alla scuola dei preti. Scioperi, neve, malanni, nulla poteva impedire che io fossi presente all'appello. Prima perché mi ci depositavano e non avevo scelta diversa dal bigiare. Quando finalmente potevo usare la moto o la macchina, e volendo firmarmi da solo la giustificazione, ormai ci avevo fatto l'abitudine. Il banco aveva qualcosa di rassicurante, la sindrome di stoccolma di chi il banco lo abbraccia, ci si stende sopra, lo prende a calci. Se entravo e qualcuno aveva spostato nottetempo il mio banco mi incacchiavo, lo rintracciavo e me lo riprendevo. Lo stesso per la sedia. Il mio banco, la mia sedia, qualcosa di sicuro, di stabile, un punto fermo, immutabile e permanente, non penso di chiedere troppo.

Se qualcuno si rifiutava di restituirmi il banco o la sedia, adducendo scuse improbabili, accusandomi di condotta puerile o, peggio, vantando diritti di appropriazione lecita, lo menavo. L'uso della forza, quando ho smesso di ritenere il contatto fisico un'opzione percorribile? Se non altro con me potevi essere certo di una cosa, non avrei mai agito di nascosto. Come quei tizi che ti sporcavano di inchiostro il giubbetto, vero G.?, o ti nascondevano la cartella, vero P.?, o ti danneggiavano la carrozzeria, praticavano l'arte della delazione, mettevano in giro voci maligne sul tuo conto. Facevano scherzi, insomma. Avrò avuto molti difetti, ma nessuno poteva accusarmi di non prendere le cose di petto. Non mi vendicavo di nascosto, non esercitavo la propensione alla meschinità, ti mollavo direttamente una ceffone in testa o un calcio in culo.

Adesso trovo fastidiosa perfino la violenza verbale, per dire come si cambia invecchiando. In compenso a volte immagino azioni degne di un film splatter ogni volta che evito il confronto con qualcuno che sta cercando di farmi innervosire, è il prezzo della mansuetudine? Fai esplodere una granata immaginaria nella bocca dell'interlocutore ogni volta che decidi di non accettare una provocazione? Accetti di vivere in un mondo ingiusto convincendoti che in un universo parallelo ogni torto sarà aggiustato. Alla fine dei tempi presenti il bilancio e se hai subito più di quanto hai reagito vinci. Spero che sia così perché altrimenti sto sprecando un sacco di occasioni per esprimere la mia aggressività repressa.

A quei tempi non avevo di questi problemi. Inoltre si poteva incanalare il dissenso in un esplosione di violenza controllata, come gli artificieri che mettono una cupola di piombo su una bomba e contengono la denotazione. Una prova di forza ritualizzata, come darsi pugni sui bicipiti e il primo che si arrende ha perso. Se in politica funzionasse così Tyson sarebbe diventato presidente. Ma se uno ti rifiuta di restituire la tua sedia cosa puoi fare? Lo denunci, chiami la mamma, scrivi un esposto al preside, organizzi una manifestazione di protesta? No, gli dici hai cinque secondi per toglierti dai piedi, dopo di che inizio a prenderti a sberle. Bullismo? Se lo dici a chi sta tormentando di coppini e prendendo in giro il gracile e timido A., colpevole di codardia per non aver passato le soluzioni di un compito in classe, gridando che aveva un solo testicolo e che sua madre lavorava davanti a un falò, come ha fatto quella volta F., smettendo solo quando gli ho sussurrato che poteva scegliere tra il piantarla e il trovarsi con un osso rotto, è ancora bullismo? Signore e signori della giuria, a voi la sentenza.

E dire che le uniche volte, in tutto poco più di un paio nell'arco di una decade, che si è passati ai fatti chi le ha prese riportando danni seri alla fine sono stato io. La cosa più fastidiosa dei punti in bocca e che la lingua non fa altro che andare a stuzzicare i nodi. Ma perché sto parlando di questo? Volevo parlare di cosa ti fa preferire il banco, il tuo caro e solido banco, il banco che non ti tradirà mai, alle bigiate. All'andare a giocare a biliardo con altri compagni di classe in vena di emancipazione e indipendenza, con la voglia matta di sperimentare cosa significhi divertirsi, di riuscire per una volta a sentirsi bene nell'esaltante pratica condivisa della trasgressione, e la certezza che anche stavolta non ci sarà niente di divertente, solo una forma diversa della solita, disgustosa, risaputa noia di sempre.

Vuoi mettere arrivare davanti al portone della scuola dei preti alle sei emmezza, non hai trovato traffico uscendo di casa molto presto. Passare in edicola, leggere il giornale davanti a cappuccio e brioches, fare il giro lungo a piedi toccando la piazza del duomo e il lungofiume, osservare la città che pian piano si anima, si riempie di persone come quando infili un bastoncino nel formicaio. Quando iniziano le lezioni tu sei già in piedi e in giro da ore. Quei giorni che non ti togli neanche il giubbetto, non apri la cartella, appoggi la testa sul banco e chiudi gli occhi. Se hai bei voti i professori non ti rompono le balle più di tanto. Tranne l'isterica prof di mate I. che non sopportava proprio di vedermi così e mi chiamava alla lavagna a dimostrare teoremi che ancora non aveva spiegato.

La scuola dei preti aveva un parcheggio interno. Se qualcuno si sta ancora chiedendo chi sia stato quella volta a entrare con la macchina nel campo di calcio, chi ci abbia fatto dentro testacoda e derapate che hanno fatto uscire dai gangheri il laido prof di ginnastica F., spingendolo a fare fuoco e fiamme in consiglio di classe per scovare e punire il colpevole... È inutile che mi guardate così, non c'erano telecamere ai quei tempi, non avete nessuna prova, l'unico testimone, l'allergico all'igiene V., appassionato di moto cross, ha preferito complimentarsi con l'autore per l'abilità nella guida, lamentandosi solo del fatto che l'idea non fosse venuta prima a lui.

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