giovedì 29 settembre 2011

Elenco n.1

Oggetto: riproduzioni di fate colte in espressioni emotive da fumetto giapponese, menti plagiate in efebi corpi, eroticamente colpevoli per natura di angelo volgare e favola schietta, l'amorale privo di peso che insegue scopi goderecci senza che si sporchino le delicate ali in vera farfalla. Oggetto: folletti manipolati e bugiardi che ringraziano per la serratura e per la teca di cristallo, illuminata con gusto scenico mediante faretti dai colori delicati, una bella e confortevole prigione. Oggetto: gnomi scolpiti a mano in scala uno a uno, fatti di una speciale gomma plastificata la cui ricetta deve restare segreta, ognuno dipinto rigorosamente a mano con pennelli in pelo di martora, ognuno in grado di emettere litanie incomprensibili usando il selezionato di ben sette differenti idiomi. Oggetto: fate che annusano un fiore, se ne stanno demoralizzate col mento poggiato sulle ginocchia, in punta di piedi si tendono a cogliere frutti di nuvola. Oggetto: gnomi con vistose sopracciglia e scarpe flosce, intenti a esprimere rancore e malcontento. Oggetto: folletti vestiti di erba gongolano accanto a insetti bardati e sellati, pronti da cavalcare, con l'aria stolida del ruminante, del drogato, del mistico.

Negozi che mettono e tolgono cartelli scritti a pennarello, che appassiscono e chiudono per fare posto al nuovo, che espongono chupa-chupa gonfiabili fra le gambe di adolescenti manichini di velluto nero, occhiali di gelatina polimerica in tanti colori aggressivi, gigantografie di prodotti per l'estetica in grado di ridarti l'età che vuoi avere. Negozi che invitano a entrare nel magico mondo della ricerca scientifica, di una realtà migliore a portata di mano, nella bocca di modelle asfittiche con gli occhi acquosi e le costole sporgenti di chi troverebbe appetitoso il tuo cadavere. Mi sembra che oggi indossino tutti uguali felpe col cappuccio e occhiali scuri, con sigarette esplosive in mano, in bocca, dietro le orecchie, sigarette intrecciate nei capelli e sigarette nelle scarpe, dove certi bambini ci nascondono i soldi per la merendina che spenderanno in figurine. Mi sembra che tutti si guardino alle spalle e che gli operai nella buca stradale siano particolarmente infastiditi dai suoni del sottofondo a motore che oggi è fatto di rumori subdoli e odori insidiosi. Sul web ho trovato un sito che vende occhi artificiali, arti meccanici, menti computerizzate, e gente che si picchia, che si uccide, che si tira addosso parole gridate per fare del male agli altri e a se stessi, nell'eccitante martirio del diventare famosi in una videoregistrazione.

Oggetto: ragazza con immancabili occhiali scuri nell'aria fresca delle otto del mattino smette di incedere sul marciapiede e si ingobbisce per accendere una lunga sigaretta bianca utilizzando un luccicoso accendino bianco. Oggetto: due bambini sbilanciati dallo zaino discutono di esperienze videoludiche criticando le specifiche tecniche di un modello di televisore dannatamente obsoleto. Oggetto: uomo molto alto e molto magro attraversa la strada con braccia a pendolo e passo calibrato, come uccello palustre che resiste all'impulso di migrare, guarda fisso davanti a sé. Oggetto: profumo di pane, al latte, con olive, integrale, ciabatta, filone, banana, all'olio, pagnotta, focaccia, michetta, saraceno, tagliata, di segale, casereccio, taralli, azzimo, treccia, rosetta, zoccoletti, tartarughe, grissini. Oggetto: biciclette pitturate a bomboletta per rovinarle, deprezzarle, renderle indesiderabili ai ladri; biciclette con freni a bacchetta e sellino molleggiato, graziosi cesti di vimini con fiori di plastica e fil di ferro da bomboniera, ruote inglesi bordate di chiaro; biciclette arrugginite, il pedale che rintocca sul paracatena a ogni giro, lo sporco su raggi e pignoni, ruggine su cromature saltate, fanali sbudellati, parafanghi cariati, copertoni lisci e screpolati.

L'uomo che mi rispose male, tanto tempo fa, ha i capelli sempre più grigi, la bocca tesa, lo sguardo desolato, oggi mi ha salutato, mi ha sorriso. L'uomo che mi ha sempre guardato male perché non mi interessa quello che racconta nel megafono, in piazza, per raccogliere firme e diffondere il verbo e la novella, convertire a colpi di evidenze ideologiche, la posizione da tenere, per chi e cosa tifare nell'ennesima polemica. L'uomo che quella volta per farlo contento gli dissi mi piacerebbe che ci fosse una fontanella e delle panchine in questa piazza e lui disse sì, anche vespasiani, che poi li facciamo pulire al sindaco, e rise tanto di me, invitando i suoi compagni a fare lo stesso. L'uomo che da allora lo incontro nei negozi, lo incrocio per strada, so anche dove abita, lui non saluta me e io non saluto lui, oggi mi ha sorriso, mi ha fatto un cenno, e io l'ho guardato come chi sente suonare il telefono ma non risponde. Crudele, tanto spietato da bamboleggiare in seguito, braccato da mute di sensi da mastini di colpa, come si danza per risollevarsi dopo una caduta, per dare poca importanza a ciò che succede, a ciò che va fatto, alla mancanza di scappatoie. 


mercoledì 28 settembre 2011

ogni volta è il mio primo vagito

Sentirsi persi e perduti. Persi nello spazio, come chi si sveglia e non riconosce il soffitto, l'odore della federa, la consistenza dell'aria dentro ai polmoni, la densità della luce, si stupisce delle proprie mani. Perduti nel tempo, come chi si sente sotto l'attacco del domani, derubato dell'infanzia, con tasche in cui vanno perduti i giorni, oltre il ciglio del burrone. Allora devi procedere per gradi, devi imporre a te stesso la calma, aggrapparti alla fede nel qui e ora, non è illusione, non è inganno, non è l'effetto di una droga molto potente, ma è concreto, è irrimediabile, è perentorio e indiscutibile. Quello che sei ha un senso, quello che vivi ha un significato, l'esistenza è monolitica, infrangibile, metterla in discussione provoca solo vertigini e confusione, l'ebbrezza dell'incoscienza, l'esaltazione di un fatuo divenire teso al nulla, che si consuma, che si riduce a niente, del quale occorre approfittare, trarne tutti i vantaggi possibili prima che finisca in cenere. Oppure morire fin dal principio che se non inizi subito a vincere allora non vale più la pena di sbattersi per sopravvivere. Devo scegliere, ogni giorno, ogni istante della mia vita sono chiamato a scegliere la via, la verità e la vita al bivio del mio primo vagito che riecheggia all'infinito nella mia percezione del mondo e di me stesso. È un grido di frustrazione, di rabbia, di risposta all'unica domanda fondamentale: sei vivo? Vagisco. Lo so e non lo so. La mia paura è di non trovare più la forza di fare la scelta giusta, di trovarmi di fronte al bivio e arrendermi, cedere, non rinnovare il patto, rovesciare il tavolo, buttare a monte la partita perché il banco vince sempre e io sono stanco di perdere e sperare nella vincita futura che premia i pazienti, gli onesti, i perseveranti, gli obbedienti, i capri espiatori e gli agnelli sacrificali e i beati questi e quelli. Per non sentirmi perso arrivo dallo spazio profondo e ignoro le probabilità dei lampi di raggi gamma in grado di provocare estinzioni di massa, vedo il sistema solare e ignoro i misteri della fisica che resteranno per sempre tali, vedo la terra e ignoro i problemi del pianeta causati dall'uomo, vedo la porzione di terra in cui mi trovo e ignoro il racconto collettivo inventato dagli storici e dai politici per creare i popoli, vedo la mia casa e ignoro i soldi e il lavoro che ci sono dentro, vedo il mio corpo e ignoro le malattie visibili e invisibili della carne e dello spirito, e non vedo più niente, il buio dell'essere che brancola alla ricerca di uno specchio che lo rifletta a sua immagine e somiglianza. Non sentirsi persi. Ritrovarsi. Per non sentirmi perduto inizio da lontano, dal punto in cui la retta del tempo va da orizzonte a orizzonte, mi avvicino al segmento che va dalla nascita del nostro sole alla sua morte e vedo che è un tempo breve, mi avvicino al segmento che va dalla nascita della vita sul nostro pianeta alla sua scomparsa e vedo che è un tempo breve, mi avvicino al tempo brevissimo della Storia tramandata che va dalle pitture rupestri ai testi scolastici, e poi all'ultimo millennio, secolo, decennio, anno, mese, giorno, ora, minuto, secondo, fino all'istante infinitamente piccolo che sta passando adesso, mettendoci un'eternità. Non sentirsi più perduti. Ritrovarsi. È la chiamata a cui si risponde con un vagito o non si risponde affatto, decidendo di restare persi e perduti a se stessi e al mondo. E io ogni giorno rispondo, con fatica, controvoglia ma sempre al dunque rispondo, sapendo che è la scelta razionalmente giudicata più scomoda, logicamente più irrazionale, la stupidità di un sentimento che non mira alla ricompensa del godimento materiale del corpo o dell'ego. Un vagito che serve solo a emozionare chi dà per scontato il miracolo del venire al mondo da un posto lontano in cui ci si sentiva persi e perduti, con la certezza di non essere i benvenuti, di essere accolti per un'ospitalità causata dal senso del dovere, elargita nonostante la colpa originale di avere bisogni, sogni, e la libertà di fare la scelta sbagliata. Che soddisfazione dire basta, adesso mi prendo ciò che desidero, basta, adesso metto a posto le cose, basta, adesso si fa come dico io, ti sembra di avere finalmente uno scopo, un posto preciso nel dove e nel quando, ti sembra di essere quello destinato alla tv, ai libri, alle statue nelle piazze, oppure quello che nacque con dieci e morì con cento, strappando alla vita tutta la carne che aveva sulle ossa, alla sua vita e a quella degli altri. E chi fa riecheggiare il suo vagito ti sembra debole, ti sembra incapace di ribellione, privo di ambizione, incapace di cogliere la bellezza del canto superbo, il dolce sapore del libero arbitrio. A volte invece rimango in bilico, mi fermo davanti al bivio, metto le mani alle orecchie e dico lalalalala per isolarmi, fuggo nei miei ragionamenti, mi distraggo inventando storie, mi metto a riposo e mi pongo al riparo, cerco qualcuno con cui parlare per ore di quanto fa caldo o freddo, ipotizzo che le storie dell'orrore siano le notizie di cronaca quotidiana di un mondo alieno, che tutto questo non mi riguardi. Se mi chiedi cos'è la fede io rispondo fiducia in se stessi e nel mondo, nello spazio e nel tempo, è non sentirsi persi e perduti, è ritrovarsi, è la scelta più difficile, è avere fame e sete anche dopo che si è mangiato e bevuto, è ripetere ogni volta il primo vagito. Non è qualcosa che o ce l'hai oppure no, non è un dono o una maledizione, non è un biglietto vincente della lotteria o una droga per evitare di affrontare le cose. È solo una scelta, prendere o lasciare, premere il grilletto o buttare la pistola, ma soprattutto è un vagito che lancia un'assurda richiesta di amore, anche se ogni tanto è così bello chiudere gli occhi e gridare lalalalala è inutile che insisti non ti vedo e non ti sento.


giovedì 22 settembre 2011

parole conto terzi

Mi è arrivato un messaggio su facebook di Mario dove mi ha chiesto di commentare una foto (gratis, tirchio della malora). Prima mi ha mandato una figura umanoide, in posa plastica o comunque in atteggiamento intimista da violazione della privacy, presa in controluce su sfondo azzurro, incorniciata dall'arco di un portico a voler simboleggiare, immagino, un buco di serratura che diventa galleria e trasforma il pudore in esibizionismo, denunciando il trionfo dell'ipocrisia benpensante. La tipica modella da pittore, che nei film finisce a letto col pittore perché colpo di fulmine or povera succube or facili costumi. La gambetta messa lì a mostrare la coscia forse è solo una storta alla caviglia, sei tu che pensi male, dovresti chiamare un dottore al posto di startene lì a malignare ridens come un moralista bacchettone. La testa vagamente idrocefalica modello boccia da bowling, i pantaloni a zampa di elefante, il pavimento cosa c'è sul pavimento, foglie secche o escrementi di piccione? Finalmente l'indizio della mano rivela almeno la posizione del simil-cartonato, l'essere umanoide sta guardando lontano, nel vuoto, sta elevando il proprio spirito o cercando di vedere dove è andato a finire il pallone, nonostante le vertigini e la mancanza di una ringhiera. L'indecisione, l'atterritimento o atterrizione del restare impietriti per un nonnulla, l'epifania entrata di soppiatto. Oppure l'avere tempo da perdere, essere in anticipo sull'appuntamento. Sembra un esercizio ritaglia la figura e incollala per i bambini creativi o i mentalmente afflitti.



Poi mi ha scritto che quella foto era stata giudicata banale dagli altri commentatori, non ho idea di chi siano, per cui adesso la foto da commentare è questa.



Ci sono due uomini seduti, circondati da borse e sacchetti, come i bambini con le figurine, il valore degli oggetti posseduti è soggettivo. Il mio tesssoro, l'innocenza, il trono, la dignità, la vittoria, cose di cui ci circondiamo per necessità materiali e spirituali, l'orsacchiotto, l'arco e le frecce, un testo sacro, il corpo di un altro essere umano, prodotti con o senza marchio di fabbrica, il cui valore si percepisce nella mancanza, quando si perdono. Hanno il mare, hanno la spiaggia, hanno lo spazio vuoto di cui è fatto in prevalenza l'universo, e noi ci teniamo vicino le risorse, le vettovaglie, i mezzi di sussistenza, anche se sono fatti di gomma, di plastica, ce ne stiamo a contare e ricontare, a staccare piccoli morsi, a fare paragoni, a invidiare i colori vivaci altrui, quando morirai diventerà tutto mio, ucciderò i tuoi figli nella culla se necessario, perché non c'è niente qui, solo sabbia e acqua salata, e io devo pur campare, ma nel frattempo amico mio vieni qui fatti abbracciare non lasciarti sfuggire di mano l'affare vediamo di concludere scambi vantaggiosi per entrambi io posso avere quello che ti serve, quello che desideri, quello che non hai mai osato chiedere. Facciamo finta di non essere interessati, di essere indipendenti, seduti uno di fronte all'altro, il primo che parla rimane svantaggiato, in posizione di debolezza. Fratello, mi sento spiato. Spiato dall'osservatore, da me che guardo nascosto dalla rete, dal filo spinato, dalla barriera che separa dalla realtà il contenuto di una fotografia, io come animale in gabbia, la consapevolezza personificata, il dito indice del giudice che trema e adesso punta verso di te adesso verso di me, indeciso, forse malato, forse meccanico e guasto, fratello, ho paura, facciamoci coraggio. Tu conta i tuoi sacchetti che io conto i miei, ce la caveremo, uno dei due ce la farà e sarò io, mi dispiace, devi fartene una ragione, Abele, fratello adorato, mamma e papà hanno sempre voluto più bene a te che a me e Dio cosa ha mai fatto per me Dio, a parte la sabbia in bocca, la sabbia negli occhi, una sete che a bere quest'acqua non si placa, e niente da mangiare, niente per sfamare i nostri figli, altro che suoi, sono nostri e chissà quanti, come me, non sono mai stati neanche voluti. Un giorno ti ammazzerò, Abele, e il tuo Dio non ti salverà, non scenderà dai cieli a fermare la mia mano.

lunedì 19 settembre 2011

Svegliarsi altrove

C'era una volta un bambino che si svegliava sul treno. Si addormentava nel lettino e si svegliava sul treno, nessuno riusciva a capire come potesse succedere. Ogni volta ci toccava correre a recuperare il bambino. Ero io a mettermi al volante della macchina, a premere l'acceleratore per sorpassare il treno e precederlo in stazione, saltare sul treno e fiondarci alla cabina numero 30, sul quinto vagone, per riportare indietro il bambino che si svegliava sul treno. Era un problema che ci tormentava l'esistenza, quel bambino. Noi del servizio TST (Tutela del Sonno Tranquillo) siamo professionisti meticolosi, affidabili, se i genitori avessero scoperto la faccenda del bambino che si svegliava sul treno avremmo rischiato di perdere il lavoro. Bisognava intervenire. Il bambino che si svegliava sul treno aveva sette anni e un buco al posto dei denti davanti, inconveniente che a volte gli provocava dei fischi involontari nel pronunciare parole con troppe consonanti. Gughi, il mio capo, disse che per prima cosa dovevamo interrogarlo, fargli confessare la marachella e obbligarlo a promettere che in futuro si sarebbe comportato come si deve. Gughi è sempre stato un maniaco della buona educazione. Provai a fargli cambiare idea solo un paio di volte, ma se conoscete Gughi sapete che è inutile, quando si mette in testa una cosa non gliela levi più.

La mattina dopo al posto della solita procedura di riallettinamento standard, con le tute di protezione lucidate e l'attrezzatura completa dentro a uno zaino pesantissimo, il tutto per impressionare come si deve il bambino che si svegliava sul treno, gli puntammo la luce in faccia e Gughi mi diede una gomitata per farmi iniziare l'interrogatorio. Ci eravamo preparati, lui doveva minacciare e intimidire, io dovevo proteggerlo e consigliarlo. Il solito trucco poliziotto buono e poliziotto cattivo. Gli dissi ciao, sono Reddo, sono qui per aiutarti, vedrai che ce la caveremo in pochi minuti, ci basta rispondere alle domande di questo signore che è arrabbiato con noi. Il bambino era ancora mezzo addormentato, dovevamo fare presto, non doveva rendersi conto che non si trattava di un sogno. “Arrabbiato?”, disse il bambino. Gughi fece la voce dura e gli ordinò di confessare tutto. “Tutto?”, disse il bambino. Mi stavo spaventando anch'io anche sapendo che Gughi non faceva sul serio. Mi intromisi dicendo che bastava dire come si faceva a sfuggire alla sorveglianza e finire sul treno. “Quale treno?” disse il bambino. Perfino Gughi ammise che forse il bambino non aveva colpa, non arrivò a dire in modo chiaro che aveva fatto uno sbaglio, però disse che forse, forse, c'era un'altra spiegazione.

Tirammo a sorte quella sera. Ero appena arrivato in ufficio quando mi dissero che toccava a me. Gughi aveva estratto il mio nome. Sempre a me tocca, lo so che fanno finta di pescare un biglietto dal cappello o il legnetto più lungo, alla fine chissà come chissà perché il risultato è sempre che tocca al sottoscritto. Stavolta non ho neanche protestato, in fondo l'idea di vivere un'avventura non mi dispiaceva per niente. Al massimo cosa poteva succedermi? Avevo il mio gas paralizzante, avevo il mio distintivo, avevo perfino una radiotrasmittente per chiedere aiuto. Misi solo una condizione: animali. Ci vado solo se mi date la certezza che non ci siano animali, dichiarai. Gughi rise, mi diede una pacca sulla spalla, ma quali animali, disse, non ci sono animali. Garantito? Assicurato! Non un gatto, un cane, nemmeno un pesce rosso? Niente, neanche un criceto, niente animali! E invece un gatto c'era, un gatto grosso e parecchio antipatico, m'ha lasciato le cicatrici sulle mani. E un cane in giardino, mi ha strappato l'impermeabile d'ordinanza. E un pesce rosso che mi ha guardato malissimo. E un criceto che ha cercato di dare l'allarme correndo come un pazzo sulla ruota. Uno zoo, la casa del bambino che si svegliava sul treno.

Presi posizione accanto al lettino e iniziai il turno di guardia. Non gli avrei permesso di alzarsi e andarsene in pigiama a occupare la solita cabina del solito treno. I bambini posti sotto la nostra custodia si svegliano nello stesso posto in cui si sono addormentati, che i genitori ci pagano apposta per stare tranquilli. Cosa succederebbe se al mattino non si avesse la certezza di trovare i propri figli dentro ai loro lettini, eh? Pensavo queste cose senza dirle a voce alta, per tenermi occupato e non guardare l'impermeabile strappato, non badare al male dei graffi sulle mani, non sentirmi osservato dal pesce. Uno zoo, quella casa, mai visti tanti animali tutti assieme. Così sgridavo mentalmente il bambino che si svegliava sul treno, osservandolo dormire e farfugliare nel sonno parole che non riuscivo a capire per via del rumore fatto dal criceto. Tu devi farmi il favore di non svegliarti sul treno! Hai capito?, stavo dicendo mentalmente al bambino quando si è sentito un fischio fortissimo, un fischio da treno. Il bambino stava dicendo parole piene di lettere esse e fischiava a tutto andare, così forte che il cane in giardino abbaiava, il gatto soffiava, il pesce notava in cerchio, il criceto niente, il criceto stava fermo con le zampette sulle orecchie.

Pensai che sarebbero arrivati i genitori del bambino, allarmati, ma all'improvviso il suono si attenuava, il fischio diventava sempre più sottile, come se svanisse nell'aria. E infatti stava svanendo qualcosa, il bambino che si svegliava sul treno! Mi diedi una pacca sulla fronte, ecco come succede, come ho fatto a non pensarci subito? Mi frugai nelle tasche cercando di fare alla svelta, dovevo agire prima che il bambino finisse di cavalcare il fischio come se fosse un fulmine, mi sparisse davanti per riapparire nel treno, era un classico caso di svicolamento temporale legato allo spazio trenico, secondo la legge del fischio, se avevo fatto bene i conti, avevo ancora al massimo due secondi prima che l'inversione della radice quadratica, massa per energia diviso zero più o meno uguale ma eccola, trovata! Presi la mia cicca di riserva, quella che tengo nella stagnola per le occasioni importanti, quella che frizza e pizzica la lingua, e la infilai nel buco fra i denti del bambino, interrompendo il fischio. Ecco perché quando c'è da vgilare sul sonno dei bambini chiamano la nostra ditta e chiedono espressamente di me, perché sono il migliore. Dopo Gughi, certo, il migliore dopo Gughi, lo sanno tutti, è sottinteso.

Immagine forse arriva da qui non ricordo, le salvo su disco e poi non riesco più a trovare la fonte 

giovedì 15 settembre 2011

Saloon

ro al locale c'è un cavallo questa specie di clubhouse da maneggio non so come c'è entrato un cavallo è una specie di saloon e il cavallo vede il cappello l'hanno capito tutti che la causa scatenante è il cappello un cappello come tanti altri ma è nel momento in cui vede il cappello posato sul tavolo che il cavallo impazzisce è un cavallo baio è un cavallo che viene percorso da ondate di brividi si vede la pelle sul ventre del cavallo sollevarsi come il mare quando è mosso si vedono le onde che partono dal collo del cavallo e scappano via è proprio come se qualcosa che vive sotto la pelle del cavallo fuggisse dal cervello impazzito gridando aiuto il cavallo è ammattito aiuto il cervello del cavallo è andato fuori controllo infatti il cavallo trema e suda e si impenna e mostra i denti e gli esce la bava a schizzi dalla bocca del cavallo viene fuori la schiuma e gli occhi del cavallo sporgono è uno sguardo atterrito fatto solo di pupilla e di un pericolo senza nome che si nasconde sotto al cappello è un cappello un po' sporco forse il cavallo ne sente l'odore forse lo sente fischiare dentro al suo incubo il cavallo cerca di svegliarsi e per questo si mette a correre nel locale per uscire fuori dal sonno per gettarsi lontano dal sogno il cavallo corre a testa bassa emettendo un nitrito che non finisce mai il cavallo fa un verso che rimpicciolisce chi lo ascolta e infatti la gente si rannicchia rovescia i tavoli la gente si ammucchia al riparo per evitare di essere travolti ma più che altro per non sentire il suono che esce dalla gola del cavallo un miscuglio di supplica e strillo che fa pensare a muscoli strappati dallo sforzo di sopravvivere di venirne fuori di tornare a galla e in mezzo alla giostra macabra qualcuno cede alla pressione c'è chi si mette a litigare e donne che si portano le mani alle guance e bambini che ridono e un vecchietto mezzo cieco che si alza e va a bloccare la strada al cavallo agitando le braccia per fare l'eroe il vecchietto grida si vanta dice io venivo picchiato dai negri dai gialli dai bianchi e detto questo sputa verso un signore elegante e una ragazza copre occhi del cagnolino che stringe al petto per non fargli vedere il vecchietto che da bambino veniva picchiato oppure lo sputo oppure il cavallo che scarta per evitare il vecchietto ma lo butta a terra e adesso è l'uomo elegante a lamentarsi di cento tipi di persone mentre il cavallo corre nel locale e uno alla volta i presenti raggiungono l’uscita mentre il cavallo suda e si impenna e tiene la coda alta e le orecchie piegate il cavallo non si fermerà fino a quando il suo cuore non verrà squarciato dalla fatica lo sanno tutti lo sa la ragazza e il cagnolino lo sa l'uomo elegante lo so perfino io che non so mai niente per questo nessuno ferma il vecchietto mezzo cieco che ha del sangue sulla faccia e una mazza da baseball fra le mani nessuno gli impedisce di avvicinarsi alla danza di un cavallo allo stremo che mastica l'odiato cappello che dondola su zampe cedevoli che alla prima mazzata la schiuma si colora e il cavallo starnutisce spruzzando di rosso le assi del pavimento e alla seconda mazzata si siede nella propria piscia nella propria merda è morto così il cavallo è morto seduto quando il vecchietto gli tira la terza mazzata lo fa per togliere ogni dubbio e subito dopo punta dito in aria e mette la mano a visiera sulla fronte come fa chi ha appena tirato una palla fuoricampo e il cavallo stramazza e l'uomo elegante si siede per terra e piange o forse sta solo zitto forse sta solo riposando forse sta solo ridimensionando quanto è

mercoledì 14 settembre 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (42 di N)


Scusate se oggi sarò più polemico del solito, l'autunno non è facile per nessuno stiamo come foglie la stanchezza accumulata qualcuno pensa già al Natale. Quando c'hai un figlio magari pensi di fare il genitore, di esercitare la potestà, di fare le scelte che ritieni più opportune per il bene di tuo figlio, ma non è così. Ormai fare il genitore sta diventando una professione, devi conoscere migliaia di leggi e regolamenti. Non mi riferisco a obblighi di sicurezza, caschi e cinture e seggiolini, e neanche ai consigli dei vari guru dello sviluppo intelletto-psico-emotivo, spaziando da spock a montessori, finendo sull'articolo della scuola nordica dove i bambini vengono appellati con aggettivi sessualmente neutri (scusate se mi permetto di esprimere un'opinione politicamente scorretta ma secondo me i nordici ci dev'essere qualcosa nel cibo o nel clima, forse tra legname e petrolio e pesca sono troppo benestanti, ma l'impressione di essere un po' idioti me la danno): ehi tu, individuo/a di genere indefinito/a, vuoi giocare con il/la bambola/o o con le/gli costruzioni? Si metta a verbale che non ho compromesso lo svelarsi naturale della futura identità sessuale. Son tutti matti, il genere umano è composto al 64% di matti, e mi ci metto anch'io, al 86% di stupidi, e mi ci metto anch'io, e al 27% di stupidi matti che credono alle statistiche e all'oroscopo, no, stavolta non mi ci metto.

Oggi come oggi un bambino non lo puoi nemmeno mettere nel carrello della spesa. No, non nel senso che lui non ci vuole stare e tu lo obblighi con la forza, lo imbavagli e ce lo incateni col lucchetto, ma nel senso che arriva un tizio a dirti che non puoi farlo. Ho visto bambini abbandonati a loro stessi rischiare l'osso del collo in ambienti selvatici e violenti dove gli adulti sono una mera presenza scenica. Senza parlare dei trogloditi che sono abituati a vivere in società dove è normale tagliare le mani e lapidare, genitori di bambini che fingiamo non siano un nostro problema. Però si diventa paladini del buono e del giusto se c'è da piantare una rogna per un bambino nel carrello o qualche altra piccola fesseria da cittadino modello in vena d'ipocrisia, di superbia civilista, di esemplarità illuminista. Per tornare all'esempio: se lo metti nel carrello della spesa nel parcheggio va bene, nel parcheggio sei libero di lanciare tuo figlio a canestro nel bidone dei rifiuti e nessuno ti dice niente. Però quando superi la soglia del supermercato con tuo figlio dentro al carrello diventi un padre snaturato e un delinquente. Se entri col burka non ti notano nemmeno, ma un bambino nel carrello è come gridare sono colpevole e merito una punizione. È una storia vera, mi è capitata all'ipercoop. E mi è capitata più di una volta.

Mi dice sono stanco di camminare, papa, voglio sedermi nel carrello. Va bene, così non devo tenerti d'occhio che ti perdi in mezzo al casino, non devo tenerti per mano e trascinarti via quando vedi un prodotto che attira la tua attenzione, non ti metti a tirarmi il carrello a destra e sinistra, a frenarlo obbligandomi a fare il doppio della fatica, non pretendi di spingerlo tu che sei grande, che sei capace. Ti siedi dentro e siamo tutti più sereni e felici. Grazie o inventore dei carrelli, non ne rubo uno da usare a casa solo perché temo di essere ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre lo ficco nel baule e scappo. Ma è una delle molte cose che mi riprometto di fare prima di morire. Entro e sento una voce che grida 'Mi scusi!', 'Mi scusi!', come ci si scusa con chi ci sta sporcando di fango il pavimento appena lucidato. È un dipendente dell'ipercoop, un addetto al terrorismo involontario e, nello specifico, al carrellaggio illegale dei minori. Si sa che nulla scatena il panico nelle folle più di un bambino che si lancia da un carrello imitando il segnale d'allarme della scimmia urlatrice. Non puoi mai sapere le conseguenze di un bambino che decida di approfittare del carrello. Se esplodesse?

Se uno entra con le infradito e la canottiera retata del pivot e si dirige al reparto alcolici va bene, ma se un padre osa anche solo guardarti negli occhi è come se ti sfidasse, una persona dotata di un potere anche minuscolo non si lascia sfuggire l'occasione di esercitarlo. Perché un padre è un essere debole, remissivo, accomodante, nessun padre sano di mente mette a repentaglio non solo la propria ma anche la sicurezza dei propri figli per reagire a un sopruso o a una ingiustizia. Quando c'hai un figlio diventi un bersaglio facile, le iene e gli avvoltoi vedono che sei vecchio, che zoppichi leggermente, che sei stanco, che in fondo quello che desideri è un predatore caritatevole che ti sollevi definitivamente dalle tue responsabilità. È anche vero che i padri possono essere molto pericolosi se minacci direttamente la prole, ma se minacci direttamente i padri vedrai che si lasciano anche prendere a calci senza fiatare pur di non danneggiare i figli nemmeno dando loro un cattivo esempio. Vedi, figliolo, conviene sempre porgere l'altra guancia, scendere a compromessi, non andare a ficcarsi nei guai, e tutti questi saggi consigli paterni che troppo spesso vengono capiti dai figli quando ormai si trovano in carcere o all'ospedale.

Il dipendente dell'ipercoop abbandona la sua postazione, dove imbusta merce comprata all'esterno del supermercato nell'attesa di cogliere un genitore sul fatto. Sembra molto compiaciuto, ha il tipico atteggiamento degli ufficiali incorruttibili che mi dispiace cittadino non ce l'ho con lei, lo so che lei prende la multa perché andava a 56 orari e mentre stiamo parlando le macchine passano a 80 (avete presente il ghigno beffardo che mettono sulla faccia a questo punto, quello che vi spinge a guardare la pistola nella fondina e fare brutti pensieri?), ma sto solo facendo il mio dovere, è stato sfortunato, era anche senza cintura, come no, la sua parola contro la mia, faccia ricorso. Il dipendente dell'ipercoop mi dice che non posso tenere il bambino nel carrello. Rispondo mi faccia la contravvenzione (ma chi sei? la uso per accendere la stufa). Da quand'è che sono obbligato a fare tutto quello che mi dice il supermercato? Gli dico lo tolga lei dal carrello (toccalo con un dito e ti risvegli in terapia intensiva). Lui a dire sono le regole, a stupirsi del mio rifiuto a considerare legge il regolamento. Gli dico il regolamento del supermercato non ha forza di legge, per il momento non vivo ancora nella repubblica dell'ipercoop. Gli dico mi butti fuori, chiami i carabinieri, e lui a guardarmi come se non capisse il trucco, come se gli stessi facendo un dispetto, incapace di comprendere la sua totale mancanza di potere come soldatino dell'ipercoop.

Cari visir della distribuzione, generali del commercio al dettaglio, magnati delle promozioni, califfi della tessera socio e del premio fedeltà, potete mettere un cartello dove dite che non siete responsabili, come quello nei parcheggi per oggetti di valore lasciati in macchina, ma non potete legiferare né sostituirvi alle forze dell'ordine. Il supermercato è disciplinato come esercizio aperto al pubblico. O qualcosa è illegale, e allora fate il 113, oppure è legale, in tal caso la rischiate voi una denuncia se cercate di obbligare la gente a fare quello che ordinate voi solo perché lo decidete voi. Comunque alla fine avete vinto voi, non lo metto più nel carrello, per evitare l'ennesimo stress. È così che funziona: pur di evitare noie uno finisce per adeguarsi, cedere, arrendersi, spostarsi. Succede nel traffico, succede in piazza, succede negli uffici e nelle fabbriche, succede in vacanza, o diventi un piantagrane che si arrabbia e finisce dalla parte del torto, oppure pieghi la testa e mandi giù il rospo, oppure diventi anche tu un furbetto che cerca di stare a galla mandando sott'acqua gli altri. Tiri fuori il bambino dal carrello per superare i controlli e voltato l'angolo ce lo rimetti. La particolarità di quando c'hai un figlio è che non riesci mai a capire del tutto se gli stai dando l'esempio giusto, se da grande dirà che non avevi sufficiente autostima neanche per farti rispettare dagli impiegati del supermercato o che eri così soddisfatto e sicuro di te stesso al punto da non dare minima importanza alle seccature causate dalla piccineria di chi esercita minuscoli poteri.


(Opera di Interesni Kazki)