mercoledì 21 dicembre 2011

corrono gallerie sotto Parabiago

Prendo per mano il bambino, trovando conferma nella carne morbida e calda della mano del bambino, ricevendo dalla concretezza della mano del bambino l'ordine di resistere e di combattere, di fare quello che andava fatto, andare avanti senza pensare, senza farsi domande. Mi volto a guardare il bambino e lo vedo sereno, la totale fiducia contenuta nella sua mano si estende agli occhi del bambino, al suo sguardo preoccupato solo di vedere corrisposta la tranquillità, la completa protezione da ogni pericolo, e gli sorrido, gli dico la tua mano è calda. Il bambino annuisce, mi dice non ho freddo papà, lo dice per scaldarmi, per farmi capire che dovrei fare qualcosa per stare caldo anch'io, che la mia di mano adulta è fredda, è forte ma fredda. È tutto a posto, dico al bambino, proviamo di qua, il bambino saltella per affrettare il passo, mi chiede Lì dentro? dico Sì, sbatto le suole sull'asfalto del parcheggio per far circolare il sangue nei piedi formicolanti di gelo. Il bambino mi imita e ride, è tutto un gioco per il bambino, la sua mano si aggrappa alla mia e stringe forte quando entriamo nella penombra del piano interrato, sotto l'ipermercato di Parabiago. Non ci sono mai stato a Parabiago, non so nemmeno dove sia sulla cartina, ma non ci devo pensare, sarebbe una perdita di tempo e noi di tempo da perdere non ne abbiamo mai, non abbiamo mai tempo per niente che non sia proseguire, mettere un piede davanti all'altro, obbedire agli ordini che vengono dall'alto, da dentro, da un posto comunque lontano. L'ipermercato di Parabiago è una struttura di cemento armato grezzo, lasciato grigio e ruvido per volere del progettista, in risposta a esigenze artistiche che restano implicite. È un groviglio di spirali, l'ipermercato di Parabiago, ci sono passaggi che non portano a niente, ci sono false scalini e piattaforme all'abbandono, prive di ringhiere e marchiate con simboli confusi, esistono condotti sotterranei e pozzi di ventilazione, e ovunque segnali luminosi e manifesti pubblicitari decorativi. Il bambino non deve avere dubbi, è il motivo per cui non mi devo fermare, è la ragione per cui devo fingere di conoscere la strada, avere la situazione in pugno. Guardo il bambino, gli chiedo Va tutto bene? e il bambino smette di spalancare gli occhi in giro per mentirmi dicendo Sì, solo Sì, tempo fa avrebbe fatto solo un cenno, ora il suo coraggio è aumentato, possiede la sicurezza di un'aperta menzogna, è come se dicesse Niente mi fa piangere, Niente mi fa paura quando mi tieni per mano. Canzoni natalizie provengono da lontani e invisibili diffusori e coprono in parte i fischi delle correnti d'aria che invitano a entrare nell'imboccatura del tunnel più vicino. Il bambino dice Che cos'è questa puzza? gli rispondo che è il parcheggio sotterraneo, Non è niente, è puzza di parcheggio, e lui dice Guarda papà, si va di là. C'è un ascensore e dentro all'ascensore una donna impellicciata che parla senza dire niente, non riesco a trattenere il significato di quello che dice per un tempo sufficiente a memorizzarlo, la donna stessa mi dà l'idea di una proiezione olografica registrata, proiettata dentro all'ascensore per motivi noti solo ai dirigenti dell'ipermercato di Parabiago. Il bambino invece la comprende, si schermisce quando la donna gli fa una domanda che mi scivola fuori dalle orecchie, ride quando la donna dice qualcosa di spiritoso che potrebbe divertire anche me, ne sono certo, se solo mi sforzassi di più nel trovare il modo di accettare le sue parole. Premo un bottone e la donna mi sgrida mi dice qualcosa ma io capisco Intervallo, Piano intervallo, e il bambino mi guarda, si aspetta che io risponda alla donna, inizia a sospettare che qualcosa non vada, così io dico alla donna La smetta, Faccia silenzio, e la donna si offende, smette di blaterare, si volta dall'altra parte.


martedì 13 dicembre 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (45 di N)

Quando c'hai un figlio si complica tutto per il semplice motivo che non ha il controller, un figlio non ha la console, il mouse e la tastiera, non puoi premere il tasto reset e riavviare se ti vien fuori la schermata blu. In un figlio si comprende la propria necessità di affidarsi a una potenza superiore, di chiedere a un qualche dio di occuparsi dei bambini. Alcuni demandano il compito alle tate, ai parenti, alla società, pensano che sia inutile pensare a ciò su cui non abbiamo potere, che si debba limitarci a creare mense gratuite, infermieri che lo fanno per volontariato, quest'idea dell'amore altruista che si impossessa del corpo delle persone espellendo come batteri e tossine tutti coloro che non vengono posseduti, contagiati, persuasi, condizionati. Affermano che questa visione di società formicaio non è assurda, mentre quella di pregare una potenza invisibile invece lo è. Dicono che è solo questione di tempo, la Storia si sviluppa necessariamente verso il meglio (anche questo è un postulato, magari la Storia si evolve verso l'estinzione di massa, credere il contrario è atto di fede e speranza identico al pregare). Dicono che un giorno sui giornali non esisterà più la cronaca nera, gente che si ammazza per i motivi più svariati, violenza sesso pregiudizio esercizio della forza espediente dell'inganno. Se pensi tutto questo sei autorizzato a definirti ottimista, razionale, moderno, civile, laico nel senso che la tua religione (perché è una religione la tua, renditene conto) è del tutto concentrata sull'uomo e non contempla l'esistenza di un assoluto metafisico, anzi, lo esclude come fonte di disturbo.

Ma non voglio qui criticare la cultura dominante che fa finta di essere uscita da chissà quale medioevo come un ragazzino sente il bisogno di ritenersi diverso dal padre. Voglio parlare di cosa cambia quando c'hai un figlio, per esempio io ieri sera ho tolto di nascosto il mazzolino di fieno dal balcone e ho piazzato il regalo vicino all'albero per poi lasciare che il bambino scoprisse i segni del passaggio di Santa Lucia. Io che non ho mai fatto alberi e presepi, che Santa Lucia non ricordo di aver mai messo un mazzolino alla finestra per l'asino di Santa Lucia, che Gesù bambino, non babbo Natale, Gesù bambino non poteva essere lui in persona perché i bambini crescono e Gesù è morto e dicono risorto, non dicono tornato bambino. Io che insomma il consumismo, ma basta, che spirituali non significa rituali più o meno spiritosi, io che ho decenni di tribolazione alle spalle per diventare un quarantenne abbastanza sereno, pacifico, almeno ogni tanto, se nessuno mi disturba mentre mi sto concentrando, insomma io non sono il tipo che appende e toglie mazzetti di fieno o mente a un bambino che mi chieda se è vero oppure no che arriva una santa sull'asino a portare doni, eppure eccomi qua a comportarmi come si deve, a conformarmi, adeguarmi, diventare uguale a coloro che critico, le signore in pelliccia che si muovono e parlano come, ti ricordano i film, i film di una volta, quelli in b/n con le attrici un po' culone ma sorridenti e sempre allegre, e intanto nel mondo ci sono tot bombe atomiche, ammazzano feti cromosoma doppia X, ne fanno di tutti i colori, la gente, nel mondo, e mi riprendo, capisco che in fondo sto criticando me stesso per la mia debolezza, come quelli che non vogliono fattura per non pagare l'iva e poi accusano di evasione chi non fa fattura. Ma la debolezza di un padre è forte, è solo uno dei tanti paradossi che governano la comprensione del mondo con strumenti che devono compensare gli estremi di ragione e sentimento, dove non si può fare a meno di uno o dell'altro ma trovare ogni volta un nuovo equilibrio.

Quello che cambia quando c'hai un figlio e che ti accorgi di camminare in equilibrio sul filo, ti rendi conto che tutti camminano su un filo e che la differenza sta nel correrci sopra ridendo come fa un bambino o un pazzo o un idiota (beati questi e quelli) o fare piccoli passi tormentati come chi ha ricevuto la condanna della conoscenza (le tentazioni, la lotta contro il male che ci portiamo dentro quando diventa così reale da essere combattuta fisicamente, come tenendosi lo stomaco imprecando contro la nausea). Per esempio stamattina, girando su internet incappo in una canzone che si intitola 'salva il pianeta, ammazzati' e si trova nell'album 'sei miliardi di persone non possono sbagliare', pubblicato dalla Chiesa dell'Eutanasia, il cui unico comandamento è 'Tu non procreerai' e la cui religione si poggia su quattro pilastri: suicidio, aborto, cannibalismo e sodomia. Quando non c'hai un figlio ci ridi sopra, dici quanti matti ci sono al mondo. Poi ho trovato un forum turistico dove si parla dei posti a Shangai dove è meglio non andare se non si vuole essere picchiati da qualche gang. Se non c'hai un figlio cammini sicuro sul tuo filo, non guardi in basso, non guardi quanto filo hai fatto, non ti chiedi quanto filo ci sia ancora davanti, se al prossimo passo si spezzerà, no, ci ridi sopra, dici Shangai, le gang, ah il mondo è bello vario. Leggi di ragazzini a torso nudo che si proteggono la bocca con uno straccio bagnato, come se bastasse quello a proteggerli dai gas sprigionati dal cratere del vulcano dove lavorano tirando fuori a mani nude pezzi di rocciaterra ricca di zolfo, è una miniera, se non hai un figlio non pensi cosa proveresti se uno di quei ragazzi fosse tuo figlio, non ti viene da pregare o arrabbiarti con un dio né da credere in società perfette dove quel lavoro lo fanno i robot, gli alieni, il pianeta entra in modalità paradiso perché la Storia è progredita fino a toccare l'asintoto.

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio sono anche e soprattutto le tue sicurezze e le tue paure. Capisci che non è un'autostrada ma un filo teso sul nulla, capisci che mettere il fieno sul balcone è un modo di proteggerlo, di mandargli un messaggio nel futuro, perché da grande capisca che gli volevi bene, che volevi posticipare tutte quelle cose che piano piano, anno dopo anno, ti rendono più difficile quella risata che ai bambini viene facile e ai grandi quando la sentono il cuore gli perde un battito. Poi ognuno sceglierà una medicina, che sia pregare in silenzio o manifestare in piazza, sceglierà a cosa credere, che sia dimostrabile o meno, o di non credere a niente se non a quello che può toccare e utilizzare, o magari si attaccherà a parole d'ordine come futuro, solidarietà, crescita, equità, blablabla le chiacchiere di chi si rivolge al pubblico al popolo ai seguaci agli adepti ai soldati. Fino al punto che ti sembra di pensarla giusta, di pensarla come tutti gli altri, che ci sia un cartello al neon che indica alla Storia la via del progresso, e invece spesso è solo perché nessuno dice niente di diverso, per noia, per paura, per evitare polemiche, nessuno critica la chiesa dell'Eutanasia per non andare nei posti di Shangai dove rischi di essere menato dalle gang, e specialmente se ne sta zitto e fermo chi ha un figlio, perché quando c'hai un figlio una delle cose che cambiano, se sei fortunato o solo ti capita anche per sbaglio una volta di fare attenzione, è la percezione del proprio equilibrio sul filo dell'esistenza, è la tremenda possibilità che tuo figlio un giorno torni a casa e ti dica ho deciso che i miei quattro pilastri sono il suicidio l'aborto il cannibalismo e la sodomia, oppure sono stato accettato nella gang e picchiamo i turisti che entrano per sbaglio nel nostro quartiere, oppure lavoro nella miniera di zolfo, papà, sei contento?, non mi ammalerò perché tengo questo straccio bagnato sulla bocca mentre porto fuori a braccia pietre da mezzo quintale, papà, sei contento? mi vuoi bene?


martedì 6 dicembre 2011

Non ce l'ho con nessuno (1 di z)

Mi hanno portato da cucire, è arrivata una balla di cuoio morbido, con l'odore delle officine Joshi, la puzza degli acidi fatti in casa che vende come lenitivo per le bolle a chi non può comprare le maschere o i filtri per le maschere. Il cuoio di Joshi resta il migliore, quando mi chiedono di che animale sia dico maiale, rispondo maiale da latte, e penso un giorno potresti diventarlo tu, qualche medico o becchino troverebbe un modo fantasioso di vendere la pelle del tuo cadavere. Infatti chiamo Ronnie e aspetto che arrivi zoppicando, tutto stropicciato e sconvolto dalle scosse spastiche, gli tiro un calcio quando mi arriva a tiro, ho l'impressione che venire colpito all'improvviso gli calmi i nervi. Gli dico Ronnie porta dentro i suini, tocca il porco, contamina il tuo malnato corpo di miscredente e salutami le vergini che non ti toccheranno mai. Ronnie ride, tossisce, è molto dotato con l'ago e lo spago, ha una dote naturale per il taglio del cuoio, sta imparando velocemente, presto diventerà la concorrenza, un po' ne vado fiero e un po' mi viene da mutilarlo. Mi basterebbe denunciarlo e gli amputerebbero la mano, e lui lo sa, ha paura di guardarmi negli occhi, prima di rivolgermi la parola se ne sta in piedi immobile, aspettando che mi accorga di lui. A volte gli permetto di parlare, a volte lo caccio via con un gesto della mano, come si fa con un vecchio cane abituato alla catena. Arriva a sudare quando lo obbligo a confezionare una cintura antistupro, dopo averla maneggiata come scottasse, si inginocchia e si mette a recitare a voce alta certe filastrocche che ha mandato a memoria da bambino.

L'emissario di Joshi mette l'arma sottobraccio e conta la valuta, lo fa sempre, dice che è solo abitudine, che è una prassi. Si scusa, si inchina, dice non è un affronto, niente di personale, non sto mancando di rispetto, obbedisco agli ordini. Conta facendo attenzione a non stropicciare la valuta che a furia di maneggi sta diventando friabile, alcuni pezzi li hanno plastificati e mi ricordano i lasciapassare statali, se non fosse per la faccia riprodotta che non assomiglia per niente a quella del Presidente. Gli dico non ti preoccupare, verifica con calma, che tanto qui non scappa nessuno. È diventato un modo di dire anche per me, tanto qui non scappa nessuno, anche se avevo promesso sulla tomba di mio padre che mai e poi mai avrei intercalato o perso tempo. Tu non userai bestemmie o intercalare, tu non perderai tempo in sollazzi o giochi spensierati, tu non userai più suoni del necessario per interpretare i segni del tempo. Avevamo scritto regole per ogni cosa, divieti e precetti, quando m'insegnava a cucire mi diceva sempre se tu non sai obbedire alle regole non sarai mai un artista delle maschere, non imparerai mai le mille combinazioni dei filtri a carbone. E adesso mi trovo a godere dell'intercalare, mi faccio violenza pronunciando con intenzione i saluti formali in lingua dotta, intonando le cantilene propiziatorie quando il vento fa piangere la ragnatela dei cavi che protegge l'insediamento. Gli ripeto apposta, calcando la voce, che tanto qui non scappa nessuno, e lui sussulta, io rido, lui si guarda alle spalle, io rido, lui fa un gesto scaramantico e riprende a sfogliare la valuta con più lena.

Potrò ultimare la culla, mi stanno tormentando di solleciti anche se la bambina deve ancora nascere. Dicono che non vogliono che venga esposta al rischio nemmeno per un minuto, che devo garantire la consegna entro i termini concordati o saranno guai, e quando dicono guai in certi ambienti significa morte di tutti i tuoi parenti antro il secondo grado. Solo che io non più nessuno, cosa potete farmi che non mi dia sollievo? Se avessi un figlio mi farebbero trovare una sua fotografia, scattata di nascosto, insieme a un bossolo o a un fantoccio impagliato. Gli rispondo se non vi fidate andate da un altro fornitore e li guardo stringere la mandibola, trattenere la violenza, consapevoli che non esistono artigiani al mio livello entro i confini della civiltà. Di quello che ne resta, della civiltà, che ormai i diffusori mandano sempre la stessa canzone, da qualche parte un computer è entrato in loop e non c'è modo di intervenire. Le chiavi vanno perse, le persone spariscono, i codici si smagnetizzano. La canzone parla di pioggia, dice Io continuerò a credere nella tua pioggia, dice Io non vedo l'ora di sentire la tua pioggia. E chi se la ricorda, la pioggia, Ronnie mi ha chiesto di disegnarla, tempo fa, perché non riesce a capirla, passerebbe ore a farmi domande sul come e il perché della pioggia, dice che non è possibile, e da quando ci siamo messi al lavoro sulla culla Ronnie non fa che sottolineare che lui non è più un bambino, che la pioggia è solo una delle tante bugie per evitare gli incubi ai bambini. E allora perché le maschere, le cinture, i pastrani mimetici? Perché, gli chiedo, le fodere impermeabili? E lui tace, si concentra nella corretta esecuzione dei nodi.

(Maschera fatta da Bob Basset )

lunedì 28 novembre 2011

the right thing

to della faccia non si sarebbe mai detto che sotto a quegli occhi comuni a quella bocca da nulla a quel naso bambolesco una faccia qualunque una faccia da scusi il disturbo sa per caso che ore sono una faccia da acqua di colonia e gel per capelli chi l'avrebbe mai sospettato che sotto una faccia da bravo ragazzo e il corpo anche il corpo parliamo di un corpo normale né alto né basso né largo né stretto parliamo di una faccia e di un corpo privo di segni rivelatori parliamo di una voce la voce d'accordo la voce forse qualcosa di strano c'era nella voce ma non parlava non si sentiva la voce per cui è difficile si fa presto adesso che quando lo sai poi è logico ti chiedi come sia potuto accadere ma al momento una faccia così non c'era motivo di fare i sospettosi un bel sorriso e degli abiti eleganti perfino eccessivi non dico sgargianti anche se lo erano sgargianti ma nel complesso si addicevano al portamento una posa spavalda e accattivante da venditore da cascamorto da appagamento dei sensi il sentirsi a proprio agio di chi è abituato a muoversi in libertà senza urtare niente e nessuno di chi sta calpestando una strada battuta per andare in un luogo familiare ti dico nessuno avrebbe potuto immaginare che di lì a poco sarebbe tornato con gli amici con il trombettiere con il dolcevita giallo con la mora inanellata con sorprese nella bombetta il ludibrio l'esaltazione la frenesia tribale gente che si accascia sfinita intorno al falò ringraziando per l'opportunità di mollare di lasciar perdere di buttarla sul ridicolo e che nulla abbia più importanza che non si discuta più ma si faccia solo la cosa giusta oh la cosa giusta sì la cosa giusta giusta giusta l'ho visto prendere per mano una ragazza per farla volteggiare l'ho visto fare un gesto col pugno a mimare un fiore che sboccia e l'ho visto lanciare baci mettere baci sulle dita e soffiarli addosso alla gente impazzita alla gente arrampicata sulle spalle del vicino allungarsi per toccare il cielo la gente che si riteneva al sicuro per via dei tagli sartoriali delle cravatte intonate della faccia ti dico una faccia qualunque a parte la voce e i capelli ma erano nascosti sotto la bombetta non si vedevano i riccioli rossi non c'era sentore di nulla ti dico che era impossibile da prevedere l'effetto trascinante sulla gente che ha perso la testa allo squillo di tromba ha smesso di pensare dopo le prime note la gente si è girata tutta verso il palcoscenico e ha ceduto alla libido gettando via le inibizioni e i sensi di colpa la gente si buttava a corpo morto nel crogiolo della grande catarsi gioiosa dell'intrattenimento fine a se stesso e roteava ancheggiava gridava piangeva e rideva c'era gente che si abbracciava che si spogliava gente che si procurava dei tagli profondi nelle braccia e nelle gambe c'era gente che si ficcava in bocca sostanze innominabili strabuzzando gli occhi quando al centro sono apparse le fiamme è divampato il falò c'era gente che prendeva la rincorsa per but

 
  Foto di Iain Mckell

lunedì 21 novembre 2011

Icone moderne 005

Frank, proprio lui, siamo andati a intervistarlo nella sua abitazione, la villa fatta oggetto di un recente scandalo su presunti illeciti contributivi che non è approdata a nulla di definitivo. La fedina penale del nostro idolo è rimasta immacolata e questo grazie anche all'intervento dei sostenitori che hanno improvvisato una manifestazione di fronte agli uffici locali degli ispettori del fisco. Frank dice che hanno esagerato, che non c'è stato nessun assalto agli uffici governativi, che non hanno distrutto le prove dando fuoco agli archivi perché di prove da distruggere non ce ne sono mai state. È tutto un complotto? I discepoli del più grande evoluto vivente ne sono convinti. Da quando ha vinto il premio Selezionato dalla Natura la sua vita è diventata proprietà della specie umana, il suo liquido seminale è stato valutato per la stipula della polizza impotenza una cifra record, come è giusto che sia per una risorsa, così definita dalle principali riviste di settore, fondamentale per il futuro dell'umanità. Donne, mettetevi in fila, prenotate la vostra donazione di sperma e fate il tifo per Frank, che rimanga sempre in salute, ne va del patrimonio genetico delle future generazioni. Dopo la grande scrematura che ha visto la scomparsa delle caratteristiche recessive e di alcune pozze genetiche minori, abbiamo ora il nostro nuovo campione, selezionato per produrre gli individui scientificamente più adatti alla sopravvivenza. La sua scarsa intelligenza lo rende invisibile nella folla, la sua inesistente capacità critica gli permette di incarnare il cliente perfetto. Frank è il padre che tutti vorremmo avere, il fratello più invidiato, l'amico più richiesto, il compagno ideale. I partiti politici si stanno accordando su chi di loro lo candiderà per primo e per quanti anni ci governerà prima di diventare Presidente e lasciare il posto al prossimo Selezionato dalla Natura. La sua intervista è stata rilasciata per interposta persona, dal momento che la capacità di dare risposte coerenti non è un fattore determinante per la sopravvivenza della specie. Gli abbiamo chiesto della sua implacabile ricerca del piacere sessuale, se pensa di garantire numerosi individui alla nostra fazione al punto da consentirci di vincere la contesa evolutiva con l'altra fazione. I nostri concorrenti sono arrivati a sette miliardi di individui quest'anno, se decidessero di sopravvivere per mezzo di un'invasione del nostro territorio non avremmo speranze dal momento che il tentativo di mutazione genetica forte non ha dato gli esiti che tutti speravano, anche se gli esperti affermano che il ritorno in massa dentro agli oceani è solo rimandato, non sono più molti a fare investimenti emotivi nel progetto branchie. La nostra unica speranza è Frank, il nostro stallone senza cervello, le analisi di densità spermatica fanno ipotizzare percentuali di ingravidamento superiori all'ottanta per cento, questo significherebbe raddoppiare la popolazione in un decennio e vincere la competizione evolutiva, diventando i signori incontrastati della specie umana. Dopo l'ondata di suicidi degli intelligentoni abbiamo imparato che la guerra evolutiva non si vince con la specializzazione ma con la flessibilità, non si vince con il miglioramento ma con le deviazioni casuali. Tornare animali, è il motto di Frank che viene esibito sulle magliette e sugli adesivi e gridato nei cortei che inneggiano alla supremazia naturale contro la morale artificiosa del meno adatto. Tornare animali, lasciando morire vecchi e malati, uccidendo i figli più deboli, combattendo fisicamente per ottenere quel che si vuole, rispettando le leggi della natura, adeguandoci a esse, Frank ha l'aria estasiata mentre ci racconta il sogno di un mondo in cui non esistano più fazioni, nemici, ma solo estinti e sopravvissuti. 

mercoledì 16 novembre 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (44 di N)

Quando c'hai un figlio gli anni passano sempre più veloci, ma in un modo del tutto nuovo. Senza figli gli anni passano troppo veloci perché non vuoi diventare vecchio, oppure passano troppo lenti perché sei troppo giovane per avere uno stipendio decente, il ciclo di studi universitari completato, una casa di proprietà scelta da te con il bonus d'orgoglio per un mutuo di cui hai valutato tasso e rata, una famiglia con tanto di fuochi artificiali e filmato con effetti speciali e musica di sottofondo anni '80. Queste sono tutte faccende che riguardano la vita precedente, prima della metamorfosi che ti provoca, se sei fortunato, l'arrivo di un figlio, altrimenti diventi uno dei tanti finti giovani cinquantenni che vanno a cuccare sfitinzie e sbarbatelle, una dei tanti esempi di restauro chirurgico sboccato in dadaismo estetico. Non c'è niente di più triste degli adulti che non hanno mai raggiunto la maturità, una volta diventavano baldracche e alcolizzati, ora invece sono Trilly e Peter Pan, versione horror demenziale.

Quando c'hai un figlio il tempo continua a sembrarti scorrere alla velocità sbagliata, ma non più in riferimento a te. Troppo veloce perché ha già sei anni, va a scuola, sono sempre di più le cose che sa, le cose che riesce a fare da solo, ti ricordi quando pesava dieci volte meno di adesso e ti guardava come se tu fossi la cosa più interessante del mondo, adesso cominci a diventare superfluo e non sai se la tua è assuefazione allo schiavismo genitoriale o se davvero la libertà dell'era pre-figli non fosse illusoria e deficitaria. E troppo lento il passare degli anni quando non vedi l'ora di scoprire che faccia avrà, come reagirà allo stress, come tenderà a risolvere i problemi, che grado di acutezza intuiva sarà in grado di raggiungere, che grado di complessità di ragionamento, quanto sarà simpatico, quanto sarà preciso, che sogni farà. Perché tu vuoi esserci e il futuro è sempre un'incognita.

Quando c'hai un figlio di sei anni cominci a chiederti se è il caso di iniziare a portarlo alle feste. Il mio li compie in estate, a scuole chiuse, per cui non potrà dare feste di compleanno invitando i suoi amici di scuola. Non lo so se danno queste feste per ricevere regali o per una sorta di iniziazione alla socialità extralavorativa. C'è già chi si risente per non aver ricevuto inviti e chi si vanta di essere nella lista della tal promessa dell'alta società futura. Non oso immaginare i problemi di autostima legati all'accettazione del gruppo che si presenteranno nell'adolescenza, epoca di lotte intestine per il ruolo di soggetto alfa in grado di venire allo scoperto con esplosioni di testosteronica violenza. Per ora si tratta di riunioni con tanto di genitori che nelle personalità come la mia inducono a torpore, malinconia e progressivo senso di estraniazione.

Quando c'hai un figlio e lo porti a una festa dipende dal figlio. All'unica festa cui ha partecipato, mio figlio, forse troppo abituato a frequentare gli adulti, non ha giocato con bambini sconosciuti, preferendo intrattenersi in futili conversazioni e dichiarare di essere stanco e di voler tornare a casa dopo una decina di minuti. Con i compagni di classe, che conosce bene, sarebbe solo un'altra ora di scuola, tutta di ricreazione. Ora, non voglio fare quello che pensa sempre il peggio della gente, ma secondo me le feste per bambini così piccoli (così come molte altre feste piene di invitati di cui non è mai fregato niente a nessuno e sono pure antipatici ma è sempre un regalo in più che tanto il buffet costa uguale) servono per aumentare i regali che al bambino di sei anni, parliamoci chiaro, a meno che sia Gandhi, interessano quelli, i regali, se ne frega di tutto il resto, del tempo e dei soldi che perdono gli invitati per partecipare, della dimostrazione di amicizia (proporzionale all'entità del regalo, che sei gli regali un giocattolo da poche lire significa che non gli vuoi bene, è un insulto e non verrai mai più invitato, cosa che non succede se stai a casa fin dall'inizio, perché se non hai mai regalato niente non vuol dire che qualora finalmente ti presentassi non porteresti un regalo da un milione di dollari).

Quando c'hai un figlio pensi che forse si tratta in realtà di iniziative per cementare i rapporti fra i genitori, come se fossimo ancora un po' tutti adolescenti, con genitori alfa che partecipano a tutte le feste e genitori beta che si sono riprodotti senza averne diritto. E se non ci porti tuo figlio resti quello che non si preoccupa di un bambino che dà una festa e non vede arrivare gli invitati, poverino, resta lì da solo, scioccato per il resto della vita, per colpa tua che sei un bastardo asociale. Se tuo figlio compie gli anni d'estate la prossima volta programma meglio la nascita o fai la festa di non compleanno, se sei andato a tutte le feste altrui potrai sempre recriminare che tu sei altruista e disponibile e questo è il ringraziamento, alla tua festa di non compleanno ci verranno tutti solo se hai un'attitudine molto sviluppata nelle abilità sociali (così snob, signora mia, ci mancavano solo le feste di non compleanno, ma io ho detto no, non se ne parla, sarebbe come regali sia a Natale che a Santa Lucia, niente di personale, anzi, però, mi dispiace, non so lei, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma certe cose le trovo diseducative).

martedì 15 novembre 2011

Il passante

Il passante mi ha parlato, mi ha guardato come fa sempre, prendendo la mira da una distanza siderale, spuntando la mia esistenza e camminando via senza rallentare il passo o cambiare l'andatura. Per la prima volta in cinque anni mi è passato accanto e mi ha parlato, forse perché ero solo, nessun testimone in grado di incastrarlo davanti a un giudice. Di solito ci ignoriamo con l'intenzione di non ferire, di non infierire, come due naufraghi evitano di guardarsi per non ricordarsi a vicenda le implicazioni di una situazione disperata, come due coniugi che si tengono in disparte per non far capire al nemico il bisogno di aiuto, privi di rifornimenti e in attesa di rinforzi che non arriveranno mai. Ma lui si è spinto più avanti, non saprei dire se nel modo giusto o come la signora che vedevo camminare sul bordo della strada, con una marmitta di pasta fra le mani, ogni giorno, alla stessa ora, diretta in città, con la vestaglia e il grembiule e le pantofole, a volte felice a volte corrucciata a volte indifferente. Il marito la andava a recuperare con la motoretta o col trattore, senza mai lamentarsi, sorridendole, dicendole me l'hai fatta di nuovo, sei una birichina, mi fai gli scherzi. Lui un uomo al di là dell'obeso, un budda in canottiera estate e inverno, col berretto da graduato tenuto appoggiato sulla cucuzza come un centrotavola la sera di Natale, perché natalizio era il perenne sorriso sul faccione, una tempesta di serenità su un pianeta di indulgenza. Perché cammina quella signora, chiedevo ai grandi. E loro niente, non la guardare. È matta, chiedevo con la voce di chi non osa guardare sotto il letto. E loro no, mi dicevano i grandi, mi dicevano nessuno è matto, non esistono i matti, è malata, non sta bene. È matta, chiedevo ancora, è tutta spettinata, è malata nel senso di matta? No, ha avuto un problema, è stata male. Gira in pantofole, è diventata matta? No, ha avuto un problema quando ha partorito, non so di preciso, mi dicevano. Smettila di fissarla, mi dicevano. Che tipo di problema? Non è niente di cui ti debba preoccupare, pensa a studiare e a comportarti come si deve, e guarda da un'altra parte. Un giorno poi la signora cedette e il marito non lo si vedeva più in cima al suo trattore, quel suo culone strabordante dal seggiolino, la seguì subito dopo, si tolse il sorriso e il cappello, rassegnò le dimissioni morendo nel sonno.

Il passante è tutt'altra pasta, indossa un cappello di grado superiore. Non capisco se è di grado così alto da non poter comunicare con gli inferiori o se è l'onorificenza data per atto eroico, taciturno per shock post traumatico, così lo chiamano di questi tempi, quando hai dato tutto, anche la presenza di spirito necessaria a pretendere il congedo e la faccia tosta di chiedere l'onore di morire nel sonno. Sono cinque anni che lo incrocio per strada e lo colgo nel momento in cui distoglie lo sguardo. D'estate si ingobbisce e tira dritto, d'inverno mette una giacca sopra la solita maglia a maniche lunghe e sta su dritto, la mano libera al collo, per tenere accostati i lembi a coprirsi la gola. Nell'altra mano c'è il sacchetto, sempre quello. Tre anni fa mi ha seguito dentro a un negozio e ha guardato la merce esposta, lanciandomi occhiate come un fottuto agente segreto, in attesa di un segnale da parte mia per effettuare una consegna, passare l'informazione microfilmata. Se n'è andato senza dire niente a nessuno, senza comprare niente e, perplessità mia, senza venire degnato di attenzione dai commessi, come se conoscesse tutti o riuscisse a controllare le loro piccole menti o rendersi invisibile ai loro deboli occhi. Un passante di altissimo grado, probabilmente a riposo, o peggio congedato con disonore, decaduto dalla carica licenziato fallito traditore della patria fatto oggetto di pesanti ri Il cappello è di lana sottile, color amaranto, se lo cala fin sopra le sopracciglia, anche se ci sono quaranta gradi all'ombra, e i bambini si attaccano alla mano dei genitori quando lo vedono, le vecchiette stringono la borsa al petto, gli uomini soli fanno la faccia da duro quando ce l'hanno davanti e preoccupata quando se lo lasciano alle spalle, le donne sole alzano il mento e taccheggiano sull'altro marciapiede e si voltano indietro a controllare come per caso, per riavviare i capelli o rispondere a una voce familiare che invoca la mamma.

Il passante potrebbe essersi spinto troppo lontano, aver visto quel che non doveva vedere, aver scoperto teoremi che non hanno parole per venire spiegati, oppure potrebbe essere come il ragazzo sul triciclo, andato perso poco dopo la nascita per via di una febbre, il proiettile del cecchino spietato che si diverte a scommettere su come andrà a finire, dimostrare che se gli togli il cappello ma lo lasci in vita quello si dimenticherà la strada per tornare a casa, rendendo vana l'utilità di una qualunque mappatura. Il ragazzo che si è lasciato crescere i capelli per dar loro la forma di un copricapo, che pedala sul triciclo per adulti e menomati, diretto in città, salutando le macchine che gli sembra di riconoscere, sorridendo a uomini e animali, suonando la tromba che il padre gli ha avvitato al manubrio mentre con l'altra mano si allarga in gesti di benvenuto e di incontenibile apprezzamento per le innumerevoli novità del quotidiano. Grida saluti e sentenzia auspici benauguranti, il ragazzo con troppi capelli, incapace di chiedersi cosa ne sarà di lui il giorno che restasse solo, l'abbandono di se stessi è una delle faccende che non possono essere sparate via nemmeno dal cecchino dei cecchini. Lo si vede portare a termine commissioni e ripetere il percorso che riempie le sue giornate. Lo si vede arrancare d'estate, la maglietta fradicia di sudore e la faccia di chi non si rende conto di avere molta sete. Lo si vede arrancare d'inverno, quando risponde con gesti di via libera e pollici alzati di gran divertimento a chi si appoggia il clacson vedendolo sbucare dalla nebbia. Il passante è diverso, osserva le persone scusandosi di avere occhi, ascolta discorsi volanti scusandosi di avere orecchie, cammina appoggiando i piedi come se la terra fosse composta di piccole creature indifese e lui ne stesse massacrando a manciate per il vano piacere di una lunga passeggiata. Una passeggiata che va avanti da anni, il passante cammina da quando si sveglia a quando crolla addormentato.

Il passante stamattina mi ha parlato. Non ha resistito. Di solito entriamo nel radar reciproco a grande distanza, ci avanza tempo per preparare la non interferenza, valutare velocità e direzione, calcolare deviazioni, occupazioni, distrazioni, in modo da superare le rispettive orbite senza il rischio di influenze e collisioni. Stamattina non c'è stato modo di mantenere le distanze, dopo cinque anni siamo giunti a portata di orecchio e il passante ha deciso di reputarmi degno di considerazione e ha detto una frase di cui ho colto solo una parola: freddo. Lo ammetto, mi ha colto di sorpresa, ha parlato senza guardarmi, senza fermarsi, solo aumentando il volume della voce per poi diminuirlo, in modo che fosse al massimo nel punto di minor distanza fra i nostri corpi. L'effetto estraniante di accelerazione e decelerazione mi ha spaesato ma non al punto da sopraffare la reazione automatica inculcata dall'addestramento, ho detto freddo anch'io, solo freddo, una singola parola a volume molto alto e diretto al passato e nel punto esatto in cui si trovava il passante quando era al massimo della sua parabola sonora. È stato come l'eco di uno sparo, mi immagino il suo sorrisino, tale e quale al mio, e la malinconia di un evento unico, che non si ripeterà, ma ora so che il passante non è stato abbattuto, non è neppure crollato, è rimasto isolato, dentro uno dei tanti vortici che costellano il fiume del tempo, una parentesi di cui non si sente la necessità, perché esistono sentieri che devono restare agibili, occorre che una sentinella li calpesti senza mai stancarsi, senza conoscere il motivo di tanta sollecitudine, e più è difficile il tracciato e più alto è il grado del passante, più è difficile il messaggio in codice e più esperto dev'essere l'agente, più è complicato il percorso e più è resistente la volontà dell'incaricato. Il freddo è ciò che li accomuna, la costante battaglia per impedirsi di rabbrividire di fronte all'egemonia del freddo.


lunedì 14 novembre 2011

Tempus Fugit

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giovedì 10 novembre 2011

ordine di idee

Arrivare in cima, per entrare nell'ordine di idee ho attaccato al soffitto il poster di una veduta alpina. Il caposezione ha disegnato alla lavagna alcuni grafici esplicativi, ha commentato le statistiche, dice che ci tiene a farlo manualmente per farci entrare nell'ordine di idee, che qui si deve dare il massimo come membro di una squadra vincente. Quando dice Vincente il caposezione grida e aspetta che rispondiamo in coro Vincente! Se un militante riesce a entrare nell'ordine di idee gli si spalanca di fronte un panorama di successo, è uno degli slogan di quest'anno, hanno usato stereografie per rendere distinguibile la novità, hanno inventato un carattere di stampa apposta per comunicare l'attuale declinazione dell'ordine di idee. Quest'anno per entrare nell'ordine di idee bisogna meditare sulle stereografie, riflettere a fondo sul significato di panorami che spalancano le gambe invitandoti a entrare nell'ordine di idee e raggiungere la cima del successo. Perché noi, qui, abbiamo sempre bisogno di idee vincenti (vincenti!), abbiamo sempre bisogno di sangue fresco, di nuova linfa, ho ancora pochi anni per dimostrare il mio valore. Se entro nell'ordine di idee posso anche diventare il Presidente, un giorno, si tratta solo di capire sempre da che parte stare, questo il caposezione l'ha sussurrato, facendoci l'occhiolino, ha detto pi pi pi, e poi ha spiegato: il Partito non Perdona i Perdenti. Ha guardato la telecamera di sorveglianza e Datemi un amen, ha gridato, e noi Amen! Sia lodato il Presidente! Poi siamo passati all'autocritica, abbiamo estratto a sorte e sono stato proprio io il fortunato a poter esporre pubblicamente le mie mancanze, dimostrando di saper entrare nell'ordine di idee del miglioramento costante, l'atteggiamento costruttivo di chi ci tiene a far parte di una squadra vincente (vincente!). Sono arrivato a piangere lacrime vere, mi sono buttato per terra in ginocchio a chiedere scusa a tutti, ai compagni, al Partito, al Presidente, per riuscirci ho pensato al poster che ho attaccato al soffitto, ho immaginato di essere sdraiato nella mia cuccetta, a tremare di freddo, con l'inno del Partito a tutto volume nelle orecchie per aiutarmi a cancellare il mio passato, le mie idee controrivoluzionarie, la mie catene borghesi, con gli occhi fissi alle montagne nel poster, determinato a raggiungere una cima qualunque o precipitare nel vuoto. Ho ricevuto gli sputi, gli insulti e le percosse ringraziando per la possibilità di continuare a far parte di una squadra vincente (vincente!) e in seguito ho elencato i miei propositi di donare tutto, vita compresa, per il Partito e per il Presidente, e ho sfogato una rabbia viscerale contro i nemici del bene, del giusto, del progresso. Sono piacevolmente stanco e dolorante, ho pagato una multa per ristabilire la mia integrità morale, evitando l'espulsione dal Partito, un atto dimostrativo dal momento che il mio stipendio lo ricevo dal Partito e lo giro interamente al Partito in cambio dell'onore di far parte di una squadra vincente (vincente!). Sono stato esonerato dal servizio per il resto della giornata, con obbligo di confino forzato in camera a riflettere sul mio scarso fervore politico. Sono sulla buona strada per entrare nell'ordine di idee e raggiungere il successo, col tempo passerò dal volantinaggio a incarichi di prestigio e responsabilità. La democrazia ha sempre meno soldi per finanziare il Partito, gli amici del partito, le aziende del partito, gli iscritti del partito, e i nemici fanno di tutto per aggiudicarsi i contributi, le facilitazioni, i rimborsi, gli stanziamenti a fondo perduto. I lavoratori del privato non capiscono l'importanza di contribuire al sostegno del benessere collettivo e sono restii a versare denaro sui conti pubblici, c'è ancora molto da fare per farli entrare nell'ordine delle idee, convincerli a far parte di un gruppo sociale, la collettività non supera facilmente gli egoismi tipici di chi non capisce l'importanza di far parte di una squadra vincente (vincente!). Durante la seduta di autocritica ho proposto di fondare un altro giornale e di conquistare più visibilità nel dopocena televisivo, mi sono fatto avanti per organizzare di persona una massiccia campagna su internet, in grado di mobilitare la gente su questioni concrete e trovare coesione attorno ai sentimenti rilevati dai sondaggi dell'ufficio propaganda. Una volta al potere si potrà agire in modi più netti per attuare il cambiamento rivoluzionario che è il marchio di fabbrica del Partito, certe cose la gente non le capisce, ha paura, è meglio mostrare coi fatti, ho già pronto lo slogan per l'anno prossimo: il Partito lo fa per il tuo bene. Nella mia sezione c'è chi cerca di raggiungere la cima suggerendo l'eliminazione fisica di nemici potenti e agguerriti, la via diretta, la chiamano, la legittima difesa dell'oppresso. Si tratta di capire da che parte stare, e io ho scelto la parte di chi lotta non solo per il consenso della masse lavoratrici, povere e incolte, ma combatte anche per aggiudicarsi le preferenze della classe media, che va rassicurata, va presa con le buone, è diffidente come chi possiede qualcosa da perdere e non vuole perderla. PPP, dico a chi tentenna per lo schieramento, il Partito non Perdona i Perdenti. Arriverà il giorno che lavoreremo tutti per il Partito, e quel giorno sarò Presidente. 

venerdì 4 novembre 2011

Al di lei servizio (2 di K)

Eccolo il principe toccarsi la falda di un cappello invisibile, il gesto sciocco che si prende gioco della disciplina, delle raccomandazioni, delle troppe ripetizioni andate a vuoto. Il principe mi saluta cadendo sul ginocchio sinistro, facendomi la cortesia di indovinarlo, estrae il pugnale e me lo porge dallo stesso lato, lo sgarbo intenzionale del mancino. Conto i passi sorridendo, lo chiamo da lontano come se gli volessi bene, ripeto il suo nome con la voce di chi è felice dell'incontro. Quando sono abbastanza vicino uso lo stivale per dare un calcio, uso il dorso della mano per assicurarmi che non si permetta di alzare lo sguardo. Nessuno mi dice si calmi, nessuno mi stringe per tenermi le braccia. L'oste si accanisce sul legno, finge di non sentire, di vivere dentro alla bolla del dovere, dentro ai circuiti e alle bobine della spazzola che stringe in pugno, il suo corpo dice sono parte del panno che uso per tirare a lustro le suppellettili. A quest'ora solo gli ubriachi dondolano stupore e divertimento, e il principe, con quella sua testa deforme che prendo a sberle fino a schizzare saliva, fino a rabbrividire di sudore giù per la schiena. Schiaffeggio i bitorzoli e le cicatrici, i miei anelli che graffiano lo scalpo del principe che ormai giace sdraiato in singhiozzi e si tappa le orecchie coi pugni. Tutt'intorno il silenzio che si deve tributarmi per legge, il silenzio che non si rompe senza autorizzazione, il silenzio che mi accompagna dalla nascita, in cui mi immergo per dimenticarmi il di lei sorriso, la di lei corsa a piedi nudi nei corridoi del palazzo, il silenzio di cui andava immune prima di venirne abitata per via del principe e delle sue patetiche manie.

È un silenzio pieno di voci che danno suggerimenti sbagliati, è un silenzio fatto di occhiate e dinieghi e contrordini, di tradimenti per il di lei bene, di sotterfugi e contratti, di torture e condanne. È un silenzio che la testa del principe non può contenere per via degli echi e dei rimorsi, dello svegliarsi con la certezza che il cuore sia scoppiato. Vorrei sedermi per terra e ordinare la morte dei testimoni, sto costruendo un ponte di cadaveri per non bagnarmi i piedi. Ma sono pensieri dovuti alla natura del silenzio connesso al mio servizio, sono una forma di devozione alla di lei beatitudine, costretta a divorarsi un pezzo alla volta, dal di dentro. Così rimango in piedi, composto, mi guardo intorno passando in rassegna i presenti, sfidandoli a incrociare il mio sguardo, e solo quando hanno avuto modo di sentire il peso di una colpa senza nome, solo allora dico a voce alta Chiamate le guardie. Il sollievo di potersi trovare altrove è una necessità perfino dell'oste, che trova addirittura la forza di rimproverare il garzone, come chi si rimette i vestiti quando il medico ha finito. Il principe non trema più, osa rimettersi in posizione, allunga la mano disarmata e stavolta è quella giusta. Il principe rimane così, in attesa del permesso di parlare, e io non ho più voglia di ucciderlo, non ho più voglia di eliminare dal mondo l'obbrobrio di quella testa, non ho più voglia di silenzio. Dalla strada giungono schiamazzi, risate, lo sferragliare di metallo in avvicinamento. Cos'hai da dire, chiedo. Il principe guarda in terra e dice. A voce alta, grido. Il principe dice La verità.

Ci sono uomini armati che non sanno cosa fare, non trovano obiettivi da infilzare, squartare, sbudellare, se ne stanno li a tirare il fiato nelle maschere antigas. Non c'è nessuno che grida, nessuno che impartisce gli ordini, nessuno col coraggio di ammettere di avere sospetti sul principe, di essere a conoscenza del dramma. Le guardie nascondono la tristezza dei discorsi che tirano fuori le donne dopo l'amplesso, cacciano l'immedesimazione dietro a maschere di spietata efficienza perché hanno imparato che gli uomini rispondono al dolore con il rispetto e il silenzio. Il rispetto che diventa compassione all'aumentare del di lei patimento. Il silenzio che diventa sempre più denso, soffocante, ogni giorno della di lei agonia moltiplica le dimensioni di un silenzio che ha contagiato la luce, ha tolto lucidità alle squame dei pesci, rotondità alla frutta matura, leggerezza al piumaggio. Le guardie aspettano, hanno mandato a chiamare il capitano, uomo invecchiato nel giro di poco, cadendo da cavallo, l'onta del trascinare una gamba per il resto della vita lo ha reso insensibile e permaloso, le occhiaie permanenti di chi va alla ricerca di vendetta contro tutti gli dei e i demoni, nessuno escluso. Il capitano spinge lontano le guardie e avanza con la spada innescata a ronzare minacciosa. Il capitano rovescia la sedia occupata da un ubriaco allucinato e sporco di vomito. Il capitano ritorce un baffo per darsi coraggio, il dolore che gli provoca l'inchino è nulla in confronto alla consapevolezza che gli altri si accorgano della sua debolezza, storce appena la bocca allo scricchiolare dell'articolazione. Portatelo via, dico al capitano.

Lasciatemi solo, dico per guadagnare una distanza di qualche passo dalle guardie, per sentirmi meno oppresso dalla cenere nell'aria e dalle nuvole scure in agguato da giorni sui confini orientali, a suggerire incendi indomabili. Non possono abbandonare il servizio, devono proteggermi e rispettare i giuramenti. Possono stare alla distanza che va tra la loro sensazione di pericolo e le necessità della mia sicurezza. La verità. L'ossessione per la di lei felicità, la consacrazione al di lei divertimento. Gli innumerevoli viaggi, le imprese azzardate, il costante pensiero alla di lei sorpresa quando avrebbe ricevuto i doni. Pensavo alla verità camminando per le strade, elargendo cenni di benevolenza agli apprendisti che improvvisano commissioni urgenti per incrociarmi sulla via, annuendo alle matrone dalla saggezza inacidita e alle serve con le bocche rugose e lo sguardo rapace, ispezionando i negozi e i laboratori occupati da lavoratori orgogliosi che alimentano le vaporiere e controllano i fusibili, affaristi eleganti in grado di fare valutazioni a occhio. Me ne vado elogiando, apprezzando, complimentandomi per ogni dettaglio, sforzandomi di ignorare le domande inespresse sulla di lei salute. Penso che ci vorrebbe un mostro, un grosso drago da nutrire con uomini sfaticati e donne sterili. Ci vorrebbe un drago per far dimenticare al popolo la storia del principe e della di lei repentina infermità. Un mostro terribile che renda obbedienti i bambini, pazienti le mogli, disponibili i mariti. Un mostro da incubo che induca all'onestà i mercanti e all'impazienza gli amanti. Un mostro che renda ininfluente qualsiasi verità.

Un mostro è quello che ci vuole, dico all'ingegnere, trovandolo ancora in attesa sul portone. Ero molto preoccupato, mi risponde. Un mostro, gli ripeto, lo sa fare un mostro? E lui sì, dice certo, un mostro meccanico, sicuro, è quello che ci vuole, dice arretrando, provvederò a integrare la modifica nel progetto, dice si potrebbe e altre cose che sfuggono al mio udito compromesso. Un mostro è quello che ci vuole, dico all'avvocato che se ne sta seduto in punta di sedia nel salottino d'ingresso. Lui non dice niente, mi tende un fascio di fogli che afferro e lascio apposta cadere. Guardo la carta che svolazza e gli li dico la prossima volta faccia più attenzione, gli dico sarebbe preferibile un'azione preliminare nel caso si delineasse e non finisco la frase imbocco uno svincolo, mi arrampico sulle scale a quattro zampe, mi fermo davanti alla porta chiusa della stanza di lei, appoggio la fronte e prego, prego per la venuta di un mostro, prego il mostro di divorarmi per primo, tremando per la paura di un rifiuto. Non sento rumori, solo il ticchettio dell'orrida bestiaccia artificiale che deve aver sentito il mio odore, che è venuta a grattare emettendo versi d'allarme. La verità, maledetto principe, avresti dovuto lasciarla dov'era fin dall'inizio, avresti dovuto innamorarti della menzogna come chiunque altro, avresti dovuto ringraziare una per una le bugie che la vita tiene in serbo per consolarci e tenerci all'oscuro, al sicuro. Dovevi proprio trovarla, dovevi proprio riportarla a casa, dovevi proprio farne un per lei regalo. Ne hai anche per me, di verità, te ne è avanzata, è una magia, sussurrasti al di lei orecchio, è un tesoro, affermasti per la di lei emozione, con quella tua testa impresentabile, è un incantesimo, annunciasti per la di lei eccitazione. Portatemi il principe, inizio a urlare attraversando stanze e corridoi, portatemelo subito.

mercoledì 2 novembre 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (43 di N)

Quando c'hai un figlio una delle cose che cambiano più evidenti sono le abitudini. Si raccomandano di non farsi sconvolgere la vita dai figli, di lasciarli a casa e organizzare serate romantiche come da fidanzati, di non diventare schiavi dei figli, di non sentirsi in colpa continuando la propria vita come se i figli non fossero nati, come se fossero delle bestioline simpatiche che impareranno a controllare la vescica. Spiegano che non importa la quantità ma la qualità, chiudeteli in una scatola e tirateli fuori una mezz'ora al giorno, se la cosa non vi stanca e non vi stressa. Consigliano cosa dargli da mangiare, le attività più adatte, il ciuccio si o no, il latte si o no, le merendine sane sporcate mezza cucina e usate venti tipi di frutta e mettete in frigor e in forno per una bella merendina sana. Tanto poi ci pensa la servitù a riordinare, la stessa che è andata a comprare la frutta rigorosamente bio d'importazione in via della spiga.

Quello che vi dico io è tutto il contrario: lasciatevi sconvolgere la vita. State con i figli tutto il tempo possibile, anche in silenzio a leggere ognuno il suo libro o a guardare i cartoni. Dimenticatevi le uscite romantiche per far finta che si resta fidanzati per sempre, non è così, se fingete non vale, si capisce, prima accettate la realtà è che siete sposati e siete diventati genitori e meglio sarà per tutti, figli compresi. Il ciuccio non fa crescere i denti storti, se non lo pucciate nel miele però è meglio, sennò poi non vi lamentate che a vent'anni vuole ancora col ciuccio. Il latte è latte, non è veleno. Lo zucchero invece sì. Non dovete dare un numero di merendine a caso tra zero e dieci. Una merendina al giorno non fa male, una caramella invece sì. Anche il sale fa male, non si deve salare tutto perché sennò non ha sapore perché voi avete la lingua anestetizzata da anni di peperoncino. Anche il vino e il caffè fanno male ai bambini.

Se non vuole fare sport perché obbligarlo? Se non vuole fare danza non ha disturbi affettivi. Avete paura che domani incontra un amichetto che sa già nuotare a farfalla, arrampicarsi in cordata, calciare in rovesciata, montare all'inglese un pony? Sapete quanto costa poi l'analista quando diventa grande, ammesso che si accorga e ammetta un giorno di avere dei problemi? Non c'è neanche bisogno di giochi costosissimi, ieri per esempio abbiamo costruito una nuova pista per le biglie con oggetti presi a casaccio, una paletta per le mosche, uno zho zhu pet, una scatola, delle riviste, un tubo, pendenze e ostacoli vari. Costo zero, divertimento mille. Con il robot da cento euro ci gioca dieci minuti e poi diventa un soprammobile. Non ha bisogno di giochi fantastici, ha bisogno di un futuro in cui ricordare i giochi che faceva con mamma e papà.

Adesso imparano fin da subito il peggio del peggio dalla tv, e in seguito perfezionano il tutto interagendo con gli amici. Quasi tutti i cartoni mostrano combattimenti contro mostri. Perfino il telegiornale, riportando le parole dei politici, è zeppo di parolacce che manco all'osteria del porto. Abbiamo figli che non si abbracciano ma si lanciano addosso raggi laser immaginari e si danno mazzate emettendo urla strazianti di mostri in agonia. Collezionano porcherie di tutti i tipi, imbustate in modo da trovare doppioni al modico costo di tre euro l'uno. E hanno solo sei anni, chissà più avanti quanto sarà difficile tenerli in carreggiata. E voi fate finta di non saperlo, fate finta che non non avete colpa perché vi hanno consigliato male. No, troppo comoda, avete la colpa di non fornire un bersaglio a chi è nato per fare centro dentro di voi, di non fornire un appiglio a chi è nato per aggrapparsi a voi. Poi se volete diciamo che è per il loro bene, che sembrano tristi e insicuri ma in realtà diventano forti e indipendenti.

martedì 25 ottobre 2011

può perfino essere bello

ntro qualche albergo entro nei tunnel che collegano le hall ai mille corridoi delle camere con le porte numerate sono numeri dorati sono passatoie di moquette a pelo raso come certi terrier hanno anche il colore sbiadito di chi ha sopportato un lungo calpestio anche stanotte ho sognato un albergo che c'ero già stato altre volte nella mia testa ci sono solo alberghi e fabbriche diroccate e grotte non c'è mai un salotto luminoso con la carta da parati a fiorellini non c'è mai l'accoglienza del sentirsi a casa no sono sempre in posti che si deve pagare il conto e lasciare libera la stanza entro le dieci entro mezzogiorno entro le due però è un extra e si mangia al ristorante se c'è altrimenti si esce a cercare qualsiasi cosa ti serva la chiedi alla reception ma il telefono non va il minibar c'è ancora qualcuno che apre le bottiglie mignon e le beve e le riempie d'acqua di rubinetto e le rimette a posto ci sono briciole nella poltrona ci sono macchie sul copriletto a volte gli alberghi nei miei sogni sono stamberghe a volte sono di primissima categoria a volte giri l'angolo e trovi la biblioteca la sauna la palestra la sala giochi il museo sono alberghi attrezzati ci trovi di tutto anche labirinti di scale e passaggi per la servitù dove segui il cameriere che svanisce nel muro segui il concierge e il congierge si mette a correre scappa diventa un'ombra e ti lascia solo con fantasmi che ridono e piangono allo stesso tempo sono alberghi come stanotte un albergo che conosco l'ho esplorato in tanti di quei sogni che stanotte me ne andavo con le mani in tasca in giro senza meta uscivo all'aperto giungevo camminando sotto il sole alle cascate con i sentieri erbosi alle chiuse con i ponti di mattoni e i meccanismi lubrificati alla perfezione al punto che quando si gira l'albero a camme la manopola non vibra ma ronza fra le mani nel deviare l'acqua per spingerla nei filtri negli imbuti nei sifoni trasparenti dove l'occhio degli addetti individua le impurità e immerge il retino nelle vasche il che è proprio quello che vedevo succedere aspirando il fumo della sigaretta anche se è quasi un anno che ho smesso nel sogno fumavo ero felice di fumare ero grato al fumo pensavo non fa niente se ho smesso da un anno stavo solo vendicandomi di qualcosa mi stavo facendo del male mi stavo privando del fumo e accantonando l'idea di essere così bravo a mentire da ingannare me stesso ho cambiato argomento mi son detto guarda hanno chiuso la piscina a volte succede è per via della merda secondo me ci finisce dentro della merda e quelli col cappello rosso dicono tutti fuori quelli col fischietto al collo fanno uscire tutti e puliscono disinfettano usano delle pertiche allungabili usano distributori di acidi perfezionati usano disintegratori specifici per la merda usano dei rivelatori e dei rilevatori seguono un protocollo e stilano un resoconto e intanto tiravo boccate mi sentivo tranquillo e bendisposto nei confronti dell'uomo in costume da bagno dell'uomo in attesa del via libera e della riapertura al pubblico nel sogno gli spiegavo che era per via della merda un fastidioso incidente causato dalla merda per via che la merda capita e l'uomo in costume a scuotere la testa a insistere che no a dire che quando succede è perché è andato perso un oggetto di valore qualcosa come un orecchino un braccialetto un occhio di vetro e non lo contraddico vado avanti a fumare e penso non dire cazzate poi penso forse è vero forse la vita dipende il mondo a seconda di come lo vedi può perfino essere bello sono arrivato a pensare che avrebbero pescato diamanti sul fondo dalla vasca era solo questione di tempo e avrebbero tirato fuori pesciolini di diamante ancora vivi ma poi ho finito la sigaretta ho pensato che gli inservienti avevano l'aria di persone che stanno eliminando la merda altrui e non quella di cacciatori di tesori per tutta una serie di evidenze una lista che non ho tempo di stilare perché mi scusi dico all'uomo in costume mi scusi se non rimango con lei ma sono atteso altrove lei capirà e lui si inchina dice ma certo si figuri e io mi inchino e gli dico buona fortuna gli dico spero proprio che 


venerdì 21 ottobre 2011

Drive

Drive è tratto da un romanzo, la trama è: stavamo andando in un posto bellissimo quando ci hanno dirottati. Un storia che è un trip, il viaggio alienante che hanno sperimentato tutti coloro che si sono trovati chiusi dentro un abitacolo per ore, a guardare fuori dal finestrino, a farsi compagnia con l'autoradio, a fare conti mentali sui tempi di percorrenza, a trovare motivo di buonumore in una sosta al distributore. Il protagonista è un pilota, non si capisce se è bravo a guidare la macchina perché guida bene se stesso o se è bravo a guidare se stesso perché guida bene la macchina. I due piani narrativi sono sovrapposti e questo è un po' il segreto del film (il libro no so, non l'ho letto). A questo aggiungete la reazione di uno spettatore che ha sperimentato anche l'alienazione della realtà virtuale, anch'essa frutto di un'esposizione prolungata alla velocità, l'effetto di un mondo che accelera, immagini che perdono definizione, occhi che si stancano, attenzione che declina, tutti effetti che fanno da moltiplicatore per l'immedesimazione con un attore che interpreta la parte con magnifica naturalezza. Il tentativo sempre commovente di chi cerca di prendere in mano le sorti della propria vita, di non avere più fiducia in niente, che siano le persone, il domani, la provvidenza, smettere di limitarsi a chiedere e sperare ma andare alla ricerca di qualcosa di concreto in grado di soddisfare un bisogno di ascolto, comprensione, amore. Scelta che porta alla contaminazione con chi ha fatto della pretesa una professione, l'esercizio di ottenere con la forza una prassi.

Ma partiamo dall'ambientazione, dal reticolo di strade di una metropoli distesa su un brullo territorio come una muffa, come una rete elettronica fatta di nodi tenuti insieme da una corrente dove al posto degli elettroni circolano gli esseri umani, sfiorandosi senza toccarsi, mantenendo il senso di circolazione dentro alla corsia di marcia. Il protagonista si muove sul confine di molti territori, nelle sottili parti comuni di mondi distanti, si muove sulle strade come surfando il web, affidandosi all'istinto, a ciò che lo rende in grado di mantenere il controllo sul mezzo e su se stesso, confidando in una mappa intuitiva, nel futuro, come chiunque trovi il coraggio di guidare pur avendo visto rottami in fiamme e corpi massacrati, gli incidenti esistono ma occorre pregare che capitino sempre agli altri, per contare su se stessi occorre potenziare le proprie abilità, diventare più che autisti, versare il prezzo per diventare piloti, fatto di percezioni, di riflessi, di condizionamenti imprevisti, dove a furia di guidare dimentichi da dove sei partito, non fai più caso al nome dei posti che attraversi, fai scendere te stesso e ti abbandoni ripartendo in derapata, e via via che scorre sotto di te l'asfalto, il tempo rallenta, giunge l'assuefazione all'effetto rilassante di una droga chiamata velocità, dimentichi come si comunica, ti spegni lentamente.

Il trucco sta nel diventare tutt'uno con al macchina, devi essere le ruote, devi essere il motore, non ci deve essere differenza tra la tua mano e il volante, sono sensazioni ben note agli appassionati della guida. E diventi tutt'uno con il computer nella realtà virtuale, lo sa bene chi muove l'avatar nei giochi online. Il protagonista è impegnato a tenere in strada la macchina della propria vita e a tenere se stesso collegato alle altre persone, le poche persone con le quali entrano in contatto quelli che passano troppo tempo alla guida o davanti al computer. Quando spegni il motore, o il monitor, scendi dalla macchina, esci dal cyberspazio, hai un bisogno indescrivile di qualcuno in carne e ossa che ti rassicuri della tua concretezza e della tua capacità di essere normale, di sentirti umano. La colonna sonora si presta a sostenere il senso di estraniazione che contagia lo spettatore tanto quanto la capacità dell'attore di esprimere lo stupore smarrito d fronte alla lentezza del mondo, col tempo di saggiare colori e sapori, di gestire con calma le proprie reazioni, come chi si risvegli un mattino con la fronte fresca dopo una lunga febbre. Estranianti sono del resto tutti i personaggi, dagli antagonisti ridanciani e perfettamente integrati nel mondo analogico del potere, necessariamente criminale in un ambiente vincolato alla lentezza, così come le ragazze, tutte prostitute tranne una, quella che sarà per il protagonista la macchia d'olio sulla pista, il brecciolino in curva, il dado che si sfila dal bullone.

Il viaggio dell’eroe è del tipo vendetta, le cose ti vanno bene e la sfortuna ha scelto te, come in quel gioco, si chiamava Pharaon mi pare, usciva un messaggio con scritto la sfortuna ha scelto te, le acque dei tuoi pozzi sono inquinate, oppure arriva la carestia, nel film il mondo non è retto dagli dei egizi ma da pezzi neanche grossi della criminalità organizzata, fantocci che ricalcano gli stereotipi delle mafie da cinematografo, bastardi che sono sopravvissuti abbastanza da ereditare gli affari dei morti o degli imprigionati, dove il carcere è peggio che morire, è solo un girone ancora più basso nella città degli angeli, un nome che più che un augurio suona come uno zerbino di benvenuto sarcastico sulla soglia di una casa diroccata. Il protagonista si trova a impugnare il volante di una macchina della vita col motore truccato, inaffidabile sul bagnato, con difetti nell’impianto frenante e uno sterzo duro e poco sensibile, deve sforzarsi al massimo per mantenere la calma esemplare di un professionista che non si lascia spaventare dalle perdite improvvise di aderenza, dalle scorrettezze degli avversari, da uno pneumatico che esplode, deve affrontare un viaggio di sola andata premendo a fondo l'acceleratore con la certezza che equivalga a gettarsi da un aereo, dove cadi e cadi e cadi e hai tutto il tempo di ripercorrere le tappe della vita. Che è poi quello che succede a tutti, dal momento in cui veniamo concepiti, anche se decidiamo di mollare il volante o di non guardare giù.

martedì 18 ottobre 2011

Il mio peggior nemico

Il mio peggior nemico non so se lo posso dire, la mamma non vuole, mi sgrida quando parlo con lui, dice che non esiste, che ho troppa immaginazione, che se continuo così da grande finirò in camicia di forza. La camicia di forza dev'essere come un campo di forza, penso, o un costume da supereroe, quando la mamma fa così mi sembra un po' matta e la cosa giusta da fare è non chiederle niente, aspettare che le passa, infatti io la maggior parte del tempo con la mamma mi consiste nel non fare domande e aspettare, mi dice stai fermo, mi dice stai zitto, e quando va ai grandi magazzini, come li chiama nonna, quando va connonna ai grandi magazzini non mi ci portano, nonna dice che è vietato ai bambini, che i bambini non ci possono entrare, ai grandi magazzini, ma io guardo fuori dal finestrino, quando passiamo vicino ai grandi magazzini, e mi vedo che ci sono i carrelli e una volta ho visto anche dei bambini in carne e ossa andare dentro. Non sto dicendo che la mamma e la nonna mi sono i miei peggiori nemici. E va bene, se proprio insisti, è Rapid Franz, è lui il mio acerrimo nemico, è solo un frutto della tua fantasia e se proprio ti viene voglia di parlare da solo, almeno fallo a bassa voce.

Cara maestra, se mi prometti che non diciamo niente alla mamma adesso mi ti spiego di Franz che è cattivo, molto cattivo, non mi vuole bene a nessuno, neanche a lui sé medesimo stesso. Di solito arriva a un certo punto del giorno, mi si alza tardi dal letto, te l'ho detto che non è bravo per niente, e quando mi arriva la prima cosa che mi fa è spaventare Cary Grant, sì, che è il mio migliore amico, e fino a che c'era solo Cary Grant la mamma non si arrabbiava così tanto con me, diceva non è niente, quando cresce gli passa, non come adesso che mi salta fuori con la camicia della forza e tutta quella roba del devi smetterla, non sta bene, come se fosse colpa mia, che faccio peccato o infrango la legge. Che ai grandi magazzini perché i carrelli mi hanno il seggiolino per i bambini se è vero che i bambini non possono entrare, come te lo spieghi? Cary dice che è inutile starci a pensare, facile che i grandi magazzini sono tutte vaccate, io non dico parolacce, nonna ha detto che vaccate è parolaccia, Cary mi dice che i grandi magazzini non starci a pensare è sicuro non c'è niente da ridere ai grandi magazzini, non è divertente. Parla un po' male, Cary, e mi dice le parolacce, ma è il mio migliore amico sai perché? Prende solo le cose che mi piacciono delle persone che conosco, il resto mi dice che sono vaccate.

Il mio peggior nemico, Rapid Franz, arriva e mi comincia subito a farmi arrabbiare. Se mi prendono in giro lui arriva e si unisce alle risate, se mi fanno cadere lui mi dice ti sta bene, così la prossima volta impari. Cary Grant in quei momenti non c'è, va via, si gira di là e sono contento così, non voglio che il mio migliore amico Cary mi vede triste o arrabbiato, se mi vede Franz invece non mi interessa perché tanto non mi vuole bene lo stesso neanche se sono felice e contento. Quando sono felice Franz mi dice cos'hai da ridere, zuccone, nonna dice che anche zuccone è una parola da evitare, Franz mi dice sei una mezza cartuccia, sei un buono a nulla, vai a nascondere la tua brutta faccia. Non è come Cary che se incontro una persona con un modo nuovo di essermi gentile che non avevo mai visto prima lui, Cary Grant, la impara e la aggiunge a tutti i modi che mi conosce già di essere gentile. No. Franz impara solo nuovi modi di essere cattivo e antipatico, e dice che non sarò mai alla sua altezza, che non riuscirò mai a guadagnarmi il suo rispetto. A volte mi diventa così cattivo che mi viene da piangere, per esempio quando mi dice che Cary Grant è una vaccata e che come amico non vale niente e che mi farà diventare anche a me una vaccata come allui.

Lo so che i veri amici sono persone vere, che i veri nemici invece no, sono cose grosse come la guerra, il diavolo, il governo e la fame nel mondo. Lo so che non dobbiamo farci dei nemici, ho visto un film che un criminale diceva è morto perché si è fatto troppi nemici. Ho visto tante cose alla tv sugli amici e sui nemici e lo so che Cary Grant e Rapid Franz mi sei tu quando fai finta di essere un'altra persona. Però io di migliori amici come Cary non ne ho, e nemmeno peggiori nemici come Franz, sono tutti un miscuglio dei due, le persone vere, forse anche la mamma, e la nonna di sicuro. Alla tv i nemici si riconoscono perché mi indossano una maschera, sono molto arrabbiati, ti gridano addosso e cercano di farti male. Alla tv lo sanno tutti chi è amico e chi nemico, i cattivi mi hanno delle cicatrici sulla faccia, mi hanno sempre gli occhi pieni di cose scure che nuotano adagio dentro alla testa e quando ridono è per cose che non mi fanno ridere per niente. E allora io di peggior nemico mi viene da puntare il dito contro Franz, voglio dire, a parte l'inquinamento e le epidemie, ma Franz è così cattivo che non lo distingui al volo, da lontano mi ha la stessa faccia di Cary e tutti e due mi pare che mi somigliano un po' a me, addirittura. Capisci chi è amico e chi nemico solo quando nonna ti dice che i grandi magazzini sono vietati ai bambini, e Cary dice è una vaccata ma chissenefrega andiamo a giocare in cameretta e Franz invece mi dice sei un perdente vigliacco ma te ne pentirai un giorno te la farò pagare.

(Immagine di Almacan presa qui)

mercoledì 12 ottobre 2011

Elenco n.3

(intermezzo)

Oggetto: i buchi delle marmitte, gli orifizi di scarico, i buchi piccoli e tremanti delle utilitarie scassate, gobbi al volante, i capelli pettinati alla bambola del secolo scorso, le vernici opacizzate da miliradi di granelli di polvere scagliati dal vento sulla carrozzeria, come se l'aria fosse acqua fangosa che ti smeriglia la pelle, ti grattugia la pelle e poi la carne e poi le ossa e poi la volontà e poi la coscienza, cosa ci sto a fare qui dentro attaccato al volante, dove e perché mi sto muovendo, una volta avevo denti bianchi, duri, avevo dita che non ricordavano frutti secchi, rami cresciuti per scherzo; i buchi grossi dei fuoristrada, i buchi multipli che emettono fumo incolore, distillati di gas, buchi che stanno impalati e non fanno rumore, espirano con l'efficienza di un fucile ben oliato, uomini in giacca che scendono tenendo il sacchettino dell'umido fra due dita, un sacchetto molto piccolo e molto pulito, con dentro cosa, una scorza biologica nutrita con sangue di vergine, semi resi sterili da troppi incroci parentali, ossa di piccoli uccelli serviti in piatti caldi e decorati con spruzzi colorati, coriandoli finissimi di verdurine speziate, uova che contengono una progenie mai venuta alla luce; buchi di scarico per auto familiari, di quelli che perdono liquidi come bave colanti sui menti degli svampiti, le macchie di vomito sui sedili, le impronte di scarpe dei bambini azzainati sulla schiena da libri verbosi e pleonastici, attrezzatura per l'ortografia, l'arte di tirare righe dritte, di stare i fila, di dire maperfavore e grazietante, facciamo l'inchino, baciamo la mano; buchi di grandi mezzi di trasporto a uso promiscuo, cose e persone, senza distinguo per colore e opinione e religione, gli autobus dalla grandi fumate nere, la guida attenta degli autisti occhialati scuri che dondolano nei sedili molleggiati e rispettano le strisce zebrate, i giubbetti catarifrangenti degli operatori ecologici, a tirare leve e rovesciare cassonetti, guanti e mascherina, gli occhi di chi si aspetta che lo accusi anche se non sta facendo niente di male; i buchi dei motorini, le lunghe sfiatate asmatiche d'accelerazione quando scatta il verde, i frettolosi cambi di marcia a produrre fughe d'organo a pernacchia. Oggetto: rumore di traffico e puzza di traffico alle otto del mattino, pedalare venendo sfiorati da massicci proiettili di lamiera, chiedendo il permesso di attraversare, ringraziando il volto truce o seccato di chi pensa ma proprio a me ma proprio io mi tocca frenate perdere tempo farti passare ma rompicoglioni stattene a casa, poi abbassa lo specchietto di cortesia e si controlla qualcosa sulla faccia, forse nelle pupille cerca e ritrova la calma, il soprassedere, il lasciar correre il pensiero a ricordi piacevoli, a ritornelli che mettono di buon umore, non c'è da preoccuparsi se peggiora ho qui il balsamo per i nervi, e quando ho liberato la strada dalla mia ingombrante presenza riparte a sfrizionata dolente, l'impazienza, la scocciatura, ego te rimprovero per culpa di existere, saluto altri ciclisti, l'ex maestra di asilo del bambino che sto portando sul seggiolino posteriore, saluto pedoni sporgendomi dallo zaino dei trasformers che occupa il cestino frontale, la signora del piano di sotto che accompagna a piedi la figlia, ogni giorno le stesse persone, più o meno alla stessa ora, nella stessa via. Oggetto: la consistenza del fondo stradale, gli autobloccanti, l'asfalto nuovo, l'asfalto sabbiato, le crepe insidiose dell'asfalto aperto e richiuso, aperto a richiuso, aperto e richiuso, il cemento, i blocchetti di porfido messi a casaccio, a fontana, a geometria variabile, i tombini rotondi, ovali, quadrati, larghi un metro, un piattino, con lettere incise a stampo in fonderia che non rimangono impresse nella memoria, l'idea che tutti i tombini siano connessi e che dentro ci passino le informazioni, le voci dei bambini sperduti o rapiti, le voci dei morti per poco o niente, i marciapiedi, i passi carrai, i cancelli, le portinerie, distese sconfinate di vetrine pulite, lastre di pietra, acciottolati, sterrati, terre battute. Oggetto: i discorsi di chi ripete le arringhe che ha letto a colazione, i punti di vista da far propri, le risposte suggerite dai professionisti del dibattito e della parlata al pubblico, gli esperti di marketing elettorale, i guru della protesta facile direttamente a casa tua in comode rate quotidiane di incazzatura, sdegno e, su richiesta, senso di superiorità morale, le cose da sapere per far fronte a ogni possibile interrogatorio sui temi di attualità, e questi signori sono ben pettinati, sbarbati, profumati, indossano abiti puliti e stirati, si conoscono fra di loro e li vedi abbattuti quando non ci sono scandali, attentati, reati impensabili, gesti raccapriccianti, sono costretti a parlare a bassa voce, esaurire gli argomenti in un paio di giri di bianchino, tornare a casa prima del solito a scervellarsi su come tirar sera, andare in bagno a maledire allo specchio il pensionamento, se fossi giovane sarei in piazza con i miei amici, farei la rivoluzione dal vivo, in diretta, il mondo saprebbe ancora che esisto, stupidi ragazzini, alla vostra età io sì che, noi si che eravamo, voi invece cosa, ma che ne sapete, la guerra, la fame, la lotta, e alla fine cosa, la pensione, eccomi qua, sono fiero di me, sono orgoglioso di me, ho ancora molta vita davanti, altro che. Oggetto: le mamme che fanno le pendolari, i padri che fanno i turnisti, i bambini che sbirciano e controllano gli adulti mentre giocano al calcetto, la scuola, la scalinata di marmo della scuola, i distributori automatici, le bacheche di sughero piene di avvisaglie facoltative, vuduizzate con puntine a testa colorata da mi piego ma non mi infilzo, lunghi corridoi piastrellati con i riflessi delle molte finestre a tapparellamento ridotto e similguasto, con la protezioni a impedire la defenestrazione accidentale o volontaria, le serrature, le recinzioni, le porte che devono restare chiuse per sempre, i grandi orologi nelle stanze comuni, gli altoparlanti che portano ovunque la voce della segreteria, le campanelle mimetizzate negli angoli, il chiacchiericcio ricreativo di chi non è abbastanza grande da trattenere le emozioni, le lacrime e i capricci di chi non ha alcuna voglia di accettare la situazione, di rassegnarsi, di obbedire, di imparare, o mette in scena l'ennesima replica del trauma da abbandono, gli atteggiamenti coraggiosi di chi saluta con un cenno, arrivando perfino a sorridere, io non sto piangendo, io non piangerò, ormai sono un bambino grande e non ho niente di cui aver paura.

Foto dagli archivi di LIFE.

martedì 11 ottobre 2011

L'alba del pianeta delle scimmie

L'alba del pianeta delle scimmie è un cosiddetto prequel, a un certo punto hanno deciso che al pubblico interessa sapere non solo cosa è successo dopo, ma anche prima. Dato che Superman a un certo punto stufa, fa sempre le stesse cose, o lo fai finire all'ospizio, o lo uccidi, o ci porti a vedere com'è nato, chi erano i suoi genitori, la sua infanzia, la sua adolescenza. Anche da dove salta fuori Terminator, in modo da creare un bel paradosso temporale che ci sta sempre bene, è stato creato da un pezzo di se stesso proveniente dal futuro, come scoprire di essere il nonno di se stessi. Si prende un prodotto di successo e lo si spreme fino all'ultima goccia, nell'attesa di nuovi consumatori disposti a sganciare bigliettoni per nuovi prodotti. Il pianeta delle scimmie è un libro francese del 1963, ne hanno tratto una saga in cinque film e due serie televisive negli anni '60 e '70, un remake nel 2001 e un prequel quest'anno. Il pianeta delle scimmie è un prodotto dickiano per molti versi, dall'estremizzazione di piccole distorsioni che modellano universi paralleli alla creazione di realtà illusorie nelle quali si dibatte il cercatore, il visionario, l'illuminato, il risvegliato, l'eroe postmoderno.

Il pianeta delle scimmie sfrutta il tema del ribaltamento, se tu fossi nei panni di, il contratto sociale che sta alla base della convivenza pacifica, che sia inteso come prezzo pagato per la polizza di assicurazione per evitare conflitti e garantire la pace, o che sia inteso come espressione di giustizia e uguaglianza, ad ogni modo chiunque non vorrebbe essere uomo in un pianeta di scimmie. Il rischio è che si cominci a pensare che la superiorità dell'uomo sugli animali, e in particolare sulle scimmie, sia in discussione, che tutto sia relativo e dipenda dal punto di vista, che si debbano riconoscere qui e ora i diritti delle scimmie in modo che nel futuro o sul pianeta delle scimmie ci prendano ad esempio e riconoscano i diritti degli umani. Il pianeta delle scimmie è un prodotto culturale emblematico dell'occidente industrializzato e progressista anche quando insegna alle scimmie, sul pianeta delle scimmie, a fare la rivoluzione e ribellarsi al governo dittatoriale e totalitario delle scimmie che odiano gli uomini. Se ci fosse dell'ironia deliberata ti verrebbe da pensare che l'autore ha scritto un libro scimmiesco per appagare l'intelletto di uomini-scimmia e che davvero la specie umana non è così lontana dalla scimmia che fu quando iniziò a evolversi.

Per capire cos'era il dibattito pubblico nella società occidentale degli anni '60 si guardi il film originale. Per capire come si sono ridimensionate le tematiche, passando da epocali a stagionali, da collante per masse rivoluzionarie in cammino verso il futuro a sogno allucinogeno di ingenui benestanti, si guardi il remake girato 40 anni dopo. Per capire il ritorno alla realtà, lento e detestato, che si è avviato con la crisi economica e la paziente ma inesorabile nuova interpretazione del mondo portata avanti da economisti, ecologisti, ingegneri, filosofi, intere generazioni, quelle dei '70, degli '80, dei '90, bollate in toto come sfaticate cassandre, rovinati dalla tv commerciale, vittime del mercato e delle multinazionali, fregate dalla globalizzazione. Mentre da noi i sessantottardi sono ancora qui e comandano, dirigono, scrivono sui giornali, anno a parlare in tv, il pianeta dei vecchi rimbambiti e dei loro figli e nipoti sciocchi e inebetiti, in altre zone del mondo è in atto una lotta sottotono, anti-rivoluzionaria, nostalgica e allo stesso tempo impegnata a salvare il salvabile, a riprogettare cercando una nuova via al benessere che non si basi su risorse che sono scarse e non rinnovabili. Questa nuova generazione è anch'essa ignorata, ostacolata, silenziata per motivi di realpolititk, come nei tre giorni del condor, quando alla fine spiega che la gente abituata ad avere tutto non vuole sentire grandi ragionamenti sul come quando perché, vuole un governo che provveda a risolvere il problema, e quando il problema è irrisolvibile si tratta solo di posticipare fin che si riesce, poi ognuno per sé, si salvi chi può.

L'alba del pianeta delle scimmie è un altro dei film che dimostrano la fine del dominio secolare della cultura che ha avuto il suo apice negli anni '60. Finalmente, la gente che abita nel mondo occidentale, anche la gente scimmiesca che ragiona con l'ipotalamo, sente come una puzza terribile e non riesce a capire da dove viene né perché, sente l'odore di malattia e morte di una corrente culturale agli sgoccioli, sente il periodo di caos che sta per arrivare come sempre arriva quando una cultura si decide a schiattare e venire seppellita da una nuova cultura finalmente pronta e abbastanza forte da scavare la fossa e celebrare il funerale del capodanno, dove muore il vecchio perché è nato il nuovo. In psicologia si chiama uccidere i propri genitori, nel senso di uscire dall'ombra di chi ci precede. E per farlo ci tocca usare un prequel. Cosa c'è di più adatto che il prequel del pianeta delle scimmie per dire a padri e nonni avete sbagliato, pensavate di aver capito tutto e invece non avevate capito niente. L'alba del pianeta delle scimmie racconta una storia diversa da quella che vogliamo sentirci dire, dalla versione classica. L'alba del pianeta delle scimmie è un NO, un basta a lettere cubitali gridato in faccia ai testimoni del passato, con le loro patetiche visioni del mondo che le vegliarde élite si intestardiscono a convalidare, finanziando e combattendo e parteggiando nella speranza di una rinascita della fenice, una ripetizione della storia, un remake dopo l'altro, a colpi di sequel. Il pianeta delle scimmie non poteva rendere angosciante la storiella educativa e propagandistica quanto ha fatto il prequel, 50 anni dopo, nel 2010, epoca dove l'ex futuro luminoso s'è fatto parecchio scuro, dove l'uomo è in grado di realizzare gli antichi sogni più azzardati, e con essi i relativi incubi. L'alba del pianeta delle scimmie parla di una presa di coscienza che va al di là delle tematiche animaliste e della critica al potere costituito, ci dice che per vedere un mondo nuovo servono occhi nuovi e che se non li hai non c'è scienza o medicina in grado di fornirteli.

Poi c'è la morte del padre, la storia d'amore, il carceriere stupido e quello cattivo e quello avido, c'è tutto il repertorio holliwood/disney che copre e disturba il messaggio, proprio come nella realtà il rumore dei media copre e disinnesca quello che infastidisce il pubblico, non lo rassicura, non lo fa ridere, non gli provoca emozioni e sentimenti utili al mantenimento dello status quo. C'è la vendetta, c'è l'incomprensione, c'è la menzogna, il ricatto, la minaccia, la paura, la violenza, la scena col cavallo che corre fori dalla nebbia, il sacrificio del gorilla, la gratitudine, la lotta per guadagnarsi il rispetto, il contagio che diverrà pandemia nell'eventuale prossimo episodio. Insomma il solito film che ti promette i tuoi soldi son spesi bene non te ne pentirai, prendi una confezione maxi di coca cola e pop corn perché questo film è adrenalina per lui e commozione per lei, spettacolo assicurato, porta anche i tuoi bambini, i bambini adorano gli animali. Tanto che in molti si sono lamentati che non c'è abbastanza fantascienza, dove sono i robot, dove sono gli alieni, perché le scimmie non fanno mai del ridicolissimo o scandalosissimo sesso, dove sono gli arti che volano e le teste che esplodono? E me lo chiamate fantascienza?