mercoledì 12 ottobre 2011

Elenco n.3

(intermezzo)

Oggetto: i buchi delle marmitte, gli orifizi di scarico, i buchi piccoli e tremanti delle utilitarie scassate, gobbi al volante, i capelli pettinati alla bambola del secolo scorso, le vernici opacizzate da miliradi di granelli di polvere scagliati dal vento sulla carrozzeria, come se l'aria fosse acqua fangosa che ti smeriglia la pelle, ti grattugia la pelle e poi la carne e poi le ossa e poi la volontà e poi la coscienza, cosa ci sto a fare qui dentro attaccato al volante, dove e perché mi sto muovendo, una volta avevo denti bianchi, duri, avevo dita che non ricordavano frutti secchi, rami cresciuti per scherzo; i buchi grossi dei fuoristrada, i buchi multipli che emettono fumo incolore, distillati di gas, buchi che stanno impalati e non fanno rumore, espirano con l'efficienza di un fucile ben oliato, uomini in giacca che scendono tenendo il sacchettino dell'umido fra due dita, un sacchetto molto piccolo e molto pulito, con dentro cosa, una scorza biologica nutrita con sangue di vergine, semi resi sterili da troppi incroci parentali, ossa di piccoli uccelli serviti in piatti caldi e decorati con spruzzi colorati, coriandoli finissimi di verdurine speziate, uova che contengono una progenie mai venuta alla luce; buchi di scarico per auto familiari, di quelli che perdono liquidi come bave colanti sui menti degli svampiti, le macchie di vomito sui sedili, le impronte di scarpe dei bambini azzainati sulla schiena da libri verbosi e pleonastici, attrezzatura per l'ortografia, l'arte di tirare righe dritte, di stare i fila, di dire maperfavore e grazietante, facciamo l'inchino, baciamo la mano; buchi di grandi mezzi di trasporto a uso promiscuo, cose e persone, senza distinguo per colore e opinione e religione, gli autobus dalla grandi fumate nere, la guida attenta degli autisti occhialati scuri che dondolano nei sedili molleggiati e rispettano le strisce zebrate, i giubbetti catarifrangenti degli operatori ecologici, a tirare leve e rovesciare cassonetti, guanti e mascherina, gli occhi di chi si aspetta che lo accusi anche se non sta facendo niente di male; i buchi dei motorini, le lunghe sfiatate asmatiche d'accelerazione quando scatta il verde, i frettolosi cambi di marcia a produrre fughe d'organo a pernacchia. Oggetto: rumore di traffico e puzza di traffico alle otto del mattino, pedalare venendo sfiorati da massicci proiettili di lamiera, chiedendo il permesso di attraversare, ringraziando il volto truce o seccato di chi pensa ma proprio a me ma proprio io mi tocca frenate perdere tempo farti passare ma rompicoglioni stattene a casa, poi abbassa lo specchietto di cortesia e si controlla qualcosa sulla faccia, forse nelle pupille cerca e ritrova la calma, il soprassedere, il lasciar correre il pensiero a ricordi piacevoli, a ritornelli che mettono di buon umore, non c'è da preoccuparsi se peggiora ho qui il balsamo per i nervi, e quando ho liberato la strada dalla mia ingombrante presenza riparte a sfrizionata dolente, l'impazienza, la scocciatura, ego te rimprovero per culpa di existere, saluto altri ciclisti, l'ex maestra di asilo del bambino che sto portando sul seggiolino posteriore, saluto pedoni sporgendomi dallo zaino dei trasformers che occupa il cestino frontale, la signora del piano di sotto che accompagna a piedi la figlia, ogni giorno le stesse persone, più o meno alla stessa ora, nella stessa via. Oggetto: la consistenza del fondo stradale, gli autobloccanti, l'asfalto nuovo, l'asfalto sabbiato, le crepe insidiose dell'asfalto aperto e richiuso, aperto a richiuso, aperto e richiuso, il cemento, i blocchetti di porfido messi a casaccio, a fontana, a geometria variabile, i tombini rotondi, ovali, quadrati, larghi un metro, un piattino, con lettere incise a stampo in fonderia che non rimangono impresse nella memoria, l'idea che tutti i tombini siano connessi e che dentro ci passino le informazioni, le voci dei bambini sperduti o rapiti, le voci dei morti per poco o niente, i marciapiedi, i passi carrai, i cancelli, le portinerie, distese sconfinate di vetrine pulite, lastre di pietra, acciottolati, sterrati, terre battute. Oggetto: i discorsi di chi ripete le arringhe che ha letto a colazione, i punti di vista da far propri, le risposte suggerite dai professionisti del dibattito e della parlata al pubblico, gli esperti di marketing elettorale, i guru della protesta facile direttamente a casa tua in comode rate quotidiane di incazzatura, sdegno e, su richiesta, senso di superiorità morale, le cose da sapere per far fronte a ogni possibile interrogatorio sui temi di attualità, e questi signori sono ben pettinati, sbarbati, profumati, indossano abiti puliti e stirati, si conoscono fra di loro e li vedi abbattuti quando non ci sono scandali, attentati, reati impensabili, gesti raccapriccianti, sono costretti a parlare a bassa voce, esaurire gli argomenti in un paio di giri di bianchino, tornare a casa prima del solito a scervellarsi su come tirar sera, andare in bagno a maledire allo specchio il pensionamento, se fossi giovane sarei in piazza con i miei amici, farei la rivoluzione dal vivo, in diretta, il mondo saprebbe ancora che esisto, stupidi ragazzini, alla vostra età io sì che, noi si che eravamo, voi invece cosa, ma che ne sapete, la guerra, la fame, la lotta, e alla fine cosa, la pensione, eccomi qua, sono fiero di me, sono orgoglioso di me, ho ancora molta vita davanti, altro che. Oggetto: le mamme che fanno le pendolari, i padri che fanno i turnisti, i bambini che sbirciano e controllano gli adulti mentre giocano al calcetto, la scuola, la scalinata di marmo della scuola, i distributori automatici, le bacheche di sughero piene di avvisaglie facoltative, vuduizzate con puntine a testa colorata da mi piego ma non mi infilzo, lunghi corridoi piastrellati con i riflessi delle molte finestre a tapparellamento ridotto e similguasto, con la protezioni a impedire la defenestrazione accidentale o volontaria, le serrature, le recinzioni, le porte che devono restare chiuse per sempre, i grandi orologi nelle stanze comuni, gli altoparlanti che portano ovunque la voce della segreteria, le campanelle mimetizzate negli angoli, il chiacchiericcio ricreativo di chi non è abbastanza grande da trattenere le emozioni, le lacrime e i capricci di chi non ha alcuna voglia di accettare la situazione, di rassegnarsi, di obbedire, di imparare, o mette in scena l'ennesima replica del trauma da abbandono, gli atteggiamenti coraggiosi di chi saluta con un cenno, arrivando perfino a sorridere, io non sto piangendo, io non piangerò, ormai sono un bambino grande e non ho niente di cui aver paura.

Foto dagli archivi di LIFE.

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