lunedì 16 febbraio 2009

Poliedrico

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"E' la Grande A'Tuin, uno dei rari astrochelonidi provenienti da un universo
dove le cose sono meno di come sono e più come la gente immagina che siano."
("L'arte della magia", Terry Pratchett)
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La pelle tesa e gonfia vibrava sui bordi e in quel punto il sangue fluiva violaceo e svaniva nelle lenta pulsazione delle correnti ascensionali. La mappa dei capillari risuonava in volume del battuto asimmetrico prodotto dagli otto cuori della bestia. Così che le correnti e i cuori e il sangue e la volontà di potere divenivano tutt’uno in uno sguardo perlaceo, invischiati nella mistica del passaggio. Nella magia della dislocazione.

Volava nella notte l’animale: con le trecce nere imbrigliate nei finimenti in lega di berillio, i denti esposti, asciutti, aperti in un ghigno d’esaltazione, le dita percorse da tremiti e improvvisi calori.

L’apertura alare misurava settanta e sette braccia. L’ombra si stagliava in negativo nel buio ed era lunga tre sole braccia. A quell’altezza la poca luce di riflesso si infrangeva sui denti, scivolava lungo le trecce, rallentava per l’attrito con l’indaco dei ritorti, si accumulava sulle punte fino a prodursi in scintille liberatorie ad ogni battito di cuori.

A volte la percezione s’impigliava nelle pieghe del tempo e restava impressa in un luogo estraneo all’esperienza comune. Un neonato veniva svegliato dal suo stesso pianto, un cane abbaiava d’improvviso contro odori immaginari, il cervello di un piccolo mammifero veniva annegato dall’esplosione di un’emorragia.
Il sogno del Poliedrico potrebbe raccontare le sembianze del dragone. Egli conosce le correnti invisibili che scorrono nelle pietre, risolve il tatto nella comunione dei faggi rossi e degli aceri palmati, indovina le frequenze del pensiero dei rapaci notturni.

Il Poliedrico è l’unico in grado di sognare il dragone senza lasciarsi avviluppare dal vincolo dell’emozione e mutare di forma. La disposizione delle sue intuizioni è strutturata secondo le leggi della spirale e niente può interrompere la sua concentrazione durante il sonno senza annichilire nel fragore organico dell’incoerenza manifesta.

Nel sogno del Poliedrico il dragone migra per tempi indefiniti, brevi e lunghi come il ciclo dell’effimera, roteando lungo il bordo della comprensione con movimenti elastici. Giro dopo giro si cala nell’intimo della coscienza e da lì ancora più a fondo lungo il fulcro dell’indeterminazione. Giunge a destinazione e lì i suoi occhi si fanno bui, i denti si ritirano nella carne, gli enfi capillari s’incendiano, gli otto cuori ottengono la sincronia. Le trecce rimangono sospese nel vuoto e vorticano nell’oblio del Poliedrico.

Ecco la bestia torna a volare nella notte infinita del vivere altrove, colpita sul ventre da lacrime di pioggia a lungo invocate. Rientra in possesso dell’ombra con sottomissione, muta direzione in obbedienza al campo magnetico. Ma ora è un altro dragone. I denti sono esposti, gli occhi perlacei, le trecce suonano incensi di colore. Un altro dragone. Un altro specchio nella mente del Poliedrico.

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