lunedì 23 maggio 2011

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (40 di N)

Quando c'hai un figlio ci sono dei giorni che ti rendi conto con estrema lucidità che l'ombra si fa vicina, il momento in cui il sole si nasconderà non può certo farsi distante. Una mattina mi sveglierò con la netta sensazione che mio figlio si sia svegliato, si sia alzato in punta di piedi, abbia acceso la tv sul suo canale di cartoni preferito. Una mattina mi alzerò anticipando il solito buonumore che mi procura la semplice consapevolezza che ci sia mio figlio sul divano, con in mano uno dei suoi robot herolego, che inventa dialoghi assurdi fingendo di essere così impegnato nel gioco da non essersi accorto di me. Una mattina scoprirò che sono passati anni, decenni, che mio figlio è grande, abita altrove, che il mio vecchio corpo mi ha giocato un brutto scherzo, perché tutto questo è troppo complesso e vero per essere gestito dalla sola mente, nell'inganno viene coinvolto tutto il corpo, sentirò perfino l'odore specifico che hanno i tempi felici, quando ringrazi e non ne hai mai abbastanza, anche se amari, anche se duri, sono tempi che valgono la pena, sono tempi che non hanno bisogno di cercare un motivo. Sospettare che si sentirà la mancanza del bambino che fu, la nostalgia di giorni che rischiamo di lasciarci passare sotto il naso senza degnarli della necessaria attenzione, che siamo tentati di trascorrere concentrati su noi stessi, sui nostri problemi, senza fare niente non dico per gli altri in generale ma almeno per gli altri a cui vogliamo bene, almeno per i figli, è un buon inizio per capire le cose che cambiano quando c'hai un figlio.

Sacrificarsi a favore di persone singole, persone concrete, non come quelli che si sentono miss mondo sul palco, sotto i riflettori, e dichiarano di volere la pace nel mondo per vincere il concorso di persona più buona del mondo. Sacrificare tempo, fatica, oltre che soldi. C'è gente che si sacrifica per comprare un paio di scarpe, che chiede un prestito per un intervento di chirurgia estetica, che sacrifica tempo per coltivare relazioni sociali con persone alle quali metterebbe volentieri del veleno nel caffè. La stessa gente che poi ti viene a spiegare come si mangia per vivere a lungo, ti dice per chi si deve votare, come si deve affrontare il problema energetico, gente che pensa di sapere tutto perché l'ha detto la sua amica che l'ha letto nel tal posto che l'ha scritto il gran visir dell'opinione e tutti nel giro della cumpa quando ci si ritrova per l'aperitivo sono d'accordo per cui non è che sbagliano tutti. Per esempio adesso vanno di moda le scarpe con la suola arcuata, che ci dondoli sopra. Mia zia ha il mal di schiena e posso capire, ma tutti gli altri? Comprano tutti scarpe da 250 euro al paio perché d'un tratto hanno tutti il mal di schiena? Lo stesso vale per la politica, in democrazia è tutta pubblicità, moda, e quando c'hai un figlio capita che ti dedichi a lui perché lo fanno anche gli altri genitori, lasciando che la tua vita venga messa via, dentro un cassetto, così che non si rovini, che non si sciupi, che ti rimanga una bella faccia da esporre agli ospiti in visita quando ti ficcheranno in una bara.

Pensavo queste cose ieri, al parco pubblico, mentre da una parte c'era una festa di compleanno, dall'altra attivisti politici, in mezzo gente che cercava di rilassarsi, di giocare a palla, di godersi le chiacchiere seduti nell'erba. Con mio figlio eravamo lì a far volare l'aquilone. A volte il vento calava e l'aquilone veniva giù schizzando prima tutto a destra, poi a sinistra, che bisognava correre per tenerlo su il tempo necessario alla ripresa del vento. Mio figlio che correva, rideva, gridava Vola! Vola! Sta volando! Vola aquilone, vola! Gente attorno col sorriso di chi si è fermato a bere dopo aver sudato a rincorrere la palla. Ragazzini con gli abiti, le movenze, le pettinature, lo sguardo pronto a fissarsi o distogliersi tipico di chi non ha nessuna intenzione di perdersi nel mucchio, di venire scambiato per un coetaneo qualsiasi, alcuni dimentichi della compostezza da duri richiesta dalla parte che recuperano l'alta tonalità di voce dell'era prepuberale, altri che anticipano la celebrazione delle vacanze estive facendo i conti, cercando di capire quanto si rimarrà soli, a chi si potrà telefonare per una passeggiata con gelato, problemi seri, problemi che la madre impegnata coi festoni e i palloncini non ricorda più se non certe sere, quando certi odori o sapori le danno un senso di deja vu e una felicità di cui non ricorda il nome, come trovarsi di fronte a se stessi e stare bene attenti a come si costruiscono le frasi, la circospezione sul volto di chi non era preparato, lo sforzo per impedire che l'interlocutore percepisca il vuoto dove una volta c'era il nome sul quale giurammo eterno ricordo.

L'attivista era come non riuscisse in alcun modo a trattenersi dal dire a tutti che il gelato al pistacchio, tutti dovete assaggiarlo, il pistacchio ci deve essere ovunque, chi non gli piace il pistacchio è malvagio e bisogna abbatterlo rinchiuderlo, il gelato migliore è al pistacchio, chi dice il contrario sta pagando i sostenitori, sta raccontando balle, vi prende in giro con promesse ridicole, perché il gelato al pistacchio è la risposta, tutti lo vogliono tranne i matti, gli scemi, i ricchi, chi non vuole il pistacchio non capisce niente, sbaglia tutto, non possiamo permettere che il pistacchio non vinca, se non vince il pistacchio sarà un casino sarà uno schifo, finiremo male, il mondo ci riderà in faccia, non avremo di che sfamare i nostri figli, ci lasceranno morire in mezzo a una strada, il pistacchio bisogna che ci rendiamo tutti conto che la soluzione è il gusto pistacchio, chi non vota pistacchio andrebbe menato, non suggerisco né giustifico la violenza, dico solo che se uno che non gli piace il pistacchio viene pestato a sangue io lo capisco che sia potuto accadere perché siamo tutti stanchi di gente che vuole impedire l'ascesa del gusto pistacchio. L'attivista usava un megafono. Non era nemmeno un politico di professione, era gente che non aveva altro da fare nella vita che scassare i coglioni al prossimo, uno di quelli che su internet sono sempre di più, hanno trovato in internet un megafono enorme. Ci vorrebbe un filtro, oltre ai filtri per sesso, violenza, linguaggio esplicito, ci vorrebbe un filtro politica, visto che stupidità non è materialmente fattibile, mi accontenterei di filtrare chiunque non abbia di meglio da fare nella vita che rompere i coglioni al maggior numero possibile di persone esponendo le sue idee politiche e facendo il tifo per la sua parte politica.

Quando c'hai un figlio far volare l'aquilone ha tutto il fascino e la goduria che senza un figlio si trasformano in noia e tristezza. È l'emblema perfetto sulle cose che cambiano quando c'hai un figlio: a differenza del far volare un aquilone da soli, con un figlio invece a far volare un aquilone si ride, ci si diverte. Poi ti viene la gola secca, ti viene sete, e vai a comprare un ghiacciolo, a sentire fra le dita il delizioso freddume di una bottiglia gelata. La donna che sta organizzando la festa al bar per la figlia è elegante, pulita, sicura di sé, una signora che ci tiene, non so se effettivamente ricca o se di classe media, non ho mai avuto occhio per i dettagli, la marca dell'orologio, la qualità dei materiali e delle cuciture delle scarpe, le essenze del profumo. L'atteggiamento comunque c'era, il modo di guardare, il modo di tenere le braccia, il modo di stare in piedi, il modo di parlare anche. E quella perenne insoddisfazione che non si esprime nel mugugno ma in un sottile disprezzo privo di bersaglio, che viene lasciato espandere attorno come un veleno per far sentire in colpa chiunque nel raggio di venti metri. E la figlia, una bambina, che saltella via quando viene rimproverata, fingendo di non aver sentito. La bambina che era pronta a frignare e lamentarsi per via di contrattempi, di palloncini esplosi o festoni rotti o ritardi o musica non di suo gradimento o cheneso, e la madre che la sgrida con quel modo di sgridare identico in ogni parte del globo, laddove un bambino viziato ripaga con squisite lamentele ogni vittoria strappata agli stanchi genitori, colpevoli di tutto e di niente, chissà dove si nasconde il seme per attecchire e succhiare l'energia necessaria a far crescere rigogliosa la pianta dell'incomprensione.

Quando c'hai un figlio lui non sa niente di tutto questo, è giusto così, deve solo godersi la vita, è tutto quello che vuoi per lui, che rimanga al riparo dai rompicoglioni che vogliono cambiare il mondo, dalle crepe che diventano abissi tra persone che vorrebbero amarsi, degli scherzi della memoria quando ti svegli e ti sembra che ci sia un bambino in salotto, che una volta sapevi bene il nome della persona che eri e adesso proprio non ti viene in mente. Quando c'hai un figlio vorresti che la magia gli durasse per sempre, che non finisca a buttare la gamba in avanti e ridere con i singhiozzi di chi si accorge di aver perso il controllo sull'allegria, di aver ceduto alle pressioni dell'irresponsabilità fanciullesca, di chi ormai è troppo grande per certe cose. Quando c'hai un figlio vorresti dirgli una bugia, dirgli che non si è mai troppo grandi per certe cose, anche se tu, da solo, al parco, a far volare l'aquilone, da solo, no, senza di lui, non ci andresti. Quando c'hai un figlio vorresti proteggerlo dalle febbri ideologiche, dall'impulso romantico che sfruttano i pubblicitari della democrazia per mandare al potere i loro amichetti, vorresti fargli capire che fra tutti i modi per sprecare la vita, l'attivismo politico è quello più stupido. Non fa niente se non fai carriera, se non hai successo, se il prezzo è schierarsi dalla parte di un partito politico affinché ti favorisca vuol dire che vivi in un sistema che non premia il merito ma la mafiosità clientelare, che mette al centro delle relazioni sociali l'appartenenza a un partito politico, vivi in una democrazia formale che è una dittatura di fatto e non si merita niente, si merita solo di vederti andare via saltellando, come chi non si degna nemmeno di ascoltare.

Poi siamo andati a comprare il gelato e, senza motivo, siamo finiti a gridarci addosso verbi della prima coniugazione. E parole di origine francese, come tunnel. Col gelato in bocca da mandare giù per fare spazio a verbi sempre più spassosi, così, per il solo fatto di richiedere un labiale, di contenere molte erre, di essere pronunciati con intenti evocativi o consolatori. Lui li ripeteva soltanto, a parte qualche illuminazione salutata con scrosci di risate dal tipico tintinnio con quale vengono descritte le risate infantili da generazioni di scrittori. La risata che rincorre se stessa, che sgorga come una sorgente, ci vedi dentro le bolle, ti frizzano nelle orecchie e ti riecheggiano nel cuore. Poi abbiamo scherzato, poi abbiamo giocato, poi siamo rimasti in silenzio come chi sta mandando a memoria una poesia, almeno nel mio caso sì, una poesia fatta di ricordi, di emozioni che non c'è modo di conservare e per questo le si assapora il più a lungo possibile, una poesia che non ha parole, perché io le poesie, quelle scritte, quelle che vanno lette, io le poesie non le capisco, non le ho mai capite. È come sedersi a tavola e mangiare la fotografia di una bistecca fiorentina, e dire che buona, dire è cotta giusta, dire io lo capisco a vista d'occhio, se una bistecca è buona.

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