martedì 10 maggio 2011

Arrivals (1:N)

L'uomo che si è fermato a controllare le tasche si dichiara soddisfatto quando interroga se stesso a proposito della vita, e così facendo azzittisce la voce del malcontento. Il suo nome inizia per Y, ha deciso che non tingerà mai i capelli qualche giorno fa, notando alcuni capelli bianchi sulle tempie. Ha deciso nello stesso tempo di non guardare mai indietro perché non sarebbe mai potuta andare meglio di così. Adesso sta cercando le sigarette, ha sfidato se stesso in tutti i modi possibili, il signor Y, compreso quello di fumare in dosi e orari specifici. Gli è venuto il sospetto di aver dimenticato le sigarette da qualche parte sull'aereo quando era ancora alle prese col controllo bagagli, preoccupato che i doganieri si mettessero a frugare con solo risultato di provocare disordine fra le sue cose. Adesso se ne sta fermo in mezzo al corridoio, intralciando il passaggio, e le pacche che si dà sulle tasche sembrano contenere forza in eccesso. Sono gli imprevisti da nulla che lo mandano in bestia, quelli così ininfluenti da non meritare nemmeno una citazione a margine.

La ragazza coi capelli rosa si è lanciata fuori dalla porte automatiche come se fuggisse da un luogo opprimente dove l'hanno costretta a respirare per lungo tempo l'aria viziata della noia, con il carico di introspezione che provoca irritazione, infiammazione, turbamento, come un malore che ti corrode da dentro e ti rende fragile e delicata, ti manda in frantumi se fai l'errore di guardarlo nelgi occhi o di invitarlo a entrare. Anche le sue amiche ammettono di soffrire dello stesso male, per questo non vede l'ora di abbracciarle esprimendo l'equivalente di grazie, mi state salvando la vita. Sono tre amiche che non parlano mai di cose tristi, è una regola, si possono fare confidenze solo in rari momenti che definiscono magici: prima di dormire, quando è rimasta in casa solo un'ultima luce da spegnere, oppure rifugiandosi in un angolo a bisbigliarsi nell'orecchio mentre tutti gli altri fanno rumore e si divertono. La solitudine, sua madre dice che non è niente, passerà, soffre un po' di solitudine, tutto qui, ma sua madre si sbaglia, le loro madri si sbagliano su tutto, sempre.

Y da piccolo c'è stato un periodo che aveva paura di restare senza denti. Si sarebbe svegliato un mattino e avrebbe trovato i sui denti sparsi sul cuscino. Adesso che è grande ha paura del cancro, un cancro ferroso che farà suonare gli allarmi, i sistemi antitaccheggio, i metal detector, un cancro dentro al cervello in grado di eludere qualsiasi tentativo di identificazione. I medici mostreranno le lastre e diranno che non c'è niente, non ci sarà modo di evidenziarlo, tanto meno di curarlo o asportarlo. Y pensa che meglio di così la sua vita non potrebbe essere, non c'è niente che possa disturbare la sensazione di ingratitudine che lo pervade ogni volta che pensa al peggio. Potrebbe avere perso i denti a otto anni, potrebbe avere un tumore così subdolo da nascondere le tracce della propria esistenza. Ha sentito gli spigoli del pacchetto di sigarette in una tasca interna della giacca. Si aggiusta gli occhiali sul naso e afferra la valigia come se avesse intenzione di scagliarla via, gettarla lontano, allontanare da sé l'orribile contenuto.

La ragazza ha un nome che inizia per L e sta ridendo con singhiozzi che ricordano quel tipo speciale di pianto che produce versi simili al raglio, al bramito, una contentezza spasmodica, dolorosa, straziante. Una delle sue amiche saltella sul posto, sbattendo le mani per aria come i gatti con le zampe bagnate. L'altra ha gli occhi lucidi e una smorfia sulla bocca che contraddice e rovina l'espressione di gioia complessiva che sta cercando di trasmettere. A volte L pensa seriamente che ciò che non riesce a ottenere, i desideri che ammuffiscono lentamente, perdono brillantezza come il pelo artificiale di pupazzi accarezzati fino allo sfinimento, soffocati dall'amore, desideri traditori che nonostante tutta la dedizione di cui hanno goduto non cedono, non si arrendono, non si avverano. A volte L pensa che se non avesse mai conosciuto le sue amiche adesso la sua vita sarebbe diversa, sarebbe migliore, adesso sarebbe una persona felice, avrebbe ciò di cui ha bisogno, non avrebbe occasione di cogliere lo sforzo che si nasconde nelle proprie risate.

Mentre Y lancia un'occhiata intorno per sincerarsi di non aver attirato troppa attenzione, di non aver lasciato trasparire insicurezza. Mentre L appoggia le dita su un piccolo monitor alla ricerca delle fotografie che vuol mostrare alle amiche dall'istante in cui le ha scattate. Ci sono altre persone che escono dalle porte automatiche, mai stanche di aprirsi con un soffio inudibile, coperto dalla musica di sottofondo, dalle chiacchiere, dal rumore bianco che si sviluppa nell'orgia delle onde sonore imprigionate dai controsoffitti, dalle plastiche dei cartelloni pubblicitari, dalle vetrine dei negozi duty free, non esiste giorno e notte qui dentro, esiste solo gente che parte e gente che arriva. F sta partendo, è una signora con gli occhiali scuri, il braccio piegato con la mano pendula della donna abituata alla borsetta. T aspetta una coincidenza, ha un bambino piccolo in braccio e una destinazione che non ha fretta di raggiungere, che ne farebbe a meno se potesse. S è soddisfatto di sé, durante la gita si è dimostrato all'altezza delle proprie aspettative, ha dimostrato di poter essere diverso, non scontato, insipido, banale, è stato imprevedibile, eccessivo, avventato, e adesso per qualche mese non dovrà sforzarsi di ottenere rispetto, non verrà preso in giro, smetteranno di usare odiosi nomignoli.


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